Era
figlio di una famiglia di agricoltori formata dagli sposi Giovanni e
Dolores, che viveva in una casa di campagna chiamata Mas Bassó, del
borgo Sant Daniel, a Tordera (provincia di Barcelona e diocesi di
Girona). Il beato Sebastiano nacque il 2 dicembre 1909. Fu battezzato
nella chiesa parrocchiale di Sant Esteve il giorno 8 dello stesso
mese, e gli furono imposti i nomi di Sebastiano, Giovanni e Ramón.
Vennero poi altri tre fratelli, due femmine ed un maschio.
Probabilmente ricevette la cresima nella parrocchia Santa Maria di
Blanes.
Alunno
del collegio Santa Maria di Blanes
Sua
madre era una santa donna e da lei il nuovo Beato ereditò la sua
semplicità, la sua umiltà, la sua pietà e la trasparenza del suo
buon cuore, che si affacciava dai suoi occhi. A cinque anni cominciò
a frequentare il collegio Santa Maria di Blanes per iniziare le
elementari. Ebbe come professore il beato Segismondo Segalés, molto
ricordato a Blanes, che lo preparò anche per ricevere la prima
comunione, quando aveva 7 anni. Era obbediente e docile con suo
padre, intelligente ed applicato a scuola, senza mai assentarsi
nonostante vivesse in campagna, a mezz’ora di cammino dalla
cittadina di Blanes.
Nel
1933, tutta la famiglia si trasferì in una nuova casa, chiamata Mas
Llorens, che il padre aveva fatto costruire dentro la stessa
proprietà, situata dentro i confini del comune di Blanes. Nel 1921,
a 12 anni, dopo aver fatto la comunione solenne, dovette lasciare il
collegio per aiutare i suoi genitori nei lavori del campo, però
proseguì instancabile nella propria formazione personale sia per
corrispondenza e sia partecipando alle lezioni notturne di algebra
nel collegio, che impartiva lo stesso beato Giacomo, con il quale
strinse una cordiale amicizia. Erano così affini in molte qualità e
virtù, che non sorprende questa compenetrazione, che Dio volle
sigillare con il sangue.
La
sua vita di fede e di pietà
Il
nuovo Beato aveva una pietà profonda e virile che ispiravano il suo
lavoro, il suo studio e tutta la sua vita. Un suo compagno, Francesco
Puig Llensa, afferma che “era un giovane studioso e lavoratore, ed
essenzialmente pietoso”. Questa pietà si manifestava, prima di
tutto, nella sua devozione all’Eucaristia. Assisteva con regolarità
alla messa domenicale. In una occasione si scontrò con suo padre
perché voleva che lavorasse nei giorni festivi. Faceva il
chierichetto, si comunicava con molta frequenza, e, nei pomeriggi,
dopo il lavoro nei campi, a piedi o in bicicletta arrivava fino alla
chiesa per pregare a lungo davanti al Tabernacolo.
Suo
fratello Giuseppe, che condivideva con lui la stanza da letto, ha
ricordato alcuni fatti più personali: «Io lo vedevo tutte le notti
come si inginocchiasse ai piedi del letto per pregare. Era molto
grande la sua devozione al Santissimo. Andava a messa alla cappella
del Santissimo della parrocchia di Blanes, dove c’era l’altare
del Santissimo, una statua della Madonna dei dolori ed il
confessionale. Là, dopo aver ricevuto l’Eucaristia ed anche in
altri momenti, passava molto tempo inginocchiato o seduto sugli
inginocchiatoi e sui banchi davanti al Santissimo».
La
sua pietà aveva anche un altro canale che versava ugualmente nella
sua anima: la devozione alla santissima Vergine, che venerava
soprattutto nell’immagine del “Vilar”, patrona di Blanes. La
sua casa, Mas Llorens era situata a metà del cammino verso il
santuario, dove andava con frequenza, ed in particolare i pomeriggi
festivi, alla sua amata immagine, alla quale svuotava il suo cuore ed
alla quale raccontava con spirito filiale tutte le sue speranze, le
sue pene, affanni ed allegrie. La sua vita di fede era anche
alimentata dagli esercizi spirituali. Candido nei costumi, mai entrò
in una sala da ballo o in un cinema con spettacoli trasgressivi. Don
Agostino Andreu, primo biografo del Beato, mette in rilievo questo
aspetto. Cercava di contagiare la sua devozione mariana ai giovani di
Blanes e dei dintorni. Organizzava pellegrinaggi e visite al
santuario, che, spesso, si convertivano in giornate di ritiro
spirituale o di formazione, o in riunioni ed assemblee di propaganda
degli ideali cristiani. “Si comincia a dubitare di Dio –scriveva
nella rivista locale Recull il 20 giugno 1931- quando si sono
infiltrati nello spirito vizi e passioni che sono in contraddizione
con la legge di Dio”. Il beato Sebastiano pensava con molta serietà
al progetto del suo matrimonio. In una lettera del 20 luglio 1936,
diretta a Pilar Carbó, la sua fidanzata, anche se non arrivò a lei,
esprime molto bene i suoi sentimenti ed il senso del matrimonio: «Il
matrimonio si deve fondare su un amore di durata eterna, non come una
cosa passeggera prodotta da una causa che non ha stabilità, ma che
non sfugga e che duri anche eternamente».
Per
questo nell’ultima visita al santuario del “Vilar”, prima della
persecuzione, il Beato pregò con molto fervore più che le altre
volte, e poi fece questa confidenza a don Giuseppe Masllovet, il
cappellano del “Vilar”: “Sa che cosa ho chiesto alla Santissima
Vergine? Che se non devo essere felice nel matrimonio, mi metta un
grande impedimento prima di celebrarlo”.
La
sua preoccupazione per gli altri
La
pietà del beato Sebastiano dava frutti sia a livello personale che
nelle opere di apostolato. Le domeniche pomeriggio frequentava il
centro parrocchiale per ascoltare le catechesi, o al Centro Cattolico
per partecipare a momenti di svago. Si convertì in propagatore della
Lega parrocchiale di Perseveranza ed entrò nel terz’Ordine
francescano. Il sacerdote Agustino Andreu, che conosceva molto bene
l’intimità del Beato, afferma: «Era uno spirito candido e
trasparente, senza ombre di egoismo e vanità, completamente
distaccato da interessi personali e con dominio perfetto sulle sue
passioni umane, disposto sempre alle imprese generose e capace dei
più grandi sacrifici».
Per
questo sul suo volto appariva spesso il sorriso di una sana allegria,
che scaturiva da un cuore puro e senza ombre. Si dedicò anche con
decisione e sforzo all’apostolato. Prima come congregante di San
Luigi Gonzaga, e poi, più tardi, come membro della “Federació de
Joves Cristians de Catalunya” (Federazione di Giovani Cristiani di
Catalogna). Era stato uno dei fondatori del centro della
“Federazione” di Blanes, e per suo impulso se ne creò un altro a
Tordera. I pomeriggi della domenica, oltre al “Vilar”, spesso
visitava l’ospedale San Josè di Blanes, per rallegrare i malati,
che gioivano intensamente delle sue visite allegre e fervorose. Qui
conseguì la conversione di un suo vicino ed amico Stefano Domènech,
di Mas Martí, colpito da paralisi incurabile. La notte del 30 luglio
1936, quando Stefano, ricoverato ancora nell’ospedale, udì gli
spari e seppe della morte del beato Sebastiano, scrisse nel suo
Piccolo diario: «Ah! Lo sapevo che era un santo anche se poco
appariscente in mezzo alle persone, però se una persona parlava con
lui, e faceva attenzione, si sentiva impregnato da un’atmosfera
soprannaturale […] Dalla mattina della festa di san Giacomo, non ci
siamo più visti. Mi venne a portare i saluti di D[on] A[gostino]e mi
ha detto che pregassi molto per la salvezza della Spagna […] Queste
furono le sue ultime parole che ascoltai».
“Disposto
a dare la vita per salvare l’immagine della Madonna”
Il
giorno 26 luglio, festa patronale della città, i miliziani
saccheggiarono il santuario e bruciarono i banchi e l’interno,
rimasero così solo i muri spogli ed anneriti. Don Giuseppe Masllovet
fu, da lontano, testimone oculare di tutto questo. Quella stessa
sera, il cappellano custode (del santuario) ricevette la visita del
beato Sebastiano, che si rallegrò moltissimo al sapere che
l’immagine della Madonna era stata messa in salvo, poiché lui si
era sempre interessato di lei, sia con don Agustino Andreu e sia con
il signor Giuseppe Vilar, proprietario del santuario, ed era disposto
a fare qualsiasi sacrificio, pur di mettere la stimata immagine fuori
da ogni pericolo. Pilar Vilar ha riferito parte della conversazione
che il Beato ebbe con il padre: «Il signor Vilar gli chiese se già
sapesse a cosa si sarebbe esposto nascondendo la Santa Immagine,
poiché è tradizione della famiglia Vilar che la Madonna premia chi
la salva portandoselo in cielo. Sebastiano Llorens si alzò dalla
sedia dove era seduto, e con voce ferma e decisa, disse “che lui
dava con gioia la vita per salvare l’immagine della Madonna”».
Verso
le 10 della notte del giorno 27, il beato Sebastiano, accompagnato
dal beato Giacomo Puig e dal sacerdote Masllovet, formando una devota
processione mariana, trasportò l’immagine dal bosco fino a Mas
Llorens dove, all’alba del giorno 28, con l’aiuto della madre,
scavò una buca vicino alla casa e depositò lì l’immagine. La già
citata Pilar Vilar, della famiglia proprietaria del santuario,
aggiunse: «Si potrebbe dire che è in questo momento che Sebastiano
“trascura” la propria vita e la offre alla Madonna, ispirato da
Lei stessa, accettando da quell’istante la palma del martirio.
Allora il signor Vilar gli raccontò tutta la storia del Vilar
dicendogli che sia nei tempi remoti, come lo testimonia il
ritrovamento della santa immagine da parte di una pastorella, come in
altre occasioni che fu nascosta durante guerre o persecuzioni
religiose, sempre la Madonna ha premiato con il cielo coloro che
l’hanno salvata. Sebastiano ripeté che era disposto a dare la vita
per salvare la santa Immagine».
Di
fatto, in previsione della sua morte, solo comunicò il nascondiglio
a Pilar Carbó, la sua fidanzata, ed al suo grande amico Francesco
Puig Llensa.
Profilo
religioso e morale
Il
beato Sebastiano, secondo le testimonianze dei suoi fratelli e
compagni, era allegro ed affabile. Era un giovane abbastanza
riservato negli affari di famiglia. Tutti si trovavano bene con lui
ed a tutti sapeva rivolgere una parola appropriata e stimolante. Mai
pronunciò una parola grossolana, leggera o villana, e naturalmente
una bestemmia.
In
un quaderno, giorno per giorno, durante gli anni 1930-31, annotava
una serie di appunti, impressioni e pensieri spirituali. Ne
riportiamo un esempio: “Madre mia, fammi abituare a dire: sia fatta
la volontà di Dio”. Era un grande lavoratore, costante e
responsabile in ogni cosa. I compagni lo rispettavano e seguivano. E
lui cercava sempre di fare apostolato, per portarli a Dio. Era molto
stimato anche da tutti i lavoratori del campo del borgo di Sant
Daniel, nei luoghi vicini alla sua casa e molti gli chiedevano
consigli e si fidavano delle sue conoscenze e della sua esperienza.
Aiutava subito chiunque glielo chiedesse o dove sapeva che c’era
qualche necessità, anche fosse di notte.
Martire
della fede e della carità
Il
giorno 29, nel pomeriggio, il beato Sebastiano, viene a conoscenza
che a Blanes “i rossi” cercano il beato Giacomo Puig e che, il
giorno seguente, vanno a Mas Llorens a cercarlo. Fosse così o no,
il Beato glielo comunicò. Il giorno 30 nel pomeriggio, arrivarono i
miliziani a Mas Llorens, presero il beato Giacomo e lo caricarono su
una macchina. Il beato Sebastiano gli diede la propria giacca e volle
accompagnarlo, però glielo impedirono. Allora, prese la bicicletta e
seguì la macchina, fino al “Comité di rifornimento”. Mentre il
beato Giacomo era interrogato e maltrattato iniquamente, il beato
Sebastiano aspettò a lungo fuori. Stava imbrunendo. L’interrogatorio
fu molto lungo. Quando terminò, uscendo dal Comité, i due Beati
parlarono un poco a bassa voce e si diressero verso la “calle
Ancha”. Si fermarono davanti all’edificio del sindacato dei
lavoratori per vedere se i miliziani li seguivano, e proseguirono poi
fino al controllo nell’incrocio delle strade, dove rimasero per un
lungo periodo. Nel frattempo una banda di uomini era entrata in
azione, e preparava un’imboscata. I due Beati ripresero a camminare
sulla strada fino ad arrivare alle ultime case del paese, di fronte
alla fabbrica di tessuti Pastells. Immediatamente partì dall’angolo
una scarica di arma da fuoco in direzione del beato Giacomo che
subito cadde. Il beato Sebastiano lo abbracciò con forza, ed allora
spararono contro di lui, ferendolo gravemente, e poi lo finirono
brutalmente. Il suo corpo aveva ricevuto varie pallottole ed il
cranio era aperto a causa dei colpi ricevuti con il calcio del
fucile. L’amico Stefano Doménech, dall’ospedale, venne a
conoscenza subito della triste nuova:
«31
luglio – […] Le prime notizie che arrivano sono molto incomplete:
[…]Si dice che qualcuno lo ha visto [al beato Sebastiano] davanti
alla casa del paese, mentre aspettava che uscisse il P. Puig quando
avesse terminato le sue dichiarazioni, e che quando stava uscendo con
il regolare “salvacondotto”, stavano tornando a casa. E quando
avevano già passato i posti di blocco, sul marciapiede della
fabbrica, si erano messi d’accordo, e li aspettavano per ucciderli.
E proprio lì spararono otto colpi che si sentirono e che causarono
la loro morte».
Secondo
quanto riferì il guardiano del cimitero, i miliziani continuarono a
colpirlo anche quando già era morto: “Lo vedi, somaro, che ti è
servito lavorare tanto?”. Aveva 27 anni. La sua morte fu scritta
nel Registro Civile di Blanes. I miliziani volevano che il dottor
Brunet facesse l’autopsia dei cadaveri all’ospedale, però lui si
oppose, perché lì c’era un infermo molto grave, e così la eseguì
nella cappella del cimitero. Il giovane Stefano Doménech, ricoverato
nell’ospedale, scrisse nel suo Piccolo diario: «1 agosto –
Questa mattina hanno riportato gli utensili per fare l’autopsia e
le due barelle. Gli utensili sono serviti a poco. Sulle barelle,
sopra le quali collocarono i cadaveri, ci sono molte macchie di
sangue. Hanno incaricato le infermiere di lavarle. Esse lo hanno
fatto questa mattina in giardino, e l’acqua che scorreva verso i
fiori era tutta rossa del sangue dei martiri. Questi fiori potranno
coglierli dalla terra, ed essere convertiti in profumo che arrivi
fino al cielo».
Inumazione
dei suoi resti mortali
I
cadaveri furono, poi, portati prima al deposito e poi alla cappella
del cimitero, dove venne praticata loro l’autopsia, sotto lo
sguardo attento dei miliziani, e questo impedì al dottor Giuseppe
Brunet di attuare il suo proposito che era quello di riempiere una
bottiglina con il sangue dei martiri. Il cadavere del beato
Sebastiano fu inumato nel loculo di famiglia dello stesso cimitero.
Nel beato Sebastiano si compì ancora una volta la tradizione della
famiglia Vilar, secondo la quale la Madonna premia chi salva la santa
immagine portandolo in cielo.
«Se
muoio –aveva detto sicuro e deciso alzandosi dalla sedia-, lo farò
con piacere per salvare l’immagine della Madonna del Vilar».
L’impresa
non gli costò la vita direttamente, però la Madonna volle premiare
la sua devozione, associandolo al beato Giacomo Puig nel martirio,
così come lui lo aveva accompagnato per salvare l’Immagine. Il
Piccolo diario di Stefano Doménech, già in parte citato, è una
testimonianza viva della disposizione dei due Beati: «Se li uccisero
perché uno era religioso e l’altro perché accompagnava un
religioso, risulta allora che sono due martiri della religione.
Spirito d’amore, di eterna fraternità, con generosità,
abnegazione, perdono e sacrificio… Queste sono state le gesta
eroiche dell’aureola gloriosa della vita virtuosa di Sebastiano, il
quale volle accompagnare il P. Puig affrontando tutti i pericoli che
in questo si nascondevano».
Sulla
fama di martirio ed il ricorso alla sua intercessione, P. Pietro M.
Puig affermò: «La fama cominciò già durante la vita di
Sebastiano.
Don
Agostino, dopo aver raccontato la conversione del giovane paralitico
Stefano, secondo quanto è stato già raccontato, dimostra la stima e
la venerazione che aveva verso Sebastiano, che considerava il suo
migliore amico. Sempre su questo caso, dice a sua volta Damiano León,
alcuni giorni dopo l’assassinio di Sebastiano, lo visitò
all’ospedale con Enrichetta, sorella di Sebastiano, la sua
fidanzata. Vedendole ebbe una grande allegria, le ringraziò per la
visita ed aggiunse che non dava loro le condoglianze, “perché
Sebastiano sta in cielo e, da quando è morto, prego e mi raccomando
a lui affinché mi conservi un posto vicino a lui. Egli era colui che
io amavo di più”».
Josep
M. Blanquet, S.F. Tratto da “MARTIRI PER LA FAMIGLIA”
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