«Tra
le minacce tese oggi contro la gioventù e l'intera società, la
droga si colloca ai primi posti come pericolo tanto più insidioso
quanto più invisibile... All'origine di questo fenomeno, vi è
spesso un clima di scetticismo umano e religioso, di edonismo, che
alla fine porta alla frustrazione, al vuoto esistenziale, alla
convinzione dell'insignificanza della vita stessa, al degrado nella
violenza... La piaga della droga, favorita dai grandi interessi
economici e a volte anche politici, si è estesa in tutto il mondo»,
affermava papa Giovanni Paolo II (27 maggio 1984, 24 giugno 1991 e 23
novembre 1991).
Il
14 maggio 1991, lo stesso Pontefice ha dichiarato l'eroicità delle
virtù di un giovane religioso redentorista, padre Alfredo Pampalon,
che viene spesso invocato, dal giorno della sua beata morte, nel
1896, dalle persone dedite all'alcol e alla droga. La vita di
quest'uomo, apparentemente insignificante, brilla come una luce per
il nostro tempo avido di efficienza materiale e di comodità. Egli
l'aveva edificata sulle realtà soprannaturali, ed ecco che
abbondanti favori, anche temporali, vengono ottenuti attraverso la
sua intercessione!
Alfred
viene al mondo in una parrocchia mariana del Québec, Notre-Dame de
Lévis, il 24 novembre 1867, nono figlio di una famiglia
profondamente cristiana. Il padre, Antoine Pampalon, è imprenditore
edile e si occupa della costruzione di chiese. La madre, Josephine
Dorion, si fa notare per la sua umiltà e il suo spirito di fede;
esercita sui figli una sorveglianza piena d'amore. Ogni sera, si
prega in famiglia, specialmente il rosario. Due dei fratelli di
Alfredo e sua sorella Emma si doneranno a Dio. Particolarmente
affettuoso e servizievole, Alfredo apprende rapidamente, grazie a sua
madre, la bontà del Signore e sa pronunciare i nomi di Gesù, Maria
e Giuseppe.
Una
mamma ancora migliore
A
cinque anni, perde sua madre. Questo dolore segue da vicino la gioia
di una dodicesima nascita. Poco prima di morire, la signora Pampalon
riunisce i suoi otto figli vivi e, guardandoli con un sorriso
affettuoso, dice loro: «Miei piccoli cari, la vostra mamma morirà...
Vi amo molto, ma devo partire... Non avrete più una mamma sulla
terra... Vi affido a una mamma ancora migliore, la migliore che ci
sia, la Santa Vergine... Lei vi tende le braccia... Amatela molto!
Pregatela molto! Si prenderà cura di voi...» Accanto al letto,
Alfredo piange sommessamente. Le parole di colei che egli ama più di
ogni altra persona sulla terra si imprimono nella sua memoria;
lasceranno un segno in tutta la sua vita. Sua madre spira il 2 luglio
1873, all'età di 45 anni.
Un
anno dopo, il signor Pampalon decide di risposarsi. Si unisce a
un'eccellente vedova irlandese, Margaret Phélan, che considererà
tutti figli di Antoine come propri. Alfredo si dimostra affettuoso e
dolce nei confronti della sua «seconda madre». «Aveva sempre il
sorriso sulle labbra, racconta Margaret. Era allegro, gentile,
divertiva i miei figli piccoli (fratellastri di Alfredo),
servizievole con ciascuno».
A
nove anni, nel settembre 1876, Alfredo entra come esterno nel
collegio di Lévis, diretto da sacerdoti diocesani. Vi studierà per
cinque anni, senza mai pensare di diventare sacerdote: attratto dal
commercio, ha scartato gli studi classici a favore del corso
commerciale. Nel maggio 1877, fa la sua prima Comunione e il 7
ottobre, festa della Madonna del Rosario, riceve il sacramento della
Cresima.
Si
nota in lui un senso del soprannaturale che si svilupperà senza
sosta. Si confessa e comunica una volta alla settimana, il che, per
l'epoca, è eccezionale; ama servire la Messa. Passando ogni giorno
davanti alla chiesa parrocchiale, si ferma ad adorare Nostro Signore
e a pregare la Santa Vergine. «Durante i dieci anni di studi che ho
trascorsi con lui nelle stesse classi, riferisce un compagno, non
ricordo che abbia commesso la più piccola mancanza contro la
disciplina. Aveva l'abitudine di sedersi davanti in classe per essere
più vicino al professore e meno esposto alla distrazione». Eppure,
la virtù di Alfredo attira. Egli spira bontà; durante la
ricreazione, di umore costante e un po' burlone, si rivela eccellente
organizzatore. Nessuno può rivaleggiare con lui in certi giochi;
specialmente i più giovani sono meravigliati della sua abilità nel
cricket, nel calcio, nel baseball... Si dimostra molto veloce nella
corsa. Non solo lo ammirano, ma lo amano, perché i suoi successi lo
lasciano sempre modesto e gentile.
Un
sorriso che illumina
Anno
1881. Giovane adolescente, Alfredo non è bril- lante a scuola, e un
difetto di pronuncia – di cui non riuscirà mai a liberarsi – lo
rende difficile da seguire per i suoi ascoltatori; ma nel catechismo,
eccelle... Improvvisamente, la sua vita viene minacciata da una grave
malattia. Egli prega, si raccomanda a Maria. «Dio mi fece
comprendere, scriverà, che non mi voleva nel mondo, ma tutto per
Lui. Senza indugio, alla sua chiamata, decisi di abbandonare il ramo
commerciale e di seguire l'indirizzo classico in vista del
sacerdozio, se fossi guarito». Modera il suo amore per il gioco;
rimane allegro, anche burlone, ma vuole vivere con il Signore, per
Lui. Per tutta la sua vita, conserverà un'aria malaticcia,
illuminata tuttavia dal suo sorriso. I suoi sforzi portano il loro
frutto: termina l'anno 1883 al quarto posto di una classe di trenta
allievi.
Nel
1885, una polmonite lo porta alle soglie della morte. Riceve gli
ultimi sacramenti. Il santuario di Beaupré, dove i cristiani del
Québec venerano sant'Anna come loro patrona, si trova nelle
vicinanze: la famiglia, allarmata, si rivolge con insistenza alla
madre della Vergine Maria, per ottenere dal Bambino Gesù la
guarigione di Alfredo. «A mano a mano che andavo avanti nei miei
studi, dirà più tardi quest'ultimo, la mia intenzione di diventare
prete si consolidava sempre più; ma ciò che finì per renderla
definitiva fu la mia seconda malattia. È lì che Dio mi aspettava:
mi ispirò di realizzare il mio progetto attraverso il vincolo
irresistibile del voto. Io Glielo promisi, se Egli mi avesse concesso
la guarigione». Insegnanti e allievi di Lévis si uniscono ai
genitori per strappare al Cielo questa grazia. Alfredo guarisce...
Non appena ne ha la forza, percorre a piedi, con il rosario in mano,
i 35 km che lo separano da Sainte-Anne-de-Beaupré. Lì, in ginocchio
davanti alla statua miracolosa, rende grazie e promette di seguire
l'esempio di suo fratello entrando presso i Redentoristi.
La
Congregazione del Santissimo Redentore era stata fondata nel 1732 da
sant'Alfonso Maria de' Liguori, nobile napoletano, allo scopo di
evangelizzare le anime più abbandonate. I suoi religiosi –
chiamati Redentoristi – erano arrivati a Sainte-Anne-de-Beaupré
solo nel 1878. Ancor prima della sua decisione, Alfredo aveva letto
con profitto l'opera che il santo, nel 1750, aveva dedicato alla
Vergine: «Le Glorie di Maria». Non essendo ancora stata aperta
nessuna casa di formazione redentorista in Canada, egli deve
imbarcarsi per l'Europa. Coraggiosamente, il 22 luglio 1886 – a
diciotto anni –, si strappa all'affetto dei suoi cari per recarsi
al noviziato di Saint-Trond, in Belgio. La formazione religiosa vi è
austera, ma nutrita della dottrina dei santi: Alfred vi si applica
con zelo e buon umore. Subito, si offre spontaneamente per i compiti
ripugnanti. Svantaggiato dalla sua salute fragile, compie tutti i
suoi sforzi, ed edifica con la sua umile obbedienza... L'8 settembre
1887, pronuncia con gioia i voti perpetui di povertà, castità e
obbedienza. Lui che da giovanissimo si era abbandonato nelle mani di
Maria, esclama: «Ho promesso alla mia Buona Madre di diventare un
santo! E la mia fiducia in Lei me lo fa sperare!»
Inviato
al seminario maggiore di Saint-Jean-de-Beauplateau, per due anni di
filosofia e quattro di teologia, affronta gli studi con coraggio. Con
la sua preghiera assidua – soprattutto a Maria, Sede della Sapienza
– unita al suo impegno, ottiene risultati sempre più
sod–dis–facenti. Esercitare meglio il suo futuro apostolato, ecco
la sua unica ambizione. Ordinato prete il 4 ottobre 1892, inizia il
suo ministero a Mons, in Belgio: predicazione di alcune missioni
parrocchiali, confessioni, insegnamento del catechismo ai bambini.
Visita spesso gli ammalati e li incoraggia con il suo sorriso e la
sua dolcezza. Sin dagli albori della sua vita religiosa, ha visto
nella Regola del suo Istituto una salvaguardia: per istinto
spirituale, sa che senza disciplina di vita non è garantita la
perseveranza. «Vuoi essere un santo, un grandissimo santo? Osserva
bene, molto bene la tua Regola e le prescrizioni dei tuoi superiori»,
egli suggerisce.
Una
guida sicura
Dove
attinge la sua forza d'animo? Nella preghiera: «Non c'è virtù,
dice, senza la preghiera», soprattutto quella che risale alla fonte,
la santissima Eucaristia. Inginocchiato nella cappella, rimane
spesso, immobile, con gli occhi fissi sul tabernacolo. Tuttavia, non
confondere mezzi e fine: «Ama Dio, egli dice, colui che gli
testimonia questo amore con le opere e la sofferenza, in altre
parole, colui che si conforma alla sua santa Volontà ». Le sue
azioni manifestano la sua consapevolezza della presenza di Dio. Nella
vita di comunità, porta un'impronta di amabilità e di mitezza che
non gli impedisce, quando si presenta l'occasione, di esprimere
liberamente il suo pensiero, senza rispetto umano.
Il
giusto vivrà della fede, si legge nella lettera ai Romani (1,17).
Alfred ha assimilato queste parole: «Nella vita spirituale, dice,
non bisogna prendere per guida i sentimenti, ma la fede. Il
sentimento spesso inganna: la fede è una guida chiara e sicura».
Essa gli mostra che l'amore di Dio va di pari passo con la fuga da
ogni colpa volontaria: «C'è un solo male, il peccato, e un solo
bene, Dio; non commetterò mai la più piccola imperfezione per
piacere a chicchessia». Il Catechismo esprime la stessa verità:
«Agli occhi della fede, nessun male è più grave del peccato, e
niente ha conseguenze peggiori per gli stessi peccatori, per la
Chiesa e per il mondo intero» (Catechismo della Chiesa Cattolica,
CEC, 1488).
Alfredo
rinnova frequentemente le promesse del suo Battesimo e i suoi voti
religiosi. Il suo spirito di fede brilla particolarmente quando
celebra il Sacrificio eucaristico; quanto alla speranza, «arrivata a
maturità, essa prende il dolce nome di fiducia... Devo conservare la
pace del cuore e non permettere l'accesso al minimo turbamento. La
misura della nostra santità dipende dalla misura della nostra
fiducia». Arriva così a mostrarsi contento di tutto, dei suoi
superiori, dei suoi confratelli, delle prove interiori come delle
consolazioni divine, delle difficoltà negli studi come della
malattia.
In
cima all'edificio, padre Alfredo ha posto un amore appassionato per
Gesù Cristo. Impregnato di queste parole di san Giovanni: Non siamo
stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi per primo... Egli
ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo affinché noi vivessimo
per mezzo di Lui (1Gv 4,9.10), egli vuole ricambiare amore per amore.
Contempla il presepio, il crocifisso, l'Eucaristia; ogni giorno, fa
la Via Crucis e legge le Sacre Scritture. Ripete spesso, soprattutto
nella sua ultima malattia: «Che non mi venga a mancare la costanza!
ancora un po' di tempo, e sarà l'eternità ». Orientandoci verso le
realtà eterne, il pensiero della morte ci aiuta a far prevalere
l'amore di Dio su ogni altro amore; per questo i santi pensavano
spesso alla morte.
Esaltare
la misericordia
Alfredo
è animato da un ardente zelo per le anime: «Voglio diventare e
rimanere sempre un santo prete, per poter operare in modo molto
efficace per la salvezza del prossimo. Più sarò santo, più anime
salverò». Non potendo, a causa della sua debolezza, predicare
molto, si dedica in modo assiduo al ministero della confessione.
Nelle missioni parrocchiali, apporta il suo modesto contributo: si
rivolge di solito ai bambini e li prepara a ricevere i sacramenti
della Penitenza e dell'Eucaristia. Le sue istruzioni, chiare, solide
e pratiche, sono molto apprezzate. Data la sua difficoltà di
espressione, gli viene concesso di predicare un unico grande sermone:
egli sceglie di esaltare la misericordia della Vergine Maria. La sete
di lavorare in modo efficace al regno di Dio lo porta a dar valore
alla mortificazione cristiana, potente mezzo per liberarsi dell'amor
proprio. Anche in passeggiata, mangia raramente al di fuori dei
pasti; sopporta pazientemente le screpolature dovute al freddo...
A
partire dal maggio 1895, viene allontanato da Mons, paese minerario,
per curare i suoi polmoni malati all'aria buona di
Saint-Jean-de-Beauplateau, nella foresta delle Ardenne. Egli scrive:
«Il mio modo di tenere le missioni consiste nel pregare per le
anime». Libero nei confronti dei criteri del mondo, pensa che «di
tutti i vizi, non ve n'è nessuno che abbia fermato tante anime nel
cammino della pietà quanto l'orgoglio; lo spirito di vanità genera
il desiderio smodato di apparire e di riuscire in tutto ciò che si
fa». Parla poco di sé, ma menziona volentieri le sue scarse
capacità intellettuali. Si dedica con cura e piacere ai compiti più
umili.
Dall'età
di quattordici anni, fino alla sua morte, Alfredo è stato affetto da
tubercolosi; ha resistito, bene o male. Ma, il 5 febbraio 1896, nove
mesi dopo il suo ritiro forzato nelle Ardenne, deve rassegnarsi a
rimanere nell'infermeria: un polmone è perso, l'altro gravemente
deteriorato. Il medico prevede la fine in marzo o aprile. Il giovane
sacerdote trascorre le sue giornate in una poltrona: «Gli uni
lavorano, gli altri sono lavorati. Eccomi lavorato dalla malattia».
Dedica il suo tempo alla preghiera e alla lettura della vita dei
santi; non è mai sfaccendato. Tossisce giorno e notte. Alla tisi si
aggiunge presto la dissenteria. Si formano delle ulcere da decubito:
Alfredo deve riposare su piaghe vive. Tuttavia, non ha mai un moto di
impazienza, rimane affabile e allegro; tutti amano fargli visita. Nel
Sacrificio divino, che celebra ancora ogni giorno, attinge la forza
per sopportare tutto in unione con il suo Salvatore inchiodato sulla
Croce. Ma il 23 agosto, non potendo più reggersi in piedi, deve
interrompersi a più riprese. Tutto il mese di settembre, rimane tra
la vita e la morte. Il 29, alle tre del mattino, riceve la santa
Comunione per l'ultima volta. Lo si sente appena. Il 30, all'una del
mattino, canta improvvisamente, a voce alta e chiara, il Magnificat
per intero. Alle due, chiede e riceve l'assoluzione di tutti i
peccati della sua vita. Un po' prima delle otto, fissa gli occhi al
Cielo sorridendo, come se vedesse qualcuno, e rende l'ultimo respiro.
Non ha ancora ventinove anni.
Le
testimonianze affluiscono
Vita
povera e sterile, sembrerebbe! È un dato di fatto che questo
sacerdote gracile non prestava alcuna attenzione alle conversazioni
che si svolgevano su argomenti profani, e sembrava non comprendervi
nulla. Eppure, subito dopo la sua morte, le preghiere salgono verso
Alfredo Pampalon. Suo fratello Pietro scriverà dieci anni dopo: «Ho
raccolto i favori temporali attribuiti all'intercessione di questo
Servo di Dio. Sono arrivato al numero di duecentosettantacinque; ne
scopro sempre di nuovi. Ho ventisei casi, almeno, in cui la
guarigione mi sembra miracolosa». Gli annali del santuario
Sainte-Anne-de-Beaupré ne testimoniano: «Le vittime delle bevande
alcoliche e degli stupefacenti sembrano attirare la speciale
attenzione e la pietà del Servo di Dio. Le testimonianze affluiscono
da ogni parte... » I giovani vengono a invocare il Servo di Dio, per
se stessi o per altri. Ai giorni nostri, i benefici ottenuti si
moltiplicano.
«La
droga e la tossicomania, secondo il Pontificio Consiglio per la
Pastorale della Salute, toccano in modo particolare i giovani,
indipendentemente dal contesto a cui appartengono. La valorizzazione
delle droghe più svariate e il loro utilizzo non è mai stato di una
simile entità. Esse sono presentate come qualche cosa che apporta un
supplemento di «libertà», come una fonte di convivialità o di
benessere» («Chiesa, droga e tossicomania», 2002, n. 1). Promessa
illusoria! In realtà, il risultato è l'opposto dell'effetto
aspettato: il tossicodipendente cade nell'instabilità emotiva, in
uno stato depressivo di fondo che si associa alla dipendenza nei
confronti dei gruppi e degli spacciatori; inquieto, desiderando tutto
con avidità e talvolta con angoscia, si sente spesso minacciato e
non comprende più il senso della sua vita: «Meglio sarebbe non
essere nato»; ha difficoltà a manifestare interesse nei confronti
delle persone e delle cose, perché la sua intelligenza è occupata
principalmente da ciò che è in relazione con la droga (Ibid., n.
517). Si può quindi comprendere il monito paterno di Giovanni Paolo
II: «Il drogarsi è sempre illecito, perché comporta una rinuncia
ingiustificata ed irrazionale a pensare, volere e agire come persone
libere... Ora l'essere umano non ha il diritto di abdicare alla sua
dignità personale, che è un dono di Dio!» (23 novembre 1991;
ibid., n. 43). Quindi, «esclusi i casi di prescrizioni strettamente
terapeutiche, l'uso della droga costituisce una colpa grave» (CCC,
2291).
Per
prevenire questo male, alcuni sono a favore della liberalizzazione
delle «droghe leggere», considerate innocue. Ora, l'esperienza
mostra che il consumo di questi prodotti favorisce l'isolamento e la
dipendenza; poi incoraggia l'assunzione di sostanze più forti.
Numerosi prodotti tossici vengono utilizzati in medicina a causa dei
loro effetti positivi; ma, se vengono consumati in modo improprio o
associati indiscriminatamente tra di loro, possono diventare una
droga. Si può dire altrettanto del tabacco e dell'alcol:
l'intossicazione da alcol è altrettanto pericolosa
dell'intossicazione indotta dalla marijuana.
Prevenire
il male
Nella
maggior parte delle loro testimonianze, i tossi- codipendenti
dichiarano di far uso di queste sostanze per «sentirsi bene con se
stessi» e per trovare piacere. Il piacere spinge allora ad agire
all'istante, vale a dire senza fare un lavoro di discernimento. Il
consumatore entra in una spirale di dipendenza, al punto che le
droghe diventano il desiderio primordiale della sua esistenza. La
liberazione da questa schiavitù presuppone una presa di coscienza:
in realtà, desideri e piaceri – che sono buoni in se stessi –
rientrano nella sfera della riflessione del soggetto, della sua vita
spirituale, del suo libero arbitrio e della sua responsabilità. Di
qui la necessità di fondare la propria esistenza su una morale e un
atteggiamento religioso autentici. Per far fronte alle difficoltà
della vita, in particolare per affrontare i problemi posti dalla
malattia, dalla solitudine e dalla morte, è indispensabile scoprire
innanzitutto il significato della vita:
«La
serena convinzione dell'immortalità dell'anima, della futura
risurrezione dei corpi e della responsabilità eterna dei propri atti
è il metodo più sicuro per prevenire il male terribile della droga,
per curare e riabilitare le sue povere vittime, per fortificarle
nella perseveranza e nella fermezza sulle vie del bene» (Giovanni
Paolo II, 7 settembre 1984). Ognuno deve anche imparare a compiere
rinunce salutari. Così si costruisce una persona libera e
responsabile. Rivolgendosi a dei vescovi, Giovanni Paolo II
affermava: «Il dono di una vita degna si riferisce alla sobrietà,
alla castità, all'opporsi alla crescente pornografia, alla
sensibilizzazione circa la minaccia della droga» (19 giugno 1983).
Egli vedeva nella vita di famiglia un potente antidoto alla
tentazione di fuggire in un mondo irreale; invitava quindi i coniugi
a mantenere rapporti coniugali e familiari stabili, fondati
sull'amore vicendevole aperto alla vita, che sa dare e perdonare.
Padre
Pampalon ha lasciato questo mondo un anno esatto prima di santa
Teresa del Bambin Gesù. Entrambi hanno sognato di partire verso le
missioni lontane; entrambi desideravano il martirio e morirono
giovani: furono affetti da tubercolosi e soffrirono atrocemente;
entrambi scoprirono che la loro vocazione era quella di amare, per
tutta un'esistenza senza episodi sensazionali. Si può pensare che
padre Alfredo abbia ereditato presso Dio un ruolo importante, che ha
qualche somiglianza con quello della Patrona delle Missioni:
esercitare la misericordia nei confronti delle persone nello
sconforto.
Venerabile
Servo di Dio, ottieni alle vittime della droga il dono della speranza
vera, che non delude (Rm 5,5)!
Dom
Antoine Marie osb
Lettera
mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)".
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