I
doni dello Spirito Santo sono doni soprannaturali per cui le facoltà
dell'anima si dispongono ad obbedire prontamente alle ispirazioni
dello Spirito Santo.
Essi
sono l'antidoto al peccato originale che ha guastata la natura umana
e inclinata al male; essi non le tolgono la corruzione, né
sostituiscono la volontà umana nel volere il bene, ma la illuminano
e la fortificano. Come è un dono la vita soprannaturale, così è un
dono tutto quello che produce o sviluppa la vita soprannaturale
stessa.
L'uomo
ripieno di Spirito Santo è incessantemente sospinto verso la santità
come aerostato ripieno di gas leggero e sospinto verso l'alto. È
necessario pregare sempre, umilmente e fervidamente, lo Spirito Santo
affinché discenda in noi e ci porti i suoi sette doni: SAPIENZA,
INTELLETTO, CONSIGLIO, FORTEZZA, SCIENZA, PIETA, TIMOR DI DIO.
I - SAPIENZA
La
sapienza è la disposizione a considerare e a gustare il bene. Per
essa comprendiamo come quello che non è eterno è nulla; come un
bene per essere vero e desiderabile deve essere eterno, sia esso la
bellezza o la verità, il piacere o l'amore. Conseguentemente per
essa gustiamo solo ciò che tale bene eterno riflette, annunzia o fa
raggiungere.
Non
vi sono diverse sapienze, ma una sola sapienza: quella cristiana,
perché non vi è che un solo bene, assoluto ed eterno, contenente
ogni gioia ed ogni piacere: Dio ed il Corpo Mistico di Gesù.
Ogni
altro bene o è vano come un sogno, o è nocivo come una pillola di
veleno con una patina di zucchero.
Ogni
altra sapienza che fa dimenticare il bene eterno e la bellezza
infinita è vana. Sono vane le lettere, le arti, la legge, la
tecnica, la politica, ecc., eccetto che non siano rivelazione del
Vero e mezzo per raggiungere il Bene.
Ogni
altra sapienza che fa perdere il gusto del Vero e del Bene è
dannosa: l'arte del successo nella società mondana, negli affari, il
culto della bellezza, della moda, le morali, i sistemi condannati
dalla Chiesa, ecc.
Il
sapiente gusta solo Dio, Gesù, il Corpo Mistico; cerca solo ciò che
gli raffina l'anima e il corpo e lo mette in condizione di poter
meglio gustare per tutta l'eternità la visione beatifica di Dio e la
Comunione dei Santi.
Quindi
l'uomo sapiente gusta innanzitutto la Comunione in cui riceve
misteriosamente Colui che formerà la sua felicità eterna: Gesù,
suprema bellezza, bontà, verità, gusta la preghiera in cui si mette
in comunicazione e in contemplazione dell'Amore infinito e cerca di
stare, compatibilmente coi suoi doveri, il più possibile solo per
pregare; ha il gusto del raccoglimento, del nascondimento, della
carità, dell'apostolato, delle mortificazioni, di ogni altra virtù;
ha il gusto della meditazione, delle letture spirituali e di tutto
quanto parla di Dio; ha il gusto dell'amicizia colle persone buone,
di quelle che saranno con lui in Paradiso e tanto più le ama e gode
della loro compagnia quanto più esse sono fervorose e quanto più
portano a Dio.
Al
contrario l'uomo sapiente non ama di stare colla folla; non gusta i
balli, i divertimenti, i cinema, gli stadi, le visite, le chiacchere
inutili, gli amori peccaminosi, gli affetti puramente naturali, ecc.
Come
chi ha mangiato un dolce squisito subito dopo trova scipito i cibi
comuni, così chi gusta veramente la sapienza eterna, trova poi
scipito ogni divertimento, ogni piacere, ogni amore mondano.
L'opposto
della Sapienza divina è la sapienza mondana. Questa è falsa
sapienza; è il gusto del vano e del male. Tale sapienza è stoltezza
perché fa dimenticare, trascurare e infine perdere i beni eterni. Le
forme della sapienza umana sono tre:
-
sapienza terrena,
che è il gusto degli affari, del denaro e dei beni della terra;
-
sapienza animale che
è il gusto dei piaceri della carne;
-
sapienza diabolica,
che è il gusto di sé, delle lodi, della fama e della potenza. La
massima parte degli uomini posseggono solo questa sapienza umana;
sono come quegli stolti che fanno andare alla malora i loro affari e
i loro beni e cercano la loro felicità nei sogni o negli
stupefacenti.
«
Infinito è il numero degli stolti », ci avverte la Sacra Scrittura
(Eccles. 1,19). Costoro sono uomini animali, i quali non capiscono le
cose dello spirito. Dio è infinitamente prezioso e non mostrerà la
sua faccia a coloro che non vogliono gustarlo né cercarlo in terra;
è infinitamente geloso del Corpo Mistico e non permetterà che ne
goda la comunione eterna chi non ne desidera la comunione in terra.
Per
conoscere se la tua sapienza è cristiana o umana devi esaminarti:
qual
è la sorgente dei tuoi piaceri e dei tuoi turbamenti, in che cosa il
tuo cuore trova il proprio riposo e la propria soddisfazione, quali
cose maggiormente desideri e pensi?
Forse
già capisci quali sono le cose che devi gustare, ma non riesci a
gustarle. Non ti resta che fare come il convalescente: comincia a
mangia senza gusto, quindi con poco, quindi con molto, man mano che
la salute ritorna florida.
Comincia
a lasciare i divertimenti, le cure e i piaceri mondani sia pure con
grande sacrificio, finché ne perderai il gusto; cominciare a
pregare, a praticare le virtù cristiane, ad accostarti ai sacramenti
finché te ne verrà il gusto.
Prega
tanto il Signore che ti faccia trovare amaro ogni piacere mondano e
ti dia il dono della sapienza.
II - INTELLETTO
L'intelletto
è la comprensione delle verità della fede: quindi la penetrazione
del senso della Sacra Scrittura, l'intuizione dei misteri della
creazione, della grazia e della gloria e lo stimolo stesso a queste
cose voler comprendere e meditare.
1.
Sacra Scrittura
Essa
è come il cielo. In questo coi più potenti telescopi si scoprono
abissi insondabili, grandezze sbalorditive; semplici luci che
sembravano stelle appaiono nebulose e dove l'occhio nudo non vedeva
nulla si vedono miriadi di stelle e nebulose.
Ancora
la Sacra Scrittura non ci ha rivelato tutte le sue luci, ma prima
della fine del mondo esse saranno intuite. Sorgeranno gl'intelletti
più acuti e illuminati dallo Spirito Santo per approfondire le Sacre
Scritture così come son sorti i telescopi più potenti per scrutare
le stelle.
È
necessario per formarsi le idee e vivere più profondamente la vita
cristiana leggere molto e meditare con intelletto d'amore le Sacre
Scritture, particolarmente il Nuovo Testamento.
2.
I misteri della creazione
Tutto
quanto esiste, esiste perché è stato creato. Tu stesso sei perché
Dio ti ha creato. Gli innumerevoli puntini luminosi del cielo
notturno, gl'infiniti spazi celesti, le evoluzioni immemorabili della
materia e dei viventi, questa microscopica intelligenza che con un
microscopico occhio tutto contempla e tutto misura sono prove della
creazione. Senza Dio non si spiega l'universo; senza l'universo non
si spiega l'uomo; senza l'uomo non si spiega Cristo; e viceversa,
senza Cristo non si spiega l'uomo, senza l'uomo non si spiega
l'universo; senza l'universo non si spiega a noi Dio.
L'intelligenza,
illuminata da Dio, vede chiaramente l'origine e l'arrivo delle cose,
i fini che reggono l'evoluzione universale: la materia per i viventi,
i viventi per l'uomo, l'uomo per Cristo, Cristo per Dio; Dio che
tutto produce nel suo atto creativo eterno, che tutto continuamente
sostiene perché non cada nel nulla, che tutto a sé dirige con
sapienza infinita e tutto a sé fa giungere per mezzo di Cristo e in
Cristo.
L'uomo
intelligente si lascia condurre da Dio vivendo cristianamente per
essere un ingranaggio dell'evoluzione universale della divina
economia per trovare alfine in Dio stesso il suo fine, la sua quiete
e la sua felicità.
3.
I místeri della grazia e della gloria
Essi
sono i problemi più interessanti per te e per tutti gli uomini.
Tutti gli altri problemi, quelli che sembrano i più interessanti ed
urgenti, come quelli della salute, della professione, del pane o del
piacere sono infinitamente più piccoli. Tu vali perché sei redento.
Senza di Cristo non ti sarebbe a nulla giovato il nascere. Dopo
Cristo è una fortuna inestimabile l'esistere.
L'artefice
della tua grandezza, il mezzo per cui puoi realizzare te stesso e
tutte le tue aspirazioni è la grazia. Lo scopo, il coronamento
dell'esistenza e della grazia è la gloria.
L'interesse
e la ricerca dei problemi e dei beni umani, quando non sono
coordinati con quelli eterni, sono una perdita di tempo e, quasi
sempre, finiscono per essere una rovina. Quando la massaia getta ai
polli la spazzatura dell'aia dopo la trebbia, i polli beccano il
frumento e lasciano le pietruzze e la terra. Invece gli uomini,
gettandosi sui beni donatici da Dio, pigliano le pietre e la terra e
lasciano la grazia, i sacramenti e le virtù che l'aumentano,
perdendo, infine, la gloria. Non ci può essere atto più grande di
ignoranza e di stoltezza.
Coloro
che hanno il dono dell'intelletto sono specializzati come i banchieri
nel conoscere e nel raccogliere i valori veri e scartare quelli
falsi; quelli che vedono solo con gli occhi carnali e ragionano senza
la fede sono specializzati a rovescio, a raccogliere cioè solo i
valori falsi e a stracciare quelli veri. Il loro occhio è invertito
come la pellicola fotografica: vede luci ove son ombre ed ombre dove
sono luci.
Iddio
che vede dall'alto si ride delle loro carte valori, delle loro
cartelle, dei loro castelli, delle loro superbe realizzazioni, dei
loro crucci, dei loro piaceri destinati tutti a scomparire nel nulla.
Per
uno che guarda dall'alto questi lavoratori delle città e delle
campagne sono come una torma di monelli che fabbricano col fango e
coi cocci delle casette che cadranno al primo urto o al primo soffio
di vento; questi industriali, questi banchieri e questi commercianti
sono come dei ragazzi che giocano e commerciano coi bottoni, colle
figurine dei divi e colle marche di sapone; questi potenti e questi
signori sono come dei dementi che pigliano la posizione di personaggi
celebri; questi professori, questi scrittori, questi artisti e questi
campioni sono come dei giocolieri o dei cantastorie che intrattengono
allegramente i passeggeri ignari in una nave che affonda; questi
costruttori e questi scienziati sono dei solenni fabbricatori di
giocattoli in tempo di guerra. E che altro sono questi grattacieli,
queste dighe, queste bombe H dinanzi alle opere di Dio, per es.
all'esplosione delle stelle Novae? E frattanto c'è la guerra di
Satana contro la città di Dio e gli uomini vanno all'inferno.
E
gli uomini allontanano l'intelligenza dalla conoscenza e dalla
meditazione delle cose eterne e dai misteri della rivelazione e si
convertono alle favole dei cinema e ai nonnulla di questo mondo.
Le
attività umane hanno un valore solo quando sono dirette alla meta,
cioè come penitenza o come obbedienza o come prova d'amore a Dio; le
professioni umane hanno valore quando vengono concepite ed attuate
come una missione e come mezzo per la realizzazione del regno di Dio
nel mondo.
Prega
lo Spirito Santo perché ti dia l'intelligenza dei santi, perché la
tua intelligenza sia un riflesso e non una parodia dell'intelligenza
di Dio.
III - CONSIGLIO
Il
consiglio è la giusta scelta dei mezzi per arrivare al fine. Il fine
generale delle nostre attività deve essere la maggior gloria di Dio
ed il bene delle anime. Ma spesso non è meglio quello che tale
apparisce: un'opera buona potrà fallire od anche risolversi in
danno; un'altra potrà divenire talmente imbarazzante da colmarci di
preoccupazioni e di umiliazioni fino a farci perdere ogni frutto e la
stessa pace e vita interiore. Spesso in una scelta pigliamo la
determinazione che ci farà perdere tempo, energie e denaro e
lasciamo quella di sicuro effetto o di minore dispendio.
Come
si fa a sapere ciò che è bene o ciò che è meglio scegliere? Col
dono del consiglio.
A
tal fine bisogna pregare lo Spirito Santo prima di agire e quindi
attendere i suoi lumi. Molti non si raccolgono mai sufficientemente
nella riflessione e nell'orazione prima di scegliere e non danno allo
Spirito Santo il tempo di illuminarli. Chi sceglie frettolosamente si
espone sempre a sbagli o a fallimenti.
Quando
però si è sicuri della volontà di Dio non bisogna perdere tempo ad
operare; si debbono subito affrontare coraggiosamente le situazioni.
Per
scegliere con più sicurezza dobbiamo accertarci:
a)
di non agire in quella maniera per farci vedere o per irritazione o
per timore del maggior sacrificio o per un affetto naturale o per
abitudine;
b)
di essere disposti a fare il contrario se lo Spirito Santo ci
illuminasse diversamente.
Prima
di scegliere dobbiamo metterci in stato di indifferenza all'una cosa
o all'altra, a fare o a non fare, e quindi ci determiniamo per quello
che ci apparirà la volontà di Dio. Se una cosa o un'attività la
vogliamo a qualunque costo, senza essere disposti a sacrificarla se
non ci fosse la volontà di Spirito Santo, né ad attendere
l'illuminazione dello Spirito Santo, noi operiamo per volontà
propria e sprechiamo tempo e fatiche.
Il
consiglio è un dono necessario per santificarci. La santità
consiste infatti nel fare la volontà di Dio; e poiché questa non
sempre ci appare chiaramente, bisogna scoprirla. È la mancanza di
consiglio la causa dei nostri passi sbagliati; passi spesso grandi,
ma fuori via. Il mondo è pieno di santi falliti, l'inferno è pieno
di eletti falliti, la Chiesa è piena di innumerevoli opere piccole e
grandi fallite per mancanza di consiglio.
Bisogna
molto pregare lo Spirito Santo perché sempre ci illumini, ci ispiri
e ci dia la fortezza di eseguire le sue ispirazioni. Intanto è bene
far tutto sempre per la gloria di Dio e per il bene delle anime;
allora se anche non riusciremo all'ideale, per lo meno non avremo
perduto il tempo e le forze. Iddio resterà sempre glorificato e si
servirà delle umiliazioni dei nostri fallimenti per il nostro
progresso spirituale.
IV - FORTEZZA
La
fortezza è la disposizione infusa dallo Spirito Santo che ci rende
fermi dinanzi alle tentazioni, fedeli alla legge di Dio e ai doveri
del nostro stato, costanti nei nostri propositi, risoluti dinanzi
alle ispirazioni ed ai sacrifici, resistenti nelle fatiche, animosi
dinanzi ai pericoli, pazienti nelle avversità, nei dolori, nelle
persecuzioni e nella morte.
Senza
questa virtù è impossibile salvarsi. È essa che dà la
perseveranza nel bene e la perseveranza finale. Il grado in cui la si
possiede determina il nostro grado di perfezione.
La
fortezza è la radice e la consumazione di tutte le virtù. Tutte le
virtù esigono forza. Virtù, forza e valore son termini che si
equivalgono. Perciò Gesù ha detto: « Il regno dei cieli patisce
violenza ed i violenti lo rapiscono » (Mt. 11,12).
La
santità esige la pratica di tutte le virtù portata fino
all'eroismo; esige la mobilitazione e l'impegno di tutte le energie
fisiche e psichiche.
Si
può pregare quanto si voglia per santificarsi; si ottiene solo, ed è
molto, la forza di affrontare i sacrifici. Per riuscire di fatto a
santificarsi bisogna lanciarsi alla lotta. Siamo noi che dobbiamo
pigliare la croce, portarla ed infine morirvi, non altri per noi.
Sono molti che tutto questo lo sanno bene, ma pochi quelli che
pazientemente lo praticano. Per questo son pochi i santi.
Per
cominciare bisogna avere il coraggio di chiedere al Signore con
convinzione il dono della fortezza. S. Agostino, prima della
conversione, aveva tale paura della vita cristiana da non voler
pregare Dio di dargli la forza di convertirsi, per timore di essere
da Dio ascoltato e dovere quindi rinunziare alla mala vita.
Bisogna
avere coraggio e, nello stesso tempo, fiducia nell'amore di Dio che
non permetterà che noi veniamo tentati e caricati sopra quello che
possimo portare e che ci darà sempre la forza di cavarne bene da
ogni prova. « Dio è fedele e non permetterà che siate tentati
sopra quello che potete portare» (1 Cor. 10,13).
Guai
al soldato che ha paura. Il nemico si fa forte della paura
dell'avversario. È tattica di ogni avversario far paura al
contendente con minacce e con apparato di potenza. Il demonio, che
conosce bene la psiche umana, ha impostato la sua lotta ed ha
ottenuto il suo impero giocando sulla paura.
Mette
paura della conversione facendo vedere la vita cristiana monotona,
terribile, impossibile; ne calca l'aspetto negativo di rinuncia e di
sacrificio e ne oscura quello positivo della pace in terra e della
felicità in cielo.
Mette
paura degli altri per toglierci il coraggio delle nostre idee e dei
nostri atti virtuosi; ci mostra l'opinione pubblica come un mostro
che bisogna tenere abbonito; il giudizio degli altri come un oracolo
che può distruggere il nostro nome.
Mette
paura nelle persone religiose dei peccatori che presenta come gente
perduta, invincibile e ripugnante; nei peccatori verso le persone
religiose che presenta come fanatiche, ipocrite, interessate, ripiene
di vizi nascosti.
Chi
ha il dono della fortezza non teme nulla; teme solo Dio. Sa che i
giudizi degli uomini sono un fumo; che le ingiurie ricevute sono
titoli di meriti, che il peggior guaio che gli possa capitare (quello
di morire per la propria fede o per il proprio dovere) si cambia
nella massima fortuna.
I
santi ci hanno dato esempi mirabili di fortezza.
Gli
apostoli, prima pavidi, riempiti quindi dallo Spirito Santo,
divennero intraprendenti e forti e, sfidando pericoli e tormenti,
annunziarono il Vangelo nel mondo allora conosciuto.
S.
Paolo affrontò lunghi ed apri viaggi, flagellazioni, lapidazioni,
naufragi, stenti, fame e infine la decapitazione.
S.
Giovanni Crisostomo subì lunghe e snervanti persecuzioni
dall'imperatrice Eudossia per non volere aderire allo scisma.
Domandandogli un giorno l'imperatrice, per colpirlo nel punto debole,
che cosa temesse di più, egli rispose: « Il peccato N.
L'imperatrice disarmò; capì che con simili uomini non c'era nulla
da fare.
S.
Ignazio di Smirne, mentre veniva condotto a Roma in catene, aveva il
solo timore di poter venire sottratto al martirio e scrisse ai romani
perché non brigassero per lui, ma lo lasciassero divorare dalle
belve.
S.
Giovanna di Chantal per farsi monaca passò sul corpo dei suoi figli,
distesi sulla soglia della porta per non farla passare.
S.
Tommaso d'Aquino, rinchiuso dai fratelli in prigione perché
desistesse dal proposito di farsi monaco, assalì con un tizzone la
giovane venuta a tentarlo.
S.
Benedetto e S. Francesco si gettarono in un roveto per liberarsi da
tentazioni impure.
Milioni
di martiri hanno affrontato in ogni tempo i tormenti e la morte per
testimoniare la propria fede.
Milioni
di missionari hanno lasciato i parenti, la civiltà, le comodità per
terre lontane ove hanno trovato disagi d'ogni genere, malattie e
spesso anche persecuzione e morte: migliaia d'altri si sono confinati
a vita nei lebbrosari colla certezza di contrarre la lebbra nella
cura degli ammalati.
S.
Tommaso Moro per non volere aderire allo scisma fu imprigionato ed
ebbe confiscati tutti i suoi beni. La regina Elisabetta, dopo averne
spezzata la fibra coi maltrattamenti, per piegarlo gli fece dire che
tutti, perfino i sacerdoti ed i vescovi, avevano abiurato la fede
cattolica. Il santo rispose: « Se anche tutto il mondo ha abiurato,
resterò io solo cattolico in compagnia degli angeli e dei santi ».
Della
fortezza ne hanno particolare bisogno gli apostoli che debbono
affrontare le potenze del male visibili e invisibili. Bisogna che
essi abbiano assoluta fiducia nella superiorità e nell'onnipotenza
di Dio.
Tutto
è soggetto a Dio. Dio tiene gli uomini e i demoni, i trust e gli
eserciti nelle sue mani come uccelli al filo. Li fa volare finché
vuole, finché le loro male opere potranno essere utili per i suoi
santi e per la sua Chiesa e al momento opportuno li ritira e li
annienta.
Per
Dio ogni colosso ha i piedi d'argilla: gli basta un nonnulla per
abbatterlo. Tutta la storia della Chiesa sta a testimoniarlo.
V - LA SCIENZA
La
scienza è la conoscenza di noi stessi, degli altri, e delle cose
tutte in rapporto con Dio. Da questa conoscenza dipendono i nostri
affetti, le nostre attività e le nostre relazioni; in una parola la
nostra perfezione.
È
necessario pregare lo Spirito Santo che ci dia il dono della scienza.
1.
Conoscenza di noi
Dobbiamo
conoscere noi stessi in rapporto a Dio. È ugualmente pericoloso
conoscere noi senza conoscere Dio e conoscere Dio senza conoscere
noi. Cadremmo rispettivamente nella superbia o nella disperazione.
Non basta conoscere noi in rapporto con noi stessi o al prossimo.
Possiamo apparire galantuomini o incensurabili ed essere invece per
Dio dei delinquenti. Dio vede le nostre occulte azioni, i nostri moti
di lussuria, di ira, di antipatia, di gelosia, i nostri occulti
pensieri, scopi, ecc. Dobbiamo conoscerci quali siamo dinanzi a Dio,
perché noi realmente siamo quali a lui appariamo.
Contemporaneamente
però dobbiamo conoscere Dio in tutta la sua infinita misericordia e
pazienza, sempre disposto a perdonare quando a lui umilmente
ritorniamo ed a cavare del bene da tutti i nostri peccati e da tutti
i nostri pasticci, quando vogliamo fermamente ricominciare la nostra
ascesi. È ancora più pericoloso non conoscere né Dio né noi.
Allora facilmente si accumulano in noi tutti i peccati della terra.
Di
tutto è capace chi non conosce né Dio, né se stesso. C'è tutto da
aspettarsi da lui: i peccati capitali, la malafede, il tradimento, i
peccati contro natura e contro il genere umano, le aberrazioni più
ignominiose.
Se
tanti di questi peccati costui non commette è perché gli manca
l'occasione.
Chi
siamo noi?
Alcuni
sostengono che siamo angeli che poi la società e le condizioni
economiche rendono demoni; altri sostengono che siamo talmente
corrotti da non poterci redimere, come le bestie; in ogni caso siamo
irresponsabili.
In
verità noi non siamo né angeli, né demoni, né bestie. Siamo degli
esseri dalla natura fondamentalmente buona, viziata però dal peccato
originale.
C'è
difficoltà ad essere buoni, maggiore a santificarci; ma con l'aiuto
di Dio e la nostra buona volontà è tutto possibile. « Sotto di te
è il tuo appetito, e tu lo dominerai », disse il Signore ad Adamo
(Gen. n. 7).
Il
male è che quasi mai ci conosciamo bene. Dopo aver creduto per
lunghi anni di esserci conosciuti, spesso ci scopriamo dei difetti
gravi: per es. di essere ancora attaccati al denaro, alla stima, a
delle persone o a delle cose; di non essere stati mai pienamente
retti nell'operare; di avere ancora viva la concupiscenza; di essere
caparbi, falsi o esagerati, ecc.
Non
conoscendoci non possiamo correggerci. Molti parlano di virtù o di
orazione mentale quando invece debbono ancora attendere ad eliminare
il peccato. Costruiscono senza fondamenta e fanno soltanto sogni.
Tanti
altri sopravvalutano o sottovalutano le proprie qualità e capacità,
la loro forza di volere, il loro giudizio, la loro resistenza al
male, al sacrificio, ecc. Nel primo caso spunta la superbia, la
presunzione, l'incostanza, la caduta; nel secondo l'indecisione, la
mancanza di coraggio, di vasti piani, di grandi opere, di grande
perfezione.
Molti
non si fanno santi perché non credono di poterci riuscire come se a
Dio fosse impossibile fabbricare un santo con della creta, sia pure
la nostra.
2.
Conoscenza degli altri
Bisogna
conoscere il prossimo in rapporto a Dio. È ugualmente pericoloso
conoscere Dio senza conoscere il prossimo e conoscere il prossimo
senza conoscere Dio.
La
nostra visione di Dio fuori del nostro punto di partenza e di
osservazione, che è il Corpo Mistico, è inesatta. È come chi
volesse conoscere una stella prescindendo dalla costituzione,
dall'atmosfera e dalla velocità della terra. Altrettanto sbagliata è
la conoscenza del prossimo fuori del piano di Dio: allora ci attirerà
o ci respingerà per ciò che è in sé stesso e non per ciò che è
per Dio.
Il
prossimo è realmente solo quello che è dinanzi a Dio.
Le
vesti, la forma, sono l'astuccio dell'anima, la maschera del vero
corpo che avremo nella resurrezione. Un aspetto comune o anche poco
simpatico può nascondere e non raramente nasconde un'anima
eccezionale che splenderà e incanterà la corte celeste: un uomo o
una donna affascinanti possono nascondere e quasi sempre nascondono
un'anima bruttissima che appesterà maggiormente l'inferno.
Cerca
di vedere il prossimo con l'occhio di Dio: passino gli uomini dinanzi
a te come dinanzi al proiettore dei raggi X nella camera schermata:
spogli delle vesti, dei trucchi, della carne, ridotti allo scheletro,
all'essenza, colla bellezza delle loro virtù o colla bruttezza dei
loro peccati. Allora sentirai simpatia solo per i buoni, per quanto
insignificanti, e antipatia solo per i cattivi, per quanto seducenti.
Allora stimerai veramente la bontà, l'umiltà, il sacrificio, la
purezza, la carità, l'interiorità; detesterai veramente la
superbia, la procacità, la libidine, lo sfarzo, l'egoismo.
Bisogna
che una cosa sola ci attiri alla gente mondana: non la loro bellezza
o il loro denaro o il loro successo, ma la compassione della loro
sventura per l'inferno aperto ai loro piedi, e il desiderio di
salvarli.
Una
conoscenza più profonda degli uomini debbono averla coloro che si
dedicano all'apostolato. Ogni anima è un labirinto; ogni cuore è un
giardino incolto aperto ai venti. Tuttavia ogni essere ha il punto
franco serbatosi da Dio per potere agire su di lui. Facendo leva su
quel punto si può determinare la salvezza o anche la santificazione
di quell'individuo: è una sua particolare tendenza o una particolare
circostanza. Chi ha il dono della scienza sa cogliere quel
determinato punto o momento della grazia.
Tutte
le tendenze umane in ultima analisi si riducono al desiderio della
realizzazione piena della propria personalità e della felicità;
tendenze fondamentalmente buone e realizzabili solo da Gesù nel
Corpo Mistico, ma pervertite e sviate dalla società e dal diavolo.
Ogni personalità ha caratteristiche differenti: o è inclinata alla
grandezza, o alla scienza, o alle arti, o al piacere, o alla
bellezza, o alla musica, ecc. È quello il punto sul quale bisogna
fare leva. Quando si conosce un uomo si hanno in mano i fili per
saperlo guidare, così non vi sono santi perché mancano guide di
santi.
3.
Conoscenza delle cose
Dobbiamo
conoscere le cose in rapporto a Dio, cioè nel modo con cui Dio ha
stabilito che ci servissimo di esse. Per cose si intendono i beni
materiali, i doveri del nostro stato, le nostre relazioni.
È
ugualmente pericoloso conoscere Dio senza conoscere le cose e
conoscere le cose senza conoscere Dio. Nel primo caso ci perderemo
nell'illusione di amare Dio e di vivere vita perfetta trascurando i
mezzi da Dio disposti per realizzarla; nel secondo ci perderemmo in
una vita puramente naturale, vuota di ogni amore di Dio, di ogni
grazia e di ogni merito.
E
innanzi tutto è necessario andarci a collocare nel posto preciso
riservato a noi dall'economia divina, facendo rettamente la scelta
del nostro stato.
Dio
ha destinato la nostra santificazione in uno stato determinato, ed in
esso ha tutto coordinato alla nostra santificazione. Chi non segue la
chiamata di Dio allo stato più perfetto o ad un tenore di vita più
perfetto non potrà mai santificarsi; potrà però lo stesso salvarsi
corrispondendo alle grazie ordinarie.
Per
santificarci dobbiamo saperci servire di tutte le cose: dei cibi per
mantenere e recuperare le energie fisiche da spendere nel servizio di
Dio e del prossimo; del denaro per mangiare, vestirci e spendere il
resto nelle opere di apostolato e di carità; delle relazioni colle
persone per le loro anime o per le nostre opere di carità o di
apostolato, ecc.
Bisogna
assolutamente evitare di perdere tempo o denaro o energie in rapporti
o in opere puramente naturali, peggio peccaminosi.
Le
cose tutte debbono servirci per avvicinarci maggiormente a Dio, non
per staccarci da lui. Questa è la vera scienza delle cose, la
scienza di Dio.
Bisogna
infine evitare un grave pericolo nelle stesse attività apostoliche o
caritative: quello di distaccarci dall'orazione mentale e di
svuotarci della vita interiore.
VI – PIETA’
La
pietà è la disposizione che ci inclina a rispettare e ad amare Dio
e le cose sue, cioè le sue rivelazioni e le sue creature.
La
pietà verso Dio ci inclina a ricordarlo, a ricordare gli atti del
suo amore infinito: la creazione, l'incarnazione, la passione,
l'Eucarestia, la resurrezione, l'ascensione; a glorificarlo per la
creazione, ad adorarlo e ringraziarlo per l'incarnazione e passione,
a compiangerlo per i suoi dolori, a fargli compagnia e riceverlo
nell'Eucarestia, a rallegrarci per la sua resurrezione, a desiderare
il suo ritorno dal cielo.
Tutti
questi sentimenti sono frutto della pietà e la pietà, a sua volta,
è dono dello Spirito Santo. Un cuore senza lo Spirito Santo è come
un ciottolo; per quanto lo si sprema non ne esce una goccia di
devozione. Bisogna molto pregare lo Spirito Santo perché ci dia il
dono della pietà e faccia sprigionare dal nostro cuore duro le
fiamme dell'amore di Dio.
Recita
ogni giorno il « Veni, Creator Spiritus » o la sequenza di
Pentecoste.
L'ostacolo
dello Spirito Santo è il peccato. Il peccato è come l'acqua, che se
forte estingue il fuoco della devozione, se leggera lo smorza.
Quando
non ti spuntano più affetti nella preghiera o non sai più pregare
fa un esame; probabilmente hai fatto qualche peccato o t'è spuntato
qualche affetto disordinato a cose o a persone. Rimuovi l'ostacolo e
tornerà la devozione. Se nulla di male trovi in te allora si tratta
di aridità che il Signore ti manda per confermarti nella devozione
di volontà.
La
pietà verso le rivelazioni di Dio ci inclina a venerare le sacre
scritture, a leggerle sempre come un oracolo, a rispettare le
devozioni suscitate da Dio. Il volersi attenere a una devozione
razionale, il non voler riconoscere le rivelazioni private fondate su
opinioni teologiche di altri e le devozioni approvate dalla Chiesa,
il disprezzare le preghiere vocali, gli sfoghi pietosi e le lagrime
nella preghiera delle persone semplici è atto di superbia e mancanza
di pietà. La Chiesa mette nel messale una preghiera per ottenere il
dono delle lagrime.
La
pietà verso le creature ci inclina a comprenderle e a compatirle, a
piangere e a rallegrarci con loro, a favorirle sempre e a
sopportarle, ad amarle e a cercare il loro bene, a sentire la pena
universale per ogni dolore, per ogni sventura, per ogni bisogno.
Il
vizio opposto alla pietà è la durezza di cuore verso Dio, verso la
rivelazione, verso il prossimo.
VII - TIMORE DI DIO
Il
timore di Dio è la disposizione abituale che ci fa stare
costantemente lontani da ogni peccato e dipendenti da Dio.
L'uomo
timorato ha una chiara idea della santità infinita di Dio, dei suoi
obblighi verso di lui e verso se stesso, della sua debolezza, della
sua meta.
Quindi:
1.
Ha sempre per Dio il rispetto più profondo
Non
lo nomina mai invano, ma sempre con riverenza; nelle preghiere
inchina il capo, come vuole la liturgia, quando pronunzia il nome
della SS. Trinità, di Gesù o di Maria; non piglia col Signore tanta
confidenza da rompere la differenza; non scherza con lui o con le
cose sante; Dio è Dio, l'infinito, l'onnipotente, il Re, il Giudice
supremo oltre che l'Amore infinito, e noi siamo povere e miserabili
creature.
L'uomo
timorato non parla mai in Chiesa,
conserva in essa la compostezza, la gravità, il raccoglimento; non
parla mai forte, mai senza necessità; fa bene i segni di croce, le
genuflessioni; non piglia colla Chiesa la confidenza di tanti
sacrestani. S. Francesco di Sales continuava anche fuori, anche
quando era solo in casa, a comportarsi come in Chiesa. Viveva sempre
alla presenza di Dio e percepiva di esserlo.
2.
Ha sempre per Dio un grande timore
Sa
che la giustizia di Dio è terribile, che all'inferno si può andare
anche per un solo peccato mortale, che nessuno gli garantisce di
avere il tempo di pentirsi dopo aver peccato, che tutto si paga in
questa vita o nell'altra.
Dio
non può lasciare impunito alcun peccato; punisce in questa vita con
dolori e tribolazioni di ogni genere (e questa punizione è opera di
misericordia, in quanto ci risparmia le pene terribili del
purgatorio) e sottraendo per ogni peccato qualche comunicazione della
sua grazia (e questa è opera di giustizia); punisce nell'altra vita
le colpe non scontate da sufficienti tribolazioni o da sufficiente
amore col purgatorio, ed i peccati mortali, di cui non c'è stato
pentimento, coll'inferno.
L'uomo
timorato si guarda bene dal commettere alcun peccato. Quando la
violenza della tentazione gli oscura l'intelligenza e il cuore, il
ricordo della giustizia di Dio lo scuote e lo trattiene dal peccato.
Ma
a un certo punto il timore della giustizia di Dio, sviluppandosi e
perfezionandosi, diventa timore della santità e della bontà di Dio.
L'uomo timorato pian piano arriva ad avere un grande timore di
offendere e dispiacere Dio e si contenta piuttosto morire che
oltraggiarlo. Allora il movente del timore diventa l'amore. Bisogna
che il calore diventi luce, che il timore diventi amore perché tutto
il nostro essere venga illuminato e raggiunga la perfezione.
3.
Ha sempre un grande timore di se stesso
È
un grave errore pensare che dopo la conversione o che ad un certo
grado di perfezione non si possa più peccare facilmente.
L'apparecchio conserva sempre la stessa possibilità di rovinarsi e
di precipitare sia a cento metri sulla terra, che a 1.000 o a 10.000.
Noi conserviamo per tutta la vita la stessa debolezza. Dobbiamo star
sempre guardinghi come il coniglio per sfuggire l'insidia. Dobbiamo
guardarci dagli sguardi sensuali, dall'ozio, da figure, letture,
spettacoli, persone provocanti. La libidine e gli altri vizi capitali
ci stanno sempre in agguato. Chi è sicuro di sé è alla vigilia
della caduta. Il nostro corpo, per quanto sottomesso dalla
mortificazione e ridotto alla castità perfetta, è sempre come il
serpente, che si finge morto e dà all'improvviso il morso mortifero.
S. Paolo ci avverte: «Con timore e tremore operate la vostra salute»
(Filip. 2,12).
4.
Si sente sempre spinto alla fedeltà assoluta a Dio
I
doni di Dio sono doni di vita e si accrescono come si accresce la
vita fino allo sviluppo completo dell'organismo, come le cellule nel
corpo, o alla saturazione dell'ambiente, come i microbi in una
cultura. È un accrescimento a progressione geometrica. Nei viventi
però interviene la morte che impedisce l'accrescimento indefinito di
quella specie vegetale o animale.
Nella
vita soprannaturale interviene la mala volontà dell'uomo che col
peccato mortale fa cessare ogni sviluppo, ogni merito e ogni vita,
come l'epidemia o l'intossicazione nei viventi; intervengono i
peccati veniali, le distrazioni e la poca generosità che falciano
continuamente tanti doni di Dio e tante disposizioni buone, fanno
perdere innumerevoli meriti e ci riducono a una perfezione migliaia o
milioni di volte inferiore a quella che avremmo potuto raggiungere.
Molti
uomini restano solo l'embrione o il modellino di ciò che avrebbero
potuto essere. Fanno come i giardinieri cogli alberi nani: mettono
piantine d'alberi d'alto fusto in piccoli vasi con poca terra o poca
libertà per le radici e le piantine restano nane.
L'espansione
della vita soprannaturale è data dalla corrispondenza alla grazia.
Ogni grazia ed ogni ispirazione corrisposta ci induce una catena
indefinita di altre grazie e ispirazioni. Pertanto cominciando da
qualsiasi punto e da qualsiasi momento della vita a voler essere
fedeli a tutte le ispirazioni si può raggiungere la santità. È per
questo che abbiamo santi che hanno cominciato il lavoro della propria
santificazione all'età della ragione o a 15 anni o a 20 o a 30 o a
40 anni.
C'è
certamente un'età limite, come c'è un numero limite di ispirazioni
divine non corrisposte al di là del quale Dio non darà più le
grazie efficaci per convertirci e salvarci, ed un altro numero al di
là del quale non darà le grazie efficaci per santificarsi; così
come c'è un'età limite al di là della quale il rachitico non si
svilupperà più, ed uno stato di infezione o di degenerazione al di
là del quale l'ammalato non guarirà più.
Perciò
è necessario che quanto prima cominciamo decisamente a corrispondere
fedelmente a tutti gli inviti di Dio, senza lasciarlo più oltre
battere inutilmente alla porta del nostro cuore. L'uomo ripieno dello
Spirito Santo è timoroso di poter essere infedele; compie tutti gli
atti di mortificazione, di carità, d'obbedienza, ecc., di cui gli si
presenta l'occasione; rivolge a Dio tutti i sentimenti di adorazione,
di lode, di amore, di supplica, tutte le giaculatorie che gli
spuntano nel cuore ovunque si trovi. Per lui Dio è in ogni luogo,
ogni luogo è tempio di Dio, ogni istante è buono per stare a
contatto col suo amore: Dio, Cristo, Maria, il Corpo Mistico.
Una
sola creatura c'è stata che ha corrisposto a tutte le grazie o
ispirazioni divine: Maria SS. La sua perfezione ha raggiunto il
limite delle possibilità accrescitive di una creatura. Oltre la sua
bellezza e grandezza c'è solo e ci può essere solo quella
dell'Uomo-Dio, Gesù.
I
santi più o meno hanno tutti mancato di corrispondenza alla grazia.
Noi, purtroppo, vi manchiamo continuamente.
Per
ogni atto di virtù che potremmo compiere nella giornata e non
compiamo, per ogni preghiera e giaculatoria che potremmo dire e non
diciamo, perdiamo per tutta l'eternità un aumento di bellezza, di
intelligenza, di amore e di felicità. Sono grandi le perdite che
ogni giorno facciamo. Se poi si aggiungono le perdite delle grazie
ipotecate alla corrispondenza di quelle ispirazioni, i nostri danni
diventano incalcolabili. È per questo che mentre potremmo divenire
dei santi, ci riduciamo ad essere un numero comune nella massa degli
eletti, se tutto andrà bene.
L'ORDINE NUOVO
Dio
è amore. L'amore tende ad unirsi e ad assimilarsi con l'amato.
L'amore o trova pari quelli che si amano o li rende tali. Dio,
amandoci infinitamente si fa simile a noi, per darci il mezzo di
renderci simili a lui. Con la nostra incorporazione a Cristo veniamo
introdotti nell'Ordine Nuovo, l'ordine della Grazia. Tale stato non
ci è dovuto, altrimenti non potrebbe chiamarsi grazia: è
soprannaturale e ci è dato gratuitamente. Gesù diventa il principio
della nostra vita. Egli illustra quest'ordine nuovo con una bella
similitudine: « Io sono la vera vite e il Padre mio è il
vignaiuolo. Ogni tralcio che è in me e non porta frutto egli lo
recide, e ogni tralcio che porta frutto lo rimonda, perché ne
produca ancora di più. Restate in me e io resterò in voi. Come il
tralcio non può portare frutto da sé medesimo, se non rimane unito
alla vite, così neppure voi se non rimanete in me. Io sono la vite e
voi i tralci. Colui che dimora in me e nel quale lo dimoro porta
abbondanti frutti perché senza di me non potete far nulla. Chi non
rimane in me è gettato via come il tralcio sterile e inaridisce, e
viene poi raccolto e gettato ad ardere nel fuoco » (Jo. 15,1).
Tutti
i cristiani formiamo un albero meraviglioso: siamo uniti fra di noi e
tutti con Gesù da un vincolo misterioso e reale: il Corpo e il
Sangue di Gesù. S. Paolo, che parla quando la Chiesa era già
fondata e gliene era stata rivelata già l'intima natura da Gesù
stesso, la paragona a un corpo: è un Corpo Mistico.
Gesù
ne è il Capo, lo Spirito Santo l'Anima, i cristiani ne siamo le
membra. Lo stesso amore che ci unisce a Gesù ci deve unire al
prossimo poiché Gesù è divenuto una unica cosa con tutta l'umanità
redenta dal suo sangue. Ogni cristiano è un membro di Gesù, è una
parte reale di Gesù Mistico. Per questo Gesù dice: « Quello che
fate al più piccolo dei miei fratelli lo fate a me » (Mt. 25,40).
Per questo ancora dirà agli stolti: « Fui ignudo e non mi vestiste,
ecc. » (Mt. 25,43). Queste cose Egli non le dice per benevolenza ai
poveri o per esagerazione ma con tutta verità.
Il
ramo vive unicamente quando è congiunto col suo albero. Dall'albero
egli nasce come gemma, dall'albero riceve la linfa necessaria per
svilupparsi in ramo e produrre foglie, fiori e frutti.
Quanto
maggiore volume di linfa riceve dall'albero tanto più cresce e
fruttifica. Se si stacca dall'albero secca e non vale più a nulla se
non a essere gettato nel fuoco.
Così
tutti i cristiani: nasciamo alla vita soprannaturale al momento che
veniamo incorporati al Corpo Mistico di Gesù.
Lo
Spirito Santo inviatoci da Gesù produce la nostra giustificazione e
la nostra santificazione nell'atto stesso che ci unisce al Corpo di
Gesù, producendo così la nostra gemma. Con questa nuova vita siamo
come un albero meraviglioso che ha le radici nel mondo, il fusto ed i
rami molto alti, nel cielo. I frutti di quest'albero si raccolgono
nel cielo; non ci fanno ricchi e felici in questa terra ma nel cielo.
Quanti
pensano di servire Dio per avere più beni in questo mondo si
sbagliano. Tuttavia le radici sono nella terra: strappato dalla
terra, l'albero non potrà produrre altri fiori e frutti, resterà
solo con quelli già maturati. Soltanto nella terra possiamo fare
altre opere meritorie: in cielo resteremo con i meriti acquistati in
terra. Ora è il tempo di acquistar tesori. La vita solo a questo ci
deve servire. Gesù ci dice: « Non cercate tesori che i ladri
possono rubare e la tignola e la ruggine consumano » (Mt. 6,19) e
che in ogni caso con la morte si devono lasciare. I tesori delle
buone opere invece li porteremo con noi. I frutti della Grazia sono
preziosissimi ed eterni.
Questi
frutti infatti hanno un alimento divino: il Sangue di Gesù. Quanto
maggiormente aderiamo al Suo Corpo, quanto più spesso cioè ci
comunichiamo, tanta maggior linfa, ossia Grazia, riceviamo da Lui per
crescere e perfezionarci.
S.
Paolo descrive la nostra introduzione nell'ordine nuovo della Grazia,
con la similitudine dell'innesto.
Noi
siamo l'oleastro infruttuoso ed inutile. Quando questo viene
innestato con l'ulivo produce ottime ulive. Nel battesimo si compie
in noi l'innesto del principio di vita soprannaturale cioè di Gesù.
Senza di Gesù noi siamo e restiamo peccatori, incapaci di qualunque
opera meritoria di vita eterna. Quando in noi viene innestato Gesù
tutte le nostre opere diventano buone, degne di Dio e meritorie di
vita eterna. Nell'albero selvatico innestato osserviamo:
1. che
la qualità del frutto è data dall'innesto mentre la grossezza e la
quantità vengono date dalla linfa;
2. che
i frutti prodotti dall'albero al di sotto dell'innesto sono
selvatici;
3. che
quando l'innesto secca l'albero non produce più frutti buoni.
I - I FRUTTI DELL'INNESTO
Come
tutta la terra non può creare un vegetale, né tutti i vegetali
possono dare origine a un animale, così tutti gli uomini non possono
produrre un essere divino, cioè un essere che abbia facoltà di
condurre vita divina. Solo Dio poteva elevare l'uomo dallo stato di
natura, per di più decaduta, nel quale era, allo stato
soprannaturale e divino.
Un
albero e anche solo un filo d'erba ha più perfezione e più valore
di tutta la terra, perché ha un principio di vita superiore. Le
ricchezze minerarie del mondo e la terra intera se non ci fossero i
vegetali non potrebbero far vivere o sfamare un uomo. L'uomo per la
sua intelligenza è superiore a tutti i minerali, i vegetali e gli
animali.
Tutte
queste cose sono ordinate dall'altissima sapienza e provvidenza di
Dio all'uomo. L'uomo è il re della terra. Tuttavia egli è sempre
una parte della natura stessa e, come tutto quello che nasce, anche
egli nasce, cresce e muore lontano dalla vita familiare di Dio.
Quando Dio chiama l'uomo a partecipare della sua vita divina lo
costituisce in uno stato infinitamente superiore a quello umano. Un
uomo elevato allo stato soprannaturale è immensamente superiore a
tutti gli uomini che furono, sono e saranno nello stato naturale.
Tutti gli uomini al mondo viventi in stato naturale non possono dare
tanta gloria a Dio quanta gliene dà uno solo che vive in grazia di
Dio, che cioè è membro del Corpo Mistico. Tutte le azioni e le
ricchezze umane, tutta la terra e tutte le stelle valgono meno di un
atto di amore di Dio.
I
battiti di un cuore che ama Dio glorificano Iddio più di tutti i
moti degli astri, più di tutti i colori ed i profumi dei fiori, più
di tutti i canti degli uccelli e degli uomini. Un uomo che vive in
stato di grazia e attende all'amore e al servizio di Dio dà
continuamente a Dio una gloria impareggiabile. Fra tutto l'universo
sconfinato, fra miriadi e miriadi di creature Dio guarda con
predilezione e riposa nell'anima che lo ama, che soffre e lavora per
Lui. La guarda e la segue con una attenzione e con un amore
infinitamente superiori all'attenzione e all'amore con cui uno sposo
guarda e segue la sua sposa. Dio pone in essa le sue compiacenze
perché le sofferenze, le opere e i palpiti di lei sono una
continuazione e un completamento delle sofferenze delle opere e dei
palpiti di Gesù. Il santo è la persona che nella sua vita dà a Dio
la massima lode e la massima compiacenza. Il Santo è il capolavoro
della onnipotenza, della sapienza e dell'amore di Dio; è il massimo
orgoglio di Dio.
Basterebbe
la santificazione di un'anima sola per giustificarsi dinanzi alla
Provvidenza di Dio tutta l'opera della creazione, la scelta di questo
ordine di provvidenza, la creazione della libertà e conseguentemente
la permissione di ogni male.
La
nascita alla vita divina avviene nel Battesimo. Allora i nostri
frutti cambiano di qualità, perché le nostre azioni vengono assunte
e fatte dall'innesto, cioè da Gesù.
II - I FRUTTI SOTTO L'INNESTO
Le
nostre azioni germogliate sotto l'innesto, cioè fatte senza la
grazia di Dio, o non per amore di Dio, ma per motivi puramente umani
non producono frutti buoni, meritevoli di essere raccolti e premiati
in Paradiso, ma frutti selvatici. Quindi non avranno nessuna
ricompensa da Dio le persone che lavorano solo perché quella è la
loro sorte, le persone che soffrono senza disperazione ma senza
neppure elevarsi a Dio. Le loro opere e le loro sofferenze sono come
quelle delle bestie. I falsi sapienti che fanno il dovere per il
dovere non fanno altro che perder tempo. Fanno come il contadino che
zappa nella terra di nessuno e zappa solo per zappare. Non c'è
motivo per esser castigato ma neppure per essere premiato. Egli non
sarà pagato da nessuno e perde tempo e fatica.
Perché
le nostre opere siano meritorie bisogna farle nell'innesto, cioè in
Gesù per la gloria di Dio. Le nostre opere di carità, di pazienza,
di sacrificio, ecc. debbono essere fatte in stato di grazia e per
amore di Dio perché abbiano valore eterno. Esse sono come le
cambiali di un fallito, perché siamo decaduti per il peccato di
Adamo. Perché queste cambiali abbiano valore occorre che siano
avallate dalla firma di una persona ricca. La firma che dà valore
alle nostre opere è il nome SS. di Gesù. I nostri titoli di credito
perché abbiano corso in Paradiso debbono essere assunti e
valorizzati da Gesù. Per Lui, con Lui, in Lui, si dà al Padre ogni
onore e gloria, si dà a noi ogni merito di vita eterna per Gesù.
a) Per Gesù
Le
azioni si fanno per Gesù quando siamo in stato di grazia in quanto
allora aderiamo perfettamente a Gesù e con Lui formiamo un solo
principio di vita. Allora Gesù diventa il nostro principio attivo,
colui cioè che con la sua grazia dà il valore alle nostre azioni:
ci dà l'ispirazione di fare il bene, la volontà e la capacità di
farlo e di portarlo a termine. Per questo Gesù disse: « senza di me
non potete far nulla » e neppure pronunziare il nome di Gesù
stesso, conclude S. Paolo Jo. 15,5 - 1 Cor. 12,3).
Sebbene
le opere nostre siano fatte in stato di grazia non dobbiamo aver
confidenza in esse ma unicamente nell'elemento divino che ce le fa
compiere, cioè in Gesù. Gesù infatti inserendoci nel suo Corpo
Mistico ha preso tutte le nostre azioni e le ha fatte sue. Ha preso i
nostri peccati ed è stato condannato dal Padre alla morte più
crudele come se quei peccati fossero suoi. « Colui che non conobbe
il peccato si è fatto peccato per noi affinché noi fossimo fatti
giustizia di Dio in lui» (2 Cor. 5,21).
Ha
preso le nostre preghiere, le ha unite alle sue e le ha rese degne di
Dio. Ha preso le nostre azioni, le ha unite alle sue e le ha rese
meritorie. Ha preso i nostri dolori, li ha uniti ai suoi e ne ha
fatto un unico sacrificio dando ad essi la capacità di glorificare
Iddio, di arricchire la nostra anima, di sviluppare il suo Corpo
Mistico. Per mezzo di Gesù tutto in noi acquista valore; per mezzo
cioè delle sue preghiere, delle sue azioni, della sua Passione.
Bisogna unire tutto quello che è nostro a Lui e offrirlo al Padre
per mezzo di Lui, nel suo sacrificio Eucaristico. Per questo la
Chiesa fa terminare tutte le sue preghiere con queste parole: « Per
Gesù Cristo Signor Nostro così sia ».
Tanta
maggior potenza di glorificare Dio e di impetrare le sue grazie hanno
le nostre opere quanto maggiormente le uniamo a quelle di Gesù e le
offriamo al Padre per mezzo di Gesù. Quando nella preghiera ci
fermiamo ad adorare, a glorificare, a ringraziare Dio uniamo i nostri
atti alle adorazioni, alle lodi, ai ringraziamenti che continuamente
nell'Eucarestia Gesù offre al Padre e offriamoli al Padre per mezzo
di Gesù stesso. Quando preghiamo per noi e per gli altri, quando
soffriamo e offriamo in sacrificio per espiare i peccati nostri e
quelli del mondo, non dobbiamo aver confidenza nell'efficacia della
nostra preghiera e della nostra offerta ma unicamente in Gesù.
Solo
così le nostre preghiere e i nostri sacrifici acquistano un valore
sommo e una efficacia infallibile...
Qualunque
cosa operiamo, le nostre fatiche, il nostro riposo, le nostre gioie
ecc., tutto fu preso da Gesù, tutto fu santificato dalle sue
fatiche, dal suo riposo, dalle sue gioie ecc. Uniamo tutte queste
azioni e questi nostri stati a quelli di Gesù e offriamoli al Padre
per mezzo suo. « Sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate
qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio », ammonisce
S. Paolo (1 Cor. 10,31).
b) Con Gesù
Cioè
con l'amor suo verso il Padre. L'amore di Dio e la gloria di Dio
debbono divenire il movente implicito ed anche esplicito delle nostre
azioni. Le azioni umane possono essere moralmente buone (es. pregare,
fare elemosina, ecc.), cattive (es. rubare, mentire, ecc.), e
indifferenti (es. lavorare, camminare, mangiare, dormire ecc.).
Il
fine dà valore alle azioni. Le cattive non possono mai diventar
buone anche se il fine fosse buono. Le azioni indifferenti diventano
buone o cattive, quindi meritorie o demeritorie, secondo il fine per
cui si fanno. Quindi se si fanno per un fine cattivo sono
peccaminose; se si fanno per motivi naturali restano indifferenti; se
si fanno per amore di Dio diventano meritorie. Nell'identico stato di
vita con le stesse azioni una persona si può santificare, un'altra
può diventare fervorosa o restar mediocre, un'altra può diventar
cattiva. C'erano tante monache nel convento di S. Teresa del Bambino
Gesù, tanti novizi nella casa di S. Giovanni Berchmans: tuttavia
mentre loro, pur non facendo nulla di differente dagli altri si sono
santificati, altri divennero fervorosi, tanti altri restarono
mediocri. La santificazione dipende non dal genere delle opere fatte
ma dal modo con cui si fanno. Un'azione buona è intrinsecamente
meritoria in quanto naturalmente la si intende fare per amore di Dio.
Tuttavia se la si facesse positivamente solo per motivi umani,
escludendo Dio, l'azione non avrebbe nessun merito. Quanto
maggiormente si intende il fine soprannaturale nell'operare tanto
maggior valore l'opera acquista. La più piccola opera buona, per es.
un bicchier d'acqua dato per amor di Gesù, ha una ricompensa
particolare. L'uomo che vive in grazia di Dio è come chi pianta un
albero; quand'anche dorma o non ci pensi, l'albero insensibilmente,
ma continuamente cresce. Ma l'albero crescerà più rigoglioso se il
proprietario lo mantiene in ambiente caldo e umido. Ugualmente quanto
maggiormente il cristiano riscalda le sue opere con l'amore di Dio e
a Dio le ode, tanto maggiormente i suoi meriti crescono. Il primo
grado di amore di Dio, il più elementare, è quello implicito nello
stato di grazia: allora si cresce in grazia e in meriti continuamente
durante la giornata, ma poco, come poco, per es., cresce il frumento
al freddo. Il merito è un titolo di ricompensa eterna, è, per così
dire, un buono di felicità eterna; questa sarà proporzionata ai
buoni, ossia ai meriti acquistati in terra.
Naturalmente
facendo un'azione per amore di Dio restiamo impegnati a farla bene.
S. Ignazio un giorno chiese a suo fratello per chi scopasse. Il
fratello gli rispose che scopava per Iddio. Il santo allora lo
rimproverò aspramente perché scopava male: « se aveste scopato per
me così male, vi avrei perdonato. Ma non posso perdonarvi perché
scopate così male per Dio ». Se mangi per amore di Dio devi
mangiare con temperanza, se scopi o fai altra cosa per amore di Dio
devi farla con diligenza, se passeggi per amore di Dio devi
passeggiare con modestia, se dormi per amore di Dio devi dormire con
compostezza e non oltre il bisogno, ecc.
L'amore
di Dio diventa l'esplicito movente delle nostre azioni quando almeno
una volta al giorno, la mattina si fa l'offerta delle proprie azioni
a Dio. (Puoi adibire, se non ne hai altra, l'offerta della postilla
dell'Apostolato della preghiera.) La mattina i braccianti si
allogano, pattuiscono con i padroni il genere di lavoro e di
ricompensa; quindi vanno a lavorare, la sera riceveranno la mercede.
L'offerta a Dio delle nostre azioni al mattino ci mette al servizio
di Dio per tutta la giornata. Tutta la terra infatti è di Dio. Ogni
genere di lavoro, purché non sia per cattivo fine può rientrare nel
lavoro ordinato da Dio. Dio infatti disse ad Adamo: « Tu lavorerai
la terra; col sudore della tua fronte ti guadagnerai il pane » (Gen.
3,19).
Facendo
così ogni mattina, Dio ti segna ogni sera una giornata di lavoro e
di ricompensa. Così tu non avrai perduto la tua giornata e la tua
forza. Così veramente lavorerai per il pane e per il Paradiso.
Alla
fine di una vita laboriosa e piena di croci, quando anche non sarai
riuscito ad acquistar denari o beni, che d'altra parte, se
acquistati, dovrai lasciare, avrai la consolazione di non aver
lavorato e sofferto invano e ti sentirai dire da Dio: « Entra servo
buono e fedele, entra nella felicità del tuo Signore» (Mt. 25,23).
Le
preghiere al mattino e alla sera sono il primo dovere e il primo
segno del buon cristiano.
L'amore
di Dio diventa ancora più esplicito movente delle nostre azioni
quando tutte singolarmente durante la giornata le offriamo a Dio e le
facciamo per suo amore. Basta a questo fine dire, anche solo col
pensiero, all'inizio o, se ci si ricorda più tardi, nel corso
dell'azione: « in nome di Dio » oppure « per amor tuo, o mio Dio »
oppure « come vuole Dio ». Questa offerta è preziosissima agli
occhi di Dio. Essa santifica completamente le nostre azioni: così
tutte le nostre azioni diventano preghiera e lode di Dio.
Narra
una leggenda che il re Mida aveva ottenuto il potere di trasformare
in oro tutto ciò che toccava. Le azioni anche le più umili, fatte
per amore di Dio diventano per noi oro purissimo, fonte perenne di
meriti. L'offerta a Dio delle proprie azioni segna il primo passo
nella vita della perfezione.
c) In Gesù
Fare
le azioni in Gesù vuol dire farle come le farebbe Gesù al nostro
posto, quindi con la sua perfezione e con le sue disposizioni. La
meta qui è altissima, non possiamo mai riprodurre la perfezione e le
disposizioni di Gesù; tuttavia possiamo e dobbiamo tentare di
copiarle quanto più fedelmente è possibile. Dio si placa solo in
Gesù, accetta solo il suo sacrificio, si compiace solo in lui, si
rivela solo a lui.
«Non
hai voluto le offerte e gli olocausti, mi hai preparato un corpo.
Ecco, vengo per fare, o Dio, la tua volontà» (Hebr. 10,5). «Ecco
il mio figliuolo diletto nel quale mi sono compiaciuto» (Mt. 3,17).
«
Nessuno giammai vide Iddio, l'unigenito figlio di Dio, che è nel
seno del Padre, egli lo ha rivelato» Co. 1,18).
Dopo
che Gesù fu seppellito risuscitò e fece sbocciare dal suo corpo la
Chiesa. Allora come un albero perenne, che porta tutto l'anno fiori e
frutti, cominciò a produrre un immenso numero di frutti.
L'opera
unica della nostra vita deve essere di copiare questo modello
perfettissimo. Bisogna che Gesù si incarni e si sviluppi in noi. È
grande un pittore che sappia ritrarre un panorama, un fiore, un
animale, un uomo. Quanto più bravo sarebbe un artista che sapesse
non solo dipingere o scolpire, ma addirittura creare dei fiori, degli
animali, degli uomini viventi! Che opera grandiosa poi sarebbe
riprodurre una copia vivente di Cristo! Una simile potenza è
immensamente più grande che creare le stelle e la terra con tutti i
suoi viventi.
Eppure
Dio ci chiama e rende idonei a tanta opera: mediante la perfetta
unione a Gesù e la docilità allo Spirito Santo.
Quando
poi la figura di Gesù comincerà a pigliare forma in noi e a vivere
in noi avremo da Dio la potenza di riprodurlo anche negli altri;
tanto più perfettamente, quanto più perfettamente lo avremo fatto
vivere in noi. O abisso dei misteri e dell'onnipotenza di Dio! Non
c'è opera più grande né nella terra, né nel cielo, né fra gli
uomini, né fra gli angeli che attendere a riprodurre Gesù in noi e
negli altri colla pratica della perfezione e coll'apostolato. Mentre
gli uomini, nella stragrande maggioranza stolti, dedicano tutte le
proprie energie e la propria vita ad acquistare una terra, un
palazzo, un pugno d'oro che forse non riusciranno nemmeno ad
acquistare e che in ogni caso debbono con la morte lasciare, i veri
sapienti attendono a riprodurre in sé la perfezione e le
disposizioni di Gesù.
Quelli
poi che saranno trovani dal Padre simili a Gesù saranno glorificati.
III - L'INNESTO INARIDITO
Lo
stato di grazia è il tesoro nascosto di cui parla Gesù: « il regno
dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo. L'uomo che l'ha
trovato lo nasconde di nuovo, va, vende quanto ha e compra quel campo
» (Mt. 13,44).
Niente
è paragonabile allo stato di grazia. Dobbiamo stimarci
fortunatissimi anche se per acquistare e conservare questo tesoro
dovessimo perdere tutti i nostri beni. Al contrario, acquistar tutti
i beni terreni col perdere lo stato di grazia mediante un qualche
peccato mortale è l'opera più stolta; opera infinitamente più
stolta di chi cambiasse una grande quantità di oro per un po' di
piombo. L'unico vero male al mondo è il peccato mortale: esso fa
morire in noi la vita soprannaturale. Allora il nostro innesto secca,
le nostre azioni ritornano ad essere azioni esclusivamente nostre, e
quindi senza alcun merito di vita eterna. Noi stessi perdiamo non
solo la possibilità ma anche la capacità di vedere Dio.
Il
peccato mortale è un'infrazione grave alle leggi di Dio o ai
precetti della Chiesa: Esso è:
1) Il supremo male di Dio
a)
È opposizione alla sapienza di Dio. Nell'universo, che dappertutto
si muove seguendo il disegno di Dio, il peccato mortale è l'unica
nota di disordine. È come un grano di polvere in un orologio
sensibilissimo. È come un colossale esplosivo che volesse far
saltare tutta l'opera di Dio, del cielo e della terra. Per chi lo
commette infatti tutta l'opera di Dio non solo non è riconosciuta ma
è positivamente distrutta. Il peccato non distrugge la vita corporea
ma quella immensamente più preziosa della Grazia. Manda in frantumi
non un ordine qualsiasi, ma l'ordine più grande che sia mai uscito
dalla sapienza e dalla potenza creatrice di Dio; rompe le relazioni
più intime che Dio aveva stretto con creature ragionevoli. Per
conoscere il gran male del peccato bisognerebbe conoscere la infinita
perfezione di Dio, la nostra assoluta miseria e l'incalcolabile
fortuna di diventare figli di Dio.
b)
È opposizione alla potenza di Dio. L'uomo, misera creatura, col
peccato osa ergersi contro Dio e sfidarlo. La provocazione del
peccato è infinitamente più ridicola di quella di una formica
intelligente che volesse misurarsi con l'uomo per distruggerlo.
c)
È opposizione all'amore di Dio. Dio ci ha amato infinitamente: 1)
creandoci.
Ci
ha dato una stanza meravigliosa: cielo azzurro, acque, monti, colli e
prati, piante e fiori, animali e uccelli che profumano, riempiono e
rallegrano la terra e il cielo. Ci ha dato un corpo bellissimo,
fornito di sensi meravigliosi, un'anima che rispecchia con le sue tre
potenze la SS. Trinità. L'uomo col peccato si rende indifferente e
indipendente da Dio. L'ingratitudine del peccatore è molto superiore
di quello del figlio che offende la madre. Qualunque ingratitudine
umana è conseguente il beneficio. Nessuno offende il benefattore
nell'atto in cui viene beneficato. Il peccatore offende Dio mentre da
Dio viene mantenuto in vita, mentre viene nutrito con l'aria, con
l'acqua e coi cibi. Di più il peccatore offende Iddio con i doni
stessi cioè con il corpo che riceve da Dio. Fa come chi col denaro
ricevuto da un benefattore comprasse un pugnale per uccidere il
benefattore stesso. 2)
Redimendoci.
Per
salvare i servi delinquenti Dio fece perire il figliolo suo
dilettissimo; lo fece nascere povero, vivere fra stenti, gli fece
sopportare la flagellazione a sangue, la coronazione di spine, la
crocifissione e morte per distruggere i nostri peccati, per poterci
di nuovo amare, reintegrare nella perduta bellezza e rendere felici.
O abisso di amore infinito! L'uomo, peccando, tranquillamente e
cinicamente se ne ride di tanto amore e lo disprezza.
d)
È opposizione alla bellezza e santità di Dio. L'uomo peccando cessa
di essere l'immagine di Dio e diventa immagine di Satana. Diventa un
miserabile, un bruto. Cade dalle stelle alle stalle.
Sull'immagine
di Dio, Satana stampa la sua. Allora l'uomo è come un imperatore che
conservando tutte le sue insegne viene impiegato dal suo vincitore
nei servizi più ignominiosi. Qualunque deformità umana, sia pure la
lebbra nel suo stato più avanzato, non può dare un'idea della
bruttezza dell'anima in peccato. Se questa bruttezza potesse
esprimersi in una forma, farebbe morire chiunque la guardasse; se
potesse esprimersi in puzza, appesterebbe tutto il mondo; se potesse
esprimersi in sensazione, il suo dolore sorpasserebbe tutti i dolori
della terra. Un giorno i peccati si riveleranno dinanzi alla luce
della bellezza e della santità di Dio e allora l'anima peccatrice
sarà a sé stessa e alle sue simili tutto questo e molto più di
questo. Allora dirà nell'eccesso della disperazione: « O monti,
cadetemi sopra, stritolatemi! ». Ma inutilmente; e sarà gettato per
sempre nell'inferno.
e)
È opposizione a Gesù Cristo.
Gesù
è venuto per combattere e distruggere il peccato. Il peccatore
consegue un parziale dominio su di lui.
Il
dominio, le sfrenatezze degli ebrei su Gesù quando lo catturarono,
lo flagellarono e lo crocifissero, sono un effetto del peccato ed un
segno del tormento che il peccatore ha dato e dà a Gesù peccando.
Il
peccato è un colpo di lancia al Cuore di Gesù vivo, mentre il colpo
di Longino ferì il Cuore di Gesù morto.
Oggi
però i peccatori non hanno più alcun potere su Gesù; la loro
malizia fu già presa per intero e scontata nella Croce. Gesù soffre
perché ama e vede il suo amore disprezzato e coloro che ama perire.
f)
È opposizione alla Chiesa.
Il
peccato allontana il regno di Dio, infatti strazia la sua Chiesa.
Ogni peccato è un germe di infezione nel Corpo Mistico: germe che
apporta sofferenze, sciagure, morte. Gli uomini vedono le cause
esterne o meglio la cronaca dei mali che si abbattono sull'umanità.
Attribuiscono l'epidemia a mancanza di igiene, la carestia alla
siccità; le alluvioni alle pioggie, le guerre ai contrasti economici
e ideologici, gli orrori dei campi di concentramento e di
eliminazione tedeschi e russi alla delinquenza organizzata ecc.; non
sanno che la causa unica di tutte queste cose sono i loro peccati.
Del castigo cambia solo la forma: ieri si moriva colla peste, oggi
con la bomba atomica.
Non
c'è male al mondo né sociale, né familiare, né personale; non c'è
sofferenza al mondo che non sia effetto di determinati peccati.
Spesso
i peccatori pagano di persona; più spesso pagano gl'innocenti,
perché solo loro possono ottenere colle loro sofferenze misericordia
sui peccatori. Ogni peccato, come una malefica bomba volante, provoca
inesorabilmente in qualche luogo, in qualche parte o in qualche
membro della Chiesa distruzioni, sofferenze e morte.
Se
sapessero tanti uomini e donne quante rovine preparano, quante
condanne di malattie e di morte vanno allegramente firmando mentre
spensieratamente e voluttuosamente peccano nei cinema, nelle spiagge,
nei salotti e nelle case!
Inorridiscono
conoscendo le gesta criminali di Nerone che camminava e danzava al
lume delle torce viventi, mentre quei poveri corpi si contorcevano e
spasimavano tra le fiamme, e non riflettono che essi stessi vanno
rinnovando tali gesta.
2) Il supremo male dell'uomo
a)
È la sua rovina. Il peccato è la rovina del disegno di Dio. In chi
lo commette segna l'arresto dello sviluppo dell'essere ed il
principio della sua rovina. Mentre nell'uomo tutto il mondo inferiore
si va organizzando per arrivare a Dio, mentre in Lui l'energia
riunita dall'Amore converge alla formazione della materia, la materia
sale nella formazione della vita vegetativa e questa alla formazione
della vita animale; mentre in Lui l'animalità si evolve ad essere
perfezionata dall'anima; mentre l'umanità sale ad essere divinizzata
da Gesù; il peccato bruscamente arresta lo slancio verso la
perfezione assoluta, invertendolo verso l'abisso del nulla. Il
peccato è come un proiettile che colpisce l'apparecchio mentre vola
nell'immensità dei cieli e lo fa precipitare. Solo un miracolo può
farlo ripigliare, rimettere in quota e salvare dalla distruzione.
Solo un miracolo della grazia può mantenere in vita il peccatore,
farlo convertire e salvarlo dalla morte eterna. Tanti peccatori
ancora vivono nel mondo, si convertono e si salvano perché Cristo,
per i suoi meriti e per l'intercessione dei Santi li trattiene in
vita e li scuote sulle soglie stesse della dannazione.
b)
È il suo suicidio. Il peccato è il suicidio dell'essere. Mentre
l'uomo, come una crisalide nel bozzolo si va formando in angelica
farfalla; mentre si va formando l'occhio capace di veder Dio, il
figlio di Dio la Vergine SS. e i Santi; mentre si va formando
l'intelligenza capace di conoscere i misteri e le perfezioni di Dio e
di tutte le sue opere; mentre si va formando la bellezza del suo
volto e di tutto il suo corpo che dovrà ornare il Paradiso ed
innamorare Gesù e la Corte celeste; mentre si va formando l'agilità
e la sensibilità squisita di tutto il suo corpo che assaporerà il
piacere da tutti i suoi sensi, il peccato distrugge tutto; è come un
piede di ferro che schiaccia la crisalide, mentre misteriosa si va
formando in farfalla.
c)
È la sua degenerazione. Il peccato è la perdita del nostro genere
nobile: è la degenerazione della famiglia divina della quale l'uomo
ha cominciato a far parte colla grazia. Col peccato l'uomo cessa di
essere figlio di Dio e comincia a precipitare verso il nulla. La
forza centripeta verso Dio si cambia in forza centrifuga: lo spirito
dell'uomo si rivolge verso la carne. Il termine del peccato è la
morte, cioè la decomposizione del corpo in materia organica; la
materia organica, continuando la discesa tende alla materia
inorganica, questa infine all'energia, l'energia al nulla.
L'attrazione
del nulla è temporaneamente sospesa da Cristo e dal suo Corpo
Mistico.
Questo
è il mistero dell'agonia di Gesù.
Quale
somma di dolori divini e umani importa la vita e la conversione di un
peccatore!
d)
È la suprema stoltezza. Al peccatore si pone questo dilemma. Scegli:
vuoi la sanità, la bellezza, l'intelligenza, la ricchezza, l'amore,
la felicità eterna? Oppure vuoi la malattia, la bruttezza,
l'oscurità, la miseria, l'odio, l'infelicità, la disperazione
eterna?
La
prima scelta è come una pillola meravigliosa dalla patina amara: è
la virtù. La seconda scelta è come un veleno ultrapotente dalla
patina dolce: è il peccato. È possibile scegliere il secondo o
anche solo tentennare nella scelta? No.
Invece
il peccatore sceglie il secondo. Più stolto di così non potrebbe
essere. Per questo Gesù parlando dei peccatori li chiama stolti e
pazzi.
Bisogna
essere accecati o irragionevoli per peccare. Satana attira e pesca
gli uomini, fatti per il Sole divino, con le lucciole, come i
pescatori pigliano i pesci con le lampare. Il peccato è l'atto della
suprema stoltezza: la stoltezza di un uomo, che cede un patrimonio di
miliardi, che perde la moglie e i figli, che perde anche la vita per
un piatto di lenticchie o per il piacere di un giorno è ben piccola
dinanzi alla stoltezza dell'uomo che perde la gioventù, la bellezza,
la salute, l'amore e la felicità eterna e si autocondanna alle pene
terribili dell'Inferno per un piacere proibito di un giorno o sia
pure di cinquant'anni. Chi crede e riflette queste cose non può
peccare.
e)
È il supremo fallimento. Il peccato fa fallire l'uomo facendogli
perdere tutti i meriti delle opere buone passate e rendendolo
incapace di acquistarne dei nuovi.
Tutte
le operazioni che portano o porteranno la sua firma non hanno valore
fino alla riabilitazione che avviene con la confessione. Le rovine di
una città bombardata o di una campagna devastata da un ciclone
possono dare solo una vaga idea della rovina in un'anima che ha
peccato. L'uomo in peccato mortale è come un tralcio secco. Egli non
può più crescere né produrre frutti. Una sola cosa attende il
tralcio secco: il fuoco. Qualunque cura, concimazione, irrigazione
fatta a un ramo secco è perduta. Qualunque opera buona fatta da un
cristiano in peccato mortale è priva del più piccolo merito. Ma
allora in questo caso fare il bene è lo stesso che non farne? No. Il
bene fa sempre bene; qualche frutto dal bene sempre si ricava.
Ci
sono per es. due ricchi: uno sano, l'altro ammalato. Il sano col
denaro gode e si diverte, l'ammalato col denaro non può godere né
divertirsi; tuttavia con esso può chiamare il medico, può curarsi e
può guarire. Se il denaro non gli giova per divertirsi, gli giova
almeno per acquistare la salute. Così le opere buone: se fatte in
stato di grazia ci procurano dei meriti che poi sono altrettanti
titoli di felicità eterna; se fatte in peccato mortale ci possono
ottenere, per la misericordia di Dio, lo stato di grazia.
f)
È la suprema sventura. Il peccato rende l'uomo degno dei castighi
divini. Il peccato non può essere punito in questa terra. Qualunque
pena umana, anche tutti i tormenti messi assieme, non possono punire
un solo peccato mortale, né vendicare la santità di Dio. L'unico
castigo che Dio può dare in questa vita a un peccatore è di farlo
morire nel suo peccato; castigo che poi è solo una condanna. La
morte consegna il peccatore alla giustizia di Dio. Quelli che noi
chiamiamo castighi (guerre, malattie, crisi, ecc.) sono solo richiami
di Dio perché gli uomini si ravvedano, si pentano e si convertano.
Morto il peccatore comparirà in tutta la sua riluttante malizia e
bruttezza dinanzi al SS. e altissimo Giudice supremo. Nessuno allora
avrà più pietà di lui, nessuno intercederà per lui. Si troverà
solo a portare il peso dell'infinita giustizia di Dio. Non potrà
muoversi né impetrare perdono, né nascondersi. Invano griderà e
digrignerà i denti. Più che tutto l'universo gli cadrà sopra e non
potrà neppure avere lo scampo di restare sfracellato e annientato. E
questo sarà solo l'inizio dell'Inferno. Chi potrà mai narrare o
solo sospettare i tormenti dell'Inferno? Il 1° è il tormento di
aver perduto Dio. Il 2° è il tormento del fuoco e dei supplizi
inflitti dai demoni.
Una
pallidissima idea ce l'ha data la Madonna di Fatima nella sua terza
apparizione ai tre fanciulli. Scrive Lucia: «
Quando diceva le ultime parole riferite sopra, Nostra Signora, aprì
di nuovo le mani, come nei due mesi precedenti. Il fascio di luce
riflesso sembrò penetrare nella terra, e noi vedemmo come un grande
mare di fuoco ed in esso immersi, neri ed abbronzati demoni ed anime
in forma umana, somiglianti a braci trasparenti, che trascinate poi
in alto dalle fiamme, ricadevano giù da ogni parte, quali faville
nei grandi incendii, senza peso né equilibrio, fra grida e lamenti
di dolore e di disperazione, che facevano inorridire e tremare per lo
spavento. Fu probabilmente a quella vista che io emisi quell'ahi! che
dicono di avere sentito. I demoni si distinguevano per forme orribili
e schifose di animali spaventevoli e sconosciuti, ma trasparenti come
neri carboni in bracia. Questa vista durò un istante, e dobbiamo
alla nostra buona Madre del cielo che prima ci aveva prevenuto con la
promessa di portarci in Paradiso; altrimenti, credo, saremmo morti di
terrore e di spavento ».
Il
3° tormento è la disperazione e il rimorso. Il dannato non vede
alcuno scampo, alcun sollievo, alcun spiraglio di una cessazione, sia
pur lontanissima dei suoi tormenti. Volgeranno i secoli dei secoli ma
per lui è sempre il principio e non c'è anzi la speranza di un
parziale sollievo o di una fine. Il rimorso come un verme mostruoso
gli morde continuamente il cuore: poteva benissimo salvarsi, nessuno
lo costrinse ad andare all'Inferno; ci è voluto andare
volontariamente, non curando i richiami di Dio, che più volte aveva
tentato di liberarlo.
O
veramente sventurato chi si troverà in tali condizioni! Meglio per
lui sarebbe stato non essere mai nato.
L'unica
vera sventura che possa capitare a un uomo sulla terra è senza
dubbio il peccato, che lo mette nel pericolo immediato di tanta
sciagura.
Bisogna
essere cieco e stolto per fare un peccato. È Satana che per
pigliarsi una rivincita su Dio vuole distruggere il capolavoro o il
disegno divino tentando l'uomo al male.
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