(1° istruzione)
Bella è la virtù della Carità! Questa figlia del Cielo, se da una parte ci eleva sopra di noi stessi e ci porta direttamente a Dio, centro di ogni bene, che dobbiamo amare sopra ogni altra cosa con tutte le nostre forze, dall'altra parte, riguardo al prossimo, ci comanda di amarlo come noi stessi, pronti a fare per lui tutto ciò che vorremmo fosse fatto a noi, e a non fare a lui ciò che non vorremmo fosse fatto a noi. Vi sono però vizi e peccati che più si oppongono alla santa carità. Questa sera dunque desidero parlarvi della maldicenza che diametralmente si oppone alla carità fraterna, al fine di prevenirvi se qualcuna di voi, anche inavvertitamente, se ne fosse resa colpevole. Ad ottenere lo scopo, vi mostrerò che cosa sia la maldicenza, di quante specie ve ne siano, quanto essa sia peccato comune, e quanti siano i disordini che cagiona, le scuse con cui si difende e finalmente i pericoli a cui espone. La materia è vasta e non può certo contenersi tutta nei limiti di una istruzione, ma quello che non posso dire questa sera lo diremo la prossima volta. Seguite con grande attenzione e gravità: si tratta di un argomento di somma importanza.
La detrazione, ossia la mormorazione, è un'ingiusta diminuzione della fama altrui, fatta in assenza di quella persona contro cui si mormora. Ho detto un'ingiusta diminuzione della fama altrui, perché chi dicesse male di se stesso e diminuisse così la fama propria, non sarebbe ingiusto, perché ciascuno è padrone del suo buon nome e della sua propria fama. Ho detto in secondo luogo: fatta in assenza della persona di cui si mormora, perché se si fa alla sua stessa presenza si tratta di semplice contumelia. Inoltre, se si toglie o si diminuisce la fama al prossimo, manifestando un suo difetto vero, si chiama semplice mormorazione; se poi gli si toglie la fama, propalando un difetto falso, allora si chiama calunnia, la quale è assai più grave della semplice mormorazione, perché vi si unisce una bugia perniciosa contro il prossimo. Vari poi e diversi sono i modi con cui si può togliere e diminuire la fama o la riputazione al prossimo, ossia con cui si può mormorare. S. Tommaso ne conta sino a otto. Il primo e il più grave di tutti è la calunnia.
Pare strano che un cristiano, tenuto per legge alla pratica della carità e ad amare il suo prossimo come se stesso, possa giungere a tanto di malizia da imputare ad un suo fratello, ad una sua sorella, un difetto di cui non è colpevole; questo è un peccato così odioso che non può certo commetterlo chiunque serba ancora in cuore qualche residuo di probità e di amore. Eppure, sebbene non succeda con tanta frequenza, si sono trovati dei calunniatori e delle calunniatrici che imputano a persone innocenti delle colpe che non hanno commesso, né pensato mai di commettere. S'incolpa quella di intrigante, quell'altra di scrupolosa e di manica stretta; questa come persona che riporta e che dice ciò che non dovrebbe dire; quella come persona che parla per stizza e con finzione. E non temete che vi sorprenda l'ira di Dio inventando tali calunnie?
E' anche poi una specie di calunnia, attribuire all'operato del prossimo dei fini e delle intenzioni che egli non ha mai avuto. Quegli, dicono queste lingue calunniatrici, ha detto la tal cosa, ma dev'essere perché qualcuno l'ha informato; quell'altro ha fatto la tal cosa, ma per farsi vedere e stimare; questa non tratta quasi mai con me, perché mi porta odio, non mi può vedere; quella mi ha usata un'attenzione perché aspettava da me un qualche regalo; la tale va spesso al parlatorio perché non ha niente da fare; oppure è più amante della conversazione che del ritiro; quest'altra sta molto in confessionale perché è scrupolosa, oppure confessa anche i peccati degli altri; quell'altra tace e ubbidisce sempre, perché non sa dire la sua ragione e non sa farsi portare rispetto, così si lascia mettere i piedi sul collo. Oh interpreti maligni! Chi vi ha data facoltà di entrare nelle intenzioni e nel cuore dei vostri simili? Come avete ardimento di usurparvi un diritto che appartiene solamente a Dio?
Il secondo modo di mormorare e togliere, o diminuire, la fama del prossimo è quello di amplificare o accrescere un suo difetto vero; l'ingrandimento che se ne fa è anche questo una vera calunnia.
Uno per esempio, dirà o farà una cosa piccolissima e di nessun valore, ma raccontata con quell'aria di serietà, con quell'importanza si amplifica in modo che si fa comparire una grande cosa e un grande difetto.
- Se sapeste, dice una, che cosa la tale ha detto alla cuciniera di voi!
- Che cosa ha detto? - Ha detto che siete buona a far niente, che vi perdete in chiacchiere, che danneggiate la comunità e via discorrendo, e invece aveva detto solamente che la minestra era troppo salala. - Sapete niente della tale che pare una santarella? - Io no, cosa c'è? - Sa dare certe risposte! Se aveste sentito che lingua! - E invece non aveva fatto altro che parlare un po' più forte. E intanto con l'ingrandire, le mosche diventano cammelli.
Il terzo modo di mormorare è quello di manifestare gli altrui difetti occulti. Questa maniera di screditare il prossimo è quanto mai familiare e comune nelle conversazioni e nelle adunanze: non si fa altro dalla mattina alla sera, dal principio dell'anno fino alla fine, che mormorare e dir male del prossimo. Appena si trovano insieme due persone, sapete qual è il loro trattenimento, il loro discorso? Nel parlare male di questa o di quella; nello scoprire questo o quell'altro difetto. Confessatelo voi, sorelle mie, se non è vero che trovandovi fuori di casa, o in parlatorio con parenti o altre persone, e forse anche nella stessa vostra casa con alcune delle vostre consorelle, non si faccia qualche mormorazione grave o leggera del prossimo?
Il quarto modo di mormorare è quello di interpretare sinistramente e prendere in mala parte le azioni del prossimo. Uno, per esempio, vuol fare elemosina a quella famiglia, a quelle persone bisognose e, « Non è tutta carità - dice subito il maldicente - vi sarà qualche altro fine ». Un'altra si presta volentieri e si sacrifica intorno a quella inferma e lo fa per semplice e pura carità, ma una lingua maledica vuole aggiungere che lo fa per interesse. Questa se ne sta ritirata per schivare le chiacchiere inutili e non perdere il raccoglimento e la presenza di Dio, ma la maldicente dirà che lo fa per malinconia e per cattiva indole.
Si mormora, in quinto luogo, nel negare o nascondere le opere buone del nostro prossimo. Uno, a mo' d'esempio, crede che quella tale persona abbia fatto questa o quell'altra opera buona, abbia esercitata questa o quell'altra virtù, ma la maldicente dice che non è vero.
Si mormora, in sesto luogo, nel tacere di quelle circostanze, dalle quali dal nostro silenzio si può facilmente intendere che quel nostro prossimo non è degno d'essere lodato, o almeno non merita tanta lode. Quel tale è proprio una brava persona docile, ubbidiente, caritatevole; l'altra che sente questo discorso, tace e questo silenzio è una vera mormorazione, perché col suo silenzio dà a vedere che la cosa non è così.
In settimo luogo si manca coll'attenuare la virtù del prossimo, o col lodarlo così freddamente che gli astanti s'accorgono che chi loda non ha buona opinione della persona da lui lodata. Si mormora coi gesti, quando cioè, sentendo discorrere di qualche difetto, si indica con gli occhi o con la mano, o con altro segno una persona, quasi fosse anch'essa colpevole di un tale difetto.
In ultimo, si mormora sotto pretesto di dar buoni consigli. « Non fate come quel tale o quella tale che non si comportano molto bene. - Guardate di non imitare quell'altra che tende a far partito. - Non vi fidate di questa, perché non sa tacere una parola ». Bella maniera di dar consigli! Si mormora, dice S. Bernardo, anche sotto apparenza di zelo, di compassione, di carità. « Che disgrazia che quella persona, così modesta e devota, abbia quel tale difetto! Che dite di quella Superiora? E' proprio una brava persona, ma non è buona a niente, non ha energia, si lascia menar pel naso da tutti. Di quel religioso, di quel sacerdote che ve ne pare? Conduce una vita irreprensibile: peccato che sia così scrupoloso e si lasci talvolta trasportare dalla sua passione, dall'interesse, dalla superbia ». E questa vi pare compassione? vi pare carità? vi pare zelo? Non vedete che sono raffinate mormorazioni, vere maldicenze?
Ma chi sono quei tali che in tante e sì svariate maniere tolgono la fama e la riputazione ai loro fratelli? Sono talvolta i cristiani, e non sono pochi. Purtroppo, anche in mezzo ad essi, anche nelle stesse famiglie religiose, non v'è cosa che si ascolti con maggior gusto, quanto la detrazione del prossimo. Il vizio di mormorare è comune a tutti. Si mormora dai ricchi e dai poveri, dalla gente di campagna e da quella di città. Si mormora non solamente dalle persone più rilassate e corrotte, ma anche da quelle che fanno professione di pietà e di religione, persone che si fanno tanto scrupolo di tante cose... e non si fanno scrupolo di mettersi sovente a dir male del prossimo e ad ascoltare volentieri chi ha da dire male. Pochi son quelli, dice S. Paolo, che sanno tenersi forti contro questo vizio. Essi dopo aver fatto resistenza a tutti gli altri vizi, cadono in questo che può chiamarsi l'ultimo laccio del demonio. Ma che gioverà a costoro la loro pietà, se sono mordaci e crudeli col loro prossimo? Che gioveranno le orazioni, le comunioni, le penitenze, se con i loro discorsi non fanno altro che denigrare la fama e la riputazione di questo e di quello? Credete forse che il mormorare non sia peccato? Esso è un vizio dei più enormi, che si oppone direttamente alla più grande di tutte le virtù, cioè alla santa fraterna carità.
A Dio piacendo, in altro ragionamento ne esamine remo la colpevolezza e la malizia, con tutte le conseguenze che ne derivano, ma intanto riflettiamo sopra noi stessi, perché si tratta di un punto di grande importanza. Ho aperto un poco il mio cuore e vi ho detto ciò che già da tempo avrei dovuto dirvi, ma ho dilazionato (e chissà che non debba rendere conto a Dio!) perché mi rincresceva, come mi rincresce grandemente ora di averlo fatto. Vi prego però di non prendervela a male, perché io non parlo che per scrupolo di coscienza e per vostro bene, e per l'amore che porto a questa vostra comunità. Amen.
(2° istruzione)
La mormorazione che, come abbiamo detto nell'ultima nostra istruzione, si può commettere in molte e diverse maniere, è un vizio universale che alligna quasi in tutti i ceti di persone, e pochi, pochissimi, anche tra i più devoti e i più santi, son quelli che ne vanno esenti. Pare proprio che non vi sia cosa al mondo che si ascolti più volentieri o con maggiore interesse che quella di dir male dei propri fratelli. Ma, come va, mie sorelle, che si mormora tutti con grande facilità: vecchi e giovani, ricchi e poveri, grandi e piccoli, secolari e religiosi? Forse che la mormorazione non è peccato? Credete che il togliere al prossimo la sua stima e la sua riputazione sia guadagnare indulgenze? Quanto si inganna chi la pensa così! Udite con attenzione, e mi direte che cosa si procura la lingua mormoratrice.
Grande male è la mormorazione: essa contiene in sé due malizie: toglie al prossimo la buona stima che egli giustamente si gode nell'opinione altrui, e la buona reputazione, che è un grande bene. Anzi, siccome la fama e la riputazione altrui sono un bene maggiore e più prezioso, come dice lo Spirito Santo nei Proverbi, di tutte le ricchezze e la roba di questo mondo, così chi toglie al prossimo la sua buona stima è peggiore di un ladro. Ora, un peccato che procura al prossimo sì grave danno, non vi pare che si dovrebbe guardare da tutti con sommo orrore? Eppure non è così. Si cerca anzi di scusarlo in mille maniere e si adducono mille scuse per farne scomparire la gravità.
« Noi, dicono alcuni, non crediamo di essere rei di colpa alcuna, perché, grazie al cielo, non abbiamo l'abitudine di dir male di alcuno: solamente ascoltiamo volentieri quelli che dicono male ». Perché piuttosto non dite: « Noi ci comportiamo male, spingendo altri a dir male del prossimo ». Vi credete innocenti? Non sapete che S. Bernardo rimane in dubbio se sia maggiore la colpa di chi mormora, o di chi ascolta con piacere la mormorazione? Egli dopo aver molto pensato tra sé, finalmente conclude che tutti e due portano con sé il demonio, con questa sola differenza, che chi mormora lo porta sulla bocca e chi ascolta lo porta nell'orecchio. Ed ha ragione: S. Basilio, infatti, dice che ascoltando voi volentieri la mormorazione, la rendete più animosa e quasi provocate a continuare la maldicenza, poiché nessuno mormora volentieri, se volentieri non è ascoltato. Se voi dunque, quando udite qualcuno dir male del suo prossimo, non gli fate, con le debite maniere, la dovuta correzione, richiamandolo o cambiando discorso, o almeno non mostrate di aver dispiacere, stando serio e taciturno, voi vi fate reo della medesima colpa di cui è colpevole il mormoratore. La maggior parte, però, delle scuse che si adducono per difendere il peccato della mormorazione non proviene da chi ascolta, ma da quelli stessi che mormorano, i quali credono di essere senza colpa: « perché, dicono, non intendiamo col nostro dire, causare danno al nostro prossimo ». Ma che giova a questi infelici screditati, che voi non abbiate avuta l'intenzione di screditarli o di cagionare loro alcun danno? Frattanto essi, per la vostra mala lingua, hanno perduta la loro fama e reputazione.
Altri si scusano col dire ch'essi non sono i primi a manifestare i fatti e i detti del prossimo, ma raccontano solo quello che hanno udito dire dagli altri. Ma sapete che cosa dice lo Spirito Santo nell'Ecclesiastico? Dice: « Se hai udito qualcosa di male del tuo prossimo, non lo manifestare ad altri, ma lascia che muoia in te e resti seppellito nel tuo cuore ». Lo so che cer-tuni, appena sentono qualcosa del loro prossimo, o vedono in altri qualche difetto, vorrebbero raccontarlo a questa e a quella persona loro confidente; ma credete che costoro, nell'operare così, non si facciano colpevoli di maldicenza? Io vi dico che si macchiano di due peccati: uno di credere, per una semplice apparenza, al male del prossimo, che forse sarà falso, perché ciò che si dice a carico dell'uno o dell'altro, per lo più è falso o falsa invenzione della malignità altrui; l'altro di farlo sapere a chi lo ignora. Che se a voi sembrasse di non commettere questi due peccati, né di credere il falso sul conto del vostro prossimo, né di propagare i suoi difetti a chi non li sapeva, perché i fatti riportati sono veri e tutti già li sanno, allora io vi dico che non c'è necessità che voi li andiate a ridire, se già sono noti a tutti. Se quegli infelici che li hanno commessi già sono diffamati, già sono morti all'onore, perché tornate a colpirli con la vostra lingua?
Ma voi dite che i falli del prossimo sono numerosi; ed io vi rispondo che certe volte non sono che calunnie quelle che sembrano verità autentiche. Qualcosa sembrava infatti, più vera che quella per cui fu accusata di adulterio la casta Susanna? Eppure noi sappiamo che era una solenne impostura. Ma siano pure anche vere: avremmo forse piacere che di noi o di qualche nostro congiunto fossero rivelati falli o mancanze, che sono veri, verissimi? No, certamente. Come, dunque, saremo così facili a propagandare le mancanze degli altri? La legge naturale, molto più la legge evangelica, non ci proibisce di fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi?
I fatti che voi riferite sono veri? Ma ditemi, noi non abbiamo mai mancato in niente? Chi è che può dirsi senza peccato? Se vi è alcuno così innocente che la sua coscienza non gli rinfacci colpa di sorta, si faccia avanti e sia costui il primo a dir male del suo prossimo che io mi contento.
« Se qualcuno di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei », così disse Cristo a quei farisei che volevano lapidare la donna trovata in peccato; ma si guardarono in volto, poi l'uno dopo l'altro se ne andarono senza gettare alcuna pietra. Se riflettessimo anche noi a questo! Se guardassimo prima a noi stessi, non oseremmo aprir bocca contro nessuno.
« Ma noi, dicono altri, quando diciamo qualche cosa del prossimo non facciamo per mormorare, ma per ridere, e poi lo diciamo con persone particolari e in segreto, come in confessione ». Queste sono le ultime scuse che si dicono per difendere la maldicenza. Ma chi non vede quanto siano insulse e ridicole? Voi, dunque, dite male del prossimo per ridere e scherzare? Ma vedete, che voi intanto togliete al vostro prossimo la cosa più preziosa che egli abbia, quale è la sua fama? Che importa che voi abbiate scherzato, abbiate riso, se il prossimo perde intanto la sua stima? Quanto poi a dire che si confidano i difetti del prossimo a confidenti, in segreto e come in confessione, S. Giovanni Crisostomo nella sua terza omelia al popolo di Antiochia definisce tale scusa stolta ed insana. Egli dice: « Avete raccomandato il segreto: perché non l'avete osservato prima voi? Che necessità avevate di parlare? Se volevate che restasse segreto, bisognava che voi non ne parlaste, perché rivelandolo, voi avete dato stimolo ed eccitamento ad altri di fare lo stesso ». Ed ecco dove conduce la maldicenza: privare i mormoratori della vita eterna. La dottrina non è mia, è dell'apostolo S. Paolo, il quale, parlando dei maldicenti, li mette insieme ai fornicatori e ai ladri, e li esclude tutti dal regno dei cieli. Raccomanda ai cristiani di Corinto che stiano ben attenti su questo punto, né si lascino ingannare, perché né gli adulteri né i fornicatori, né i ladri né i maldicenti possederanno il regno dei cieli.
La mormorazione, per essere perdonata deve esse re seguita dalla restituzione dell'onore e della fama che fu tolta al prossimo. Come colui che ruba e toglie al prossimo la roba e i denari non può ottenere il perdono del suo operato e salvarsi, dice S. Agostino, senza restituire ciò che ha rubato, così non può conseguire la remissione dei propri peccati chi ha mormorato, senza restituire la fama da lui denigrata al suo fratello. Si possono fare elemosine, orazioni, digiuni, penitenze quanto si vuole, ma nulla giova se non si adempie a questo strettissimo e indispensabile dovere. I sacerdoti sono i depositari e i ministri dei tesori e delle grazie del cielo; e in virtù della piena autorità, data loro da Gesù Cristo nella persona degli apostoli, possono rimettere ogni peccato, ma non quello della mormorazione e del furto, senza questa espressa condizione di restituire ciò che si è tolto al prossimo. Ora questa necessità che costringe la persona maldicente a restituire la fama rubata, mette in molto pericolo la sua eterna salute, a motivo della difficoltà che incontra nell'adempiere questo dovere. A dir male dell'uno e dell'altro si fa presto, non ci vuole tanto a dire una parola e denigrare, in una o in un'altra maniera, la reputazione del prossimo, ma il difficile sta poi nel riparare i danni che da quella mormorazione sono causati. Il dover ritrattare e disdire ciò che si è detto contro l'uno o l'altro, è cosa un po' dura al nostro amor proprio e pochi vi si sanno adattare.
Infatti vediamo che se le mormorazioni sono frequenti, per non dire quotidiane, ben di rado, e quasi mai, si sentono le lingue maldicenti rendere pubblicamente la fama a chi l'hanno tolta. E poi, anche se i maldicenti sono pronti a riparare la fama tolta, come possono farlo adeguatamente?
La loro maldicenza avrà forse fatto un assai lungo cammino; sarà già passata per la bocca di molti e molti, e come si può riparare con tutti, e da tutti levare la cattiva impressione che ha già cagionato la nostra mormorazione? Voi mi dite: quando si è fatto tutto il possibile, non si è tenuti a fare di più; tutto vero, ma intanto quali angustie e quali timori non agiteranno di continuo la propria coscienza nel timore di non avere avuta tutta la diligenza possibile per restituire la fama tolta? Quanto meglio sarebbe non aver mai detto male di alcuno! Ma se non si può far ritornare indietro il passato, provvediamo almeno all'avvenire e proponiamoci di non aprire mai bocca contro chiunque. Lo Spirito Santo ce ne avverte: « Custodite la lingua dalla mormorazione, guardatevi da essa e frenate la lingua, perché non si macchi di detrazione. Carità, non maldicenza con il nostro prossimo e, se non possiamo far altro, scusiamone almeno l'intenzione ». Non vi immischiate con i detrattori, ci ripete lo Spirito Santo, e fuggiteli come la peste. E se a far ciò non vi spinge altra ragione, vi spinga il timore di mettere a rischio la vostra salute eterna.
Gesù Cristo stesso nel Vangelo di S. Luca (c. VI) ci dice di essere misericordiosi come è misericordioso il vostro Padre celeste: con ciò vuol farci intendere che noi dobbiamo usarci carità l'uno con l'altro; una carità molto grande; carità, se fosse possibile, da uguagliare la misericordia stessa di Dio verso di noi: « Siate misericordiosi come è misericordioso il vostro Padre celeste ». Amen.
Sant’Agostino Roscelli
Tratto dal sito:
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