martedì 14 agosto 2018

ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA




Ap 11,19a; 12,1-6a.10ab “Apparve una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi”

Sal 44                              “Risplende la Regina, Signore, alla tua destra”

1Cor 15,20-27a               “Cristo è la primizia dei risorti; poi risorgeranno quelli    di Cristo”

Lc 1,39-56                       “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”



La preghiera di colletta, posta come introduzione alla liturgia della Parola odierna, sintetizza il senso di questa solennità, invitandoci a chiedere a Dio “di vivere in questo mondo costantemente rivolti ai beni eterni”. Queste parole sintetizzano un atteggiamento cristiano ineludibile, teso a non lasciarsi imprigionare dalle cose dell'aldiquà. La libertà del cristiano consiste, infatti, nel sentirsi cittadino di un altro regno, apprezzando ogni cosa, senza tuttavia rimanerne schiavo, amando intensamente, ma senza dipendere da nessuno, operando integrato nelle realtà di quaggiù, ma senza mai divenirne prigioniero.

La prima lettura, nei due segni che appaiono nel cielo, inquadra la storia della Chiesa nel discepolato della Vergine: «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole» (Ap 12,1), e al v. 3: «Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso». Tutta la storia della Chiesa si svolge, quindi, all’interno di un conflitto tra questi due poli: la Donna e il drago, segni che fanno appello all'attività interpretante della comunità cristiana, perché vi legga la propria storia.

Al v. 1 viene descritta una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Nella letteratura profetica dell’AT, la figura femminile è simbolo del popolo di Dio nel suo insieme. La donna, quindi, è la Chiesa stessa, personificata dalla Vergine Maria, chiamata a portare avanti nel mondo la difficile testimonianza al Risorto, rappresentata dal travaglio del parto. Significativamente, questa donna appare nel cielo e non sulla terra, rimandando al destino ultimo di gloria e di eternità della Chiesa, e invitando i discepoli di ogni tempo ad alzare lo sguardo verso il vero Bene, costituito dalla visione di Dio nell'eternità. La Vergine Maria ci invita a non lasciarci travolgere dalle cose terrene, con le loro urgenze e la loro pretesa di dignità, a non affliggerci dei mali presenti e a non lasciarci sedurre dai beni apparenti, perché non accada di udire ancora il lamento del profeta Osea: «Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo» (Os 11,7). Nell’invito alla santità, oltre a riorientare in modo corretto la direzione dello sguardo, la Vergine ci chiede di lasciarci riscaldare dal sole della grazia, cosi come Lei ha fatto per prima: «una donna vestita di sole» (Ap 12,1). Maria riflette sul mondo la luce della grazia di cui è ripiena, invitando i suoi figli ad essere specchi puliti, che lascino penetrare, nelle profondità del proprio cuore, i raggi del sole divino, attraverso i canali dei sacramenti, della preghiera continua, e del dialogo vivo e personale con il Maestro. Significativamente, la Vergine – come la Chiesa – non è la sorgente della luce, ma splende di luce riflessa, rappresentando esattamente la condizione della Chiesa nel mondo, messaggera del lieto annuncio di speranza della vittoria infallibile di Cristo. Il Concilio Vaticano II apre uno dei testi più importanti, quello dedicato alla Chiesa, con le parole: “Lumen gentium cum Christus sit”, attribuendo a Cristo la sorgente della luce. Di conseguenza, la Chiesa, nel suo ruolo di mediatrice di salvezza, rimanda al sole divino, assumendo un ruolo di servizio nei confronti del popolo di Dio e dell'umanità in generale.

La donna appare: «con la luna sotto i suoi piedi» (Ap 12,1). La luna è il simbolo della mutevolezza, della instabilità di questa vita terrena, incapace di rispondere alle esigenze più profonde del cuore umano. La Chiesa, come la Donna dell’Apocalisse, ha vinto il vuoto di questa mutevolezza, indicando all'umanità i valori eterni e ciò che costituisce la vera ancora di salvezza: Cristo Signore. Ciò che si dice di Maria, va applicato anche alla nostra personale vita cristiana, ripetendo in noi la vittoria su tutte le forme di instabilità terrena, attraverso la stabilità della Roccia del nostro cuore (cfr. Sal 73,26). La disposizione della fedeltà, infatti, non lascia andare a vuoto nessuna parola del Maestro, canale di comunicazione della sua vita divina in noi, superando ogni forma di oscillazione umana.

La conclusione del v. 1 aggiunge ancora un altro elemento descrittivo dal notevole spessore teologico: «sul capo, una corona di dodici stelle». Il numero dodici richiama immediatamente i dodici Patriarchi dell’AT e i dodici Apostoli del Signore. La Chiesa, come comunità di salvezza, è soprattutto adornata dal suo carattere apostolico, che fonda la credibilità del suo annuncio sul mandato del Risorto (cfr. Mt 28,19-20). Essa è stabile, perché fondata sulla Roccia di Cristo, pietra angolare, e sui dodici Apostoli dell’Agnello; immagine che si ripresenterà alla fine del libro dell’Apocalisse, sotto la figura di una città celeste con dodici basamenti (cfr. Ap 21,14). Inoltre, il simbolo della corona di stelle allude al riconoscimento, da parte del popolo cristiano, dei diritti materni della Vergine: una corona di figli a Lei vicini, ubbidienti, umili, capaci di combattere insieme a Lei, capaci di condividere il suo dolore materno per il dolore di Cristo e di riprodurre nella nostra vita il modello del suo stupendo discepolato.

Ai versetti 3 e 4 si dice che: «apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra» (Ap 12,3-4). Le sette teste del drago alludono alla sua potenza aggressiva, dotata di grande vitalità, per trascinare «un terzo delle stelle» (ib.). La stella che si spegne, è simbolo della caduta degli eletti, ovvero il fallimento del cammino di santità. L’obiettivo delle forze del male è proprio questo: spegnere nei battezzati, attraverso il peccato, la luce della santità.

Il drago si pone davanti alla donna «che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito» (Ap 12,4). Il drago si scaglia quindi con furore, in modo particolare, contro l’annuncio della Chiesa, che indica appunto la signoria di Gesù Cristo.

Il v. 6 ricorda il cammino d’Israele nel deserto, protetto dalle insidie e dalle prove per l’intercessione di Mosè. Il deserto allude al fatto che la Chiesa non pretende di sconfiggere personalmente il drago, e non si espone in una lotta frontale con lui, ma fugge nel deserto, come Israele, dove prega, medita e custodisce i divini misteri, attendendo l’intervento vittorioso di Dio sui suoi nemici: «La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio» (Ap 12,6).

L’Assunzione della Vergine Maria è anche l’anticipazione visibile del destino di gloria riservato a tutti credenti. L’Apostolo Paolo, nel brano della seconda lettura, mette in evidenza il contrasto tra Adamo e Cristo nei due sensi dell’origine e del modello: «Come infatti in Adamo tutti muoiono, cosi in Cristo tutti riceveranno la vita» (1 Cor 15,22). Si muore in Adamo, perché il peccato originale si è propagato da lui come da una sorgente originaria, ma nello stesso tempo Adamo è il vecchio uomo, che ci uccide tutte le volte che ne imitiamo le opere. Nello stesso duplice senso, riceviamo la vita in Cristo come origine nel dono gratuito della grazia, e come modello assumendone i sentimenti e lo stile di vita. Significativamente, l’Apostolo utilizza un’espressione con il verbo al futuro: «in Cristo tutti riceveranno la vita» (ib.), perché la vita di Cristo, già palpitante in noi, ha bisogno di crescere fino ad una pienezza definitiva.

Il disegno di salvezza, nel suo aspetto universale e individuale, procede sempre con rigoroso ordine: «in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo» (1 Cor 15,22-23). Infatti, l’opera di Dio si caratterizza sempre come ordine e bellezza, non attribuendo mai un valore assoluto a ciò che è secondario, né un valore secondario a ciò che è importante.

Il canto del Magnificat, riportato nel vangelo odierno, è ormai parte insostituibile della Liturgia della Chiesa. Dal nostro punto di vista è una notevole testimonianza dello spessore del discepolato di Maria. Ci sembra che le idee portanti, su cui poggia il costrutto del canto di Maria, siano essenzialmente due: la Parola di Dio è la sostanza del pensiero di Maria in quanto discepola; dalle Scritture Maria trae la chiave di comprensione della vita e della storia.

Il Magnificat non è un inno inventato interamente da Maria; è più esatto dire che Ella lo compone mettendo insieme delle frasi tratte da diversi testi biblici. Dietro il Magnificat c'è innanzitutto una grande sedimentazione della Parola di Dio nella mente umana di Maria. Una tale maturazione biblica che le permette di parlare dando voce alla Scrittura e usando il minimo di parole personali. Nel Magnificat le parole “di Maria” sono pochissime: solo tre frasi in tutto il canto. In un certo senso, Maria si nasconde dietro la Parola di Dio. Ella funge da semplice cassa di risonanza, perché quella Parola sia udita distintamente dagli uomini. Nello stile di Maria, l’evangelizzazione non si fa imponendo la propria persona, o facendo sentire il proprio peso e la propria presenza, per poi aggiungere un “contorno” di Parola di Dio. Per Maria, si evangelizza scomparendo dietro la Parola. Maria intende dire con questo che la nostra umanità non deve appesantire la Parola, ma deve invece lasciarla trasparire senza soffocarla. Spesso è questo l’unico vero ostacolo alla nostra testimonianza cristiana: non è che non troviamo le parole da dire, è che queste parole, una volta dette, non sono totalmente credibili, perché non riescono a trasparire praticamente dalla nostra persona. Maria lascia trasparire la Parola, al punto che basta la sua presenza e il suo saluto per aprire la via all’effusione dello Spirito (cfr. Lc1,41-45).

Inoltre, una delle caratteristiche del discepolo, che Maria possedeva in grado pieno, è quella di non trovarsi mai distratto dinanzi alle cose che valgono. Il discepolo è sempre attento all’insegnamento del Maestro, ma è attento anche ai “segni” che si producono nella sua vita personale, nel cammino della sua comunità e nella storia della società umana. Tutte queste cose non sfuggono mai all’attenzione del discepolo; dall’altro lato, egli sa di non essere in grado di interpretare correttamente i “segni”, se prima non ha preso dalle Scritture la chiave per aprire i significati della vita e degli eventi che accadono in essa. Questo è esattamente ciò che Maria ha fatto in tutto l’arco della sua vita terrena (cfr. Lc 2,19). E nel Magnificat lo dimostra collegando ampiamente la Parola e la storia.

Riguardo a se stessa, Maria dimostra che è falsa l'umiltà di chi dice: “non valgo nulla, non sono nulla...”. La vera umiltà va sempre unita al riconoscimento della verità. In virtù del suo equilibrio interiore, Maria non ha nessuna difficoltà a dire: «tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente» (Lc 1,48-49). E dimostra di aver capito bene il suo ruolo di Madre del Messia, anche se ancora dovrà scoprire tutto lo spessore della sapienza della croce. E comincerà a scoprirlo a partire dalla profezia inaspettata di Simeone (cfr. Lc 2,35).

Riguardo alla storia della società umana, la Vergine sa vedere oltre le apparenze, come di solito un discepolo sa fare. La storia dell’uomo, in apparenza, è una storia che si sviluppa sulla gloria e sulla ricchezza di pochi. Maria vede che, nella sostanza delle cose, ciò non è vero: «ha disperso i superbi [...]; ha rovesciato i potenti dai troni» (Lc 1,5152); agli occhi di Maria, tutto questo è già avvenuto, anche se, nella superficie della storia, non è evidente che chi oggi regna, è già uno sconfitto. La gloria umana passa, infatti, rapidamente e Maria ci suggerisce di discendere dai nostri troni, prima che Dio venga e ci rovesci giù. Coloro che stanno già in basso, non possono cadere. Anzi, Dio solleverà in alto, chi non ha cercato le altezze; e farà precipitare chi ha scalato le montagne della sopraffazione e della superbia. Anche se sotto i nostri occhi tutto questo non è ancora accaduto praticamente, nella mente di Dio si è già verificato. Più precisamente, fin dal suo grembo ormai gravido, Dio è già schierato al fianco di tutti gli sconfitti della terra. Il discepolo, che conosce il pensiero di Dio, non è ingannato dalle apparenze e dai movimenti che hanno luogo in superficie.



Nessun commento:

Posta un commento