giovedì 2 maggio 2019

V I Z I C A P I T A L I … A cura del sacerdote Venturo Lorusso, oblato benedettino



M E D I T A Z I O N I
PREMESSA


Papa Francesco con il suo messaggio quaresimale 2017 chiede di confrontarci con la parabola del “ricco epulone” . Nell’epulone s’intravede drammaticamente la corruzione del peccato: “amore al denaro, la vanità e la superbia”. Poiché i vizi capitali “generano altri peccati, altri vizi” (Catechismo Chiesa Cattolica n. 1865), ho preso l’impegno di esaminarmi a tappe sui vizi capitali per la “inquietudine di ricerca”, la “incompletezza di pensiero” e la “immaginazione nel discernimento” che mi caratterizzano (cfr. Papa 09.02.2017).
Dato che l’amicizia si avvale dell’aiuto reciproco con la correzione fraterna e con la preghiera l’un per l’altro.
Sii sempre in guerra con i tuoi vizi, in pace con i tuoi vicini, e lascia che ogni nuovo anno ti trovi un uomo migliore” (Benjamin Franklin 1706 – 1790)
I vizi capitali sono ancora attuali?


Abbiamo davanti agli occhi i vizi degli altri, mentre i nostri ci stanno dietro” (Seneca)


I vizi capitali possono essere considerati una maniera di ricomprendere e unificare l'agire umano nelle sue derive negative, ma anche nei beni cercati attraverso di essi. Per effetto della colpa originale, ci sono i germi dell'iniquità nell'anima umana. Tra i vizi che albergano nel cuore, i più importanti sono quelli chiamati capitali. La Chiesa ne propone sette e cioè: superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia ed accidia. Si dicono capitali perché danno origine a tutti gli altri vizi. E' bene notare che le mancanze che si commettono in forza dei vizi capitali, non sempre sono peccati gravi o mortali; ma lo possono essere, purtroppo non raramente. Questi vizi si presentano, infatti, come un'enciclopedia delle passioni umane: pur ricordando infedeltà e trasgressioni, essi mostrano insieme un orizzonte più ricco rispetto a quanto realizzato, un orizzonte anche di speranza perché mettono davanti agli occhi una totalità di pienezza e di bellezza che può dare senso e compimento alla vita. Parlare dei vizi induce a toccare temi vasti e importanti: il corpo, l'anima, le donne, gli intellettuali, il lavoro, la guerra, il denaro. Il discorso sui vizi si rivela in realtà una sorta di enorme raccolta nella quale si trova di tutto, un efficace schema classificatorio per parlare, proprio come sostenevano i monaci, del "mondo”.
Uno studio attento degli autori che si sono occupati di quest’argomento rivela come la sbrigativa liquidazione dei vizi come inutile retaggio del passato e l'invito a "lasciarsi andare", prendendo tutto "così come viene", non ha certamente reso la vita più sana, bella e interessante.
In realtà il discorso sul vizio non intende per niente presentarsi come una pedante pignoleria per complicarsi l'esistenza, esso è piuttosto una questione di vita o di morte. I vizi ci accompagnano nella vita di ogni giorno, anche se forse facciamo fatica ad accorgercene, se non quando è troppo tardi.
Ma che cos'è un vizio? Un'attività, un apprendimento consolidato dall'uso frequente, “una certa stabilità nell'agire, che costituisce come una seconda natura”.
Una considerazione ulteriore può giungere dall'ambiente in cui è sorta la riflessione sui vizi capitali. Il loro numero si può far risalire biblicamente al passo di Pr 6,16: «Sei cose odia il Signore, anzi sette gli sono in abominio», Anche nella letteratura pagana si trovano classificazioni: “avaritia, laudis amor, invidus, iracundus, iners, vinosus (=goloso), amator (= accidia)” (Orazio).
L'elaborazione dei vizi capitali tuttavia raggiunge il suo sviluppo completo a partire dalla riflessione svoltasi in ambiente monastico ed eremitico. (cfr. Giovanni Cucci).
N.B. Classici in materia sono Evagrio Pontico (345-399) e Giovanni Cassiano (360 circa - 435). Il primo nel suo Trattato pratico e il secondo nelle sue Istituzioni cenobitiche ne elencano otto: ingordigia, fornicazione, avarizia, collera, tristezza, acedia, vanagloria e superbia.
Papa Francesco: ”Quando trovo una persona anziana, tante volte un sacerdote o una suorina, che mi dice: “Padre, preghi per la mia perseveranza finale”. A quella persona viene naturale chiedere se ha «paura», dopo aver vissuto “bene tutta la vita, tutti i giorni” del suo “oggi nel servizio del Signore”. Ma non è certo questione di paura, tanto che quelle persone rispondono: “La mia vita non è ancora tramontata, io vorrei viverla pienamente, pregare perché l’oggi arrivi pieno, pieno, con il cuore saldo nella fede e non rovinato dal peccato, dai vizi, dalla corruzione” (12.01.2017).
Domande: Sei portato a denunciare i vizi degli altri e a scusare i tuoi? Ritieni di capire tutto sui vizi e le virtù?
Come uscirne: Mezzo infallibile di risveglio spirituale è la frequenza ai sacramenti della Confessione e della Comunione. La santissima Eucaristia è il Pane dei forti; ricorri a questo Cibo Celeste e subito sentirai aumentare la forza spirituale. L'esame di coscienza. Come lo specchio serve a vedere i difetti del volto, così l'esame di coscienza fa scoprire i difetti dell'anima. Meditazione e lettura spirituale giovano moltissimo al progresso spirituale. Non è necessario impiegarvi molto tempo; bastano alcuni minuti al giorno. Volendo, il tempo si può trovare.
1° La superbia
Dio che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te” (sant’Agostino).
Il gradino più basso di degrado morale è la superbia. L'uomo ricco si veste come se fosse un re, simula il portamento di un dio, dimenticando di essere semplicemente un mortale” (Papa messaggio per la quaresima 2017).
La superbia sembra avere il primato” (Rino Fisichella).
La superbia è il vizio e il peccato con il quale l’uomo, contro la retta ragione, desidera andare oltre la misura delle sue condizioni - I superbi mentre godono della propria superiorità, trovano fastidio nella superiorità della verità” (S. Tommaso).
La superbia si preoccupa di chi abbia ragione: l’umiltà si preoccupa di che cosa sia giusto” (Ezra Taft Benson).
Non essere mai superbo con l’umile. Non essere mai umile con il superbo” (Jefferson Davis).
L’ingratitudine è figlia della superbia” (Miguel de Cervantes).
Superbia: deriva dal latino SUPERBUS (superbo), formato da SUPER (sopra) e BUS (forza). Che si mostra al di sopra con la forza. È la regina di tutti i vizi, li governa, li sollecita e li accompagna, radice di ogni peccato. La superbia è soprattutto menzogna, falsificare la propria identità, indossare abiti che non ci appartengono. L’uomo nega la sua creaturalità e vuole diventare come Dio. La superbia è il peccato del diavolo. Infatti, secondo la tradizione, il peccato di Lucifero e degli angeli ribelli è un peccato di orgoglio e di vanità. La superbia è definita un amore sregolato di sé, l’illogica presunzione di essere superiori agli altri e sminuisce i meriti altrui e se ne serve come strumenti. Invece di adorare Dio, adora se stesso e rifiuta la dipendenza creaturale con l’ostentare sicurezza e cultura. La superbia affonda le sue radici nel nucleo più profondo della natura dell'uomo, sempre teso alla ricerca e all'affermazione della sua identità. Il superbo teme delusioni e insuccessi perché rivelerebbero la triste verità, quella di essere in realtà un mediocre, un normodotato. Nietzsche invoca il Super-uomo, che non è il "superbo", ma l'uomo "superiore", che è tale perché rifiuta la sottomissione.
Nella Bibbia: Il primo peccato del primo uomo risulta essere proprio questo vizio: essere come Dio (Gn. 3). La vita terrena di Gesù Cristo fu una lotta continua al vizio della superbia: nacque in una stalla, visse in una bottega facendo il falegname e mori ignudo sulla Croce, tra due ladroni, come un malfattore. In una parabola racconta il ritratto della superbia: il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “o Dio ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri … Digiuno due volte la settimana e pago la decima di quanto possiedo …” (Lc 18, 11-12). Ciò che il fariseo fa è riconosciuto solo come sua impresa personale, un’autoesaltazione e compiacenza di sé a tal punto da non essere neppure sfiorato dal pensiero che potrebbe essere un peccatore. Il pubblicano è creditore nei confronti di Dio e neppure ha la forza di alzare gli occhi verso di lui e chiedere il suo perdono. La verità sulla propria vita appartiene al pubblicano, non al fariseo che rimane fermo nel suo inganno: “Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi” (1 Gv 1,8). 
La superbia nel mondo: c’è uno spicchio di superbia in ognuno di noi. Siamo perdutamente innamorati del nostro io e siamo affannati perché questo io si affermi. La superbia è radicata negli adulti che dicono: “ora basta parlare di me, parliamo un po’ di te. Tu cosa pensi di me?” oppure in quelli che proclamano: “Lei non sa chi sono!”. Si desidera apparire, comparire, distinguersi, primeggiare, emergere e, per questo, si mette in mostra, ostenta titoli, denaro, successi, riconoscimenti, onori, cariche, conoscenze.
Peccati derivati: Il brutto mostro della superbia ha tanti sinonimi come amor proprio, orgoglio, vanagloria, presunzione, vanità, arroganza, manie di grandezza, onnipotenza, utilizzo del potere per sottomettere.
Papa Francesco: “Il serpente, il diavolo è astuto: non si può dialogare col diavolo. Tutti noi sappiamo cosa sono le tentazioni, tutti sappiamo perché tutti ne abbiamo: tante tentazioni di vanità, di superbia, di cupidigia, di avarizia, tante!” (10.02.2017).
Evagrio Pontico (345 ca-399). “Il demone dell’orgoglio spinge l’anima tanto da farla cadere dalla cima più elevata, la convince a non riconoscere Dio come aiuto, ma a credere che sia lei stessa la causa delle proprie buone azioni e la spinge a guardare i confratelli dall’alto in basso, come se fossero ignoranti e sciocchi - La vanagloria è una passione irragionevole e facilmente s'intreccia con tutte le opere di virtù. L'edera s'avvinghia all'albero e, quando giunge in alto, ne dissecca la radice, così la vanagloria si origina dalle virtù e non si allontana finché non avrà reciso la loro forza. La pietra lanciata non raggiunge il cielo e la preghiera di chi desidera piacere agli uomini non salirà fino a Dio. Non metterai in vendita le tue fatiche per la fama, né rinuncerai alla gloria futura per essere acclamato. Infatti, l'umana gloria si accampa in terra e sulla terra la sua fama si estingue, mentre la gloria della virtù rimane in eterno.
Domande: Dici troppo spesso IO. Io qua, io là etc etc. Pensi faccio il bene solo in funzione di ciò che ne penseranno gli altri e per catturare la stima. Pensi di “aver capito tutto tu”, in cui tutti sono scemi e l’unico furbo sei tu? Ma sarà davvero così? Riesco a gioire dei successi dei miei amici oppure li vedo solo come ostacoli ai miei di traguardi? Esibisco con vanità la bellezza fisica e le qualità date da Dio. Sono arrogante per il desiderio di non dipendere da nessuno, e nemmeno da Dio, per il vittimismo con cui cerco dare sempre una giustificazione.
Come uscirne: il primo passo è ricercare la verità, accettando il proprio piccolo posto nel creato, tra i figli di un Dio creatore e padre e rendergli grazie per il dono gratuito dell’esistenza. Il secondo passo è ripristinare un rapporto genuino con Dio e gli altri nel quotidiano. Imparare a controllare l’egoismo, saper collaborare, imparare ad accettare i successi come i fallimenti. C’è una sola arma infallibile contro l’orgoglio: l’umiltà. Se l’orgoglio è il padre di tutti i vizi, l’umiltà è la madre di tutte le virtù, cioè la consapevolezza dei propri limiti e la nostra dipendenza da Dio. Dovremo dire: “Ubi humilitas ibi sapientia” (“dov’è l’umiltà, lì è la sapienza” libro Proverbi,11,2). La verità su se stessi proviene dalla capacità di ascolto e di gratuità che sostengono la profonda intelligenza in ricerca della verità ultima.
2° L’avarizia.
Dice l'apostolo Paolo che «l'avidità del denaro è la radice di tutti i mali» (1 Tm. 6,10). Essa è il principale motivo della corruzione e fonte d’invidie, litigi e sospetti. Il denaro può arrivare a dominarci, così da diventare un idolo tirannico (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 55). Invece di essere uno strumento al nostro servizio per compiere il bene ed esercitare la solidarietà con gli altri, il denaro può asservire noi e il mondo intero a una logica egoistica che non lascia spazio all’amore e ostacola la pace” (Papa Francesco – quaresima 2017).
L’avarizia è sicuramente uno dei sintomi più attendibili di una profonda infelicità” (Franz Kafka).
Il denaro è un ottimo servo e un pessimo padrone” (Anonimo).
L'ultimo vestito ce lo fanno senza tasche - L'avarizia è l'unico vizio che, agli occhi dei discendenti, si trasforma in una virtù” (Martin Held)
Possedere è legittimo. Il problema inizia quando il denaro e i beni possiedono noi. O ci ossessionano” (Renato Boccardo)
Nessuno al mondo vorrà mai ammettere di essere avaro! Tutti negano di essere contagiati da questo tarlo che inaridisce il cuore. Non si possiede mai abbastanza; si trova sempre un motivo per avere di più! L'avarizia è una febbre maligna, che più è forte e bruciante e più rende insensibili” (S. Francesco di Sales in “Introduzione alla vita devota”).
Tutte le persone che possiedono in abbondanza si considerano ancora troppo povere” (Sant’Ambrogio)
Avarizia: deriva dal latino AVARUS che ha lo stesso tema di AVIDUS (avido). Che brama avere e non ama separarsene L’avarizia è lo smodato desiderio di ricchezza e di beni materiali. Si esprime con un estremo contenimento delle spese non perché lo imponga la necessità, ma per il gusto di risparmiare fine a se stesso per possedere. Da non confondere con la parsimonia che è invece utile. L'avaro si sente un virtuoso e si descrive con aggettivi delicati ed equilibrati: prudente, attento, oculato, parco. Ha inestinguibile brama di accumulare ricchezza, che sono diventate per lui la sua sicurezza, la sua gioia, il suo Dio. L'avarizia è il più stupido dei vizi capitali, perché l’avaro capovolge il rapporto mezzo-fine, e invece di considerare il denaro un "mezzo" per il raggiungimento di quei "fini" che sono l'acquisizione di beni e la soddisfazione dei bisogni, considera il denaro un fine L’avarizia sfigura il volto dell’uomo, indurisce il cuore, distrugge i vincoli più sacri.
Esistono due specie di avarizia: materiale e spirituale.
1. L’avarizia materiale: l’attaccamento del cuore al danaro; la cupidigia o l’avidità;l’assenza di generosità.
2. L’avarizia spirituale: il tempo, cioè economizzare tutto, anche il movimento; i servizi, quanti si attaccano gelosamente al loro servizio e ai loro piccoli poteri come l’edera si abbarbica al muro; la vita spirituale, gli “insaziabili di libri che trattano di spiritualità. Ciò che rimprovero è l’attaccamento del cuore, l’importanza attribuita alla fattura o al numero e alla bellezza degli oggetti, cose molto contrarie alla povertà di spirito” (S. Giovanni della Croce in “La Notte oscura”).
Nella Bibbia: Gesù amava i poveri, sino a chiamarli beati, mentre ai ricchi rivolge parole terribili: Guai ai ricchi! Chi è ricco ed è molto legato ai beni, difficilmente potrà salvare l'anima sua. “Non potete servire Dio e la ricchezza” (Mt 6,24). Il denaro sfida Dio, perché si fa Dio. E il consiglio di Gesù: “non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena” (Mt 6,34).
L’avarizia nel mondo: di fatto è mal acquistata la ricchezza che finisce per escludere la massa degli uomini dai beni della terra, riservandoli a pochi privilegiati. La cupidigia spreme gli uomini, la terra e tutte le cose che il buon Dio ci ha dato per essere custodite e non sfruttate: siamo custodi, non certo padroni (cfr. “Laudato si”).
Peccati derivati: insensibilità del cuore, inquietudine, violenza nell’appropriazione, attaccamento, gelosia morbosa, miopia spirituale, avidità.
Papa Francesco:Io sento questa lotta nel mio cuore fra la comodità o il servizio agli altri, fra divertirmi un po’ o fare preghiera e adorare il Padre, fra una cosa e l’altra? Sento “la voglia di fare il bene" o c’è «qualcosa che mi ferma, mi torna ascetico? Io credo che la mia vita commuova il cuore di Gesù? Se io non credo questo devo pregare tanto per crederlo, perché mi sia data questa grazia” (19.01.2017).
Evagrio Pontico (345 ca-399): L'avarizia è la radice di tutti i mali e nutre come maligni ramoscelli le rimanenti passioni e non permette che inaridiscano quelle fiorite da essa. Chi molto possiede soggiace alle preoccupazioni e, come il cane, è legato alla catena, e, se viene costretto ad andarsene, si porta dietro, come un grave peso e un'inutile afflizione, i ricordi delle sue ricchezze, è punto dalla tristezza e, quando ci pensa, soffre molto, ha perso le ricchezze e si tormenta nello scoramento. Il desiderio di ricchezze dell'avaro non è mai sazio, egli le raddoppia e subito desidera quadruplicarle. L’ avaro lavora duramente mentre quello che non possiede nulla usa il tempo per la preghiera e la lettura. Come il mare che non si riempie mai completamente pur ricevendo l’acqua di tutti i fiumi della terra: “allo stesso modo il desiderio dell’avaro non è mai sazio, accumulato del denaro, subito ne vuole il doppio, e poi il doppio del doppio e così via in una progressione inarrestabile che finisce solo con la morte”.
Domande: Tieni tutto per te, anche a costo che si rovini e che vada a male. Tu non doni nulla, al massimo presti sperando di riavere in fretta e con gli interessi. Provi l'avidità, la brama di possedere, la fiducia smodata riposta nel denaro? Sei disonesto, ti circondi di cose superflue? Ti procuri lussi inutili, comodità e abitudini dispendiose? Hai l'abitudine a essere insoddisfatto per ciò che possiedi e bramoso di ciò che non ti è dato? Consideri le conseguenze terribili della fame di soldi: liti familiari, ansie e falsi timori, tradimenti, frodi, inganni, spergiuri, violenza e indurimento del cuore? Che cosa pensi di poter donare agli altri?
Come uscirne: è importante riconfermare alcuni principi elementari della fede cristiana: i beni della terra ci provengono da Dio e hanno da Dio una destinazione universale. Bisogna passare a uno stile di vita fatto di generosità, disinteresse, condivisione, gratuità cioè dare senza aspettarsi il contraccambio e dare soprattutto a chi è nel bisogno.
UN “DECALOGO” CONTRO L’AVARIZIA
1. Non sottovalutare il vizio.
2. Ricordarsi l’origine dei beni.
3. Ricordarsi il fine dei beni.
4. Praticare la sobrietà.
5. Fiducia nella Provvidenza.
6. Generosità.
7. Aiutare i poveri.
8. Concreto nel dono.
9. Rovesciare le prospettive.
10. Meditare sulla croce.
3° La lussuria.
La cupidigia del ricco lo rende vanitoso. La sua personalità si realizza nelle apparenze, nel far vedere agli altri ciò che lui può permettersi. Ma l'apparenza maschera il vuoto interiore. La sua vita è prigioniera dell'esteriorità, della dimensione più superficiale ed effimera dell’esistenza.. Il vero problema del ricco: la radice dei suoi mali è il non prestare ascolto alla Parola di Dio; questo lo ha portato a non amare più Dio e quindi a disprezzare il prossimo”(Papa Francesco – quaresima 2017).
Il sesso rimane imprigionato nella sua materialità denudata da ogni segno simbolico, è solo “carne” e l’uso e l’abuso del nudo televisivo o pubblicitario ne è la continua attestazione. Mai come in questo caso si vede che la virtù calpestata non è tanto quella della castità quanto piuttosto quella della temperanza” (Gianfranco Ravasi).
Vi sono uomini di Chiesa che per primi sviano l’attenzione: proponendo una versione etico-moralistica della castità, ne impoveriscono il valore simbolico. E non sono folli, sono amanti. Amanti di Dio” (Salvatore Natoli).
La lussuria non è un’imperfezione dei corpi belli e avvenenti ma dell’anima pervertita che ama i piaceri sensibili abbandonando la temperanza” (S.Agostino)
La lussuria si rivela più grave per il fatto che uno si fa trascinare dalla concupiscenza fino a commettere un‘ingiustizia” (S. Tommaso d'Aquino).
Una parola ci libera da tutto il peso e il dolore di una vita: questa parola è amore” (Sofocle).
Amore è un demone possente che sta tra i mortali e gli immortali” (Platone).
L’amore coniugale, che persiste attraverso mille vicissitudini, mi sembra il più bello dei miracoli, benché sia anche il più comune” (Francois Mauriac).
Lussuria: dal latino LUXURIA (abbondanza). Smoderato appetito carnale. Non è in discussione la sessualità voluta e benedetta da Dio, che procura piacere fisico, alimenta l’amore per il coniuge e porta al dono della vita. Vizio è l’uso errato di questa sessualità per l’amore (disordinato) di sé. “La lussuria è un desiderio disordinato o una ricerca sregolata di piacere fisico. Il piacere sessuale è peccato quando è ricercato per se stesso, isolato dalle finalità unitive e creative” (Catechismo C.C.2351). Lussurioso è chi sceglie di vivere per godere il più possibile e senza freni tutti i piaceri della carne, frutto della pansessualizzazione imperante. Chi ne è posseduto tende ridurre l’amore a mera possessione schiavo di un moto impetuoso, una passione sfrenata. È l’assoluto annientamento della ragione di fronte al sentimento che scompiglia l’armonia originaria della sessualità umana e la fa ripiegare su se stessa in un cieco e tormentoso bisogno di ammasso opaco di carne. Il costante volgersi del pensiero al desiderio impedisce il normale svolgimento delle incombenze quotidiane. Il Vizio della lussuria distrugge profana la santità del corpo, ferisce l’altro, se stessi e Dio.
Nella Bibbia: è famoso il racconto di due anziani pieni di perverse intenzioni che al tempo del profeta Daniele insediarono la casta Susanna, poi la fecero condannare a morte e infine furono puniti con la sorte che avevano preparato per lei (Dn.13). Il Signore permise che i suoi nemici invidiosi lo chiamassero impostore, bestemmiatore, indemoniato ... ma non permise che lo tacciassero riguardo alla purezza, tanto che potè sfidare pubblicamente i suoi avversari, dicendo: “Chi di voi può accusarmi di peccato?” e tutti tacquero.
La lussuria nel mondo: La rivoluzione sessuale e il femminismo di fine anni ’60, hanno rappresentato l’apripista per fenomeni culturali e, purtroppo, anche giuridici che qualcuno continua, orgogliosamente, a chiamare “conquiste della civiltà”. Sotto i suadenti cartelli del “vietato vietare”, si faceva strage dell’aurea virtù della purezza e distruggeva il sacrosanto valore della verginità. Possiamo riconoscere tale vizio nel tradimento (che spesso vediamo nelle serie televisive) ma anche nei rapporti prematrimoniali o nell’omosessualità ma anche nell’aborto o dell‘uso di contraccettivi. In quest’ultimi casi, infatti, si viene meno alla finalità divina poiché ogni atto sessuale tra coniugi deve non solo essere suscitato dall’amore ma deve essere anche aperto alla vita.
Peccati derivati: cecità nell’accogliere l’altro offuscato dal desiderio sessuale – svuotamento interiore – insaziabilità
Papa Francesco:Un’educazione sessuale che custodisca un sano pudore ha un valore immenso, anche se oggi alcuni ritengono che sia una cosa di altri tempi. È una difesa naturale della persona che protegge la propria interiorità ed evita di trasformarsi in un puro oggetto. Senza il pudore, possiamo ridurre l’affetto e la sessualità a ossessioni che ci concentrano solo sulla genitalità, su morbosità che deformano la nostra capacità di amare e su diverse forme di violenza sessuale che ci portano a essere trattati in modo inumano o a danneggiare gli altri” (AL. 280)
Evagrio Pontico (345 ca-399): Una colonna poggia sulla base e la passione della lussuria ha le fondamenta nella sazietà. La passione sta tranquilla non prestare fede a chi ti annuncia che hai raggiunto l'apatheia. Non avere familiarità a lungo con un volto immaginato affinché non ti si appicchino le fiamme del piacere e non bruci l'alone che circonda la tua anima.
Domande: Come giudichi la mentalità diffusa che spaccia il disordine sessuale per conquista e fa credere che ogni istinto debba trovare immediata soddisfazione? Hai coscienza dei danni gravi nella società: per il sesso si litiga, si minaccia, si uccide; la libidine alimenta uno stile di vita fatuo, degenera spesso nella prostituzione, nel ricatto, nella pedofilia? Ti fai schiavo del sesso, del disordine morale che mette a rischio persone, famiglie e società? Cedi a immagini proposte ad arte, a voci allusive, alla pornografia in video e in rete?
Come uscirne: Tutti abbiamo delle fantasie o dei pensieri che vanno contro il sesto comandamento; l’importante è non diventino una torbida ossessione, una sorta di “chiodo fisso”. Il vizio si combatte con la castità. Questa virtù non riguarda solo i religiosi ma tutti e chiede di essere coltivata in tutte le situazioni di vita, dagli adolescenti ai giovani, dai celibi agli sposati. La castità è possibile e richiede il dominio di sé. Ci vuole tempo e impegno. La condizione per una vita casta è saper orientare le proprie energie in un progetto di vita degno di essere vissuto.
Chi non riesce a dominare con facilità i propri sensi, presto o tardi perderà la purezza. Infatti gli occhi sono chiamati le finestre dell'impurità; la lingua, il parlare scandalosamente è la rovina della propria purezza e dell'altrui; le orecchie allontanarsi da chi tiene cattivi discorsi; il tatto grande rispetto alla propria ed all'altrui persona; il cuore è fatto per amare, però non tutti gli amori sono leciti e bisogna subito troncare gli affetti perversi. Il cuore umano non tenuto a freno, porta nell'abisso della impurità e poi nell'abisso infernale.
4° La gola
Lazzaro ci insegna che l’altro è un dono. Il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita. Il primo invito che ci fa questa parabola è quello di aprire la porta del nostro cuore all'altro, perché ogni persona è un dono, sia il nostro vicino sia il povero sconosciuto. Ogni vita che ci viene incontro è un dono e merita accoglienza, rispetto, amore” (Papa Francesco – quaresima 2017).
Il cibo è non “cosa”, ma “dono”. Non semplice oggetto di cui appropriarsi, bensì esperienza di vita ricevuta” (Andrea Lonardo)
Il cibo viene sempre dopo di Dio, quando il cibo sostituisce Dio diventa un idolo, una divinità pagana vera e propria” (Rino Fisichella).
Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che altro facciate, fate ogni cosa alla gloria di Dio” (1 Cor. 10, 31).
All’affamato spetta il pane che si spreca nella tua casa. Le opere di carità che voi non compite sono altrettante ingiustizie che voi commettete” (San Basilio 330 – 379 d.C.)
La gola è un vizio che non finisce mai, ed è quel vizio che cresce sempre, quanto più l'uomo invecchia” (Carlo Goldoni).
Davvero la cucina e la tavola sono l’epifania dei rapporti e della comunione. Del resto, il cibo è come la sessualità: o è parlato oppure è aggressività, consumismo; o è contemplato e ordinato oppure è animalesco; o è esercizio in cui si tiene conto degli altri oppure è cosificato e svilito; o è trasfigurato in modo estatico oppure è condannato alla monotonia e alla banalità” (Enzo Bianchi).
Gola: dal latino GULA, cavità animale nella quale immettere il cibo per saziarsi: è un richiamo alla nostra animalità. Se è un bene dare l'alimento al corpo, è però un male l'esagerare nella quantità ed anche nella qualità. Il gusto e olfatto sono i sensi più arcaici che mettono in moto le zone più primitive del nostro cervello, quelle su cui i nostri ragionamenti, i nostri propositi, la nostra buona volontà hanno una scarsissima incidenza. Il peccato di gola non è solo o semplicemente la mera ingordigia o la smodata consumazione di cibo, ma più seriamente il lusso alimentare, la predilezione esclusiva per la cucina raffinata, la propensione a cibarsi esclusivamente di pietanze pregiate e costose. Questo peccato consiste nel piacere sregolato. Siamo golosi quando assumiamo cibo in eccesso (bulimia) ma anche quando soffochiamo questo desiderio (anoressia). La bulimia e l’anoressia non sono semplicemente delle malattie, ma dei sintomi di una sofferenza dello spirito, quando non ha ancora trovato un terreno solido che garantisca che vale la pena vivere sempre e comunque. Chi non sa frenare la gola, difficilmente è in grado di frenare gli altri sensi, per cui si può affermare che spesso chi cede alla gola, diventa debole in fatto di purezza.
Nella Bibbia: troviamo scritto “state ben attenti che i vostri cuori non si appesantiscono in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita” (Lc. 21, 34). Gesù volle dare un grande esempio di penitenza corporale, restando digiuno per quaranta giorni e quaranta notti. I Santi persuasi della necessità di seguire le orme di Gesù, erano molto limitati nel cibo e per lo più si contentavano dello stretto necessario. Coloro che trattano troppo delicatamente la gola e assecondano il vizio, invertono l'ordine voluto da Dio, cioè non mangiano per vivere, ma vivono per mangiare. Il loro Dio è lo stomaco; ad esso rivolgono le cure principali della giornata; imitano in qualche modo le bestie, le quali non hanno altra preoccupazione.
La gola nel mondo: la società non educa alla sobrietà anzi pubblicità, ricette, supermercati, ostentano cibo e propongono l’abbuffata. Il nostro è un mondo di golosi. In realtà da questo vizio derivano anche mali come l’alcolismo e la droga, espressioni di una vita nella quale si cerca di addormentare l’angoscia per l’assenza di Dio.
Peccati derivati: cupidigia – spreco – avidità – elucubrazioni mentali
Papa Francesco: “Nel mondo ci sono ancora troppe persone, specialmente bambini, che soffrono per endemiche povertà e vivono in condizioni d’insicurezza alimentare – anzi di fame –, mentre le risorse naturali sono fatte oggetto dell’avido sfruttamento di pochi ed enormi quantità di cibo vengono sprecate ogni giorno” (09.01.2017).
Evagrio Pontico (345 ca-399): “Saziano la strozza i cibi fastosi e nutrono l'insonne verme dell'intemperanza. Un ventre indigente prepara ad una preghiera vigile, al contrario un ventre ben pieno invita ad un lungo sonno. La preghiera del digiunatore è come il pulcino che vola più alto dell'aquila mentre la grassa digestione dei cibi offusca la mente.
Se ti concedi al desiderio dei cibi nulla più ti basterà per soddisfare il tuo piacere. Non compiangere il corpo che si lagna per lo sfinimento e non rimpinzarlo con pranzi sontuosi: renderà schiava la tua anima e ti menerà servo della lussuria”
Domande: Hai un rapporto irrazionale con il cibo, i vizi del fumo, dell’alcool, delle droghe, la dipendenza che ti fa schiavo? Sei condizionato dall’abitudine, dalle mode, dalla pubblicità, affievolito nella capacità di autocontrollo? Il frigorifero è il tuo rifugio? A tavola cominci per primo senza aspettare nessuno? Quando hai finito ti alzi e te ne vai? Mangi per vivere o vivi per mangiare?
Come uscirne: bisogna recuperare il senso dell’autocontrollo, ascoltare le vere necessità del corpo, darsi un orario e non mangiucchiare di continuo. Quale penitenza per combattere questo vizio la pratica del digiuno e del fioretto. Si acquista il dominio di se stessi, per cui con facilità si possono tenere a freno gli altri sensi del corpo; si scontano i peccati commessi col corpo. È uso cristiano consumare il pasto in un contesto di preghiera. Si chiede la benedizione di Dio e si rende grazie sperando che del cibo ci si possa servire sempre in bene.
La mortificazione della gola: un piccolo elenco.
1) Sentendo la sete, non bere subito oppure bere in quantità minore
2) Fuori dei pasti ordinari, non prendere alcun cibo o bevanda
3) Avendo desiderio di mangiare rimandare ad altro orario .
4) Tenere in bocca qualche sostanza amara o disgustosa per contrariare il gusto.
5) Privarsi dello zucchero nel prendere il caffè oppure il latte.
6) Stando à tavola, mangiare e bere senza avidità, anzi scegliere le porzioni meno appetitose.
7) Non lamentarsi se i cibi sono in poca quantità o se sono mal preparati.
8) Non parlare dei cibi che piacciono di più e non brigare per averli.
9) Dare ai poverelli il denaro che si vorrebbe destinare ai gelati, alle bibite o ai dolciumi.
10) Prendere le medicine senza lamentarsi e senza lasciare trasparire la naturale ripugnanza.



Si acquista il dominio di se stessi, per cui con facilità si possono tenere a freno gli altri sensi del corpo; si scontano i peccati commessi col corpo; nell'anima scende di continuo la rugiada della grazia divina, per cui si è sempre più disposti ad operare il bene.
5° L’invidia
Le notizie le guardiamo sui giornali o sui telegiornali: oggi tanta gente muore e quel seme di guerra che fa l’invidia, la gelosia, la cupidigia nel mio cuore, è lo stesso — cresciuto, fatto albero — della bomba che cade su un ospedale, su una scuola e uccide i bambini, è lo stesso! La dichiarazione di guerra incomincia qui, in ognuno di noi. Si tratta “non solo di custodire la pace» ma anche di «farla con le mani, artigianalmente, tutti i giorni. Così riusciremo a farla nel mondo intero” (Papa Francesco 16.02.2017)
Dio ha creato l’uomo per l’immortalità, ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo” (Sap. 2,23-24).
Dove c’è invidia e ambizione egoistica, là c’è disordine e ogni azione cattiva” (Gc. 3,16).
In una società di consumo ci sono inevitabilmente due tipi di schiavi: i prigionieri delle dipendenze e i prigionieri dell’invidia” (Ivan Illich).
L'invidioso mi loda senza saperlo. L’invidia degli altri è musica per la nostra vanità. L’invidioso è un impotente incapace di rassegnarsi” (Khalil Gibran).
Molti sono disposti a esibire i propri vizi, ma nessuno oserebbe vantarsi della propria invidia” (Francois La Rochefoucauld).
Tutti sanno condividere le sofferenze di un amico ma ci vuole un’anima veramente bella per godere dei suoi successi” (Oscar Wilde).
Invidia: dal latino Invidere composto di IN (separare) VIDERE (guardare). Guardare con spregio. Sembrerebbe l'invidia un piccolo vizio, eppure tra i vizi capitali occupa un posto eminente, in quanto è comune e dà origine a molti peccati. L’invidia nasce dalla miseria interiore e consiste nel sentimento di dolore e di tristezza perché la felicità altrui è fonte di personale frustrazione; giudica negativamente per quello che sono o hanno e i successi altrui li attribuisce alla fortuna o al caso o sostiene che siano frutto d’ingiustizia e cade in uno stato d’inquietudine costante costante, impedendogli di alimentare i propri pregi e i propri talenti, sprecandoli. Vorrebbe avere anche lui ciò che gli altri possiedono: cose ma anche qualità fisiche e morali. L’invidioso non lavora mai su di sé per sciogliere l’invidia che ha dentro rimane nei suoi limiti, sperando di vedere gli altri nella stessa sua miseria, in modo che gli altri non gli possano fare da specchio nel quale vedrebbe riflessa la sua condizione spirituale e materiale nella quale vive. Butta in abbondanza odio, maldicenze, mormorazioni, giudizi avventati e perversi e avvelena sé e gli altri.
L’invidia non va comunque confusa con la sana competizione. Il desiderio di poter avere anche noi il bene degli altri e la loro fortuna, è disdicevole soltanto quando il successo altrui lo consideria un male per se, quando appunto si considera il bene degli altri quale diminuzione della propria gloria e della propria superiorità. Se è vero che tutti i vizi capitali sono anche “sociali”, ossia hanno un riflesso sulla vita associata, l’invidia vanta il primato negativo per lo sgretolamento e la dissoluzione dei rapporti umani, alimentando reciproca diffidenza che sfocia nel proliferare di lotte e conflitti tra individui e fazioni, e mina alla radice ogni sentimento di solidarietà. Non ha rispetto a vincolo di sangue o di amicizia; cosicchè troviamo il fratello che per invidia lotta il fratello; la sorella che perseguita la sorella, l'amico che fa guerra all'amico. Tutto ciò è rilevabile in ogni epoca della storia, ma in questo tempo, ossia in un contesto sociale ove l’individualismo sembra approfondirsi e allargarsi, l’invidia pone un’accelerazione pericolosissima allo sgretolamento della società. È molto diffuso e ciascuno di noi ne ha fatto esperienza per aver invidiato o essere stato invidiato.

Nella Bibbia: Caino, il primo figlio di Adamo ed Eva, il primo invidioso. Nel racconto biblico vedeva le sue offerte rifiutate da Dio in favore di quelle offerte da Abele, e per invidia lo assassinò.

L’invidia nel mondo: è un vizio che colpisce tutti ma passa ignorata perché non sappiamo di essere invidiosi.
Peccati derivati: gelosia, malaugurio, confronto, auto giudizio negativo da confronto.
Papa Francesco: “Caino preferì l’istinto, preferì lasciar cuocere dentro di sé questo sentimento, ingrandirlo, lasciarlo crescere. Così crescono le inimicizie fra di noi: cominciano con una piccola cosa, una gelosia, un’invidia e poi questo cresce e noi vediamo la vita soltanto da quel punto e quella pagliuzza diventa per noi una trave. Ma la trave distrugge il legame di fratellanza, distrugge la fraternità (13.02.2017).
Evagrio Pontico (345 ca-399): “L'invidia genera l'ira, perché quanto più l'animo è esacerbato dal livore interiore, tanto più perde la mansuetudine della tranquillità. Dall'ira nasce la tristezza, perché la mente turbata, quanto più è squassata da moti scomposti, tanto più si pasce esclusivamente della tristezza che segue tale turbamento. Dalla tristezza si arriva all'avarizia, poiché quando il cuore, confuso, ha perso il bene della letizia interiore, cerca all'esterno motivi di consolazione, e, non potendo ricorrere alla gioia interiore, desidera tanto più ardentemente di possedere i beni esteriori. A questo punto sopravanzano i due vizi carnali, gola e lussuria.
Domande: Provi invidia per le qualità e i beni di un altro? Desideri il male altrui con sentimenti di avversione e di odio, parole mordaci, discorsi di mormorazione e di calunnia. Quando competi con gli altri hai intenzione di umiliarli? Ti rendi conto del tuo egocentrismo che t’impedisce di desiderare il bene per gli altri e ti rende incapaci di amare? In fondo in fondo hai paura degli altri che siano giudicati migliori di te. Domina il tuo cuore l’ostilità, l’odio, l’idea che il male altrui possa essere bene per te e provi rancore, tormento interiore, insoddisfazione. Non sai mettere un freno ai desideri, quando chiami ’invidia “sana competitività”. Così hai cedimento dinanzi a una società che alimenta continuamente l’ambizione, l’avidità e la vuota curiosità.
Come uscirne: Come combattere questa passione triste? Come può sconfiggerla chi ne è schiavo? E come deve fronteggiarla chi è invidiato? Chi ha paura di essere oggetto di sguardi malevoli? Chi teme il “malocchio”? Vari intellettuali, nel corso dei secoli, hanno affrontato tale questione. Ci sono coloro che suggeriscono di trasformare l’invidia in un atteggiamento di competizione, oppure in uno sforzo di emulazione o anche nell’impegno a vivere con autenticità la propria esistenza. Bisogna intraprendere la via dell’umiltà ovvero confrontarsi con gli altri per fare a tutti i costi la verità. Imparare a riconoscere ciò che si è, e ciò che sono gli altri. La via maestra è una sola, quella dell’amore
6. L’ira
Si può discutere” con il Signore? Sì a lui piace. A lui piace discutere con noi”. Quando “qualcuno mi dice: “Ma, padre, io tante volte quando vado a pregare, mi arrabbio con il Signore...” “Anche questo è preghiera! A lui piace, quando tu ti arrabbi e gli dici in faccia quello che senti, perché è padre! Ma questo è anche un “eccomi” (Papa Francesco 24.01.2017).
Collera? Ira? Si tratta del vizio visibile per eccellenza, capace di sfigurare chi ne è preda, producendo anche effetti psicosomatici. Si mostra fisiologicamente nel volto e nei gesti di tutto il corpo: il viso diviene rosso, gli occhi si accendono e paiono fulminanti, i muscoli facciali diventano tirati, la bocca si apre facendo apparire i denti serrati e compressi gli uni sugli altri, il parlare è concitato, urlato, non originato dal respiro ma da una forza selvaggia e animalesca, le braccia si muovono con gesti minacciosi” (Enzo Bianchi).
L’ira è un’erbaccia, l’odio è l’albero” (Sant’Agostino).
L'ira: un acido che può provocare più danni al recipiente che lo contiene che a qualsiasi cosa su cui venga versato” (Seneca).
Arrabbiarsi è facile, ne sono tutti capaci, ma non è assolutamente facile, e soprattutto non è da tutti arrabbiarsi con la persona giusta, nella misura giusta, nel modo giusto, nel momento giusto e per la giusta causa” (Aristotele).
Ira: dal latino Ira riconducibile a IRE (andare). Dal sanscrito IR-IN (Violento). Accendimento per impeto sanguigno. L’ira non è di per se ne buona ne cattiva poiché ci può essere un irritazione nei confronti del male come nei confronti del bene. L'ira, quindi, non è l'occasionale esplosione di rabbia. L’ira non manca mai di ragioni ma il più delle volte esse non sono valide. E anche quando lo fossero, l’ira ha il difetto di spegnere la luce della ragione. Diventa un vizio in presenza di un'estrema suscettibilità che fa sì che anche la più trascurabile delle inezie sia capace di scatenare una furia selvaggia. Nell'iracondo, infatti, vi è l'impossibilità a dialogare, a saper ascoltare l'altro, non c'è in lui la pazienza e non è in grado di amare il prossimo. Aggiunge ostilità a ostilità. Un impeto dell’animo che si sfoga fino alla vendetta e si vuole respingere un’ingiuria superandola di gran lunga non solo con altre ingiurie verbali ma anche con azioni concrete. Si può colpire a morte, o venire duramente alle mani, non solo in un momento in cui uno perde la testa, ma anche a sangue freddo, in perfetta lucidità.
Nella Bibbia: Gesù nel tempio pieno di ladroni si lascia prendere da una santa ira (Gv. 2, 14-17) e mostra anche i suo sdegno contro scribi e farisei (Mt 23, 13-32). Esortava inoltre san Paolo: “ non tramonti il sole sopra la vostra ira” (Ef 4, 26).
L’ira nel mondo: per osservare gli effetti dell’ira basta riflettere sui gli episodi di violenza che vediamo nei programmi televisivi, negli stadi, nella politica…
Peccati derivati: Iracondia – cattiveria – violenza – rabbia – frustrazione.
Papa Francesco: Se io ho nel cuore il rancore per qualcosa che qualcuno mi ha fatto e voglio vendicarmi, questo mi allontana dal cammino verso la santità. Niente vendetta. “Me l’hai fatta: me la pagherai!”. Questo è cristiano? No. “Me la pagherai” non entra nel linguaggio di un cristiano. Niente vendetta. Niente rancore. “Ma quello mi rende la vita impossibile!...”. “Quella vicina di là sparla di me tutti i giorni! Anch’io sparlerò di lei…”. No. Cosa dice il Signore? “Prega per lei” – “Ma per quella devo pregare io?” – “Sì, prega per lei”. E’ il cammino del perdono, del dimenticare le offese. E’ brutto il rancore. Il rancore, la voglia di vendicarmi: “Me la pagherai!”, questo non è cristiano (19 febbraio 2017).
Evagrio Pontico (345 ca-399): L'ira è una passione furente e con facilità fa uscir di senno quelli che hanno la conoscenza, imbestialisce l'anima e degrada l'intero consorzio umano. L’iracondo vede qualcuno e arrota i denti. La mente dell'iracondo è continuamente agitata ed egli non darà l'acqua all'assetato e, se gliela darà, sarà intorbidata e nociva; gli occhi dell'animoso sono sconvolti e iniettati di sangue e annunziano un cuore in tumulto. Cristo reclina il capo in spirito mite e solo la mente pacifica diviene dimora della Santa Trinità. Fugge l'uomo onesto l'alloggio malfamato, e Dio un cuore rancoroso: come il fumo della paglia offusca la vista così la mente è turbata dal livore durante la preghiera.
Domande: Quali sono le occasioni che fanno scatenare la tua ira? Nutri sentimenti di avversione verso i fratelli quando senti colpito il tuo io? Hai la tentazione di "farla pagare" a chi ti ha umiliato, il piacere perverso del "far del male a qualcuno", i giudizi taglienti e la gratuita durezza verso gli altri? Quando qualcuno ti fa un’osservazione ti arrabbi … e di più quando è giusta? Quando fai qualche cosa che non va pensi “a chi dare la colpa”? È sempre un altro che ha colpa di come sei, di come non sei, del fatto che non sei come vorresti essere e te la prendi con lui?
Come uscirne: Avere pazienza in tutti gli eventi quando capita una disgrazia, una malattia, una perdita, ecc.... è inutile arrabbiarsi. Anche quando si desse libero sfogo alla collera, con bestemmie, parolacce ed imprecazioni, non si aggiusterebbe niente. Quando ci troviamo a discutere cerchiamo di contare fino a dieci prima di parlare e fra due parole cerchiamo di scegliere sempre quella meno dura, la meno aggressiva. Per il cristiano il passo decisivo per uscire dall’ira risulta essere il perdono proposto da Gesù. Esso sconvolge ogni schema giuridico ed eleva all’amore per il prossimo. Bisogna inoltre cercare di evitare tutte le occasioni in cui potrebbe insorgere l’ira. Il cammino per sconfiggere la collera è lungo e impegnativo in quanto richiede la capacità di porsi una domanda radicale: chi è l’altro per me? È una persona con cui entrare in relazione, di cui essere custode (cf. Gen 4,9), oppure è qualcuno da dominare a mio piacimento, fino a negare la sua stessa esistenza (cf. Gen. 4,8)? E i cristiani dovrebbero ricordare la risposta che viene dalla fede: l’altro è “un fratello per cui Cristo è morto” (1Cor 8,11), e pertanto occorre porre il rapporto con lui davanti al Signore
7. L’accidia
E sempre questo tempo ci rivolge un forte invito alla conversione: il cristiano è chiamato a tornare a Dio «con tutto il cuore» (Gl. 2,12), per non accontentarsi di una vita mediocre, ma crescere nell'amicizia con il Signore” (Papa Francesco – quaresima 2017).



L’accidia esprime un forte disagio esistenziale. Un tempo era “il demone del mezzogiorno” che tentava nell’ora più calda i monaci delle prime comunità in Egitto. Oggi, in Occidente, l’accidia è il demone notturno che minaccia ciascuno di noi col suo vuoto, rapporto deformato con lo spazio. Non ci si deve scherzare: l’accidia può portare diritti all’Inferno” (Enzo Bianchi).
L'accidia è pigrizia, negligenza nel fare il bene, nel compiere i propri doveri verso se stessi e verso la collettività” (Cesare Marchi).
"Mi sento vecchio, usato, nauseato di tutto. Gli altri mi annoiano come me stesso. Ciò nonostante lavoro, ma senza entusiasmo e come si fa un compito. Non attendo altro dalla vita che una sequenza di fogli di carta da scarabocchiare in nero. Mi sembra di attraversare una solitudine senza fine, per andare non so dove. E sono io stesso a essere di volta in volta il deserto, il viaggiatore e il cammello" (Gustave Flaubert ).
Accidia: dal greco AKEDIA composto da A (senza) KEDIA (cura). Senza cura per la curiosità dell’anima; non ha un significato univoco: significa non-curanza, trascuratezza, indolenza. È una crisi che oltre ad avere forti ripercussioni sulla vita spirituale lambisce e colpisce anche il piano fisico e psicologico. Tra i sette vizi l’accidia è la più pericolosa perché agisce in sordina, senza dare segnali, senza fare rumore; quando prende corpo diventa letale e lo spirito rimane narcotizzato, vulnerabile, senza difese. Forse il suo primo sintomo si identifica con una sorta di superficialità che pian piano degenera fino a segnare l’abbandono della pratica religiosa. Si mette tutto in discussione: dai legami più intimi a scelte radicali che hanno segnato la giovinezza. Può essere definita una sorta di depressione spirituale, un malanno oscuro che propaga i suoi tentacoli nelle parti più recondite dell’animo umano. La crisi depressiva non ha particolari sintomi, se non sparute avvisaglie; quando questo male si sprigiona ha un potere deflagrante e quindi da un momento all’altro si viene colpiti dal “mal di vivere”. In conseguenza si rimanda da un giorno all'altro un buon proponimento, senza poi attuarlo per non imporsi dei sacrifici. Questo vizio capitale snerva poco per volta l'anima, come l'ozio snerva il corpo. Per l'accidia la volontà diviene debole; si decide e non si decide, vuole e non vuole. L’accidia è una vecchia arpia che tesse lentamente i fili di una ragnatela attorno a un povero cuore che pian piano si atrofizza e muore di inedia. Un vizio che predilige i solitari. “I Padri spirituali la intendono qui come una forma di depressione dovuta al rallentamento dell’ascesi, al venir meno della vigilanza, alla mancata custodia del cuore. “Lo spirito è forte, ma la carne è debole” (Mt 26,41). Più si è in alto, più, quando si cade, ci si fa male. Lo scoraggiamento, doloroso, è l’opposto della presunzione. Chi è umile non si stupisce della sua miseria: questa lo porta a una maggiore fiducia, a rimanere fermo nella costanza” (Catechismo C.C. 2733).
Nella Bibbia: l’accidia porta la nostra anima ad assopirsi, ci fa deviare dal nostro impegno e ci rende poco vigili come successe anche agli apostoli (Mc14, 32). Quando i nostri sensi non sono molto svegli, in noi nasce l’accidia, e si perde il gusto per le cose spirituali.
L’accidia nel mondo: è proprio il nostro modo moderno di vivere, compulsivo e iperattivo, genera quella insoddisfazione, sconforto. La scomparsa di Dio dall’orizzonte dell’uomo non è indolore ma soffoca tanti ideali e questo clima favorisce ozio e pigrizia. Basti pensare a coloro che vogliono togliere i crocifissi dalle scuole o dai tribunali.
Peccati derivati: disinteresse - apatia - meccanicità – scarsa apertura al nuovo – immobilismo – noia - malinconia – pigrizia – infingardaggine – tristezza – depressione – irrequietezza – indolenza - indifferenza.
Papa Francesco:Vivere nel frigo, così, perché tutto rimanga così è da cristiani pigri, che non hanno la voglia di andare avanti, che non lottano per fare le cose che cambiano, le cose nuove, le cose che ci farebbero bene a tutti, se queste cose cambiassero” (17.01.20117).
Evagrio Pontico (345 ca-399: L'acedia è una debolezza dell'anima che insorge quando non si fronteggia nobilmente la tentazione. Infatti, la tentazione è per un'anima nobile ciò che è il cibo per un corpo vigoroso. L'acedioso sbadiglia molto, si lascia andare facilmente al sonno, si stropiccia gli occhi, si stiracchia e, distogliendo lo sguardo dal libro, fissa la parete e, di nuovo, rimessosi a leggere un po', ripetendo la fine delle parole, si affatica inutilmente, conta i fogli, calcola i quaternioni, disprezza le lettere e gli ornamenti e infine, piegato il libro, lo pone sotto la testa e cade in un sonno non molto profondo. L’acedioso è pigro alla preghiera e di certo non si occuperà con diligenza dei doveri verso Dio. La pazienza, il far tutto con molta assiduità e il timor di Dio curano l'acedia. Disponi per te stesso una giusta misura in ogni attività e non desistere prima di averla conclusa, e prega assennatamente e con forza e lo spirito dell'acedia fuggirà da te”.
Domande: Sei pigro? Cerchi sempre di rimandare i tuoi impegni? Il tuo tempo è sempre quello del poi o del mai? Tutto è brutto, tutto fa schifo, tutto è noioso, ma forse sei tu hai messo gli occhiali neri e vedi tutto nero. A causa del tuo torpore, pigrizia, tristezza, e crisi di astinenza da stimoli e piaceri esteriori sei sempre triste e vuoto?

Come uscirne: aggrapparci a degli interessi, che sono come piccole scosse che aiutano a rimettere in circolo la linfa vitale delle motivazioni. Vivere il momento presente come dono per attimi di vero e autentico amore senza idealizzare il passato. È utile mantenere la giusta misura nel lavoro. L'epidemia individuale e collettiva di acedia – ormai secolarizzata e civilizzata – chiede anzitutto, che si riconosca il proprio debito nei confronti dei doni e dei talenti ricevuti. E in secondo luogo, chiede di ritrovare l’emozionante speranza di un buon rapporto con Dio. Senza grandezza d'animo, senza dignità degli affetti, senza incanti dello spirito non ci si libera dall’accidia.




LA LOTTA CONTRO I VIZI COSIDETTI CAPITALI NON HA FINE.



Ricerca compiuta nel mese di febbraio 2017 dal sacerdote Venturo Lorusso, oblato benedettino



Affinchè in ogni cosa sia glorificato Dio”
(Regola di S. Benedetto).



Tratto dal sito


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