Anche
quando viene vissuta nel nascondimento, la fede non è mai un affare
privato; porterà sempre i suoi frutti. Ne è prova la conversione
dell’assassino francese Jacques Fesch. Dio è intervenuto con forza
nella sua vita, ma la grazia della conversione è stata ottenuta
dalle suppliche e dalle sofferenze di persone credenti nell’ambito
della sua famiglia e dei suoi amici. Spesso Dio si serve di oranti
sconosciuti, come, ad esempio, un anziano ricoverato in un
pensionato, dal quale non ci si aspetta nulla, o una consacrata,
nascosta in un convento nella giungla del Vietnam, che si offre per
la conversione dei peccatori. Solo in Cielo i convertiti conosceranno
con gratitudine chi ha pregato e si è offerto per loro.
Nel
ventesimo secolo una delle più sconvolgenti testimonianze del modo
di operare di Dio è senza dubbio la conversione e l’ascesa
spirituale dell’anima del giovane francese Jacques Fesch
(1930-1957), giustiziato tramite ghigliottina nel 1957. Quando, nel
dicembre del 1993, il Cardinale Jean Marie Lustiger, arcivescovo
emerito di Parigi e amico di Papa Giovanni Paolo II, ha aperto la
fase preliminare per la causa di beatificazione del giovane
ventisettenne, che aveva ucciso un poliziotto, questo fatto in
Francia ha suscitato molto scandalo. Un criminale condannato a morte,
dichiarato santo? Che provocazione! Il cardinale ha risposto alle
critiche: “Davanti a Dio nessuno è perduto definitivamente,
neanche quando la società lo ha condannato. Spero che Jacques Fesch
un giorno sarà venerato come santo. Questo darebbe tanta speranza a
coloro che vengono disprezzati, considerati incorreggibili e perduti
per sempre”.
Irrequieto
ed infelice
Jacques
Fesch era cresciuto nella periferia di Parigi come ultimo figlio di
una famiglia ricca. Il padre era direttore di banca, ateo, cinico e
poco interessato ai suoi figli. La madre era religiosa e aveva un
buon carattere, ma era talmente chiusa in sé da non essere in grado
di dare alla famiglia calore, confidenza e guida. Jacques era
trascurato e fin da bambino aveva dovuto badare a se stesso: “I
miei genitori non andavano d’accordo e in famiglia l’atmosfera
era insopportabile. Non esisteva stima reciproca, nessun amore.
Eravamo come dei mostri di egoismo, pieni di amor proprio”. Il
ragazzo, chiuso in sé, fu costretto a cambiare più volte scuola per
il suo basso rendimento negli studi. E’ vero che “l’alto,
biondo con tanti quattrini”, per la sua generosità, era ben
visto dalle bande dei ragazzi e alle feste, dove era circondato da
molte ragazze per il suo bell’aspetto, ma in realtà Jacques non
aveva neanche un amico. A diciannove anni interruppe gli studi e
senza entusiasmo iniziò a lavorare in banca presso suo padre, fin
quando non andò in Germania per il servizio militare. La sua
relazione amorosa con Pierrette Polack, una ragazza cattolica della
stessa età, anche lei ricca di famiglia, nel 1951 approdò ad un
matrimonio civile. Un mese dopo nacque la loro figlia Veronique.
“Non ho amato davvero mia moglie, ma siamo stati buoni amici...,
invece ho amato mia figlia... Avevo un’indole debole e un
carattere molto incostante e cercavo sempre la via più facile”.
Un
nuovo impegno di lavoro di Jacques nell’azienda del cognato fallì
e poco tempo dopo anche Pierrette, presa con sé la bambina, fece
ritorno presso la sua famiglia. Madame Fesch, la mamma di Jacques,
gli versò su un conto un milione di franchi per l’avvio di
un’impresa. “Al primo insuccesso abbandonai tutto. Mia madre
mi mise alla porta. In azienda avevo accumulato molti debiti. Cosa
avrei dovuto fare in quella situazione? Sarebbe stato meglio tagliare
la corda”. Da solo e senza un vero scopo nella vita, a Jacques
venne una “fissazione”: sognava una barca a vela con la
quale raggiungere isole lontane. Per la realizzazione di tale
progetto, nel febbraio del 1954, il giovane aggredì il cambiavalute
Silberstein, di fede ebraica, presso il quale aveva ordinato una
grande quantità di lingotti d’oro. All’atto del pagamento egli
colpì la testa dell’uomo anziano con la pistola di suo padre, in
quel momento però partì un colpo che lo ferì alla mano e per
questo Jacques scappò precipitosamente senza bottino. Nella fuga
perse gli occhiali (aveva una forte miopia) e, quando un poliziotto
lo fermò, sparò da sotto il cappotto. Un colpo al cuore! “Non
vedevo nulla, avevo agito in stato di costrizione, come un ossesso.
Gli effetti furono un assassinio e la caccia come ad un animale
selvaggio. Poi mi ritrovai in prigione”, con l’accusa di
aggressione a scopo di rapina e dell’omicidio del poliziotto
Georges Vergnes di 35 anni, vedovo, che lasciava una figlia di
quattro anni.
“Non
sono credente”
All’inizio
dei tre anni e mezzo in cella d’isolamento Jacques Fesch non voleva
sentir parlare di Dio. “Per sei o sette anni avevo condotto una
vita senza Dio ... pieno di egoismo e indifferenza. Non ero in grado
di amare. Quando si parlava di Dio, la mia risposta era: una bella
favola, una consolazione per le persone che soffrono. La religione è
per gli schiavi e gli oppressi”. Jacques respinse bruscamente
P. Devoyod, il cappellano del carcere: “Non sono credente. Non
ne vale la pena”. Da ateo convinto, con argomenti
intellettuali, cercava di convincere persino il suo brillante
avvocato, Paul Baudet, convertito da poco e terziario carmelitano,
che non esiste alcuna vita spirituale. Nel corso dei successivi otto
mesi, però, Jacques cominciò a desiderare i colloqui con il buono e
paziente P. Devoyod. “Passo dopo passo potei rivedere le mie
idee. Divenni sensibile alla fede, ma senza possederla. Tentai di
credere con l’intelletto”.
La
notte della conversione
“Dopo
un anno di prigione, una notte, mentre ero sdraiato sul letto, con
gli occhi spalancati e soffrendo come mai prima, un grido d’aiuto
proruppe dal mio cuore: ‘Mio Dio!’. E nello stesso momento, come
un vento forte che non sapevo da dove venisse, lo Spirito del Signore
mi afferrò al collo. Non fu un’immaginazione, sentii precisamente
la gola serrata e un nuovo spirito che entrava in me. Fui penetrato
da una sensazione di forza infinita e di mitezza, un’impressione
talmente forte che non la si potrebbe sopportare a lungo. Da quel
momento imperturbabile che non iniziai a credere con una certezza mi
ha lasciato mai più”.
In
una delle tante bellissime lettere a Fra Tommaso, un benedettino
anche lui convertito, e l’amico più fidato sulla storia della sua
conversione, Jacques scrisse: “Non capisco come ho fatto prima a
non credere. La grazia è entrata in me, mi ha colmato di una
grande gioia, ma soprattutto mi ha riempito di una grande pace. Tutto
è diventato limpido e chiaro in pochi attimi. Mi sono sentito
completamente rinnovato. Una mano forte mi ha girato come un guanto.
Prima ero soltanto un cadavere vivente. Con tutte le mie forze,
ringrazio il Signore che, nella mia grande sofferenza, ha avuto
misericordia di me e ha risposto al mio delitto con il Suo amore. Ho
pianto per la prima volta quando ho avuto la certezza che Dio mi
aveva perdonato”. Negli ultimi due anni di vita, il prigioniero
si orientò intensamente verso Dio: il rosario, la via crucis, la
lettura dei testi della S. Messa, della Bibbia e del breviario fecero
ben presto parte della sua giornata. Eppure rimase costantemente in
una lotta spirituale “nella solitudine e nella chiusura tra
quattro mura per sempre. Spesso ricado in una specie di apatia e
rassegnazione. Con grande perplessità devo constatare che tutto ciò
che io immaginavo di aver già superato… è invece ancora davanti
alla mia anima. Tutti i pensieri cattivi, che conoscevo prima della
mia conversione, mi assalgono con la stessa violenza e portano i miei
pensieri su cattive strade e io debbo raccogliere tutte le mie forze
per combatterle. Ma credo e affido tutte le mie sofferenze e dolori
a Cristo. Egli mi comprende”. Scrivere e leggere divennero la
passione di Jacques. In un anno divorò più di 200 libri, fra i
quali anche molte biografi e di Santi.
“Sacrificio
espiatorio per tutti coloro che amo”
Con
la sua famiglia di origine si aprirono contatti completamente nuovi.
Mamma Fesch, malata di cancro, non poté far visita al figlio, ma
ella stessa ritrovò il cammino verso una fede profonda e cominciò a
pregare per Jacques. Offrì la sua vita per la sua salvezza eterna,
“per una buona morte”, certa
che egli sarebbe stato giustiziato. La mamma gli inviò anche un
libro su Fatima, che Jacques lesse più volte con entusiasmo. Quando
poi, il 6 aprile del 1957, giorno del suo ventisettesimo compleanno,
fu condannato a morte, si ricordò delle parole di Maria ai tre
bambini, di pregare e offrire sacrifici per i peccatori, come
riparazione per i peccati. Nella cella numero 18, Jacques cadde in
ginocchio e pregò: “Signore, aiutami! Ti offro le mie
sofferenze!”. Aveva deciso: “Invece di subire una morte
senza senso, offrirò la mia morte per tutti coloro che amo. Nella
mia famiglia è da chiedere una completa risurrezione. Ho davanti a
me ancora due mesi e ora so cosa vuole Gesù da me: che io sottometta
totalmente la mia volontà alla Sua e che sappia dire ‘sì’ al
sacrificio espiatorio. Possa il mio sangue che sarà versato, essere
accettato da Dio come un sacrificio totale e possa ogni goccia del
mio sangue cancellare un peccato mortale”. Seguirono anche ore
difficili nelle quali Jacques confessò: “Mi lamento
ripetutamente contro la condanna a morte. Mi sembra di essere un
cattivo vecchio cavallo, al quale viene messo il morso e che si
impunta in continuazione perché vorrebbe ritornare nella stalla del
peccato... Se continuassi a vivere, non potrei rimanere al livello
che ho raggiunto. E’ meglio che io muoia”.
Jacques
missionario
Nelle
sue ultime settimane Jacques ebbe la gioia di assistere ad alcune
conversioni, avvenute nel suo ambiente più intimo. Nel 1956 la madre
morì cristianamente. Sua suocera e confidente preziosa, ‘Mamma
Marinette‘ Polack, si riconciliò con la Chiesa e anche una delle
sue sorelle si convertì alla fede. “Da quando mi trovo qui,
tutti si sono fatti un esame di coscienza. La famiglia si incontra di
nuovo e vive un cambiamento graduale. Ora bisogna convincere anche
l’altra mia sorella e mio padre. Egli mi fa visita ogni settimana e
da ateo incallito continuerà ad essere fanatico come prima. Da
almeno 45 anni non vede l’interno di un confessionale. Sacrificherò
la mia vita per lui e sono sicuro che Gesù avrà misericordia di
lui. Quando avverrà, lo sa solo Lui”.
A
Jacques, più di tutti però, stavano a cuore sua figlia di sei anni
e sua moglie Pierrette. Un amore completamente nuovo e sconosciuto
era nato dentro di lui; dalla prigione scrisse a sua moglie 350
lettere. Lei gli faceva visita puntualmente ogni sabato e si accorse:
“Il mio Jacques è già in cielo ed io mi trovo da qualche parte
sul poggiapiedi. Egli è diventato un uomo completamente diverso”.
La speranza di Jacques non fu vana: “Lentamente anche lei ha
cominciato a cercare Dio, ma la via è difficile. Penso che
cominci a comprendere”.
Il
suo desiderio più grande era che fossero marito e moglie anche
davanti a Dio. “Per quanto riguarda la questione del matrimonio
religioso non sapevo più come realizzarlo e perciò ho pregato la
Madonna di occuparsene Lei. E all’improvviso non ci sono stati più
problemi”.
Durante
la sua ultima visita, Pierrette confidò a Jacques che, in
preparazione al matrimonio, si sarebbe accostata alla confessione e
alla S. Comunione e questo per la prima volta da quando era bambina!
Un miracolo! Il matrimonio fu celebrato per procura la sera prima
dell’esecuzione. Fino all’ultimo istante Jacques volle
conquistare alla fede i suoi sorveglianti e i compagni di prigionia.
Nell’ultimo mese di vita scrisse: “Questa mattina ho avuto una
buona notizia: mi hanno detto che un compagno si è fatto battezzare
e ha ricevuto la Prima Comunione. Sembra che i miei discorsi (durante
le passeggiate nel cortile) lo abbiano pian piano condotto a
riflettere sulla sua vita e infine a convertirsi! Sono felice di
aver potuto essere strumento del Signore in una faccenda tanto
lodevole”. Il compagno di prigionia al quale era più legato si
chiamava André Hirth ed era rinchiuso nella cella sopra di lui.
Senza potersi vedere, attraverso le inferriate, facevano lunghi
discorsi, che prepararono André alla conversione. Nel 1987, trenta
anni dopo, questi raccontò: “Ammiravo il suo grande coraggio,
la fede che aveva. Quella fede che io non ho ancora e che all’inizio
nemmeno comprendevo”. La notte prima dell’esecuzione, Jacques
si congedò da lui così: “Sai André, non possiamo dire che ci
conosciamo davvero. Ciò nonostante so che devi cambiare direzione,
altrimenti a te succederà come a me... André, quando ci
incontreremo lassù, ti riconoscerò certamente dalla voce. Perciò
ti dico semplicemente: ‘Arrivederci!’. Se un giorno dovessi
vedere mia figlia, dille quanto mi dispiace di tutto e quanto
l’amo”. Poi aggiunse: “Ciao, coraggio, fratellino!”.
Andrè piangeva come un bambino.
“Presto
vedrò Gesù”
L’esecuzione
fu fissata per il 1 ottobre 1957. Tutta la notte, Jacques scrisse
lettere di addio e continuò il suo diario, iniziato due mesi prima,
per lasciarlo come testamento prezioso a sua figlia Veronique. Lì
si legge: “Gesù mi ha promesso di portarmi direttamente in
paradiso. I miei occhi sono fissi sulla croce e il mio sguardo è
rivolto alle ferite del mio Salvatore. Ripeto ininterrottamente: ‘Lo
faccio per te!’. Questa immagine vorrei conservarmela fino alla
fine perché, paragonandola a ciò che ha sofferto Lui, la mia
sofferenza è poca. Aspetto l’amore. Fra cinque ore vedrò Gesù!”.
Durante l’attesa nella cella, una vera agonia si manifestò
nell’anima purificata: “Il cuore batte fortemente nel mio
petto. Santa Vergine, aiutami! Provo tutta l’amarezza di
quest’ora”. Il diario finisce con le parole: “Santa
Vergine aiutami! Addio, state bene! Il Signore vi benedica!”.
Alle 5.30 arrivò l’ora: trovarono Jacques che pregava in
ginocchio, accanto al letto. Pallido, ma calmo, si confessò e per
l’ultima volta fece la S. Comunione. Quando lo portarono davanti
alla ghigliottina, chiese un Crocifisso. Lo baciò a lungo e
intensamente. Dopo aver chiesto perdono a tutti, posò la testa sotto
la ghigliottina dicendo: “Signore, non mi abbandonare!”.
Fonte:
“Diario francese di J. Fesch” e “Briefe aus der Todeszelle”,
Herder Verlag 1974
“I
miei occhi sono fissi sulla Croce e il mio sguardo è rivolto alle
ferite del mio Salvatore”.
J.
Fesch
Tratto
da “Trionfo del Cuore” - LA POTENZA DELLA FEDE PDF - Famiglia di
Maria Luglio - Agosto 2013 - http://www.familiemariens.org/
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