Ap
11,19a; 12,1-6a.10ab “Apparve una donna vestita di sole, con la
luna sotto i suoi piedi”
Sal
44 “Risplende la Regina, Signore, alla tua destra”
1Cor
15,20-27a “Cristo è la primizia dei risorti; poi
risorgeranno quelli di Cristo”
Lc
1,39-56 “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”
La
preghiera di colletta, posta come introduzione alla liturgia della
Parola odierna, sintetizza il senso di questa solennità, invitandoci
a chiedere a Dio “di vivere in questo mondo costantemente rivolti
ai beni eterni”. Queste parole sintetizzano un atteggiamento
cristiano ineludibile, teso a non lasciarsi imprigionare dalle cose
dell'aldiquà. La libertà del cristiano consiste, infatti, nel
sentirsi cittadino di un altro regno, apprezzando ogni cosa, senza
tuttavia rimanerne schiavo, amando intensamente, ma senza dipendere
da nessuno, operando integrato nelle realtà di quaggiù, ma senza
mai divenirne prigioniero.
La
prima lettura, nei due segni che appaiono nel cielo, inquadra la
storia della Chiesa nel discepolato della Vergine: «Un segno
grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole» (Ap 12,1), e
al v. 3: «Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago
rosso». Tutta la storia della Chiesa si svolge, quindi, all’interno
di un conflitto tra questi due poli: la Donna e il drago, segni che
fanno appello all'attività interpretante della comunità cristiana,
perché vi legga la propria storia.
Al
v. 1 viene descritta una donna vestita di sole, con la luna sotto i
suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Nella
letteratura profetica dell’AT, la figura femminile è simbolo del
popolo di Dio nel suo insieme. La donna, quindi, è la Chiesa
stessa, personificata dalla Vergine Maria, chiamata a portare avanti
nel mondo la difficile testimonianza al Risorto, rappresentata dal
travaglio del parto. Significativamente, questa donna appare nel
cielo e non sulla terra, rimandando al destino ultimo di gloria e di
eternità della Chiesa, e invitando i discepoli di ogni tempo ad
alzare lo sguardo verso il vero Bene, costituito dalla visione di Dio
nell'eternità. La Vergine Maria ci invita a non lasciarci travolgere
dalle cose terrene, con le loro urgenze e la loro pretesa di
dignità, a non affliggerci dei mali presenti e a non lasciarci
sedurre dai beni apparenti, perché non accada di udire ancora il
lamento del profeta Osea: «Il mio popolo è duro a convertirsi:
chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo» (Os
11,7). Nell’invito alla santità, oltre a riorientare in modo
corretto la direzione dello sguardo, la Vergine ci chiede di
lasciarci riscaldare dal sole della grazia, cosi come Lei ha fatto
per prima: «una donna vestita di sole» (Ap 12,1). Maria riflette
sul mondo la luce della grazia di cui è ripiena, invitando i suoi
figli ad essere specchi puliti, che lascino penetrare, nelle
profondità del proprio cuore, i raggi del sole divino, attraverso i
canali dei sacramenti, della preghiera continua, e del dialogo vivo e
personale con il Maestro. Significativamente, la Vergine – come la
Chiesa – non è la sorgente della luce, ma splende di luce
riflessa, rappresentando esattamente la condizione della Chiesa nel
mondo, messaggera del lieto annuncio di speranza della vittoria
infallibile di Cristo. Il Concilio Vaticano II apre uno dei testi
più importanti, quello dedicato alla Chiesa, con le parole: “Lumen
gentium cum Christus sit”, attribuendo a Cristo la sorgente della
luce. Di conseguenza, la Chiesa, nel suo ruolo di mediatrice di
salvezza, rimanda al sole divino, assumendo un ruolo di servizio nei
confronti del popolo di Dio e dell'umanità in generale.
La
donna appare: «con la luna sotto i suoi piedi» (Ap 12,1). La luna
è il simbolo della mutevolezza, della instabilità di questa vita
terrena, incapace di rispondere alle esigenze più profonde del
cuore umano. La Chiesa, come la Donna dell’Apocalisse, ha vinto il
vuoto di questa mutevolezza, indicando all'umanità i valori eterni e
ciò che costituisce la vera ancora di salvezza: Cristo Signore.
Ciò che si dice di Maria, va applicato anche alla nostra personale
vita cristiana, ripetendo in noi la vittoria su tutte le forme di
instabilità terrena, attraverso la stabilità della Roccia del
nostro cuore (cfr. Sal 73,26). La disposizione della fedeltà,
infatti, non lascia andare a vuoto nessuna parola del Maestro, canale
di comunicazione della sua vita divina in noi, superando ogni forma
di oscillazione umana.
La
conclusione del v. 1 aggiunge ancora un altro elemento descrittivo
dal notevole spessore teologico: «sul capo, una corona di dodici
stelle». Il numero dodici richiama immediatamente i dodici
Patriarchi dell’AT e i dodici Apostoli del Signore. La Chiesa, come
comunità di salvezza, è soprattutto adornata dal suo carattere
apostolico, che fonda la credibilità del suo annuncio sul mandato
del Risorto (cfr. Mt 28,19-20). Essa è stabile, perché fondata
sulla Roccia di Cristo, pietra angolare, e sui dodici Apostoli
dell’Agnello; immagine che si ripresenterà alla fine del libro
dell’Apocalisse, sotto la figura di una città celeste con dodici
basamenti (cfr. Ap 21,14). Inoltre, il simbolo della corona di stelle
allude al riconoscimento, da parte del popolo cristiano, dei diritti
materni della Vergine: una corona di figli a Lei vicini, ubbidienti,
umili, capaci di combattere insieme a Lei, capaci di condividere il
suo dolore materno per il dolore di Cristo e di riprodurre nella
nostra vita il modello del suo stupendo discepolato.
Ai
versetti 3 e 4 si dice che: «apparve un altro segno nel cielo: un
enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette
diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le
precipitava sulla terra» (Ap 12,3-4). Le sette teste del drago
alludono alla sua potenza aggressiva, dotata di grande vitalità, per
trascinare «un terzo delle stelle» (ib.). La stella che si spegne,
è simbolo della caduta degli eletti, ovvero il fallimento del
cammino di santità. L’obiettivo delle forze del male è proprio
questo: spegnere nei battezzati, attraverso il peccato, la luce della
santità.
Il
drago si pone davanti alla donna «che stava per partorire, in modo
da divorare il bambino appena lo avesse partorito» (Ap 12,4). Il
drago si scaglia quindi con furore, in modo particolare, contro
l’annuncio della Chiesa, che indica appunto la signoria di Gesù
Cristo.
Il
v. 6 ricorda il cammino d’Israele nel deserto, protetto dalle
insidie e dalle prove per l’intercessione di Mosè. Il deserto
allude al fatto che la Chiesa non pretende di sconfiggere
personalmente il drago, e non si espone in una lotta frontale con
lui, ma fugge nel deserto, come Israele, dove prega, medita e
custodisce i divini misteri, attendendo l’intervento vittorioso di
Dio sui suoi nemici: «La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio
le aveva preparato un rifugio» (Ap 12,6).
L’Assunzione
della Vergine Maria è anche l’anticipazione visibile del destino
di gloria riservato a tutti credenti. L’Apostolo Paolo, nel brano
della seconda lettura, mette in evidenza il contrasto tra Adamo e
Cristo nei due sensi dell’origine e del modello: «Come infatti in
Adamo tutti muoiono, cosi in Cristo tutti riceveranno la vita» (1
Cor 15,22). Si muore in Adamo, perché il peccato originale si è
propagato da lui come da una sorgente originaria, ma nello stesso
tempo Adamo è il vecchio uomo, che ci uccide tutte le volte che ne
imitiamo le opere. Nello stesso duplice senso, riceviamo la vita in
Cristo come origine nel dono gratuito della grazia, e come modello
assumendone i sentimenti e lo stile di vita. Significativamente,
l’Apostolo utilizza un’espressione con il verbo al futuro: «in
Cristo tutti riceveranno la vita» (ib.), perché la vita di Cristo,
già palpitante in noi, ha bisogno di crescere fino ad una pienezza
definitiva.
Il
disegno di salvezza, nel suo aspetto universale e individuale,
procede sempre con rigoroso ordine: «in Cristo tutti riceveranno la
vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia;
poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo» (1 Cor 15,22-23).
Infatti, l’opera di Dio si caratterizza sempre come ordine e
bellezza, non attribuendo mai un valore assoluto a ciò che è
secondario, né un valore secondario a ciò che è importante.
Il
canto del Magnificat, riportato nel vangelo odierno, è ormai parte
insostituibile della Liturgia della Chiesa. Dal nostro punto di vista
è una notevole testimonianza dello spessore del discepolato di
Maria. Ci sembra che le idee portanti, su cui poggia il costrutto del
canto di Maria, siano essenzialmente due: la Parola di Dio è la
sostanza del pensiero di Maria in quanto discepola; dalle Scritture
Maria trae la chiave di comprensione della vita e della storia.
Il
Magnificat non è un inno inventato interamente da Maria; è più
esatto dire che Ella lo compone mettendo insieme delle frasi tratte
da diversi testi biblici. Dietro il Magnificat c'è innanzitutto una
grande sedimentazione della Parola di Dio nella mente umana di Maria.
Una tale maturazione biblica che le permette di parlare dando voce
alla Scrittura e usando il minimo di parole personali. Nel Magnificat
le parole “di Maria” sono pochissime: solo tre frasi in tutto il
canto. In un certo senso, Maria si nasconde dietro la Parola di Dio.
Ella funge da semplice cassa di risonanza, perché quella Parola sia
udita distintamente dagli uomini. Nello stile di Maria,
l’evangelizzazione non si fa imponendo la propria persona, o
facendo sentire il proprio peso e la propria presenza, per poi
aggiungere un “contorno” di Parola di Dio. Per Maria, si
evangelizza scomparendo dietro la Parola. Maria intende dire con
questo che la nostra umanità non deve appesantire la Parola, ma
deve invece lasciarla trasparire senza soffocarla. Spesso è questo
l’unico vero ostacolo alla nostra testimonianza cristiana: non è
che non troviamo le parole da dire, è che queste parole, una volta
dette, non sono totalmente credibili, perché non riescono a
trasparire praticamente dalla nostra persona. Maria lascia trasparire
la Parola, al punto che basta la sua presenza e il suo saluto per
aprire la via all’effusione dello Spirito (cfr. Lc1,41-45).
Inoltre,
una delle caratteristiche del discepolo, che Maria possedeva in grado
pieno, è quella di non trovarsi mai distratto dinanzi alle cose che
valgono. Il discepolo è sempre attento all’insegnamento del
Maestro, ma è attento anche ai “segni” che si producono nella
sua vita personale, nel cammino della sua comunità e nella storia
della società umana. Tutte queste cose non sfuggono mai
all’attenzione del discepolo; dall’altro lato, egli sa di non
essere in grado di interpretare correttamente i “segni”, se prima
non ha preso dalle Scritture la chiave per aprire i significati della
vita e degli eventi che accadono in essa. Questo è esattamente ciò
che Maria ha fatto in tutto l’arco della sua vita terrena (cfr. Lc
2,19). E nel Magnificat lo dimostra collegando ampiamente la Parola e
la storia.
Riguardo
a se stessa, Maria dimostra che è falsa l'umiltà di chi dice: “non
valgo nulla, non sono nulla...”. La vera umiltà va sempre unita al
riconoscimento della verità. In virtù del suo equilibrio
interiore, Maria non ha nessuna difficoltà a dire: «tutte le
generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me
l’Onnipotente» (Lc 1,48-49). E dimostra di aver capito bene il suo
ruolo di Madre del Messia, anche se ancora dovrà scoprire tutto lo
spessore della sapienza della croce. E comincerà a scoprirlo a
partire dalla profezia inaspettata di Simeone (cfr. Lc 2,35).
Riguardo
alla storia della società umana, la Vergine sa vedere oltre le
apparenze, come di solito un discepolo sa fare. La storia dell’uomo,
in apparenza, è una storia che si sviluppa sulla gloria e sulla
ricchezza di pochi. Maria vede che, nella sostanza delle cose, ciò
non è vero: «ha disperso i superbi [...]; ha rovesciato i potenti
dai troni» (Lc 1,5152); agli occhi di Maria, tutto questo è già
avvenuto, anche se, nella superficie della storia, non è evidente
che chi oggi regna, è già uno sconfitto. La gloria umana passa,
infatti, rapidamente e Maria ci suggerisce di discendere dai nostri
troni, prima che Dio venga e ci rovesci giù. Coloro che stanno già
in basso, non possono cadere. Anzi, Dio solleverà in alto, chi non
ha cercato le altezze; e farà precipitare chi ha scalato le
montagne della sopraffazione e della superbia. Anche se sotto i
nostri occhi tutto questo non è ancora accaduto praticamente, nella
mente di Dio si è già verificato. Più precisamente, fin dal suo
grembo ormai gravido, Dio è già schierato al fianco di tutti gli
sconfitti della terra. Il discepolo, che conosce il pensiero di Dio,
non è ingannato dalle apparenze e dai movimenti che hanno luogo in
superficie.
Tratto
dal sito :
http://www.cristomaestro.it/lectio-liturgica-feste-e-solennita.html
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