Fra
i problemi della società contemporanea, uno dei più gravi è la
crisi della famiglia. Una rimessa in questione radicale
dell'istituzione del matrimonio – ripresa di frequente dai mass
media – non cessa di batterla in breccia: la stabilità delle
famiglie è minacciata dalle leggi permissive che agevolano il
divorzio; la missione della madre casalinga non è più stimata al
suo giusto valore; le famiglie numerose non ricevono l'appoggio che
meriterebbero; la castità e la fedeltà coniugale sono spesso
ridicolizzate; una «cultura di morte» incoraggia instancabilmente
l'aborto e la contraccezione; in numerosi luoghi, il bambino è
sottoposto a tentativi di perversione (pubblicità blasfeme e
pornografiche, droga, prostituzione, ecc.); vengono proposti nuovi
modelli: libera unione, famiglia monoparentale, coppie di
omosessuali, ecc.
La
società si autodistrugge, distruggendo la famiglia, che è, secondo
la volontà del Creatore, la sua cellula base. «La salvezza della
persona e della società [...] è strettamente connessa con una
felice situazione della comunità coniugale e familiare» (Vaticano
II, Gaudium et spes, 47). Forse che i bambini di oggi non
saranno i cittadini di domani? Ora, è in seno alla famiglia che il
bambino fa le prime esperienze di vita in società, che impara il
senso dell'autorità, della responsabilità, del servizio
disinteressato... Al contrario, che esempi d'amore, di fedeltà, di
perdono possono trovare i bambini nei modelli fondati
sull'individualismo e l'instabilità?
Oggi,
la Chiesa cattolica è violentemente criticata per via del suo
insegnamento sulla famiglia. La si accusa di non adeguarsi ai tempi,
di ostacolare con i suoi «divieti» il progresso delle nazioni e
degli individui. Tali critiche non devono nè stupirci, nè
scoraggiarci: Gesù Cristo, Nostro Signore, non ha forse avvertito i
suoi discepoli: Se il mondo vi odia, sappiate che prima di
voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è
suo. Nel mondo voi avrete afflizioni. Ma fatevi coraggio! io ho vinto
il mondo (Giov. 15, 18-19; 16, 33)? Come il Salvatore, la
Chiesa ci avvisa: «Non prendete il mondo presente per modello»
(Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 6 agosto 1993,
cap. 2), e, come Lui, non teme di essere un «segno di
contraddizione».
Attraverso
questo processo intentato alla Chiesa, i di lei avversari, loro
malgrado, mettono in risalto la sua santità; riconoscono che si
oppone efficacemente al culto sfrenato del piacere ed alla perdita
eterna delle anime. Difendendo la vita umana, di cui la famiglia è
il santuario, la Chiesa si mostra fedele a Cristo, venuto al mondo
non per imporre agli uomini un fardello insopportabile, ma al
contrario per liberarli dalla schiavitù del peccato. Inoltre,
ricordando «la necessaria conformità delle leggi civili alla legge
morale» (Giovanni Paolo II, Evangelium vitæ, 25 marzo
1995, n. 72), vale a dire alla legge naturale enunciata nei
Comandamenti di Dio, la Chiesa difende la causa dei veri valori della
persona umana e
sostiene
i principi che, soli, possono rendere la vita sociale giusta e
pacifica. Pone così le basi di una fausta ricostituzione del corpo
sociale. A quest'autentico progresso dell'umanità, la Chiesa
contribuisce con l'insegnamento e ancor più con l'esempio dei santi.
Essi,
con la loro vita, illustrano la dottrina della Chiesa e le danno una
forza ed un'attrattiva incomparabile. Attestano, inoltre, che è
possibile, con la grazia divina, vivere in perfetto accordo con essa.
In occasione dell'Anno della Famiglia, Papa Giovanni Paolo II ha
beatificato Elisabetta Canori Mora. Questa moglie e madre di
famiglia, «in mezzo a numerose difficoltà coniugali, ha dimostrato
una fedeltà totale all'impegno assunto con il sacramento del
matrimonio ed alle responsabilità che ne derivano» (Omelia del 24
aprile 1994). L'insegnamento della Chiesa sulla famiglia,
interpretato alla luce di quest'esempio di vita cristiana, ci guiderà
sulla via che Cristo ci ha tracciato, e che porta alla vita beata del
Cielo.
Un'importante
preparazione
Elisabetta
viene alla luce il 21 novembre 1774. I suoi genitori possiedono una
tenuta vicino a Roma (Italia). Essa è la tredicesima di una famiglia
di quattordici figli, di cui sei sono già deceduti in tenera età. È
in seno a questa famiglia numerosa che riceve la prima educazione.
«La famiglia è la prima scuola, scuola fondamentale della vita
sociale; come comunanza d'amore, trova nel dono di sè la legge che
la guida e la fa crescere. Il dono di sè che anima i coniugi si
presenta come il modello e la norma di quello che deve realizzarsi
nei rapporti fra fratelli e sorelle, e fra le varie generazioni che
condividono la vita familiare» (Giovanni Paolo II, Esortazione
apostolica, Familiaris consortio, FC, 37).
In
questa famiglia profondamente cristiana, che veglia all'educazione
dei figli, Elisabetta è felice e trova un equilibrio perfetto. Nel
1796, sposa un giovane avvocato, Cristoforo Mora, figlio di un medico
ricco e stimato. Elisabetta si è preparata diligentemente a
quest'impegno ed ha seguito, all'uopo, un ritiro spirituale. «Ai
giorni nostri, la preparazione dei giovani al matrimonio ed alla vita
familiare è più che mai necessaria. Molti fenomeni negativi che si
deplorano oggi nella vita familiare nascono dal fatto che, nelle
nuove situazioni, i giovani hanno perso di vista la giusta gerarchia
dei valori e, non possedendo più criteri sicuri di comportamento,
non sanno più come affrontare e risolvere le nuove difficoltà.
Eppure, l'esperienza insegna che i giovani ben preparati alla vita di
famiglia hanno più successo degli altri» (FC, 66).
Elisabetta
desidera fondare con suo marito una famiglia veramente cristiana. Sa
che, con l'impegno solenne assunto davanti a Dio e davanti alla
Chiesa, entrambi si prometteranno reciprocamente di «rimanere fedeli
nella gioia e nella tristezza, nella malattia e nella salute, per
amarsi e rispettarsi tutti i giorni della vita» (ved. Rituale). Per
mettere in evidenza gli elementi essenziali che costituiscono il bene
comune dei coniugi (l'amore, il rispetto, la fedeltà fino alla
morte), la Chiesa, nel corso della cerimonia, chiede loro se siano
disposti ad accettare e ad educare cristianamente i figli che Dio
vorrà mandar loro. «Secondo il disegno di Dio, il matrimonio è il
fondamento di quella più ampia comunità che è la famiglia, poichè
l'istituzione stessa del matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati
in vista della procreazione e dell'educazione dei figli in cui
trovano il loro coronamento» (FC, 14). Abitualmente, l'unione
dei coniugi perdura e si consolida grazie alla nascita ed
all'educazione della prole, che è il più bel frutto dell'amore
coniugale.
Amore
ferito
I
primi tempi del matrimonio sono molto felici. Ma, ben presto, la
convivenza si trova compromessa a causa della fragilità psicologica
di Cristoforo. All'inizio, si
tratta
di accessi di gelosia inspiegabili, poi il giovane avvocato si
innamora di un'altra donna e tradisce la moglie. Profondamente ferita
nel suo amore, Elisabetta non muove però alcun rimprovero al marito.
Continua a manifestargli tutta la sua tenerezza, sperando di
riconquistarlo. La prova è tanto più penosa, in quanto ha perso,
uno dopo l'altro, due figli, morti poco dopo la nascita.
Alla
fine del 1799, dà alla luce una bambina, Marianna, piena di
vitalità. Ahimè, la situazione della famiglia si deteriora:
l'avvocato si disinteressa del suo studio legale e si abbandona a
speculazioni inconsulte, che, ben presto, lo portano al fallimento.
Elisabetta non esita: vende tutti i suoi gioielli per pagare i debiti
del marito, senza tuttavia riuscirci, talmente essi sono ingenti.
Invece di essergliene riconoscente, Cristoforo, umiliato dagli
smacchi subiti, diventa volgare e sempre più ombroso. I suoi
genitori, Francesco ed Agata Mora, gli suggeriscono, per fare
economia, di lasciare il bell'appartamento in cui è sistemato da
quando si è sposato, e di andare ad abitare da loro. Il trasloco
costituisce una nuova prova per Elisabetta, poichè perde l'intimità
della vita coniugale e familiare. La giovane, tuttavia, accetta
volentieri questo sacrificio, per la conversione del marito infedele.
Il
peccato di adulterio è infatti un disordine grave. Il Catechismo
della Chiesa Cattolica lo ha ricordato in questi termini: «La parola
«adulterio» designa l'infedeltà coniugale. L'adulterio è
un'ingiustizia. Chi lo commette vien meno agli impegni assunti.
Ferisce quel segno dell'alleanza che è il vincolo matrimoniale, lede
il diritto dell'altro coniuge e attenta all'istituto del matrimonio,
violando il contratto che lo fonda. Compromette il bene della
generazione umana e dei figli, i quali hanno bisogno dell'unione
stabile dei genitori» (CCC, 2380-2381). Elisabetta sa
soprattutto che colui che si rende colpevole del peccato di
adulterio non erediterà il Regno di Dio (ved. 1
Cor. 6, 9; Matt. 19, 18). Il suo amore per Cristoforo, basato sulla
fede e la carità soprannaturali, le fa temere per la salvezza eterna
del marito. Perciò, moltiplica i sacrifici e le preghiere. La sua
fiducia in Dio e la perseveranza nella preghiera non saranno deluse.
Nel
luglio del 1801, una quarta gravidanza viene a lenire la vita
sventurata di questa donna ammirevole. Ma, poco dopo il parto, una
malattia stronca la madre e la porta all'agonia. Umanamente,
Elisabetta è spacciata. Tuttavia, una guarigione miracolosa, come
dirà essa medesima, le restituisce la salute. Questa malattia è
l'occasione di un importante progresso spirituale. La sua vita di
unione con Dio e la pratica religiosa si intensificano; la
confessione e la comunione frequente diventano i due poli della sua
vita spirituale. Nel 1804, per ispirazione di Dio, prende tre
risoluzioni: 1) praticare la dolcezza, la pazienza, e non adirarsi
mai; 2) compiere in tutto e per tutto la volontà di Dio; 3)
esercitarsi nelle virtù della mortificazione e della penitenza.
Trarrà
da tale intensa vita spirituale la forza di sopportare la sua
difficile situazione familiare. Infatti, umiliazioni cocenti
continuano a piovere su di lei. Le cognate, da cui si sarebbe potuta
aspettare affetto e sostegno, la rendono responsabile degli smacchi
finanziari di Cristoforo, e le rimproverano di essere la causa del di
lui adulterio: «Con una donna diversa, dicono, Cristoforo sarebbe
diverso!» Seguendo l'esempio di Gesù, Elisabetta risponde a tutto
ciò con la dolcezza, la pazienza ed il perdono. Ma la prova più
dolorosa sorge dalle pressioni fisiche e psicologiche del marito e
dei parenti acquisiti che intendono strapparle un consenso
inammissibile: «Quel leone inferocito (Cristoforo l'aveva minacciata
con un coltello) voleva ad ogni costo essere autorizzato per iscritto
a frequentare la sua amante, si legge nel di lei diario. Per fortuna
che avevo passato due ore a pregare! Dio mi ha comunicato talmente
tanta forza, che ero pronta a dare la vita piuttosto che offendere il
mio Signore».
Per
sempre
Elisabetta
non può, senza peccare gravemente, accondiscendere all'adulterio di
Cristoforo, nemmeno per salvare la situazione e riconciliarsi con
lui. Non è mai permesso fare il male, neanche perchè ne
venga un bene (ved. Rom. 3,8). Il vincolo matrimoniale è
stabilito da Dio medesimo, di modo che, tra battezzati, il matrimonio
rato e consumato non può mai esser sciolto.
Papa
Giovanni Paolo II ha ricordato l'insegnamento della Chiesa su questo
punto essenziale: «La comunione coniugale è caratterizzata non solo
dall'unità, ma anche dall'indissolubilità. Il carattere definitivo
dell'amore coniugale trova in Gesù Cristo il proprio fondamento e la
propria forza. Radicata nel dono plenario e personale dei coniugi e
richiesta per il bene dei figli, l'indissolubilità del matrimonio
trova la sua verità definitiva nel disegno che Dio ha manifestato
nella Rivelazione: è Lui che vuole e dà l'indissolubilità del
matrimonio quale frutto, segno ed esigenza dell'amore assolutamente
fedele che Dio ha per l'uomo e che il Signore Gesù manifesta nei
riguardi della sua Chiesa.
«Il
dono del sacramento è, per i coniugi cristiani, una vocazione – ed
in pari tempo un comando – a rimanere fedeli per sempre, al di là
delle prove e delle difficoltà, in una generosa ubbidienza alla
volontà del Signore: Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non
lo separi (Matt. 19, 6). Ai giorni nostri, testimoniare il
valore inestimabile dell'indissolubilità del matrimonio e della
fedeltà coniugale è, per i coniugi cristiani, uno dei doveri più
importanti e più imperiosi» (FC, 20).
Forte
della sua fede nell'insegnamento evangelico, Elisabetta resiste
quindi coraggiosamente alle minacce che vengono proferite contro di
lei. È d'altronde convinta che, se la riconciliazione col marito
avrà luogo un giorno, ciò sarà il frutto della sua fedeltà alla
legge divina.
Testimonianza
insostituibile
Con
la morte del dottor Francesco Mora, che avviene nel 1812, Elisabetta
perde l'ultimo sostegno. Le cognate le fanno allora capire che, con
le due figlie, costituisce un onere per la famiglia. Bisogna dunque
che si cerchi un appartamento a Roma. Con tale trasloco, inizia per
lei un periodo più sereno, malgrado l'estrema povertà. Ne
approfitta, per seguire più da vicino l'educazione delle figlie, che
ha sempre considerato come uno dei suoi compiti principali. La sua
prima preoccupazione è quella di dar loro una seria formazione
spirituale. La famigliola diventa una felice «Chiesa domestica», in
cui il Signore è amato, in cui è piacevole vivere.
«Fin
dalla più tenera età, i figli devono imparare a scoprire Dio e ad
onorarlo, e ad amare anche il prossimo. L'esempio concreto dei
genitori è una testimonianza fondamentale ed insostituibile
dell'educazione alla preghiera: solo pregando con i figli, essi
penetrano profondamente nel loro cuore, lasciandovi tracce che gli
eventi della vita non riusciranno a cancellare. Ascoltiamo l'appello
che Papa Paolo VI ha rivolto ai genitori: «Mamme, insegnate ai
vostri piccini la preghiera del cristiano? Li preparate, in
collaborazione con i sacerdoti, ai sacramenti della prima età: la
confessione, la comunione, la cresima? Li abituate, se sono ammalati,
a pensare alle sofferenze di Cristo, ad invocare l'aiuto della Santa
Vergine e dei Santi? E voi, papà, sapete pregare con i vostri
figli?... Porterete così la pace fra i membri della vostra
famiglia».
«Oltre
alle preghiere della mattina e della sera, sono da consigliarsi
espressamente la lettura e la meditazione della Parola di Dio, la
devozione e la consacrazione al Cuore di Gesù, le varie forme di
pietà nei riguardi della Vergine Maria, la benedizione del cibo, le
pratiche di devozione popolare» (FC, 60 e 61). La recitazione
del rosario in famiglia è vivamente raccomandata: «Non c'è dubbio
che il rosario della Vergine Maria deva esser considerato come una
delle migliori e più efficaci 'preghiere in comune' che la famiglia
cristiana sia invitata a recitare» (id.).
«Tornerai
a Dio...»
Dimentica
di sè, diffondendo sempre più l'amore della Santissima Trinità,
cui si era consacrata entrando a far parte del Terz'Ordine
Trinitario, Elisabetta fa della propria casa il luogo di ritrovo di
tutte le persone che cercano un sollievo materiale o spirituale,
riservando una particolare attenzione alle famiglie in difficoltà.
La sua anima, purificata dalle prove, è pronta per il Cielo.
A
Natale, nel 1824, un edema, che l'ha già colpita qualche mese prima,
riappare nuovamente. Elisabetta dichiara alle sue figliole che sarà
la sua ultima malattia. Ha la gioia di vedere il marito riprendere il
suo posto in casa e passare lunghe ore al suo capezzale. L'ammalata
non gli rimprovera nulla del triste passato di cui ha tanto sofferto.
Al contrario, quale moglie amorosa, lo incoraggia e ne profetizza il
ritorno a Dio: «Tornerai a Dio dopo la mia morte, gli dice, tornerai
a Dio per rendergli gloria».
La
sera del 5 febbraio 1825, Elisabetta, circondata dalle figlie, si
spegne dolcemente, con l'espressione gioiosa di qualcuno che va a
raggiungere un essere caro. Cristoforo, come al solito, rientra
all'alba. Sorpreso di trovare la porta aperta, si precipita nella
stanza della moglie, che trova coricata, senza vita. Davanti a quella
donna che gli era rimasta fedele fino alla fine, è assalito da un
rimorso violento per tutta una vita di negligenza, di ingratitudine e
di infedeltà, e piange senza ritegno. Quelle lacrime purificatrici
sono il preludio della conversione predetta da Elisabetta. Nel 1834,
entra nei Frati Minori Conventuali e sarà addirittura ordinato
prete. Muore santamente l'8 settembre 1845, giorno della Natività
della Beata Vergine Maria, una festa particolarmente cara a sua
moglie.
L'esempio
di Elisabetta è un incoraggiamento efficace per le famiglie in
difficoltà. Ricorda «che non si deve mai disperare della
misericordia di Dio» (Regola di San Benedetto, cap. 4), e testimonia
la fedeltà del Signore «Autore e Custode del matrimonio», che,
nelle situazioni più difficili, dà a ciascuno la grazia di cui ha
bisogno. Quanto alle famiglie che vivono in armonia, esse sono
invitate a render grazie a Dio per il dono della pace (uno dei frutti
della devozione al Sacro Cuore). Questo dono, il più prezioso di
tutti, necessita, per durare e crescere, il perdono reciproco e la
preghiera. E soprattutto la pazienza, che è l'espressione ed il
sostegno dell'amore, è al centro di tutte le relazioni umane
durature. L'amore è paziente, assicura San Paolo (1 Cor.
13, 4).
Terminando
l'Esortazione Apostolica sulla Famiglia, Papa Giovanni Paolo II
invita le famiglie a porsi sotto il patrocinio della Sacra Famiglia
«modello di tutte le famiglie»: «Guardiamo questa Famiglia, unica
al mondo, che ha glorificato Dio in maniera incomparabilmente elevata
e pura. Non mancherà di assistere tutte le famiglie del mondo, nella
fedeltà ai loro compiti quotidiani, nel modo di sopportare le
inquietudini e le tribolazioni della vita, nell'apertura generosa
alle altrui necessità, nel compimento del disegno di Dio su di
esse». La Santa Vergine e San Giuseppe, che furono uniti in un vero
matrimonio, attraversato da difficoltà e prove, sosterranno ed
incoraggeranno coloro che li invocano con fiducia.
È
alla Sacra Famiglia che affidiamo Lei e tutti coloro che Le sono
cari, vivi e defunti.
Dom
Antoine Marie osb
"Lettera
mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)".
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