M
E D I T A Z I O N I
PREMESSA
Papa
Francesco con il suo messaggio quaresimale 2017 chiede di
confrontarci con la parabola del “ricco epulone” . Nell’epulone
s’intravede drammaticamente la corruzione del peccato: “amore
al denaro, la vanità e la superbia”. Poiché i vizi capitali
“generano altri peccati, altri vizi” (Catechismo Chiesa Cattolica
n. 1865), ho preso l’impegno di esaminarmi a
tappe sui vizi capitali per
la “inquietudine di ricerca”, la “incompletezza di pensiero”
e la “immaginazione nel discernimento” che mi caratterizzano
(cfr. Papa 09.02.2017).
Dato
che l’amicizia si avvale dell’aiuto reciproco con la correzione
fraterna e con la preghiera l’un per l’altro.
“Sii
sempre in guerra con i tuoi vizi, in pace con i tuoi vicini, e lascia
che ogni nuovo anno ti trovi un uomo migliore”
(Benjamin
Franklin 1706 – 1790)
I
vizi capitali sono ancora attuali?
I
vizi capitali possono essere considerati una maniera di
ricomprendere e unificare l'agire umano nelle sue derive negative, ma
anche nei beni cercati attraverso di essi. Per effetto della colpa
originale, ci sono i germi dell'iniquità nell'anima umana. Tra i
vizi che albergano nel cuore, i più importanti sono quelli chiamati
capitali. La Chiesa ne propone sette e cioè: superbia, avarizia,
lussuria, ira, gola, invidia ed accidia. Si dicono capitali perché
danno origine a tutti gli altri vizi. E' bene notare che le
mancanze che si commettono in forza dei vizi capitali, non sempre
sono peccati gravi o mortali; ma lo possono essere, purtroppo non
raramente. Questi vizi si presentano, infatti, come
un'enciclopedia delle passioni umane: pur ricordando infedeltà e
trasgressioni, essi mostrano insieme un orizzonte più ricco rispetto
a quanto realizzato, un orizzonte anche di speranza perché mettono
davanti agli occhi una totalità di pienezza e di bellezza che può
dare senso e compimento alla vita. Parlare dei vizi induce a
toccare temi vasti e importanti: il corpo, l'anima, le donne, gli
intellettuali, il lavoro, la guerra, il denaro. Il discorso sui vizi
si rivela in realtà una sorta di enorme raccolta nella quale si
trova di tutto, un efficace schema classificatorio per parlare,
proprio come sostenevano i monaci, del "mondo”.
Uno
studio attento degli autori che si sono occupati di quest’argomento
rivela come la sbrigativa liquidazione dei vizi come inutile
retaggio del passato e l'invito a "lasciarsi andare",
prendendo tutto "così come viene", non ha certamente
reso la vita più sana, bella e interessante.
In
realtà il discorso sul vizio non intende per niente presentarsi
come una pedante pignoleria per complicarsi l'esistenza, esso è
piuttosto una questione di vita o di morte. I vizi ci
accompagnano nella vita di ogni giorno, anche se forse facciamo
fatica ad accorgercene, se non quando è troppo tardi.
Ma
che cos'è un vizio? Un'attività, un apprendimento
consolidato dall'uso frequente, “una certa stabilità
nell'agire, che costituisce come una seconda natura”.
Una
considerazione ulteriore può giungere dall'ambiente in cui è sorta
la riflessione sui vizi capitali. Il loro numero si può far risalire
biblicamente al passo di Pr 6,16: «Sei cose odia il Signore, anzi
sette gli sono in abominio», Anche nella letteratura pagana
si trovano classificazioni: “avaritia, laudis amor, invidus,
iracundus, iners, vinosus (=goloso), amator (= accidia)”
(Orazio).
L'elaborazione
dei vizi capitali tuttavia raggiunge il suo sviluppo completo a
partire dalla riflessione svoltasi in ambiente monastico ed
eremitico. (cfr. Giovanni Cucci).
N.B.
Classici in materia sono Evagrio Pontico (345-399) e Giovanni
Cassiano (360 circa - 435). Il primo nel suo Trattato pratico e il
secondo nelle sue Istituzioni cenobitiche ne elencano otto:
ingordigia, fornicazione, avarizia, collera, tristezza, acedia,
vanagloria e superbia.
Papa
Francesco: ”Quando trovo una persona anziana,
tante volte un sacerdote o una suorina, che mi dice: “Padre,
preghi per la mia perseveranza finale”. A quella persona viene
naturale chiedere se ha «paura», dopo aver vissuto “bene tutta la
vita, tutti i giorni” del suo “oggi nel servizio del Signore”.
Ma non è certo questione di paura, tanto che quelle persone
rispondono: “La mia vita non è ancora tramontata, io vorrei
viverla pienamente, pregare perché l’oggi arrivi pieno, pieno, con
il cuore saldo nella fede e non rovinato dal peccato, dai vizi, dalla
corruzione” (12.01.2017).
Domande:
Sei portato a denunciare i vizi degli altri e a scusare i tuoi?
Ritieni di capire tutto sui vizi e le virtù?
Come
uscirne: Mezzo infallibile di risveglio spirituale è
la frequenza ai sacramenti della Confessione e della Comunione.
La santissima Eucaristia è il Pane dei forti; ricorri a questo Cibo
Celeste e subito sentirai aumentare la forza spirituale. L'esame di
coscienza. Come lo specchio serve a vedere i difetti del volto, così
l'esame di coscienza fa scoprire i difetti dell'anima. Meditazione
e lettura spirituale giovano moltissimo al progresso spirituale.
Non è necessario impiegarvi molto tempo; bastano alcuni minuti al
giorno. Volendo, il tempo si può trovare.
1°
La superbia
“Dio
che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te”
(sant’Agostino).
“Il
gradino più basso di degrado morale è la superbia. L'uomo ricco si
veste come se fosse un re, simula il portamento di un dio,
dimenticando di essere semplicemente un mortale” (Papa messaggio
per la quaresima 2017).
“La
superbia sembra avere il primato” (Rino Fisichella).
“La
superbia è il vizio e il peccato con il quale l’uomo, contro
la retta ragione,
desidera andare oltre la misura delle sue condizioni - I superbi
mentre godono della propria superiorità, trovano fastidio nella
superiorità della verità” (S. Tommaso).
“La
superbia si preoccupa di chi abbia ragione: l’umiltà si preoccupa
di che cosa sia giusto” (Ezra Taft Benson).
“Non
essere mai superbo con l’umile. Non essere mai umile con il
superbo” (Jefferson Davis).
“L’ingratitudine
è figlia della superbia” (Miguel de Cervantes).
Superbia:
deriva
dal latino SUPERBUS (superbo), formato
da SUPER (sopra) e BUS (forza).
Che si mostra al di sopra con la forza. È
la regina di tutti i vizi, li governa, li sollecita e li accompagna,
radice di ogni peccato.
La superbia è soprattutto menzogna, falsificare la propria identità,
indossare abiti che non ci appartengono. L’uomo
nega la sua creaturalità e vuole diventare come Dio.
La superbia è il peccato del diavolo. Infatti, secondo la
tradizione, il peccato di Lucifero e degli angeli ribelli è un
peccato di orgoglio e di vanità. La
superbia è definita
un
amore
sregolato di sé, l’illogica presunzione di essere superiori agli
altri
e
sminuisce i meriti altrui e se ne serve
come strumenti.
Invece di adorare Dio, adora se stesso e rifiuta la dipendenza
creaturale
con l’ostentare
sicurezza e cultura.
La
superbia affonda le sue radici nel nucleo più profondo della natura
dell'uomo, sempre teso alla ricerca e all'affermazione della sua
identità.
Il superbo
teme delusioni e insuccessi
perché rivelerebbero la triste verità, quella di essere in realtà
un mediocre, un normodotato. Nietzsche
invoca il Super-uomo,
che
non è il "superbo", ma l'uomo "superiore", che è
tale perché rifiuta
la sottomissione.
Nella
Bibbia: Il primo peccato del primo uomo risulta
essere proprio questo vizio: essere come Dio (Gn. 3). La
vita terrena di Gesù Cristo fu una lotta continua al vizio della
superbia: nacque in una stalla, visse in una bottega facendo il
falegname e mori ignudo sulla Croce, tra due ladroni, come un
malfattore. In una parabola racconta il ritratto della
superbia: il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “o
Dio ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri,
ingiusti, adulteri … Digiuno due volte la settimana e pago la
decima di quanto possiedo …” (Lc 18, 11-12). Ciò che il
fariseo fa è riconosciuto solo come sua impresa personale,
un’autoesaltazione e compiacenza di sé a tal punto da non
essere neppure sfiorato dal pensiero che potrebbe essere un
peccatore. Il pubblicano è creditore nei confronti di Dio e
neppure ha la forza di alzare gli occhi verso di lui e chiedere il
suo perdono. La verità sulla propria vita appartiene al
pubblicano, non al fariseo che rimane fermo nel suo inganno: “Se
diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità
non è in noi” (1 Gv 1,8).
La
superbia nel mondo:
c’è uno spicchio di superbia in ognuno di noi. Siamo
perdutamente innamorati del nostro io e siamo affannati perché
questo io si affermi.
La superbia è radicata negli adulti che dicono: “ora basta parlare
di me, parliamo un po’ di te. Tu cosa pensi di me?” oppure in
quelli che proclamano: “Lei non sa chi sono!”. Si
desidera apparire, comparire, distinguersi, primeggiare, emergere e,
per questo, si mette in mostra, ostenta titoli, denaro, successi,
riconoscimenti, onori, cariche, conoscenze.
Peccati
derivati:
Il
brutto mostro della superbia
ha tanti sinonimi
come amor proprio, orgoglio, vanagloria, presunzione, vanità,
arroganza,
manie di grandezza, onnipotenza, utilizzo del potere per
sottomettere.
Papa
Francesco:
“Il serpente, il diavolo è astuto: non si può dialogare col
diavolo. Tutti
noi sappiamo cosa sono le tentazioni, tutti sappiamo perché tutti ne
abbiamo:
tante tentazioni di vanità, di superbia, di cupidigia, di avarizia,
tante!” (10.02.2017).
Evagrio
Pontico
(345 ca-399). “Il
demone dell’orgoglio spinge l’anima tanto da farla cadere dalla
cima più elevata, la convince a non riconoscere Dio come aiuto, ma a
credere che sia lei stessa la causa delle proprie buone azioni e la
spinge a guardare i confratelli dall’alto in basso, come se fossero
ignoranti e sciocchi - La
vanagloria
è una passione irragionevole e facilmente s'intreccia
con tutte le opere di virtù.
L'edera s'avvinghia all'albero e, quando giunge in alto, ne dissecca
la radice, così la vanagloria si origina dalle virtù e non si
allontana finché non avrà reciso la loro forza. La pietra lanciata
non raggiunge il cielo e la
preghiera di chi desidera piacere agli uomini non salirà fino a Dio.
Non metterai in vendita le tue fatiche per la fama,
né rinuncerai alla gloria futura per essere acclamato. Infatti,
l'umana
gloria si accampa in terra e sulla terra la sua fama si estingue,
mentre la gloria della virtù rimane in eterno.
Domande:
Dici troppo spesso IO. Io qua, io là etc etc. Pensi faccio
il bene solo in funzione di ciò che ne penseranno gli altri e per
catturare la stima. Pensi di “aver capito tutto tu”, in cui
tutti sono scemi e l’unico furbo sei tu? Ma sarà davvero così?
Riesco a gioire dei successi dei miei amici oppure li vedo solo
come ostacoli ai miei di traguardi? Esibisco con vanità la
bellezza fisica e le qualità date da Dio. Sono arrogante per
il desiderio di non dipendere da nessuno, e nemmeno da Dio, per il
vittimismo con cui cerco dare sempre una giustificazione.
Come
uscirne: il primo passo è ricercare la verità,
accettando il proprio piccolo posto nel creato, tra i figli di un
Dio creatore e padre e rendergli grazie per il dono gratuito
dell’esistenza. Il secondo passo è ripristinare un rapporto
genuino con Dio e gli altri nel quotidiano. Imparare a
controllare l’egoismo, saper collaborare, imparare ad accettare
i successi come i fallimenti. C’è una sola arma infallibile
contro l’orgoglio: l’umiltà. Se l’orgoglio è il padre di
tutti i vizi, l’umiltà è la madre di tutte le virtù, cioè
la consapevolezza dei propri limiti e la nostra dipendenza da Dio.
Dovremo dire: “Ubi humilitas ibi sapientia” (“dov’è
l’umiltà, lì è la sapienza” libro Proverbi,11,2). La verità
su se stessi proviene dalla capacità di ascolto e di gratuità
che sostengono la profonda intelligenza in ricerca della verità
ultima.
2°
L’avarizia.
“Dice
l'apostolo Paolo che «l'avidità del denaro è la radice di tutti i
mali» (1 Tm. 6,10). Essa è il principale motivo della corruzione e
fonte d’invidie, litigi e sospetti. Il denaro può arrivare a
dominarci, così da diventare un idolo tirannico (cfr Esort. ap.
Evangelii gaudium, 55). Invece di essere uno strumento al nostro
servizio per compiere il bene ed esercitare la solidarietà con gli
altri, il denaro può asservire noi e il mondo intero a una logica
egoistica che non lascia spazio all’amore e ostacola la pace”
(Papa Francesco – quaresima 2017).
“L’avarizia
è sicuramente uno dei sintomi più attendibili di una profonda
infelicità”
(Franz
Kafka).
“Il
denaro è un ottimo servo e un pessimo padrone”
(Anonimo).
“L'ultimo
vestito
ce lo fanno senza tasche - L'avarizia
è l'unico vizio
che, agli occhi
dei discendenti, si trasforma in una virtù” (Martin
Held)
“Possedere
è legittimo. Il problema inizia quando il denaro e i beni possiedono
noi. O ci ossessionano” (Renato Boccardo)
“Nessuno
al mondo vorrà mai ammettere di essere avaro! Tutti negano di essere
contagiati da questo tarlo che inaridisce il cuore. Non si possiede
mai abbastanza; si trova sempre un motivo per avere di più!
L'avarizia è una febbre maligna, che più è forte e bruciante e più
rende insensibili” (S. Francesco di Sales in “Introduzione
alla vita devota”).
“Tutte
le persone che possiedono in abbondanza si considerano ancora troppo
povere” (Sant’Ambrogio)
Avarizia:
deriva dal latino AVARUS che ha lo stesso tema di
AVIDUS (avido).
Che brama avere e non ama separarsene L’avarizia
è lo smodato
desiderio di ricchezza e di beni materiali.
Si esprime con un estremo contenimento delle spese non perché lo
imponga la necessità, ma
per il
gusto di risparmiare fine a se stesso per
possedere.
Da non confondere con la parsimonia che è invece utile. L'avaro
si sente un virtuoso
e si descrive con aggettivi delicati ed equilibrati: prudente,
attento, oculato, parco.
Ha inestinguibile brama di accumulare
ricchezza,
che sono diventate per lui la
sua sicurezza, la sua gioia, il suo Dio.
L'avarizia
è il più stupido dei vizi capitali, perché
l’avaro capovolge il rapporto mezzo-fine,
e invece di considerare il denaro un "mezzo" per il
raggiungimento di quei "fini" che sono l'acquisizione di
beni e la soddisfazione dei bisogni, considera il denaro un fine
L’avarizia sfigura il volto dell’uomo, indurisce il cuore,
distrugge i vincoli più sacri.
Esistono
due specie di avarizia: materiale e spirituale.
1.
L’avarizia materiale: l’attaccamento del cuore al
danaro; la cupidigia o l’avidità;l’assenza di generosità.
2.
L’avarizia spirituale: il tempo, cioè
economizzare tutto, anche il movimento; i servizi, quanti si
attaccano gelosamente al loro servizio e ai loro piccoli poteri come
l’edera si abbarbica al muro; la vita spirituale, gli
“insaziabili di libri che trattano di spiritualità. Ciò che
rimprovero è l’attaccamento del cuore, l’importanza attribuita
alla fattura o al numero e alla bellezza degli oggetti, cose molto
contrarie alla povertà di spirito” (S. Giovanni della Croce in “La
Notte oscura”).
Nella
Bibbia: Gesù amava i poveri, sino a chiamarli
beati, mentre ai ricchi rivolge parole terribili: Guai ai ricchi! Chi
è ricco ed è molto legato ai beni, difficilmente potrà
salvare l'anima sua. “Non potete servire Dio e la ricchezza”
(Mt 6,24). Il denaro sfida Dio, perché si fa Dio. E il
consiglio di Gesù: “non affannatevi dunque per il domani, perché
il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta
la sua pena” (Mt 6,34).
L’avarizia
nel mondo: di fatto è mal acquistata la ricchezza
che finisce per escludere la massa degli uomini dai beni della terra,
riservandoli a pochi privilegiati. La cupidigia spreme gli
uomini, la terra e tutte le cose che il buon Dio ci ha dato per
essere custodite e non sfruttate: siamo custodi, non certo padroni
(cfr. “Laudato si”).
Peccati
derivati:
insensibilità
del cuore, inquietudine, violenza nell’appropriazione,
attaccamento,
gelosia morbosa, miopia spirituale, avidità.
Papa
Francesco:
“Io
sento questa lotta nel mio cuore fra la comodità o il servizio agli
altri,
fra divertirmi un po’ o fare preghiera e adorare il Padre, fra una
cosa e l’altra? Sento
“la voglia di fare il bene" o c’è «qualcosa che mi ferma,
mi torna ascetico?
Io credo che la mia vita commuova il cuore di Gesù? Se io non credo
questo devo pregare
tanto per crederlo,
perché mi sia data questa grazia” (19.01.2017).
Evagrio
Pontico
(345 ca-399): L'avarizia
è la radice di tutti i mali
e nutre come maligni ramoscelli le rimanenti passioni e non permette
che inaridiscano quelle fiorite da essa. Chi
molto possiede soggiace alle preoccupazioni e, come il cane, è
legato alla catena,
e, se viene costretto ad andarsene, si porta dietro, come un grave
peso e un'inutile afflizione, i ricordi delle sue ricchezze, è
punto dalla tristezza e, quando ci pensa, soffre molto, ha perso le
ricchezze e si tormenta nello scoramento.
Il desiderio di ricchezze dell'avaro non è mai sazio, egli le
raddoppia e subito desidera quadruplicarle. L’
avaro lavora duramente mentre quello che non possiede nulla usa il
tempo per la preghiera e la lettura.
Come il
mare che non si riempie mai completamente pur ricevendo l’acqua di
tutti i fiumi della terra: “allo stesso modo il
desiderio dell’avaro non è mai sazio, accumulato del denaro,
subito ne vuole il doppio, e poi il doppio del doppio e così via in
una progressione inarrestabile
che finisce solo con la morte”.
Domande:
Tieni tutto per te, anche a costo che si rovini e che vada a
male. Tu non doni nulla, al massimo presti sperando di riavere in
fretta e con gli interessi. Provi l'avidità, la brama di
possedere, la fiducia smodata riposta nel denaro? Sei disonesto, ti
circondi di cose superflue? Ti procuri lussi inutili, comodità e
abitudini dispendiose? Hai l'abitudine a essere insoddisfatto per ciò
che possiedi e bramoso di ciò che non ti è dato? Consideri le
conseguenze terribili della fame di soldi: liti familiari, ansie e
falsi timori, tradimenti, frodi, inganni, spergiuri, violenza e
indurimento del cuore? Che cosa pensi di poter donare agli altri?
Come
uscirne: è importante riconfermare alcuni principi
elementari della fede cristiana: i beni della terra ci provengono
da Dio e hanno da Dio una destinazione universale. Bisogna
passare a uno stile di vita fatto di generosità, disinteresse,
condivisione, gratuità cioè dare senza aspettarsi il
contraccambio e dare soprattutto a chi è nel bisogno.
UN
“DECALOGO” CONTRO L’AVARIZIA
1.
Non sottovalutare il vizio.
2.
Ricordarsi l’origine dei beni.
3.
Ricordarsi il fine dei beni.
4.
Praticare la sobrietà.
5.
Fiducia nella Provvidenza.
6.
Generosità.
7.
Aiutare i poveri.
8.
Concreto nel dono.
9.
Rovesciare le prospettive.
10.
Meditare sulla croce.
3°
La lussuria.
“La
cupidigia del ricco lo rende vanitoso. La sua personalità si
realizza nelle apparenze, nel far vedere agli altri ciò che lui può
permettersi. Ma l'apparenza maschera il vuoto interiore. La sua vita
è prigioniera dell'esteriorità, della dimensione più superficiale
ed effimera dell’esistenza.. Il vero problema del ricco: la radice
dei suoi mali è il non prestare ascolto alla Parola di Dio; questo
lo ha portato a non amare più Dio e quindi a disprezzare il
prossimo”(Papa Francesco – quaresima 2017).
“Il
sesso rimane imprigionato nella sua materialità denudata da ogni
segno simbolico, è solo “carne” e l’uso e l’abuso del
nudo televisivo o pubblicitario ne è la continua attestazione. Mai
come in questo caso si vede che la virtù calpestata non è tanto
quella della castità quanto piuttosto quella della temperanza”
(Gianfranco Ravasi).
“Vi
sono uomini di Chiesa che per primi sviano l’attenzione:
proponendo una versione etico-moralistica della castità, ne
impoveriscono il valore simbolico. E non sono folli, sono amanti.
Amanti di Dio” (Salvatore Natoli).
“La
lussuria non è un’imperfezione dei corpi belli e avvenenti ma
dell’anima pervertita che ama i piaceri sensibili abbandonando la
temperanza” (S.Agostino)
“La
lussuria si rivela più grave per il fatto che uno si fa trascinare
dalla concupiscenza fino a commettere un‘ingiustizia” (S. Tommaso
d'Aquino).
“Una
parola ci libera da tutto il peso e il dolore di una vita: questa
parola è amore” (Sofocle).
“Amore
è un demone possente che sta tra i mortali e gli immortali”
(Platone).
“L’amore
coniugale, che persiste attraverso mille vicissitudini, mi sembra il
più bello dei miracoli, benché sia anche il più comune”
(Francois Mauriac).
Lussuria:
dal latino LUXURIA (abbondanza). Smoderato appetito carnale. Non
è in discussione la sessualità voluta e benedetta da Dio,
che procura piacere fisico, alimenta l’amore per il coniuge e porta
al dono della vita. Vizio
è
l’uso errato di questa sessualità per
l’amore (disordinato) di sé.
“La lussuria è un desiderio disordinato o una ricerca sregolata di
piacere fisico. Il piacere sessuale è peccato quando è ricercato
per se stesso, isolato dalle finalità unitive e creative”
(Catechismo C.C.2351).
Lussurioso
è chi sceglie di vivere per godere il più possibile e senza freni
tutti i piaceri della carne, frutto della pansessualizzazione
imperante.
Chi ne è posseduto
tende ridurre l’amore a mera possessione schiavo di un moto
impetuoso, una passione sfrenata. È l’assoluto annientamento della
ragione di fronte al sentimento
che scompiglia l’armonia originaria della sessualità umana e la fa
ripiegare su se stessa in un cieco e tormentoso bisogno di ammasso
opaco di carne.
Il
costante volgersi del pensiero al desiderio impedisce il normale
svolgimento delle incombenze quotidiane. Il
Vizio della lussuria distrugge profana la santità del corpo,
ferisce l’altro, se stessi e Dio.
Nella
Bibbia: è famoso il racconto di due anziani pieni di perverse
intenzioni che al tempo del profeta Daniele insediarono la
casta Susanna, poi la fecero condannare a morte e infine furono
puniti con la sorte che avevano preparato per lei (Dn.13). Il
Signore permise che i suoi nemici invidiosi lo chiamassero
impostore, bestemmiatore, indemoniato ... ma non permise che lo
tacciassero riguardo alla purezza, tanto che potè sfidare
pubblicamente i suoi avversari, dicendo: “Chi di voi può accusarmi
di peccato?” e tutti tacquero.
La
lussuria nel mondo:
La
rivoluzione sessuale e il femminismo di fine anni ’60,
hanno rappresentato l’apripista
per fenomeni culturali e, purtroppo, anche giuridici
che qualcuno continua, orgogliosamente, a chiamare “conquiste
della civiltà”.
Sotto i suadenti cartelli del “vietato
vietare”,
si faceva strage dell’aurea virtù della purezza e distruggeva il
sacrosanto valore della verginità. Possiamo
riconoscere tale vizio nel
tradimento
(che spesso vediamo nelle serie televisive) ma anche nei
rapporti
prematrimoniali o nell’omosessualità
ma anche nell’aborto
o dell‘uso di contraccettivi.
In quest’ultimi casi, infatti, si viene meno alla finalità divina
poiché ogni
atto sessuale tra coniugi deve non solo essere suscitato dall’amore
ma deve essere anche aperto alla vita.
Peccati
derivati: cecità nell’accogliere l’altro offuscato dal
desiderio sessuale – svuotamento interiore – insaziabilità
Papa
Francesco:
“Un’educazione
sessuale che custodisca un sano pudore ha un valore immenso, anche se
oggi alcuni ritengono che sia una cosa di altri tempi.
È una difesa naturale della persona che protegge la propria
interiorità ed evita di trasformarsi in un puro oggetto. Senza
il pudore, possiamo ridurre l’affetto e la sessualità a ossessioni
che ci concentrano solo sulla genitalità, su morbosità che
deformano la nostra capacità di amare e su diverse forme di violenza
sessuale
che ci portano a essere trattati in modo inumano o a danneggiare gli
altri” (AL. 280)
Evagrio
Pontico
(345 ca-399): Una
colonna poggia sulla base e la
passione della lussuria ha le fondamenta nella sazietà. La passione
sta tranquilla non prestare fede a chi ti annuncia che hai raggiunto
l'apatheia.
Non avere familiarità a lungo con un volto immaginato affinché non
ti si appicchino le fiamme del piacere e non bruci l'alone che
circonda la tua anima.
Domande:
Come giudichi la mentalità diffusa che spaccia il
disordine sessuale per conquista e fa credere che ogni istinto
debba trovare immediata soddisfazione? Hai coscienza dei danni gravi
nella società: per il sesso si litiga, si minaccia, si uccide;
la libidine alimenta uno stile di vita fatuo, degenera spesso nella
prostituzione, nel ricatto, nella pedofilia? Ti fai schiavo del
sesso, del disordine morale che mette a rischio persone, famiglie
e società? Cedi a immagini proposte ad arte, a voci allusive,
alla pornografia in video e in rete?
Come
uscirne: Tutti abbiamo delle fantasie o dei pensieri che vanno
contro il sesto comandamento; l’importante è non diventino una
torbida ossessione, una sorta di “chiodo fisso”. Il vizio
si combatte con la castità. Questa virtù non riguarda solo i
religiosi ma tutti e chiede di essere coltivata in tutte le
situazioni di vita, dagli adolescenti ai giovani, dai celibi agli
sposati. La castità è possibile e richiede il dominio di sé.
Ci vuole tempo e impegno. La condizione per una vita casta è saper
orientare le proprie energie in un progetto di vita degno di
essere vissuto.
Chi
non riesce a dominare con facilità i propri sensi, presto o
tardi perderà la purezza. Infatti gli occhi sono chiamati le
finestre dell'impurità; la lingua, il parlare
scandalosamente è la rovina della propria purezza e dell'altrui;
le orecchie allontanarsi da chi tiene cattivi discorsi; il
tatto grande rispetto alla propria ed all'altrui persona; il
cuore è fatto per amare, però non tutti gli amori sono leciti e
bisogna subito troncare gli affetti perversi. Il cuore umano non
tenuto a freno, porta nell'abisso della impurità e poi nell'abisso
infernale.
4°
La gola
“Lazzaro
ci insegna che l’altro è un dono. Il povero alla porta del ricco
non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a
cambiare vita. Il primo invito che ci fa questa parabola è quello di
aprire la porta del nostro cuore all'altro, perché ogni persona è
un dono, sia il nostro vicino sia il povero sconosciuto. Ogni vita
che ci viene incontro è un dono e merita accoglienza, rispetto,
amore” (Papa Francesco – quaresima 2017).
“Il
cibo è non “cosa”, ma “dono”. Non semplice oggetto di cui
appropriarsi, bensì esperienza di vita ricevuta” (Andrea Lonardo)
“Il
cibo viene sempre dopo di Dio, quando il cibo sostituisce Dio diventa
un idolo, una divinità pagana vera e propria” (Rino Fisichella).
“Sia
dunque che mangiate, sia che beviate, sia che altro facciate, fate
ogni cosa alla gloria di Dio” (1 Cor. 10, 31).
“All’affamato
spetta il pane che si spreca nella tua casa. Le opere di carità che
voi non compite sono altrettante ingiustizie che voi commettete”
(San
Basilio 330 – 379 d.C.)
“La
gola è un vizio
che non finisce mai, ed è quel vizio
che cresce sempre, quanto più l'uomo
invecchia” (Carlo Goldoni).
“Davvero
la cucina e la tavola sono l’epifania dei rapporti e della
comunione. Del resto, il cibo è come la sessualità: o è parlato
oppure è aggressività, consumismo; o è contemplato e ordinato
oppure è animalesco; o è esercizio in cui si tiene conto degli
altri oppure è cosificato e svilito; o è trasfigurato in modo
estatico oppure è condannato alla monotonia e alla banalità”
(Enzo Bianchi).
Gola:
dal latino GULA, cavità animale nella quale immettere il
cibo per saziarsi: è un richiamo alla nostra animalità. Se è
un bene dare l'alimento al corpo, è però un male l'esagerare nella
quantità ed anche nella qualità. Il gusto e olfatto sono i sensi
più arcaici che mettono in moto le zone più primitive del nostro
cervello, quelle su cui i nostri ragionamenti, i nostri
propositi, la nostra buona volontà hanno una scarsissima incidenza.
Il peccato di gola non è solo o semplicemente la mera
ingordigia o la smodata consumazione di cibo, ma più seriamente il
lusso alimentare, la predilezione esclusiva per la cucina
raffinata, la propensione a cibarsi esclusivamente di
pietanze pregiate e costose. Questo peccato consiste
nel piacere sregolato. Siamo golosi quando assumiamo cibo in
eccesso (bulimia) ma anche quando soffochiamo questo desiderio
(anoressia). La bulimia e l’anoressia non sono semplicemente
delle malattie, ma dei sintomi di una sofferenza dello spirito,
quando non ha ancora trovato un terreno solido che garantisca che
vale la pena vivere sempre e comunque. Chi non sa frenare la gola,
difficilmente è in grado di frenare gli altri sensi, per cui si
può affermare che spesso chi cede alla gola, diventa debole in
fatto di purezza.
Nella
Bibbia: troviamo scritto “state ben attenti che i vostri
cuori non si appesantiscono in dissipazioni, ubriachezze e affanni
della vita” (Lc. 21, 34). Gesù volle dare un grande esempio
di penitenza corporale, restando digiuno per quaranta giorni e
quaranta notti. I Santi persuasi della necessità di
seguire le orme di Gesù, erano molto limitati nel cibo e per lo più
si contentavano dello stretto necessario. Coloro che trattano
troppo delicatamente la gola e assecondano il vizio, invertono
l'ordine voluto da Dio, cioè non mangiano per vivere, ma vivono
per mangiare. Il loro Dio è lo stomaco; ad esso rivolgono le
cure principali della giornata; imitano in qualche modo le bestie, le
quali non hanno altra preoccupazione.
La
gola nel mondo: la società non educa alla sobrietà anzi
pubblicità, ricette, supermercati, ostentano cibo e propongono
l’abbuffata. Il nostro è un mondo di golosi. In realtà da
questo vizio derivano anche mali come l’alcolismo e la droga,
espressioni di una vita nella quale si cerca di addormentare
l’angoscia per l’assenza di Dio.
Peccati
derivati: cupidigia – spreco – avidità – elucubrazioni
mentali
Papa
Francesco:
“Nel mondo ci sono ancora troppe
persone,
specialmente bambini, che soffrono per endemiche povertà e vivono
in condizioni d’insicurezza alimentare – anzi di fame
–, mentre le risorse naturali sono fatte oggetto dell’avido
sfruttamento di pochi ed enormi quantità di cibo vengono sprecate
ogni giorno” (09.01.2017).
Evagrio
Pontico
(345 ca-399): “Saziano
la strozza i cibi fastosi e nutrono l'insonne verme
dell'intemperanza.
Un ventre indigente prepara ad una preghiera vigile, al contrario un
ventre ben pieno invita ad un lungo sonno. La
preghiera del digiunatore è come il pulcino che vola più alto
dell'aquila
mentre la grassa digestione dei cibi offusca la mente.
Se
ti concedi al desiderio dei cibi nulla più ti basterà per
soddisfare il tuo piacere. Non compiangere il corpo che si lagna
per lo sfinimento e non rimpinzarlo con pranzi sontuosi: renderà
schiava la tua anima e ti menerà servo della lussuria”
Domande:
Hai un rapporto irrazionale con il cibo, i vizi del fumo,
dell’alcool, delle droghe, la dipendenza che ti fa schiavo? Sei
condizionato dall’abitudine, dalle mode, dalla pubblicità,
affievolito nella capacità di autocontrollo? Il frigorifero è
il tuo rifugio? A tavola cominci per primo senza aspettare nessuno?
Quando hai finito ti alzi e te ne vai? Mangi per vivere o vivi per
mangiare?
Come
uscirne: bisogna recuperare il senso dell’autocontrollo,
ascoltare le vere necessità del corpo, darsi un orario e non
mangiucchiare di continuo. Quale penitenza per combattere questo
vizio la pratica del digiuno e del fioretto. Si acquista il
dominio di se stessi, per cui con facilità si possono tenere a freno
gli altri sensi del corpo; si scontano i peccati commessi col
corpo. È uso cristiano consumare il pasto in un contesto di
preghiera. Si chiede la benedizione di Dio e si rende grazie
sperando che del cibo ci si possa servire sempre in bene.
La
mortificazione della gola: un piccolo elenco.
1)
Sentendo la sete, non bere subito oppure bere in quantità minore
2)
Fuori dei pasti ordinari, non prendere alcun cibo o bevanda
3)
Avendo desiderio di mangiare rimandare ad altro orario .
4)
Tenere in bocca qualche sostanza amara o disgustosa per contrariare
il gusto.
5)
Privarsi dello zucchero nel prendere il caffè oppure il latte.
6)
Stando à tavola, mangiare e bere senza avidità, anzi scegliere le
porzioni meno appetitose.
7)
Non lamentarsi se i cibi sono in poca quantità o se sono mal
preparati.
8)
Non parlare dei cibi che piacciono di più e non brigare per averli.
9)
Dare ai poverelli il denaro che si vorrebbe destinare ai gelati, alle
bibite o ai dolciumi.
10)
Prendere le medicine senza lamentarsi e senza lasciare trasparire la
naturale ripugnanza.
Si
acquista il dominio di se stessi, per cui con facilità si possono
tenere a freno gli altri sensi del corpo; si scontano i peccati
commessi col corpo; nell'anima scende di continuo la rugiada della
grazia divina, per cui si è sempre più disposti ad operare il bene.
5°
L’invidia
“Le
notizie le guardiamo sui giornali o sui telegiornali: oggi tanta
gente muore e quel seme di guerra che fa l’invidia, la gelosia, la
cupidigia nel mio cuore, è lo stesso — cresciuto, fatto albero —
della bomba che cade su un ospedale, su una scuola e uccide i
bambini, è lo stesso! La dichiarazione di guerra incomincia qui, in
ognuno di noi. Si tratta “non solo di custodire la pace» ma anche
di «farla con le mani, artigianalmente, tutti i giorni. Così
riusciremo a farla nel mondo intero” (Papa Francesco 16.02.2017)
“Dio
ha creato l’uomo per l’immortalità, ma la morte è entrata nel
mondo per invidia del diavolo” (Sap. 2,23-24).
“Dove
c’è invidia e ambizione egoistica, là c’è disordine e ogni
azione cattiva” (Gc. 3,16).
“In
una società
di consumo
ci sono inevitabilmente due tipi di schiavi:
i prigionieri
delle dipendenze e i prigionieri
dell’invidia”
(Ivan
Illich).
“L'invidioso
mi loda senza saperlo. L’invidia
degli altri è musica per la nostra vanità. L’invidioso è un
impotente incapace di rassegnarsi”
(Khalil
Gibran).
“Molti
sono disposti a esibire i propri vizi, ma nessuno oserebbe vantarsi
della propria invidia” (Francois La Rochefoucauld).
“Tutti
sanno condividere le sofferenze di un amico ma ci vuole un’anima
veramente bella per godere dei suoi successi” (Oscar Wilde).
Invidia:
dal latino Invidere
composto di IN
(separare) VIDERE (guardare).
Guardare con spregio. Sembrerebbe l'invidia un piccolo vizio, eppure
tra
i vizi capitali occupa un posto eminente, in quanto è comune e dà
origine a molti peccati.
L’invidia nasce
dalla miseria interiore e
consiste nel sentimento di dolore e di tristezza perché
la felicità altrui è fonte di personale frustrazione;
giudica negativamente per quello che sono o hanno e i
successi altrui li attribuisce alla fortuna o al caso o sostiene che
siano frutto d’ingiustizia e cade in uno stato d’inquietudine
costante costante,
impedendogli di alimentare i propri pregi e i propri talenti,
sprecandoli. Vorrebbe avere anche lui ciò che gli altri possiedono:
cose ma anche qualità fisiche e morali. L’invidioso
non lavora mai su di sé per sciogliere l’invidia che ha dentro
rimane
nei suoi limiti, sperando di vedere gli altri nella stessa sua
miseria,
in modo che gli altri non gli possano fare da specchio nel quale
vedrebbe riflessa la sua condizione spirituale e materiale nella
quale vive. Butta
in abbondanza odio, maldicenze, mormorazioni, giudizi avventati e
perversi
e avvelena sé e gli altri.
L’invidia
non va comunque confusa con la sana competizione.
Il desiderio di poter avere anche noi il bene degli altri e la loro
fortuna, è
disdicevole soltanto quando il successo altrui lo consideria un male
per se,
quando appunto si considera il bene degli altri quale diminuzione
della propria gloria e della propria superiorità.
Se è vero che tutti
i vizi capitali sono anche “sociali”,
ossia hanno un riflesso sulla vita associata, l’invidia
vanta il primato negativo per lo sgretolamento e la dissoluzione dei
rapporti umani,
alimentando reciproca diffidenza che sfocia nel proliferare di lotte
e conflitti tra individui e fazioni, e mina
alla radice ogni sentimento di solidarietà.
Non
ha rispetto a vincolo di sangue o di amicizia;
cosicchè troviamo il fratello che per invidia lotta il fratello; la
sorella che perseguita la sorella, l'amico che fa guerra all'amico.
Tutto ciò è rilevabile in ogni epoca della storia, ma in questo
tempo, ossia in
un contesto sociale ove l’individualismo sembra approfondirsi e
allargarsi, l’invidia pone un’accelerazione pericolosissima allo
sgretolamento della società.
È molto diffuso e ciascuno di noi ne ha fatto esperienza per aver
invidiato o essere stato invidiato.
Nella
Bibbia:
Caino,
il primo figlio di Adamo ed Eva, il
primo invidioso.
Nel racconto biblico vedeva le sue offerte rifiutate da Dio in favore
di quelle offerte da Abele, e per
invidia lo assassinò.
L’invidia
nel mondo: è un vizio che colpisce tutti ma passa ignorata
perché non sappiamo di essere invidiosi.
Peccati
derivati: gelosia, malaugurio, confronto, auto giudizio
negativo da confronto.
Papa
Francesco:
“Caino
preferì l’istinto,
preferì lasciar cuocere dentro di sé questo sentimento,
ingrandirlo, lasciarlo crescere. Così
crescono le inimicizie fra di noi: cominciano con una piccola cosa,
una gelosia, un’invidia e poi questo cresce e noi vediamo la vita
soltanto da quel punto e quella pagliuzza diventa per noi una trave.
Ma la trave distrugge il legame di fratellanza, distrugge la
fraternità (13.02.2017).
Evagrio
Pontico
(345 ca-399): “L'invidia
genera l'ira, perché quanto più l'animo è esacerbato dal livore
interiore, tanto più perde la mansuetudine della tranquillità.
Dall'ira
nasce la tristezza,
perché la mente turbata, quanto più è squassata da moti scomposti,
tanto più si pasce esclusivamente della tristezza che segue tale
turbamento. Dalla
tristezza si arriva all'avarizia,
poiché quando il cuore, confuso, ha perso il bene della letizia
interiore, cerca all'esterno motivi di consolazione, e, non
potendo ricorrere alla gioia interiore, desidera tanto più
ardentemente di possedere i beni esteriori.
A questo punto sopravanzano
i due vizi carnali, gola e lussuria.
Domande:
Provi invidia per le qualità e i beni di un altro? Desideri il male
altrui con sentimenti di avversione e di odio, parole mordaci,
discorsi di mormorazione e di calunnia. Quando competi con gli
altri hai intenzione di umiliarli? Ti rendi conto del tuo
egocentrismo che t’impedisce di desiderare il bene per gli altri e
ti rende incapaci di amare? In fondo in fondo hai paura degli
altri che siano giudicati migliori di te. Domina il tuo cuore
l’ostilità, l’odio, l’idea che il male altrui possa essere
bene per te e provi rancore, tormento interiore, insoddisfazione. Non
sai mettere un freno ai desideri, quando chiami ’invidia “sana
competitività”. Così hai cedimento dinanzi a una società che
alimenta continuamente l’ambizione, l’avidità e la vuota
curiosità.
Come
uscirne: Come combattere questa passione triste? Come può
sconfiggerla chi ne è schiavo? E come deve fronteggiarla chi è
invidiato? Chi ha paura di essere oggetto di sguardi malevoli? Chi
teme il “malocchio”? Vari intellettuali, nel corso dei secoli,
hanno affrontato tale questione. Ci sono coloro che suggeriscono di
trasformare l’invidia in un atteggiamento di competizione,
oppure in uno sforzo di emulazione o anche nell’impegno a vivere
con autenticità la propria esistenza. Bisogna intraprendere
la via dell’umiltà ovvero confrontarsi con gli altri per fare
a tutti i costi la verità. Imparare a riconoscere ciò che si è, e
ciò che sono gli altri. La via maestra è una sola, quella
dell’amore
6.
L’ira
“Si
può discutere” con il Signore? Sì a lui piace. A lui piace
discutere con noi”. Quando “qualcuno mi dice: “Ma, padre, io
tante volte quando vado a pregare, mi arrabbio con il Signore...”
“Anche questo è preghiera! A lui piace, quando tu ti arrabbi e gli
dici in faccia quello che senti, perché è padre! Ma questo è anche
un “eccomi” (Papa Francesco 24.01.2017).
“Collera?
Ira? Si tratta del vizio visibile per eccellenza, capace di sfigurare
chi ne è preda, producendo anche effetti psicosomatici. Si
mostra fisiologicamente nel volto e nei gesti di tutto il corpo: il
viso diviene rosso, gli occhi si accendono e paiono fulminanti, i
muscoli facciali diventano tirati, la bocca si apre facendo apparire
i denti serrati e compressi gli uni sugli altri, il parlare è
concitato, urlato, non originato dal respiro ma da una forza
selvaggia e animalesca, le braccia si muovono con gesti minacciosi”
(Enzo Bianchi).
“L’ira
è un’erbaccia, l’odio è l’albero” (Sant’Agostino).
“L'ira:
un acido che può provocare più danni
al recipiente che lo contiene che a qualsiasi cosa su cui venga
versato” (Seneca).
“Arrabbiarsi
è facile, ne sono tutti capaci, ma non è assolutamente facile, e
soprattutto non è da tutti arrabbiarsi con la persona giusta, nella
misura giusta, nel modo giusto, nel momento giusto e per la giusta
causa” (Aristotele).
Ira:
dal latino
Ira riconducibile a IRE
(andare).
Dal sanscrito
IR-IN (Violento).
Accendimento
per impeto sanguigno.
L’ira
non è di per se ne buona ne cattiva poiché ci può
essere un irritazione nei confronti del male
come
nei confronti del bene.
L'ira, quindi, non è l'occasionale esplosione di rabbia. L’ira non
manca mai di ragioni ma il più delle volte esse non sono valide. E
anche quando lo fossero, l’ira
ha il difetto di spegnere la luce della ragione.
Diventa
un vizio
in presenza di un'estrema suscettibilità che fa sì che
anche
la
più trascurabile delle inezie sia capace di scatenare una furia
selvaggia.
Nell'iracondo, infatti, vi è
l'impossibilità a dialogare, a saper ascoltare l'altro, non c'è in
lui la pazienza e
non è in grado di amare il prossimo. Aggiunge ostilità a ostilità.
Un impeto dell’animo che si
sfoga fino alla vendetta
e si vuole respingere un’ingiuria superandola di gran lunga non
solo con altre ingiurie verbali ma anche con azioni concrete. Si può
colpire a morte, o venire duramente alle mani,
non solo in un momento in cui uno perde la testa, ma anche
a sangue freddo,
in perfetta lucidità.
Nella
Bibbia: Gesù nel tempio pieno di ladroni si lascia prendere
da una santa ira (Gv. 2, 14-17) e mostra anche i suo sdegno
contro scribi e farisei (Mt 23, 13-32). Esortava inoltre san
Paolo: “ non tramonti il sole sopra la vostra ira” (Ef 4, 26).
L’ira
nel mondo: per osservare gli effetti dell’ira basta riflettere
sui gli episodi di violenza che vediamo nei programmi televisivi,
negli stadi, nella politica…
Peccati
derivati: Iracondia – cattiveria – violenza – rabbia –
frustrazione.
Papa
Francesco: “Se
io ho nel cuore il rancore per qualcosa che qualcuno mi ha fatto e
voglio vendicarmi,
questo mi allontana dal cammino verso la santità. Niente vendetta.
“Me l’hai fatta: me la pagherai!”. Questo è cristiano? No. “Me
la pagherai” non entra nel
linguaggio di un cristiano. Niente vendetta. Niente rancore.
“Ma quello mi rende la vita impossibile!...”. “Quella vicina di
là sparla di me tutti i giorni! Anch’io sparlerò di lei…”.
No. Cosa dice il Signore? “Prega per lei” – “Ma per quella
devo pregare io?” – “Sì, prega per lei”. E’
il cammino del perdono, del dimenticare le offese.
E’ brutto il rancore. Il rancore, la voglia di vendicarmi: “Me la
pagherai!”, questo non è cristiano (19 febbraio 2017).
Evagrio
Pontico
(345 ca-399): L'ira
è una passione furente e con facilità fa uscir di senno quelli
che hanno la conoscenza,
imbestialisce l'anima e degrada l'intero consorzio umano.
L’iracondo vede qualcuno e arrota i denti. La mente dell'iracondo è
continuamente agitata ed egli non darà l'acqua all'assetato e, se
gliela darà, sarà intorbidata e nociva; gli
occhi dell'animoso sono sconvolti e iniettati di sangue e annunziano
un cuore in tumulto.
Cristo reclina il capo in spirito mite e solo la mente pacifica
diviene dimora della Santa Trinità. Fugge l'uomo onesto l'alloggio
malfamato, e Dio un cuore rancoroso: come
il fumo della paglia offusca la vista così la mente è turbata dal
livore durante la preghiera.
Domande:
Quali sono le occasioni che fanno scatenare la tua ira? Nutri
sentimenti di avversione verso i fratelli quando senti colpito il tuo
io? Hai la tentazione di "farla pagare" a chi ti ha
umiliato, il piacere perverso del "far del male a qualcuno",
i giudizi taglienti e la gratuita durezza verso gli altri? Quando
qualcuno ti fa un’osservazione ti arrabbi … e di più quando è
giusta? Quando fai qualche cosa che non va pensi “a chi dare
la colpa”? È sempre un altro che ha colpa di come sei, di come
non sei, del fatto che non sei come vorresti essere e te la
prendi con lui?
Come
uscirne: Avere pazienza in tutti gli eventi quando capita
una disgrazia, una malattia, una perdita, ecc.... è inutile
arrabbiarsi. Anche quando si desse libero sfogo alla collera, con
bestemmie, parolacce ed imprecazioni, non si aggiusterebbe niente.
Quando ci troviamo a discutere cerchiamo di contare fino a dieci
prima di parlare e fra due parole cerchiamo di scegliere sempre
quella meno dura, la meno aggressiva. Per il cristiano il passo
decisivo per uscire dall’ira risulta essere il perdono proposto da
Gesù. Esso sconvolge ogni schema giuridico ed eleva all’amore
per il prossimo. Bisogna inoltre cercare di evitare tutte le
occasioni in cui potrebbe insorgere l’ira. Il cammino per
sconfiggere la collera è lungo e impegnativo in quanto richiede la
capacità di porsi una domanda radicale: chi è l’altro per
me? È una persona con cui entrare in relazione, di cui
essere custode (cf. Gen 4,9), oppure è qualcuno da dominare a mio
piacimento, fino a negare la sua stessa esistenza (cf. Gen. 4,8)? E i
cristiani dovrebbero ricordare la risposta che viene dalla fede:
l’altro è “un fratello per cui Cristo è morto” (1Cor
8,11), e pertanto occorre porre il rapporto con lui davanti al
Signore
7.
L’accidia
“E
sempre questo tempo ci rivolge un forte invito alla conversione: il
cristiano è chiamato a tornare a Dio «con tutto il cuore» (Gl.
2,12), per non accontentarsi di una vita mediocre, ma crescere
nell'amicizia con il Signore” (Papa Francesco – quaresima 2017).
“L’accidia
esprime un forte disagio esistenziale. Un tempo era “il demone del
mezzogiorno” che tentava nell’ora più calda i monaci delle prime
comunità in Egitto. Oggi, in Occidente, l’accidia è il demone
notturno che minaccia ciascuno di noi col suo vuoto, rapporto
deformato con lo spazio. Non ci si deve scherzare: l’accidia può
portare diritti all’Inferno” (Enzo Bianchi).
“L'accidia
è pigrizia, negligenza nel fare il bene, nel compiere i propri
doveri verso se stessi e verso la collettività” (Cesare Marchi).
"Mi
sento vecchio, usato, nauseato di tutto. Gli altri mi annoiano come
me stesso. Ciò nonostante lavoro, ma senza entusiasmo e come si fa
un compito. Non attendo altro dalla vita che una sequenza di fogli di
carta da scarabocchiare in nero. Mi sembra di attraversare una
solitudine senza fine, per andare non so dove. E sono io stesso a
essere di volta in volta il deserto, il viaggiatore e il cammello"
(Gustave
Flaubert
).
Accidia:
dal greco AKEDIA composto da A (senza) KEDIA (cura). Senza
cura per la curiosità dell’anima; non ha un significato univoco:
significa non-curanza, trascuratezza, indolenza. È una crisi
che oltre ad avere forti ripercussioni sulla vita spirituale lambisce
e colpisce anche il piano fisico e psicologico. Tra i sette vizi
l’accidia è la più pericolosa perché agisce in sordina, senza
dare segnali, senza fare rumore; quando prende corpo diventa
letale e lo spirito rimane narcotizzato, vulnerabile, senza
difese. Forse il suo primo sintomo si identifica con una sorta di
superficialità che pian piano degenera fino a segnare l’abbandono
della pratica religiosa. Si mette tutto in discussione: dai legami
più intimi a scelte radicali che hanno segnato la giovinezza.
Può essere definita una sorta di depressione spirituale, un
malanno oscuro che propaga i suoi tentacoli nelle parti più
recondite dell’animo umano. La crisi depressiva non ha
particolari sintomi, se non sparute avvisaglie; quando questo
male si sprigiona ha un potere deflagrante e quindi da un momento
all’altro si viene colpiti dal “mal di vivere”. In
conseguenza si rimanda da un giorno all'altro un buon proponimento,
senza poi attuarlo per non imporsi dei sacrifici. Questo vizio
capitale snerva poco per volta l'anima, come l'ozio snerva il corpo.
Per l'accidia la volontà diviene debole; si decide e non si
decide, vuole e non vuole. L’accidia è una vecchia arpia che tesse
lentamente i fili di una ragnatela attorno a un povero cuore che
pian piano si atrofizza e muore di inedia. Un vizio che
predilige i solitari. “I Padri spirituali la intendono qui come
una forma di depressione dovuta al rallentamento dell’ascesi, al
venir meno della vigilanza, alla mancata custodia del cuore. “Lo
spirito è forte, ma la carne è debole” (Mt 26,41). Più si è in
alto, più, quando si cade, ci si fa male. Lo scoraggiamento,
doloroso, è l’opposto della presunzione. Chi è umile non si
stupisce della sua miseria: questa lo porta a una maggiore fiducia, a
rimanere fermo nella costanza” (Catechismo C.C. 2733).
Nella
Bibbia: l’accidia porta la nostra anima ad assopirsi, ci
fa deviare dal nostro impegno e ci rende poco vigili come successe
anche agli apostoli (Mc14, 32). Quando i nostri sensi non sono
molto svegli, in noi nasce l’accidia, e si perde il gusto per le
cose spirituali.
L’accidia
nel mondo: è proprio il nostro modo moderno di vivere,
compulsivo e iperattivo, genera quella insoddisfazione, sconforto.
La scomparsa di Dio dall’orizzonte dell’uomo non è indolore ma
soffoca tanti ideali e questo clima favorisce ozio e pigrizia.
Basti pensare a coloro che vogliono togliere i crocifissi dalle
scuole o dai tribunali.
Peccati
derivati:
disinteresse - apatia - meccanicità – scarsa apertura al nuovo –
immobilismo – noia - malinconia – pigrizia – infingardaggine –
tristezza – depressione – irrequietezza – indolenza
- indifferenza.
Papa
Francesco:
“Vivere
nel frigo, così, perché tutto rimanga così è da cristiani pigri,
che
non hanno la voglia di andare avanti,
che non lottano per fare le cose che cambiano, le cose nuove, le cose
che ci farebbero bene a tutti, se queste cose cambiassero”
(17.01.20117).
Evagrio
Pontico
(345 ca-399: L'acedia
è una debolezza dell'anima che insorge quando non si fronteggia
nobilmente la tentazione.
Infatti, la tentazione è per un'anima nobile ciò che è il cibo per
un corpo vigoroso. L'acedioso
sbadiglia molto, si lascia andare facilmente al sonno,
si stropiccia gli occhi, si stiracchia e, distogliendo lo sguardo dal
libro, fissa la parete e, di nuovo, rimessosi a leggere un po',
ripetendo la fine delle parole, si affatica inutilmente, conta i
fogli, calcola i quaternioni, disprezza le lettere e gli ornamenti e
infine, piegato
il libro, lo pone sotto la testa e cade in un sonno non molto
profondo. L’acedioso è pigro alla preghiera e di certo non si
occuperà con diligenza dei doveri verso Dio.
La pazienza, il far tutto con molta assiduità e il timor di Dio
curano l'acedia. Disponi per te stesso una giusta misura in ogni
attività e non desistere prima di averla conclusa, e prega
assennatamente e con forza e lo spirito dell'acedia fuggirà da te”.
Domande:
Sei
pigro? Cerchi
sempre di rimandare i tuoi impegni? Il tuo tempo è sempre quello del
poi o del mai?
Tutto è brutto, tutto fa schifo, tutto è noioso, ma forse sei tu
hai
messo gli occhiali neri e vedi tutto nero.
A causa del tuo torpore, pigrizia, tristezza, e crisi di astinenza da
stimoli e piaceri esteriori sei
sempre triste e vuoto?
Come
uscirne:
aggrapparci
a degli interessi,
che sono come piccole scosse che aiutano a rimettere
in circolo la linfa vitale delle motivazioni. Vivere il momento
presente
come dono per attimi di vero e autentico amore senza
idealizzare il passato.
È
utile mantenere la giusta misura nel lavoro. L'epidemia individuale e
collettiva di acedia –
ormai secolarizzata e civilizzata – chiede anzitutto, che si
riconosca il proprio debito nei confronti dei doni e dei talenti
ricevuti.
E in secondo luogo, chiede di ritrovare l’emozionante speranza di
un buon rapporto con Dio. Senza
grandezza d'animo, senza dignità degli affetti, senza incanti dello
spirito non ci si libera dall’accidia.
LA
LOTTA CONTRO I VIZI COSIDETTI CAPITALI NON HA FINE.
Ricerca
compiuta nel mese di febbraio 2017 dal sacerdote Venturo Lorusso, oblato benedettino
“Affinchè
in ogni cosa sia glorificato Dio”
(Regola
di S. Benedetto).
Tratto
dal sito
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