lunedì 12 marzo 2018

MEDITAZIONE DI LUNEDI' - IV SETTIMANA DI QUARESIMA



Is 65,17-21 “Non si udranno più voci di pianto, grida di angoscia”
Salmo 29 “Ti esalto, Signore, perché mi hai liberato”
Gv 4,43-54 “Va’, tuo figlio vive”

I testi biblici odierni si riferiscono all’immagine di Dio come Colui che comunica la vita piena superando le barriere della morte e introducendo l’uomo in una dimensione di vita definitiva. Isaia parla, infatti, di una creazione nuova e diversa da quella precedente, un mondo rinnovato che Dio prepara per l’uomo, facendogli così dimenticare le sofferenze del passato. Allo stesso modo, nel brano evangelico, Cristo assume l’atteggiamento di Colui che è capace di comunicare la vita vincendo la morte, come dimostra nella guarigione del figlio del funzionario, che ormai si trova nello stadio terminale della sua malattia.
Entrambe le letture ruotano dunque intorno al bisogno che l’uomo ha di essere risanato, il bisogno del cuore di vincere le barriere della morte, che ci separano da coloro che amiamo. Il profeta annuncia un atto creativo di Dio, che viene definito come nuovo, perché diverso da quello precedente: «Ecco, infatti, io creo nuovi cieli e nuova terra» (Is 65,17). In questo atto di nuova creazione si apre come una nuova economia per l’esistenza dell’umanità, la cui bellezza è capace di smemorare l’umanità di tutti i dolori e le angosce del passato: «non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare» (Is 65,17-18).

In collegamento a questa creazione nuova, emerge la figura di Gerusalemme, che rappresenta la città del nuovo ordine del mondo, in cui gli eletti si raccolgono intorno al trono di Dio per godere la pienezza della pace. Gerusalemme sarà il luogo della felicità perenne e della pienezza della vita, che in essa sarà a disposizione dell’uomo; questa vita piena viene descritta nei termini tradizionali della mentalità ebraica, ovvero con un numero di anni che completa il ciclo vitale della persona: «Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza; poiché il più giovane morirà a cento anni e chi non raggiunge i cento anni sarà considerato maledetto» (Is 65,20).
Il Vangelo si collega in modo diretto a questo tema, indicando la Persona di Cristo e il suo ministero come il germe della creazione nuova in cui si sperimenta la vita piena. Il testo giovanneo narra della guarigione del figlio di un funzionario a Cana di Galilea, che rappresenta la prima esperienza in cui Cristo si trova a confronto con il potere della morte: per la prima volta Egli dimostra la superiorità del proprio potere, che fa trionfare la vita sulla morte. Sempre a Cana, Cristo aveva compiuto il primo segno messianico, durante una festa di nozze. Questo secondo segno è in certo modo programmatico di tutta la sua successiva attività nei confronti dell’uomo.
Per la prima volta Cristo si trova a fronteggiare la potenza devastante della morte che produce lacerazioni nel tessuto delle relazioni umane più intime: il figlio di un funzionario è gravemente malato e il padre si rivolge a Gesù per chiedergli di guarirlo.
La guarigione del figlio del funzionario rappresenta in anticipo l’opera più fondamentale compiuta dal Messia: comunicare all’uomo una vita che ha la capacità di vincere la morte. Il culmine di questa opera messianica si avrà nell’ultimo segno: la risurrezione di Lazzaro. Il funzionario si reca da Gesù non per esprimergli la propria adesione personale, ma perché ha un figlio malato e desidera che guarisca. Ha udito quello che Gesù aveva operato a Gerusalemme durante la festa di Pasqua e spera che faccia qualcosa anche per suo figlio. La risposta di Gesù è indicativa dell’animo con cui il funzionario regio gli si è avvicinato: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete» (Gv 4,48).
Cristo parla al plurale, perché il funzionario condivide lo stesso atteggiamento di tutta la classe dirigente giudaica, che chiederà ripetutamente a Gesù dei segni per poter credere. A livello personale, poi, c’è un’evidente contraddizione: quella classe dirigente che si manterrà ostile a Cristo fino all’ultimo, e gli negherà in Gerusalemme qualunque riconoscimento, ricorre però a Lui quando, trovandosi in grave necessità, non rimane alcuna speranza se non il suo intervento salvifico. Cristo condanna apertamente l’atteggiamento di chi lo cerca per ricevere un beneficio, senza curarsi di ridefinire la propria vita nell’ubbidienza della fede. Tuttavia il beneficio non è negato. Il valore altissimo della persona umana è sempre posto da Gesù come obiettivo prioritario del suo ministero messianico. E se da un lato Egli disapprova il funzionario che cerca i benefici di Cristo senza cercare Cristo, dall’altro lato, la sua compassione lo muove a guarire l’innocente colpito dalla malattia.
La risposta di Cristo ha ancora un altro risvolto: la disapprovazione di quanti vogliono appoggiare la loro fede sui segni della sua potenza. E non è un caso che questo atteggiamento sia rappresentato proprio da uno che appartiene alla classe dirigente. La sua mentalità lo porta ad attribuire un valore di credibilità solo alle manifestazioni della potenza. Il potere umano si fonda sul grado della propria forza, e con essa si impone alle masse; per questa ragione la classe dirigente di Gerusalemme non capirà il linguaggio del messianismo di Gesù.
L’espressione di Gesù, «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete» (Ib.), intende smascherare un fraintendimento di fondo che impedirà il dialogo tra Cristo e le strutture del potere: coloro che esercitano il potere parlano il linguaggio del potere e non sono disposti a piegarsi se non dinanzi alle manifestazioni del potere. Essi chiedono dei prodigi per credere, perché non comprendono che il linguaggio della potenza.
Mentre dal punto di vista di Cristo, i prodigi di guarigione e di liberazione non sono delle manifestazioni della potenza di Dio, ma la dimostrazione della sua volontà di salvare l’uomo tutto intero. Per questo, Gesù opererà, sì, il miracolo richiesto dal funzionario, ma senza alcun dispiegamento di potenza; lo farà con la massima naturalezza, semplicemente: il funzionario, tornando a casa, troverà suo figlio guarito. Con i miracoli Cristo non intende piegare la volontà umana sotto la gloria di Dio, ma intende solo rivelare l’amore.
Su questo punto, il funzionario del re, e con lui tutta la classe dirigente, incontra una enorme difficoltà nel capire la logica di Gesù. Gli uomini del potere, infatti, non capiscono come sia possibile che il Messia, pur potendo schiacciare l’umanità sotto la sua potenza, non abbia neppure il desiderio di farlo. L’insistenza del funzionario lascia trasparire la gravità della malattia del ragazzo. Ma, al di là della circostanza specifica, l’atteggiamento del funzionario rivela anche l’impotenza umana dinanzi alle esperienze più estreme della vita come pure dinanzi al mistero della morte.
L’evangelista mette qui in evidenza il contrasto tra l’uomo del potere, il rappresentante della classe dirigente, e la superiorità del male rispetto al potere umano. Dinanzi alla grave malattia di suo figlio, quest’uomo potente è costretto a dichiarare la sua impotenza. Si rivolge perciò a Cristo, avendo costatato l’inutilità delle proprie risorse, come ci si rivolge a un potere superiore. Il funzionario ritiene però che Cristo abbia bisogno di essere fisicamente presente per poter operare il miracolo, ma Cristo preferisce non muoversi dal suo posto. In questo modo Egli manda in frantumi ancora una volta la logica del potere: la caratteristica di questo miracolo di guarigione è la naturalezza con cui è compiuto. Cristo esaudisce la richiesta del funzionario, ma lo fa senza ostentazione di potenza, evitando persino di essere presente laddove il miracolo si verifica. L’unico segno che la guarigione del bambino non è casuale ma è il risultato di un comando esplicito di Cristo, sarà la coincidenza perfetta dell’orario (Gv 4,52).
Inoltre, il fatto che Cristo rifiuti di andare a Cafarnao rappresenta la condizione basilare per ogni azione divina di liberazione: lo spazio per un atto libero di adesione di fede. All’inizio del loro dialogo, Gesù aveva letto nel cuore del funzionario e aveva visto la sua fede insufficiente: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete» (Gv 4,48). Anche nel chiedere la guarigione del proprio figlio, il funzionario si appoggia ai segni miracolosi già compiuti da Cristo. La vera fede, quella che ottiene da Dio ogni guarigione, non si deve appoggiare alle dimostrazioni e ai portenti, ma solo alla parola di Cristo. Cristo non scende a Cafarnao insieme al funzionario, e apparentemente gli nega qualcosa, ma il suo scopo è quello di dargli la possibilità di compiere un atto di fede nella sua parola: «Va’, tuo figlio vive» (Gv 4,50).

Don Vincenzo Cuffaro - Tratto da http://www.cristomaestro.it/


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