Is
65,17-21 “Non si udranno più voci di pianto, grida di
angoscia”
Salmo
29 “Ti esalto, Signore, perché mi hai liberato”
Gv
4,43-54 “Va’, tuo figlio vive”
I
testi biblici odierni si riferiscono all’immagine di Dio come Colui
che comunica la vita piena superando le barriere della morte e
introducendo l’uomo in una dimensione di vita definitiva. Isaia
parla, infatti, di una creazione nuova e diversa da quella
precedente, un mondo rinnovato che Dio prepara per l’uomo,
facendogli così dimenticare le sofferenze del passato. Allo stesso
modo, nel brano evangelico, Cristo assume l’atteggiamento di Colui
che è capace di comunicare la vita vincendo la morte, come dimostra
nella guarigione del figlio del funzionario, che ormai si trova nello
stadio terminale della sua malattia.
Entrambe
le letture ruotano dunque intorno al bisogno che l’uomo ha di
essere risanato, il bisogno del cuore di vincere le barriere della
morte, che ci separano da coloro che amiamo. Il profeta annuncia un
atto creativo di Dio, che viene definito come nuovo, perché diverso
da quello precedente: «Ecco, infatti, io creo nuovi cieli e nuova
terra» (Is 65,17). In questo atto di nuova creazione si apre come
una nuova economia per l’esistenza dell’umanità, la cui bellezza
è capace di smemorare l’umanità di tutti i dolori e le angosce
del passato: «non si ricorderà più il passato, non verrà più in
mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per
creare» (Is 65,17-18).
In
collegamento a questa creazione nuova, emerge la figura di
Gerusalemme, che rappresenta la città del nuovo ordine del mondo, in
cui gli eletti si raccolgono intorno al trono di Dio per godere la
pienezza della pace. Gerusalemme sarà il luogo della felicità
perenne e della pienezza della vita, che in essa sarà a disposizione
dell’uomo; questa vita piena viene descritta nei termini
tradizionali della mentalità ebraica, ovvero con un numero di anni
che completa il ciclo vitale della persona: «Non ci sarà più un
bimbo che viva solo pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni
non giunga alla pienezza; poiché il più giovane morirà a cento
anni e chi non raggiunge i cento anni sarà considerato maledetto»
(Is 65,20).
Il
Vangelo si collega in modo diretto a questo tema, indicando la
Persona di Cristo e il suo ministero come il germe della creazione
nuova in cui si sperimenta la vita piena. Il testo giovanneo narra
della guarigione del figlio di un funzionario a Cana di Galilea, che
rappresenta la prima esperienza in cui Cristo si trova a confronto
con il potere della morte: per la prima volta Egli dimostra la
superiorità del proprio potere, che fa trionfare la vita sulla
morte. Sempre a Cana, Cristo aveva compiuto il primo segno
messianico, durante una festa di nozze. Questo secondo segno è in
certo modo programmatico di tutta la sua successiva attività nei
confronti dell’uomo.
Per
la prima volta Cristo si trova a fronteggiare la potenza devastante
della morte che produce lacerazioni nel tessuto delle relazioni umane
più intime: il figlio di un funzionario è gravemente malato e il
padre si rivolge a Gesù per chiedergli di guarirlo.
La
guarigione del figlio del funzionario rappresenta in anticipo l’opera
più fondamentale compiuta dal Messia: comunicare all’uomo una vita
che ha la capacità di vincere la morte. Il culmine di questa opera
messianica si avrà nell’ultimo segno: la risurrezione di Lazzaro.
Il funzionario si reca da Gesù non per esprimergli la propria
adesione personale, ma perché ha un figlio malato e desidera che
guarisca. Ha udito quello che Gesù aveva operato a Gerusalemme
durante la festa di Pasqua e spera che faccia qualcosa anche per suo
figlio. La risposta di Gesù è indicativa dell’animo con cui il
funzionario regio gli si è avvicinato: «Se non vedete segni e
prodigi, voi non credete» (Gv 4,48).
Cristo
parla al plurale, perché il funzionario condivide lo stesso
atteggiamento di tutta la classe dirigente giudaica, che chiederà
ripetutamente a Gesù dei segni per poter credere. A livello
personale, poi, c’è un’evidente contraddizione: quella classe
dirigente che si manterrà ostile a Cristo fino all’ultimo, e gli
negherà in Gerusalemme qualunque riconoscimento, ricorre però a Lui
quando, trovandosi in grave necessità, non rimane alcuna speranza se
non il suo intervento salvifico. Cristo condanna apertamente
l’atteggiamento di chi lo cerca per ricevere un beneficio, senza
curarsi di ridefinire la propria vita nell’ubbidienza della fede.
Tuttavia il beneficio non è negato. Il valore altissimo della
persona umana è sempre posto da Gesù come obiettivo prioritario del
suo ministero messianico. E se da un lato Egli disapprova il
funzionario che cerca i benefici di Cristo senza cercare Cristo,
dall’altro lato, la sua compassione lo muove a guarire l’innocente
colpito dalla malattia.
La
risposta di Cristo ha ancora un altro risvolto: la disapprovazione di
quanti vogliono appoggiare la loro fede sui segni della sua potenza.
E non è un caso che questo atteggiamento sia rappresentato proprio
da uno che appartiene alla classe dirigente. La sua mentalità lo
porta ad attribuire un valore di credibilità solo alle
manifestazioni della potenza. Il potere umano si fonda sul grado
della propria forza, e con essa si impone alle masse; per questa
ragione la classe dirigente di Gerusalemme non capirà il linguaggio
del messianismo di Gesù.
L’espressione
di Gesù, «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete» (Ib.),
intende smascherare un fraintendimento di fondo che impedirà il
dialogo tra Cristo e le strutture del potere: coloro che esercitano
il potere parlano il linguaggio del potere e non sono disposti a
piegarsi se non dinanzi alle manifestazioni del potere. Essi chiedono
dei prodigi per credere, perché non comprendono che il linguaggio
della potenza.
Mentre
dal punto di vista di Cristo, i prodigi di guarigione e di
liberazione non sono delle manifestazioni della potenza di Dio, ma la
dimostrazione della sua volontà di salvare l’uomo tutto intero.
Per questo, Gesù opererà, sì, il miracolo richiesto dal
funzionario, ma senza alcun dispiegamento di potenza; lo farà con la
massima naturalezza, semplicemente: il funzionario, tornando a casa,
troverà suo figlio guarito. Con i miracoli Cristo non intende
piegare la volontà umana sotto la gloria di Dio, ma intende solo
rivelare l’amore.
Su
questo punto, il funzionario del re, e con lui tutta la classe
dirigente, incontra una enorme difficoltà nel capire la logica di
Gesù. Gli uomini del potere, infatti, non capiscono come sia
possibile che il Messia, pur potendo schiacciare l’umanità sotto
la sua potenza, non abbia neppure il desiderio di farlo. L’insistenza
del funzionario lascia trasparire la gravità della malattia del
ragazzo. Ma, al di là della circostanza specifica, l’atteggiamento
del funzionario rivela anche l’impotenza umana dinanzi alle
esperienze più estreme della vita come pure dinanzi al mistero della
morte.
L’evangelista
mette qui in evidenza il contrasto tra l’uomo del potere, il
rappresentante della classe dirigente, e la superiorità del male
rispetto al potere umano. Dinanzi alla grave malattia di suo figlio,
quest’uomo potente è costretto a dichiarare la sua impotenza. Si
rivolge perciò a Cristo, avendo costatato l’inutilità delle
proprie risorse, come ci si rivolge a un potere superiore. Il
funzionario ritiene però che Cristo abbia bisogno di essere
fisicamente presente per poter operare il miracolo, ma Cristo
preferisce non muoversi dal suo posto. In questo modo Egli manda in
frantumi ancora una volta la logica del potere: la caratteristica di
questo miracolo di guarigione è la naturalezza con cui è compiuto.
Cristo esaudisce la richiesta del funzionario, ma lo fa senza
ostentazione di potenza, evitando persino di essere presente laddove
il miracolo si verifica. L’unico segno che la guarigione del
bambino non è casuale ma è il risultato di un comando esplicito di
Cristo, sarà la coincidenza perfetta dell’orario (Gv 4,52).
Inoltre,
il fatto che Cristo rifiuti di andare a Cafarnao rappresenta la
condizione basilare per ogni azione divina di liberazione: lo spazio
per un atto libero di adesione di fede. All’inizio del loro
dialogo, Gesù aveva letto nel cuore del funzionario e aveva visto la
sua fede insufficiente: «Se non vedete segni e prodigi, voi non
credete» (Gv 4,48). Anche nel chiedere la guarigione del proprio
figlio, il funzionario si appoggia ai segni miracolosi già compiuti
da Cristo. La vera fede, quella che ottiene da Dio ogni guarigione,
non si deve appoggiare alle dimostrazioni e ai portenti, ma solo alla
parola di Cristo. Cristo non scende a Cafarnao insieme al
funzionario, e apparentemente gli nega qualcosa, ma il suo scopo è
quello di dargli la possibilità di compiere un atto di fede nella
sua parola: «Va’, tuo figlio vive» (Gv 4,50).
Don
Vincenzo Cuffaro
- Tratto da
http://www.cristomaestro.it/
Nessun commento:
Posta un commento