giovedì 8 marzo 2018

BEATO SEBASTIANO LLORENS TELARROJA (1909-1936) Apostolo laico - Sebastiano ha sentito una chiamata speciale al matrimonio, ma ha voluto vivere un matrimonio santo, e per questo motivo ha pensato seriamente a come realizzare questo progetto senza lasciare il suo apostolato cristiano, principalmente in quello che riguardava la pietà e l'evangelizzazione dei giovani.



Era figlio di una famiglia di agricoltori formata dagli sposi Giovanni e Dolores, che viveva in una casa di campagna chiamata Mas Bassó, del borgo Sant Daniel, a Tordera (provincia di Barcelona e diocesi di Girona). Il beato Sebastiano nacque il 2 dicembre 1909. Fu battezzato nella chiesa parrocchiale di Sant Esteve il giorno 8 dello stesso mese, e gli furono imposti i nomi di Sebastiano, Giovanni e Ramón. Vennero poi altri tre fratelli, due femmine ed un maschio. Probabilmente ricevette la cresima nella parrocchia Santa Maria di Blanes.
Alunno del collegio Santa Maria di Blanes
Sua madre era una santa donna e da lei il nuovo Beato ereditò la sua semplicità, la sua umiltà, la sua pietà e la trasparenza del suo buon cuore, che si affacciava dai suoi occhi. A cinque anni cominciò a frequentare il collegio Santa Maria di Blanes per iniziare le elementari. Ebbe come professore il beato Segismondo Segalés, molto ricordato a Blanes, che lo preparò anche per ricevere la prima comunione, quando aveva 7 anni. Era obbediente e docile con suo padre, intelligente ed applicato a scuola, senza mai assentarsi nonostante vivesse in campagna, a mezz’ora di cammino dalla cittadina di Blanes.
Nel 1933, tutta la famiglia si trasferì in una nuova casa, chiamata Mas Llorens, che il padre aveva fatto costruire dentro la stessa proprietà, situata dentro i confini del comune di Blanes. Nel 1921, a 12 anni, dopo aver fatto la comunione solenne, dovette lasciare il collegio per aiutare i suoi genitori nei lavori del campo, però proseguì instancabile nella propria formazione personale sia per corrispondenza e sia partecipando alle lezioni notturne di algebra nel collegio, che impartiva lo stesso beato Giacomo, con il quale strinse una cordiale amicizia. Erano così affini in molte qualità e virtù, che non sorprende questa compenetrazione, che Dio volle sigillare con il sangue.
La sua vita di fede e di pietà

Il nuovo Beato aveva una pietà profonda e virile che ispiravano il suo lavoro, il suo studio e tutta la sua vita. Un suo compagno, Francesco Puig Llensa, afferma che “era un giovane studioso e lavoratore, ed essenzialmente pietoso”. Questa pietà si manifestava, prima di tutto, nella sua devozione all’Eucaristia. Assisteva con regolarità alla messa domenicale. In una occasione si scontrò con suo padre perché voleva che lavorasse nei giorni festivi. Faceva il chierichetto, si comunicava con molta frequenza, e, nei pomeriggi, dopo il lavoro nei campi, a piedi o in bicicletta arrivava fino alla chiesa per pregare a lungo davanti al Tabernacolo.
Suo fratello Giuseppe, che condivideva con lui la stanza da letto, ha ricordato alcuni fatti più personali: «Io lo vedevo tutte le notti come si inginocchiasse ai piedi del letto per pregare. Era molto grande la sua devozione al Santissimo. Andava a messa alla cappella del Santissimo della parrocchia di Blanes, dove c’era l’altare del Santissimo, una statua della Madonna dei dolori ed il confessionale. Là, dopo aver ricevuto l’Eucaristia ed anche in altri momenti, passava molto tempo inginocchiato o seduto sugli inginocchiatoi e sui banchi davanti al Santissimo».
La sua pietà aveva anche un altro canale che versava ugualmente nella sua anima: la devozione alla santissima Vergine, che venerava soprattutto nell’immagine del “Vilar”, patrona di Blanes. La sua casa, Mas Llorens era situata a metà del cammino verso il santuario, dove andava con frequenza, ed in particolare i pomeriggi festivi, alla sua amata immagine, alla quale svuotava il suo cuore ed alla quale raccontava con spirito filiale tutte le sue speranze, le sue pene, affanni ed allegrie. La sua vita di fede era anche alimentata dagli esercizi spirituali. Candido nei costumi, mai entrò in una sala da ballo o in un cinema con spettacoli trasgressivi. Don Agostino Andreu, primo biografo del Beato, mette in rilievo questo aspetto. Cercava di contagiare la sua devozione mariana ai giovani di Blanes e dei dintorni. Organizzava pellegrinaggi e visite al santuario, che, spesso, si convertivano in giornate di ritiro spirituale o di formazione, o in riunioni ed assemblee di propaganda degli ideali cristiani. “Si comincia a dubitare di Dio –scriveva nella rivista locale Recull il 20 giugno 1931- quando si sono infiltrati nello spirito vizi e passioni che sono in contraddizione con la legge di Dio”. Il beato Sebastiano pensava con molta serietà al progetto del suo matrimonio. In una lettera del 20 luglio 1936, diretta a Pilar Carbó, la sua fidanzata, anche se non arrivò a lei, esprime molto bene i suoi sentimenti ed il senso del matrimonio: «Il matrimonio si deve fondare su un amore di durata eterna, non come una cosa passeggera prodotta da una causa che non ha stabilità, ma che non sfugga e che duri anche eternamente».
Per questo nell’ultima visita al santuario del “Vilar”, prima della persecuzione, il Beato pregò con molto fervore più che le altre volte, e poi fece questa confidenza a don Giuseppe Masllovet, il cappellano del “Vilar”: “Sa che cosa ho chiesto alla Santissima Vergine? Che se non devo essere felice nel matrimonio, mi metta un grande impedimento prima di celebrarlo”.
La sua preoccupazione per gli altri
La pietà del beato Sebastiano dava frutti sia a livello personale che nelle opere di apostolato. Le domeniche pomeriggio frequentava il centro parrocchiale per ascoltare le catechesi, o al Centro Cattolico per partecipare a momenti di svago. Si convertì in propagatore della Lega parrocchiale di Perseveranza ed entrò nel terz’Ordine francescano. Il sacerdote Agustino Andreu, che conosceva molto bene l’intimità del Beato, afferma: «Era uno spirito candido e trasparente, senza ombre di egoismo e vanità, completamente distaccato da interessi personali e con dominio perfetto sulle sue passioni umane, disposto sempre alle imprese generose e capace dei più grandi sacrifici».
Per questo sul suo volto appariva spesso il sorriso di una sana allegria, che scaturiva da un cuore puro e senza ombre. Si dedicò anche con decisione e sforzo all’apostolato. Prima come congregante di San Luigi Gonzaga, e poi, più tardi, come membro della “Federació de Joves Cristians de Catalunya” (Federazione di Giovani Cristiani di Catalogna). Era stato uno dei fondatori del centro della “Federazione” di Blanes, e per suo impulso se ne creò un altro a Tordera. I pomeriggi della domenica, oltre al “Vilar”, spesso visitava l’ospedale San Josè di Blanes, per rallegrare i malati, che gioivano intensamente delle sue visite allegre e fervorose. Qui conseguì la conversione di un suo vicino ed amico Stefano Domènech, di Mas Martí, colpito da paralisi incurabile. La notte del 30 luglio 1936, quando Stefano, ricoverato ancora nell’ospedale, udì gli spari e seppe della morte del beato Sebastiano, scrisse nel suo Piccolo diario: «Ah! Lo sapevo che era un santo anche se poco appariscente in mezzo alle persone, però se una persona parlava con lui, e faceva attenzione, si sentiva impregnato da un’atmosfera soprannaturale […] Dalla mattina della festa di san Giacomo, non ci siamo più visti. Mi venne a portare i saluti di D[on] A[gostino]e mi ha detto che pregassi molto per la salvezza della Spagna […] Queste furono le sue ultime parole che ascoltai».
Disposto a dare la vita per salvare l’immagine della Madonna”
Il giorno 26 luglio, festa patronale della città, i miliziani saccheggiarono il santuario e bruciarono i banchi e l’interno, rimasero così solo i muri spogli ed anneriti. Don Giuseppe Masllovet fu, da lontano, testimone oculare di tutto questo. Quella stessa sera, il cappellano custode (del santuario) ricevette la visita del beato Sebastiano, che si rallegrò moltissimo al sapere che l’immagine della Madonna era stata messa in salvo, poiché lui si era sempre interessato di lei, sia con don Agustino Andreu e sia con il signor Giuseppe Vilar, proprietario del santuario, ed era disposto a fare qualsiasi sacrificio, pur di mettere la stimata immagine fuori da ogni pericolo. Pilar Vilar ha riferito parte della conversazione che il Beato ebbe con il padre: «Il signor Vilar gli chiese se già sapesse a cosa si sarebbe esposto nascondendo la Santa Immagine, poiché è tradizione della famiglia Vilar che la Madonna premia chi la salva portandoselo in cielo. Sebastiano Llorens si alzò dalla sedia dove era seduto, e con voce ferma e decisa, disse “che lui dava con gioia la vita per salvare l’immagine della Madonna”».
Verso le 10 della notte del giorno 27, il beato Sebastiano, accompagnato dal beato Giacomo Puig e dal sacerdote Masllovet, formando una devota processione mariana, trasportò l’immagine dal bosco fino a Mas Llorens dove, all’alba del giorno 28, con l’aiuto della madre, scavò una buca vicino alla casa e depositò lì l’immagine. La già citata Pilar Vilar, della famiglia proprietaria del santuario, aggiunse: «Si potrebbe dire che è in questo momento che Sebastiano “trascura” la propria vita e la offre alla Madonna, ispirato da Lei stessa, accettando da quell’istante la palma del martirio. Allora il signor Vilar gli raccontò tutta la storia del Vilar dicendogli che sia nei tempi remoti, come lo testimonia il ritrovamento della santa immagine da parte di una pastorella, come in altre occasioni che fu nascosta durante guerre o persecuzioni religiose, sempre la Madonna ha premiato con il cielo coloro che l’hanno salvata. Sebastiano ripeté che era disposto a dare la vita per salvare la santa Immagine».
Di fatto, in previsione della sua morte, solo comunicò il nascondiglio a Pilar Carbó, la sua fidanzata, ed al suo grande amico Francesco Puig Llensa.
Profilo religioso e morale
Il beato Sebastiano, secondo le testimonianze dei suoi fratelli e compagni, era allegro ed affabile. Era un giovane abbastanza riservato negli affari di famiglia. Tutti si trovavano bene con lui ed a tutti sapeva rivolgere una parola appropriata e stimolante. Mai pronunciò una parola grossolana, leggera o villana, e naturalmente una bestemmia.
In un quaderno, giorno per giorno, durante gli anni 1930-31, annotava una serie di appunti, impressioni e pensieri spirituali. Ne riportiamo un esempio: “Madre mia, fammi abituare a dire: sia fatta la volontà di Dio”. Era un grande lavoratore, costante e responsabile in ogni cosa. I compagni lo rispettavano e seguivano. E lui cercava sempre di fare apostolato, per portarli a Dio. Era molto stimato anche da tutti i lavoratori del campo del borgo di Sant Daniel, nei luoghi vicini alla sua casa e molti gli chiedevano consigli e si fidavano delle sue conoscenze e della sua esperienza. Aiutava subito chiunque glielo chiedesse o dove sapeva che c’era qualche necessità, anche fosse di notte.
Martire della fede e della carità
Il giorno 29, nel pomeriggio, il beato Sebastiano, viene a conoscenza che a Blanes “i rossi” cercano il beato Giacomo Puig e che, il giorno seguente, vanno a Mas Llorens a cercarlo. Fosse così o no, il Beato glielo comunicò. Il giorno 30 nel pomeriggio, arrivarono i miliziani a Mas Llorens, presero il beato Giacomo e lo caricarono su una macchina. Il beato Sebastiano gli diede la propria giacca e volle accompagnarlo, però glielo impedirono. Allora, prese la bicicletta e seguì la macchina, fino al “Comité di rifornimento”. Mentre il beato Giacomo era interrogato e maltrattato iniquamente, il beato Sebastiano aspettò a lungo fuori. Stava imbrunendo. L’interrogatorio fu molto lungo. Quando terminò, uscendo dal Comité, i due Beati parlarono un poco a bassa voce e si diressero verso la “calle Ancha”. Si fermarono davanti all’edificio del sindacato dei lavoratori per vedere se i miliziani li seguivano, e proseguirono poi fino al controllo nell’incrocio delle strade, dove rimasero per un lungo periodo. Nel frattempo una banda di uomini era entrata in azione, e preparava un’imboscata. I due Beati ripresero a camminare sulla strada fino ad arrivare alle ultime case del paese, di fronte alla fabbrica di tessuti Pastells. Immediatamente partì dall’angolo una scarica di arma da fuoco in direzione del beato Giacomo che subito cadde. Il beato Sebastiano lo abbracciò con forza, ed allora spararono contro di lui, ferendolo gravemente, e poi lo finirono brutalmente. Il suo corpo aveva ricevuto varie pallottole ed il cranio era aperto a causa dei colpi ricevuti con il calcio del fucile. L’amico Stefano Doménech, dall’ospedale, venne a conoscenza subito della triste nuova:
«31 luglio – […] Le prime notizie che arrivano sono molto incomplete: […]Si dice che qualcuno lo ha visto [al beato Sebastiano] davanti alla casa del paese, mentre aspettava che uscisse il P. Puig quando avesse terminato le sue dichiarazioni, e che quando stava uscendo con il regolare “salvacondotto”, stavano tornando a casa. E quando avevano già passato i posti di blocco, sul marciapiede della fabbrica, si erano messi d’accordo, e li aspettavano per ucciderli. E proprio lì spararono otto colpi che si sentirono e che causarono la loro morte».
Secondo quanto riferì il guardiano del cimitero, i miliziani continuarono a colpirlo anche quando già era morto: “Lo vedi, somaro, che ti è servito lavorare tanto?”. Aveva 27 anni. La sua morte fu scritta nel Registro Civile di Blanes. I miliziani volevano che il dottor Brunet facesse l’autopsia dei cadaveri all’ospedale, però lui si oppose, perché lì c’era un infermo molto grave, e così la eseguì nella cappella del cimitero. Il giovane Stefano Doménech, ricoverato nell’ospedale, scrisse nel suo Piccolo diario: «1 agosto – Questa mattina hanno riportato gli utensili per fare l’autopsia e le due barelle. Gli utensili sono serviti a poco. Sulle barelle, sopra le quali collocarono i cadaveri, ci sono molte macchie di sangue. Hanno incaricato le infermiere di lavarle. Esse lo hanno fatto questa mattina in giardino, e l’acqua che scorreva verso i fiori era tutta rossa del sangue dei martiri. Questi fiori potranno coglierli dalla terra, ed essere convertiti in profumo che arrivi fino al cielo».
Inumazione dei suoi resti mortali
I cadaveri furono, poi, portati prima al deposito e poi alla cappella del cimitero, dove venne praticata loro l’autopsia, sotto lo sguardo attento dei miliziani, e questo impedì al dottor Giuseppe Brunet di attuare il suo proposito che era quello di riempiere una bottiglina con il sangue dei martiri. Il cadavere del beato Sebastiano fu inumato nel loculo di famiglia dello stesso cimitero. Nel beato Sebastiano si compì ancora una volta la tradizione della famiglia Vilar, secondo la quale la Madonna premia chi salva la santa immagine portandolo in cielo.
«Se muoio –aveva detto sicuro e deciso alzandosi dalla sedia-, lo farò con piacere per salvare l’immagine della Madonna del Vilar».
L’impresa non gli costò la vita direttamente, però la Madonna volle premiare la sua devozione, associandolo al beato Giacomo Puig nel martirio, così come lui lo aveva accompagnato per salvare l’Immagine. Il Piccolo diario di Stefano Doménech, già in parte citato, è una testimonianza viva della disposizione dei due Beati: «Se li uccisero perché uno era religioso e l’altro perché accompagnava un religioso, risulta allora che sono due martiri della religione. Spirito d’amore, di eterna fraternità, con generosità, abnegazione, perdono e sacrificio… Queste sono state le gesta eroiche dell’aureola gloriosa della vita virtuosa di Sebastiano, il quale volle accompagnare il P. Puig affrontando tutti i pericoli che in questo si nascondevano».
Sulla fama di martirio ed il ricorso alla sua intercessione, P. Pietro M. Puig affermò: «La fama cominciò già durante la vita di Sebastiano.
Don Agostino, dopo aver raccontato la conversione del giovane paralitico Stefano, secondo quanto è stato già raccontato, dimostra la stima e la venerazione che aveva verso Sebastiano, che considerava il suo migliore amico. Sempre su questo caso, dice a sua volta Damiano León, alcuni giorni dopo l’assassinio di Sebastiano, lo visitò all’ospedale con Enrichetta, sorella di Sebastiano, la sua fidanzata. Vedendole ebbe una grande allegria, le ringraziò per la visita ed aggiunse che non dava loro le condoglianze, “perché Sebastiano sta in cielo e, da quando è morto, prego e mi raccomando a lui affinché mi conservi un posto vicino a lui. Egli era colui che io amavo di più”».

Josep M. Blanquet, S.F. Tratto da “MARTIRI PER LA FAMIGLIA”

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