In
una sera del novembre 1882, arriva a Udine (Italia), un adolescente
accompagnato da suo padre. Si recano presso il convento dei
Cappuccini; e siccome sono attesi, la porta si apre immediatamente
per lasciarli entrare. Il Padre Guardiano va premurosamente incontro
agli ospiti. Il suo sguardo si volge verso il giovane sedicenne,
troppo basso per la sua età, magro e pallido. Veramente, il suo
aspetto non è allettante, con quell'aria goffa che la timidezza e
l'andatura pesante accentuano ancora di più. Per giunta, parla male:
è balbuziente. Ma l'espressione del volto dai lineamenti regolari,
illuminati da uno sguardo vivace e da un sorriso schietto, compensa
vantaggiosamente tali difetti. Per di più, le poche parole che ha
pronunciato hanno rivelato un giovane deciso: vuol farsi sacerdote
nell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini.
Viene
da molto lontano, da Castelnovo d'Istria, in Dalmazia (oggi
Hercegnovi, nel Montenegro). Nato il 12 maggio 1866, fu battezzato
con il nome di Deodato. A seguito di un dissesto finanziario, la sua
famiglia, un tempo nobile e ricca, è ridotta ad una condizione più
modesta; ma tale cambiamento non ha assolutamente intaccato la fede,
nè la fedeltà dei Mandic alla Chiesa romana.
Altero
per natura e di temperamento vivace, il piccolo Deodato non smentisce
il sangue dalmata che gli scorre nelle vene. L'atmosfera del
seminario «serafico» in cui entra è buona. Ma i suoi compagni sono
ragazzi robusti e ben piantati, e le allusioni alla statura bassa del
nuovo arrivato – non supererà un metro e trentacinque – o alla
sua pronuncia difettosa, lo feriscono profondamente. Allo stesso
modo, si inalbera dolorosamente quando sorprende lo sguardo troppo
compassionevole dei Padri addetti alla scuola. Qualche scatto di
malumore, senza grande importanza, lo impegna in una lotta coraggiosa
e perseverante per domare la propria suscettibilità, per moderare il
proprio temperamento troppo focoso e per acquisire una pazienza
abituale, una dolcezza conquistatrice. Da quando ha fatto la prima
comunione, Deodato attinge frequentemente nell'Eucaristia la forza
necessaria per correggere i propri difetti.
Consacrandosi
a Dio nella vita religiosa, ha uno scopo preciso: adoperarsi per il
ritorno all'unità cattolica degli Orientali separati dalla Chiesa
Romana. L'idea è nata in lui nel corso della sua infanzia a
Castelnovo. Questo porto sull'Adriatico è un importante centro
commerciale, il punto d'incontro di uomini di razze e religioni
differenti. In tale pluralità religiosa, la Chiesa cattolica
conserva un posto discreto, ma la sua influenza non basta ad opporsi
e a dominare gli eccessi della cupidigia, del lusso e della
sensualità. Lo spettacolo penoso di tale miseria spirituale ha
colpito Deodato. Col passare degli anni, Dio gli ha fatto capire
sempre meglio quanto la vera fede mancasse a quelle popolazioni
sradicate. Gli è nato nel cuore un desiderio, un progetto che, sotto
l'impulso della grazia, è diventato una risoluzione precisa e ferma:
salvare quelle anime abbandonate a se stesse, facendole entrare nella
Chiesa cattolica. Con la riflessione, il suo orizzonte si è
allargato, e al di là degli incontri di Castelnovo, ha scoperto
tutti i paesi dell'Oriente conquistati dallo scisma e che vivono
fuori dal vero ovile di Cristo. Lui, il piccolo Mandic, sarà il loro
apostolo.
Seminare
il buon grano
Il
periodo di istruzione di Deodato a Udine dura appena diciotto mesi.
Ammesso al noviziato nel convento di Bassano del Grappa, il 20 aprile
1884, prende ivi l'abito talare e riceve il nome di Fra Leopoldo.
Finito il noviziato, studia filosofia a Padova, poi teologia a
Venezia, dove, il 20 settembre 1890, viene ordinato sacerdote. Il suo
desiderio di partire ben presto per le missioni si intensifica. Ma la
sua salute si è risentita degli sforzi compiuti durante gli anni di
studio, ed egli viene inizialmente mandato in vari conventi
dell'Ordine perchè vi ricuperi le forze. È una grande delusione.
Tuttavia, accetta con profondo spirito di fede, non intendendo
regolare la propria vita secondo ispirazioni personali, ma secondo
l'ubbidienza. Nella prospettiva delle future missioni, perfeziona le
sue cognizioni di scienze sacre e di lingue orientali, quali il greco
moderno, il croato, lo sloveno ed il serbo. Si occupa anche di vari
lavori manuali per la manutenzione delle case in cui risiede.
Nel
1897, è nominato superiore del convento dei Cappuccini di Zara. Se
ne rallegra, perchè Zara lo ravvicina all'Oriente. Molti marinai e
commercianti di tutti i paesi balcanici e del Vicino Oriente
frequentano quel porto dalmata. Subito dopo l'insediamento, Padre
Leopoldo intraprende l'apostolato. Non appena è segnalato l'arrivo
di un battello, corre ad augurare il benvenuto a quelli che giungono
ed a far conoscenza con loro. Il pretesto è facile: uno straniero
che sbarca è lieto di incontrare, quando scende a terra, un viso
amico che gli dà informazioni utili e lo guida, se necessario,
attraverso la città. Strada facendo, si parla di questo e di quello.
Il Padre si informa sul paese d'origine dei suoi amici occasionali,
sul loro mestiere, la famiglia, la religione. E quando gli pare
opportuno, affronta con delicatezza e discrezione il tema che tanto
gli sta a cuore: la conoscenza della vera religione e l'adesione alla
fede cattolica. Il buon grano è seminato; germoglierà quando Dio
vorrà.
Quest'apostolato
discreto comincia a produrre qualche frutto, allorchè, due anni dopo
il suo arrivo a Zara, i superiori mandano Padre Leopoldo a Thiene,
dove è affidata ai Cappuccini la custodia di un santuario consacrato
alla Santa Vergine. Il fatto di mettersi al servizio della Beata
Vergine mitiga la pena risentita da Padre Leopoldo all'atto della
partenza da Zara. Gli anni passano. Nel 1906, nuovo trasferimento, e
il Padre si ritrova a Padova. Vi rimarrà ormai per quasi tutto il
resto della vita. Nel 1922, tuttavia, parte per Fiume, onde
confessare gli Slavi. La sua partenza suscita talmente tanto
rincrescimento a Padova, che il vescovo interviene presso il
provinciale dei Cappuccini. Padre Leopoldo viene richiamato:
«Palesemente, Sant'Antonio di Padova ti vuole presso di sè»,
scrive il suo Superiore.
Quel
che Dio vuole; come vuole
Questi
diversi eventi, in particolare i trasferimenti successivi da un
convento all'altro, sembrano smentire le intuizioni di gioventù di
Padre Leopoldo: l'apostolato presso gli Orientali non sarebbe l'opera
cui Dio lo chiama. Tuttavia, Padre Leopoldo è convinto che tale è
la sua missione speciale. Si è ritrovata, dopo la sua morte,
un'immagine della Santa Vergine, su cui egli ha scritto, in data 18
luglio 1937: «Ricordo solenne dell'evento del 1887. Quest'anno
ricorre il cinquantesimo anniversario dell'appello che ho sentito per
la prima volta dalla voce di Dio, che mi chiedeva di pregare e di
promuovere il ritorno dei dissidenti orientali all'unità cattolica».
Con il benestare del suo confessore, si è impegnato con un voto a
compiere tale missione presso gli Orientali. Rinnoverà spesso tale
promessa, e qualche mese prima della morte, scriverà ancora: «Non
mi rimane alcun dubbio davanti a Dio... di esser stato scelto per la
salvezza del popolo orientale, vale a dire dei dissidenti orientali.
A causa di ciò, devo rispondere alla divina bontà di Nostro Signore
Gesù Cristo che ha degnato scegliermi, affinchè, anche attraverso
il mio ministero, si realizzi finalmente la divina promessa: Non
vi sarà che un solo gregge ed un solo Pastore».
Ci
vorranno anni ed anni a Padre Leopoldo per capire le modalità della
sua missione. Ma non saranno le sue opinioni personali che gli
permetteranno di scoprirle. In quanto uomo di fede, è persuaso che
la rivelazione del disegno divino avrà luogo attraverso
l'ubbidienza. I mezzi scelti da Dio gli saranno notificati a poco a
poco dalla voce dei suoi superiori. Da un lato, sa che la pratica
dell'ubbidienza è più efficace di qualsiasi predica. Per
incoraggiare se stesso a ciò, copia di proprio pugno la famosa
lettera di Sant'Ignazio su questa virtù, e la conserva sempre
accanto a sè. Sarà l'apostolo della riconciliazione degli Orientali
separati dall'unità cattolica attraverso la preghiera ed il
sacrificio, come Santa Teresa di Gesù Bambino e della Sacra Sindone,
proclamata patrona delle missioni, mentre non è mai uscita dal
proprio convento.
Una
sfida
Illuminato
da tale vista di fede, scrive su un biglietto: «Sappi che più
santamente adempirai ai tuoi doveri, e più efficace sarà la tua
collaborazione alla salvezza dei popoli orientali». Questa
raccomandazione vale per ogni cristiano. Nell'Enciclica Ut unum
sint, del 25 maggio 1995, Papa Giovanni Paolo II scrive: «Cristo
chiama tutti i suoi discepoli all'unità. L'ardente desiderio che mi
anima è quello di rinnovare oggi quest'invito e di rinnovarlo
risolutamente... Quelli che credono in Cristo, uniti sulla via
tracciata dai martiri, non possono rimanere divisi. Se vogliono
combattere veramente ed efficacemente la tendenza del mondo a render
vano il mistero della Redenzione, devono professare insieme la verità
della Croce. La Croce! La corrente anticristiana si propone di
negarne il valore e di vuotarla del suo senso; rifiuta che l'uomo vi
trovi le radici della sua nuova vita e pretende che la Croce non
possa aprire nè prospettive nè speranze: l'uomo, si dice, non è
che un essere terrestre che deve vivere come se Dio non esistesse.
Non sfugge a nessuno che tutto ciò costituisce una sfida per i
credenti. Essi non possono non raccoglierla» (1-2).
Così
il Papa esorta i cristiani ad attivarsi per ristabilire la comunione
affinchè il mondo creda (Giov. 17, 21). Concretamente,
l'apostolato accessibile a tutti in vista dell'unità, è quello
della santificazione personale. «Non vi è ecumenismo nel senso
autentico del termine senza conversione interiore, dice il Santo
Padre... Ciascuno deve dunque convertirsi più radicalmente al
Vangelo... Tale conversione del cuore e tale santità di vita, del
pari che le preghiere private e pubbliche per l'unità dei cristiani,
sono da considerare come l'anima di tutto il movimento ecumenico e
possono esser chiamate a giusto titolo «ecumenismo spirituale» (id.
15; 21).
Padre
Leopoldo è convinto che il ritorno dei dissidenti all'Unità avrà
pur luogo un giorno o l'altro. Scrive al proprio direttore
spirituale: «Quando noi sacerdoti celebriamo i sacri misteri con
quest'intento, è Cristo stesso che prega per i nostri fratelli
separati. Ora, sappiamo d'altro canto l'efficacia di questa preghiera
di Cristo, che è sempre esaudita». Egli scopre un'altra garanzia di
detto ritorno, nella devozione profonda degli Orientali per la
Vergine Maria. Una Madre tanto buona non li può abbandonare. «O
Beata Vergine, scrive, credo che tu abbia le massime premure per i
dissidenti orientali. Ed io desidero collaborare di tutto cuore al
tuo materno affetto». Tutti i fedeli sono chiamati anch'essi ad
unirsi al santo Sacrificio della Messa ed a pregare la Santissima
Vergine in vista della riunificazione dei cristiani.
«Qui
e non in terra di missione!»
Un
frate cappuccino ricorda un giorno a Padre Leopoldo che, in passato,
parlava senza posa di andare nei paesi d'Oriente, «ed ora, aggiunge,
non ne parli più. – Esatto, ribatte il Padre. Qualche tempo fa,
davo la comunione ad un'eccellente persona. Dopo aver compiuto
l'azione de grazia, venne ad affidarmi quest'incombenza: «Padre,
Gesù mi ha ordinato di dirle questo: il suo Oriente è ciascuna
delle anime che assiste qui con la confessione». Dunque, vedi bene
caro amico che Dio mi vuole qui e non in terra di missione».
Un'altra volta, confida ad un confratello: «Poichè Dio non mi ha
concesso il dono della parola per predicare, voglio consacrarmi a
riportargli le anime attraverso il sacramento della penitenza».
Fin
dall'inizio del sacerdozio, Padre Leopoldo si è dedicato al
ministero della confessione; ma una volta a Padova, è la folla che
lo assedia. Quest'apostolato corrisponde ad uno dei suoi desideri
d'infanzia. All'età di otto anni, una delle sue sorelle l'aveva
sgridato per una colpa non grave, e trascinato davanti al curato che
l'aveva fatto inginocchiare in mezzo alla chiesa: «Ne fui, dirà più
tardi, profondamente rattristato e pensai fra me e me: Perchè
trattare tanto duramente un bambino per una colpa così lieve? Quando
sarò grande, voglio farmi frate, diventare confessore e trattare le
anime dei peccatori con molta bontà e misericordia». Questo suo
desiderio si realizza pienamente a Padova.
Da
dieci a quindici ore al giorno
Il
ministero del sacramento della Riconciliazione è per lui una
penitenza dura. Lo esercita in una stanzetta di pochi metri quadrati,
senza aria nè luce, un forno d'estate, una ghiacciaia d'inverno. Vi
rimane chiuso da dieci a quindici ore al giorno. «Come fai a
resistere tanto a lungo nel confessionale?» gli chiede un giorno un
confratello. «È la mia vita, capisci», risponde sorridendo.
L'amore per le anime lo rende prigioniero volontario del
confessionale, poichè sa che «morire in stato di peccato mortale
senza essersene pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di
Dio, significa rimanere separati da Lui per sempre, per una nostra
libera scelta», e che «le anime di coloro che muoiono in stato di
peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli
inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, «il fuoco eterno»»
(Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, 1033; 1035).
Per
procurare l'immenso beneficio del perdono di Dio a tutti coloro che
si rivolgono a lui, Padre Leopoldo si mostra aperto e sorridente,
prudente e modesto, consigliere spirituale comprensivo e paziente.
L'esperienza gli insegna quanto sia importante mettere il penitente a
proprio agio e ispirargli fiducia. Uno di essi ha riferito un fatto
rivelatore: «Non mi ero confessato da anni. Finalmente, mi decisi e
andai a trovare Padre Leopoldo. Ero molto inquieto, imbarazzato. Non
appena entrato, egli si alzò e mi abbordò, tutto lieto, come fossi
un amico atteso: «Prego, si accomodi». Nel mio smarrimento, andai a
sedermi sulla sua poltrona. Senza dir nulla, egli si inginocchiò per
terra ed ascoltò la mia confessione. Quando essa fu terminata, e
soltanto allora, mi accorsi della mia storditaggine e me ne volli
scusare; ma lui, sorridendo: «Di nulla, di nulla, disse. Vada in
pace». Questo tratto di bontà rimase impresso nella mia mente.
Facendo così, mi aveva totalmente conquistato».
Il
fermo proposito
Padre
Leopoldo si preoccupa di suscitare nei penitenti le disposizioni
volute per ricevere fruttuosamente il sacramento. Esso comporta «da
una parte, gli atti dell'uomo che si converte sotto l'azione dello
Spirito Santo: cioè la contrizione, la confessione e la
soddisfazione; dall'altra parte, l'azione di Dio attraverso
l'intervento della Chiesa» (CCC, 1448). Fra gli atti del
penitente, la contrizione viene in primo luogo. È un dolore
dell'animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal
proposito di non peccare più in avvenire. La contrizione comporta
l'odio per i disordini della vita passata ed un intenso orrore del
peccato, secondo le seguenti parole: Liberatevi da tutte le colpe
che avete commesso contro di me, formatevi un cuore e uno spirito
nuovo (Ez. 18, 31). Essa include pure «il serio proposito di non
commetter più peccati in avvenire. Se tale disposizione dell'anima
mancasse, in realtà non vi sarebbe pentimento... Il fermo proposito
di non peccare più deve fondarsi sulla grazia divina che il Signore
non manca mai di dare a colui che fa del suo meglio per agire
onestamente» (Giovanni Paolo II, 22 marzo 1996). Per ricevere
l'assoluzione, non basta dunque l'intenzione di peccare meno, ma è
indispensabile esser decisi a non commetter più peccati gravi.
Quando
proviene dall'amore di Dio amato sopra ogni cosa, la contrizione è
detta «perfetta». Tale contrizione rimette le colpe veniali;
ottiene anche il perdono dei peccati mortali, qualora comporti la
ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione
sacramentale. La contrizione detta «imperfetta», o «attrizione»,
è anch'essa un dono di Dio, un impulso dello Spirito Santo. Nasce
dalla considerazione della bruttura del peccato o dal timore della
dannazione eterna e delle altre pene la cui minaccia incombe sul
peccatore. Da sola, tuttavia, la contrizione imperfetta non ottiene
il perdono dei peccati gravi, ma dispone a riceverlo nel sacramento
della Penitenza.
La
confessione dei peccati al sacerdote costituisce il secondo atto
essenziale del sacramento della Penitenza. È necessario che i
penitenti enumerino, nella confessione, tutti i peccati mortali di
cui hanno consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza, anche
se si tratta dei peccati più nascosti e commessi soltanto contro i
due ultimi comandamenti del Decalogo (cattivi desideri volontari),
perchè spesso questi peccati feriscono più gravemente l'anima e si
rivelano più pericolosi di quelli commessi in faccia a tutti.
Sebbene non sia strettamente necessaria, la confessione delle colpe
quotidiane (peccati veniali) è tuttavia vivamente raccomandata dalla
Chiesa. In effetti, la confessione regolare dei peccati veniali ci
aiuta a formare la nostra coscienza, a lottare contro le cattive
inclinazioni, a lasciarci guarire da Cristo, a progredire nella vita
della grazia. Ricevendo più frequentemente, attraverso questo
sacramento, il dono della misericordia del Padre, siamo spinti ad
essere misericordiosi come Lui, e riceviamo un «accrescimento delle
forze spirituali per il combattimento cristiano» (ved. CCC,
1496).
Piena
salute spirituale
La
soddisfazione sacramentale è il terzo degli atti del penitente.
Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora recuperare la piena
salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa per riparare le proprie
colpe, vale a dire «soddisfare» in maniera adeguata. Questa
soddisfazione si chiama anche «penitenza». Può consistere nella
preghiera, in un'offerta, nelle opere di misericordia, in privazioni
volontarie, e soprattutto nella paziente accettazione della croce
quotidiana. Inoltre, molti peccati recano offesa al prossimo ed
esigono una riparazione quando ciò è possibile: per esempio,
restituire le cose rubate, ristabilire la reputazione di chi è stato
calunniato, ecc. (ved. CCC, 1451-1460).
Tali
«penitenze» contribuiscono a configurarci a Cristo che, solo, ha
espiato per i nostri peccati una volta per sempre. Esse ci permettono
di diventare i coeredi della sua risurrezione, dal momento che
partecipiamo alle sue sofferenze (Rom. 8, 17). Ma la nostra
unione alla Passione di Cristo attraverso la penitenza si realizza
anche all'infuori dell'ambito sacramentale. Venne chiesto un giorno a
Padre Leopoldo: «Padre, come capisce lei le parole del Signore: Che
colui che vuol seguirmi, prenda tutti i giorni la sua croce?
Dobbiamo per questo fare penitenze straordinarie? – Non è il caso
di fare penitenze straordinarie, rispose. Basta che sopportiamo con
pazienza le tribolazioni ordinarie della nostra misera vita: le
incomprensioni, le ingratitudini, le umiliazioni, le sofferenze
occasionate dai cambiamenti di stagione e dell'atmosfera in cui
viviamo... Dio ha voluto tutto questo come mezzo per operare la
nostra Redenzione. Ma perchè tali tribolazioni siano efficaci e
facciano bene alla nostra anima, non bisogna sfuggirle con tutti i
mezzi possibili... La preoccupazione eccessiva delle comodità, la
ricerca costante degli agi, non ha niente a che vedere con lo spirito
cristiano. Non è certamente questo prendere la propria croce e
seguire Gesù. È piuttosto evitarla. E colui che soffre soltanto
quel che non ha potuto evitare non avrà molti meriti». «L'amore di
Gesù, non si stanca di ripetere, è un fuoco che viene alimentato
con la legna del sacrificio e l'amore della croce; se non viene
nutrito così, si spegne».
Durante
l'inverno del 1941, i dolori allo stomaco che fanno soffrire Padre
Leopoldo da molto tempo si fanno più acuti. Deve mettersi a letto.
Il 30 luglio 1942, come sempre, si alza di buon mattino e passa
un'ora in preghiera nella cappella dell'infermeria. Alle sei e mezzo,
riveste i paramenti liturgici, ma è assalito da un malessere
violento e sviene. Quando riprende i sensi, riceve l'Estrema unzione,
poi ripete le pie invocazioni che gli suggerisce il Padre Superiore.
Alle parole della Salve Regina: «O clemente, o pietosa, o
dolce Vergine Maria», la sua anima spicca il volo verso il Cielo,
dove viene accolta nella letizia infinita di tutta la Corte celeste.
Leopoldo Mandic è stato beatificato il 2 maggio 1976 da Papa Paolo
VI e canonizzato il 14 ottobre 1983 dal Santo Padre, Papa Giovanni
Paolo II.
Possa
egli, dall'alto dei Cieli, aiutarci a mettere in pratica, attraverso
il Sacramento della Penitenza ricevuto frequentemente, l'esortazione
dell'epistola agli Ebrei: Accostiamoci con fiducia al trono della
grazia, per ottenere misericordia e trovare la grazia d'un aiuto
opportuno (4, 16). Affidiamo alla sua efficace intercessione,
come pure a quella di San Giuseppe, tutti coloro che Le sono cari,
vivi e defunti.
Dom Antoine Marie osb
"Lettera
mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)".
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