Un
giorno del 1663 o del 1664, l'infante del Portogallo, don Pedro,
erede della corona, accompagnato dai suoi paggi, si presenta alla
porta del noviziato dei gesuiti di Lisbona (Portogallo); tutti i
novizi si precipitano per accogliere l'illustre visitatore, tranne
Giovanni de Britto. Quest'ultimo, che, in quanto paggio, aveva
frequentato il futuro re, finisce per arrivare cinto da un grembiule:
era occupato a curare un servo della comunità colpito da
un'epidemia. « Sono felice, esclama il principe in uno slancio di
fede, di trovarvi al servizio di questo nuovo padrone ! Vi
guadagnerete ricompense più solide di quelle che potreste trovare da
me... »
Joào
de Britto è nato il 1° marzo 1647, in una famiglia dell'alta
nobiltà del Portogallo. Suo padre, don Salvador de Britto Pereira,
sarà viceré del Brasile. In occasione di gravi problemi di salute,
il bambino è consacrato da sua madre, dona Brites, a san Francesco
Saverio, il grande missionario gesuita delle Indie e del Giappone,
per ottenerne la guarigione. Fin dall'età di nove anni, Giovanni
viene introdotto come paggio presso la corte di Lisbona. Da
adolescente, si distingue per la sua purezza angelica, messa alla
prova in mezzo a nobili giovani e facoltosi. Lo spettacolo della
corte lo porta del resto a distaccarsi dal mondo e, il 17 dicembre
1662, all'età di sedici anni, entra nella Compagnia di GESÙ.
Dolorosamente sorpresa, sua madre accetta tuttavia con fede la sua
decisione. Durante i suoi studi di filosofia a Coimbra (1666-1669),
Giovanni chiede al Generale della Compagnia di GESÙ di essere
inviato nelle missioni delle Indie, perché, dichiara, «è san
Francesco Saverio che mi ha guarito, è lui che mi chiama alle Indie
». Viene ordinato sacerdote a Lisbona nel febbraio 1673 e i suoi
superiori lo destinano alla regione di Madura, nel sud-est
dell'India. Nonostante l'opposizione della madre e i pareri
sfavorevoli dei medici, il giovane gesuita lascia Lisbona fin dal
mese di marzo, in compagnia di ventisette confratelli, sotto la
direzione di padre Balthazar da Costa, un veterano della missione
indiana.
Missionario
per natura
«
Gesù, il primo e il più grande evangelizzatore, continuamente ci
invia ad annunciare il Vangelo dell'amore di Dio Padre nella forza
dello Spirito Santo, ricordava papa Francesco... La Chiesa è
missionaria per natura; se non lo fosse, non sarebbe più la Chiesa
di Cristo, ma un'associazione tra molte altre, che ben presto
finirebbe con l'esaurire il proprio scopo e scomparire... La missione
della Chiesa, destinata a tutti gli uomini di buona volontà, è
fondata sul potere trasformante del Vangelo. Il Vangelo è una Buona
Notizia che porta in sé una gioia contagiosa perché contiene e
offre una vita nuova: quella di Cristo risorto, il quale, comunicando
il suo Spirito vivificante, diventa Via, Verità e Vita per noi (cf.
Gv 14, 6)... Nel seguire GESÙ come nostra Via, ne sperimentiamo la
Verità e riceviamo la sua Vita, che è piena comunione con Dio Padre
nella forza dello Spirito Santo, ci rende liberi da ogni forma di
egoismo ed è fonte di creatività nell'amore (Messaggio del 4 giugno
2017, per la Giornata Missionaria Mondiale).
I
missionari arrivano in settembre a Goa, un possedimento portoghese
sulla costa occidentale dell'India. Lì, Giovanni si reca subito, per
rendere grazie, alla cappella dove è venerato il corpo
miracolosamente conservato di san Francesco Saverio. Impara senza
indugio la lingua tamil e, già nell'anno successivo, parte per
Madura. Il giovane missionario dapprima si familiarizza con il paese,
in particolare con l'induismo e la struttura sociale delle caste,
dalle regole rigide e complicate. Percepisce l'importanza di
conciliarsi la casta superiore, quella dei brahmani, come una delle
chiavi principali della conversione del paese, ma il suo zelo lo
porta anche presso gli emarginati, i paria, o esclusi, che visita
piuttosto di notte. Al fine di predicare il Vangelo alle persone
colte, tenendo conto degli elementi positivi di saggezza contenuti
nei Veda, Giovanni studia i libri sacri dell'India, redatti in lingua
sanscrita. Come il suo predecessore, padre Roberto de Nobili, morto a
Madura circa quindici anni prima del suo arrivo, adotta alcune regole
di vita ascetica dei religiosi indù, dal momento che esse non vanno
contro la saggezza cristiana. Si veste persino da "Pandara
swami" con l'abito distintivo di coloro che rinunciano al mondo.
Questa austerità sembrerà eccessiva a molti dei suoi confratelli e
gli verrà anche rimproverato di praticare certi riti indiani. Ma in
occasione del suo processo di beatificazione, papa Benedetto XIV lo
libererà da ogni sospetto a questo riguardo : «Tali usanze sono
solo usi comuni della vita civile, e quindi senza alcun particolare
significato religioso. »
Salvato
dalla carità
Nonostante
la sua salute delicata, Giovanni de Britto rifiuta di servirsi del
cavallo che gli viene offerto e compie i suoi spostamenti a piedi. Il
riso, mattina e sera, è la base della sua alimentazione. Nel 1676 e
nel 1677, grandi inondazioni causano numerose vittime e notevoli
danni. Le missioni non sono risparmiate; i Padri devono cambiare
posto più volte e ripartire sempre dal nulla. Inoltre, la guerra
infuria continuamente, accompagnata da carestie e persecuzioni contro
i cristiani. Durante un'epidemia di peste, i devoti di Shiva, una
delle tre principali divinità dell'India, cercano di sollevare il
popolo contro il missionario rendendolo responsabile del flagello, ma
la carità del Padre, che cura i malati di peste, riesce a evitare il
peggio.
I
missionari si fanno aiutare da molti catechisti nativi. I fedeli sono
sparsi per il paese, ma coraggiosi e perseveranti; fanno a volte fino
a sessanta chilometri a piedi per ricevere i sacramenti. La
predicazione di Giovanni è accreditata da miracoli, come, per
esempio, la risurrezione di un bambino battezzato che era stato
colpito da un fulmine. « Questi favori sono così frequenti che i
nostri cristiani vi si abituano », osserva il missionario. Essi,
però, facilitano notevolmente la missione, in particolare per
abolire la poligamia, allora comune tra le élite del paese, e che
costituisce un grande ostacolo all'evangelizzazione. Avvengono
comunque delle conversioni, a prezzo del ripudio di diverse mogli.
Tuttavia, l'accanita opposizione delle autorità pagane alla
predicazione del Vangelo costringe padre de Britto a spostarsi e a
evangelizzare, per sei mesi, un'altra regione dell'India. Durante
l'anno che segue il suo ritorno, battezza 1200 pagani. Due anni dopo,
all'età di trentotto anni, viene nominato superiore della missione
di Madura; rimarrà tale dal 1685 al 1686. Delle calunnie contro di
lui, pervenute a Roma, hanno tuttavia già ottenuto dal Padre
Generale il suo allontanamento dalla missione, ma un cambiamento
provvidenziale di Provinciale gli consente di rimanere a Madura. Uno
dei suoi missionari dirà di lui : «Ha moltiplicato le comunità
cristiane... Nominato superiore, non ha approfittato dei suoi poteri
se non per alleviare le fatiche dei suoi confratelli, caricando se
stesso. Riserva sempre per sé i lavori più faticosi.»
Costantemente ricercato dai pagani, deve condurre una vita
semi-clandestina, in un clima di persecuzione e guerra civile : ci
sono dei cristiani martiri e altri che muoiono di miseria nella
giungla dove sono dovuti fuggire. Tuttavia arrivano anche aiuti
insperati da pagani simpatizzanti.
Nel
1686, il successo del Padre nell'evangelizzazione del Marava, un
regno vicino a Madura, irrita i brahmani, che complottano il suo
assassinio. Un distaccamento di uomini da loro assoldati si dirige
verso una giovanissima comunità in cui si trova il Padre. Giovanni e
i suoi catechisti vengono percossi a colpi di bastone, incatenati e
messi in prigione. Viene promessa loro la libertà se accettano di
adorare Shiva o semplicemente di ricevere l'imposizione delle ceneri
di Shiva sulla fronte, gesto che sarebbe, in effetti, un'apostasia, e
sono unanimi nel rifiutarlo. Padre Giovanni de Britto è condannato a
morte per aver predicato una religione straniera e rifiutato di
invocare il dio indù. Il giorno stesso, viene flagellato, quindi
abbandonato come morto. Un pagano misericordioso gli prodiga qualche
cura e i prigionieri sono riportati in prigione. Viene nuovamente
promulgata la sentenza di morte. I condannati recitano allora un
rosario di ringraziamento. Il Padre si preoccupa dell'effetto che
tanti mali potrebbero avere sui neofiti della regione : «Non temete
nulla dagli uomini, fa riferire loro (Lc 12, 4 ss.). Il Padre celeste
si prenderà cura di voi. Se permette che siate tormentati, vi darà
prima il coraggio, poi una gloria eterna. » Il 30 luglio 1686,
Giovanni riesce a inviare una lettera al suo superiore gesuita: «
Siamo felici e benediciamo la Volontà divina che si degna di
concederci la grazia di versare il nostro sangue per la sua santa
Legge. » I prigionieri sono trattenuti per un mese nelle scuderie
reali. Volendo approfittare dello stato di sfinimento del Padre,
alcuni brahmani lo sfidano a partecipare a dispute teologiche, ma ben
presto devono abbandonare la partita. Alla fine, i prigionieri
vengono rilasciati, senza che si sappia perché.
Estrema
sorpresa
I
superiori di padre Giovanni decidono allora di inviarlo a difendere
gli interessi della missione delle Indie presso la corte di Lisbona.
Ma egli deve prima passare per Goa per negoziare con le autorità
portoghesi alcuni punti delicati del diritto di patronato sulle
missioni delle Indie, diritto precedentemente concesso dalla Santa
Sede al re del Portogallo. I negoziati falliscono e il padre
s'imbarca per l'Europa. Arriva a Lisbona nel settembre 1687. La
notizia della sua condanna a morte si era diffusa, per cui la folla
venuta ad accogliere la sua nave è estremamente sorpresa di vederlo
sbarcare. I racconti del missionario suscitano ovunque un tale
entusiasmo che molti preti e studenti chiedono di seguirlo in India :
« Non possiamo chiudere tutti i collegi per soddisfare questi nobili
desideri ! », esclama uno dei superiori della Compagnia. Il Padre
rende visita al re don Pedro II. Colpito alla vista del suo amico
d'infanzia, divenuto un missionario emaciato, invecchiato e segnato
dalle torture subite, il re cerca di trattenerlo in Portogallo per
affidargli l'educazione dei propri figli. Il missionario rifiuta,
sostenendo che i bisogni sono molto maggiori in India. Nelle
occasioni in cui gli viene chiesto di predicare, insiste spesso sullo
scandalo provocato dalla cattiva condotta di certi portoghesi nelle
Indie : quando questi non agiscono con giustizia, disinteresse e
lealtà, afferma, ogni proclamazione del cristianesimo viene
percepita come ipocrita. La sua parola porta a molte conversioni,
perché la sua virtù, lungi dall'essere austera, attrae per la sua
dolcezza e per la sua straordinaria affabilità.
Il
timore degli onori
Il
missionario s'imbarca nuovamente il 19 marzo 1690, in compagnia di
diciannove religiosi, la maggior parte già preti. Arrivato a Goa in
novembre, riceve un'accoglienza trionfale. Dopo tre mesi, si reca a
Madura, dove riprende il suo apostolato itinerante; per prudenza, non
rimane mai a lungo nello stesso posto. Tuttavia, il re del Portogallo
non ha rinunciato alla sua idea: trama presso il Generale dei gesuiti
per far rientrare Giovanni in Portogallo, ma invano. Il re progetta
allora di farlo elevare alla dignità di arcivescovo, in India; ma il
Padre, che teme più gli onori delle persecuzioni, ottiene
l'annullamento di questo progetto. Si vede allora affidare dai suoi
superiori locali la visita triennale di Madura, dove la persecuzione
è intensa. Scrive a un confratello coadiutore: « Pregate molto per
me, perché questo paese è un campo d'azione molto arduo. Ho un gran
bisogno di un aiuto tutto speciale dal Cielo per ottenervi dei
risultati. Le conversioni si annunciano numerose; ancora di più sono
quelli che mi aspettano per ricevere i sacramenti. Se verrò
imprigionato di nuovo, spero proprio che questa volta non sfuggirò
alla morte. » Gli è sempre presente un pensiero : «Non avrò fatto
nulla per Dio finché non avrò versato fino all'ultima goccia del
mio sangue »; tuttavia, si sforza di osservare una sana prudenza.
Arrivato
in una zona di conflitti, costantemente percorsa da soldati, è
costretto a vivere nei boschi : «Sono già quattro mesi che sono
confinato in un bosco e vivo tra le tigri e i serpenti che vi si
trovano in gran numero, confida a un vescovo. La mia dimora è in un
albero. » Trova tuttavia il modo di mantenere una corrispondenza con
i suoi superiori e con diverse persone. In una località, ascolta
mille confessioni in quindici giorni e battezza quattrocento
catecumeni ben preparati. Approfittando di una tregua nei
combattimenti e nelle persecuzioni, battezza ottomila catecumeni
nell'arco di diciotto mesi. Deve anche regolarizzare dei matrimoni,
riconciliare degli apostati, eccetera. Le conversioni si moltiplicano
fin nelle alte caste e tra i parenti del re; ma, per ciò stesso, i
pericoli aumentano. «La seconda domenica di Quaresima, scrive il
Padre a un confratello, hanno cercato di prendermi, ma ero partito
una mezz'ora prima dell'arrivo dei nemici. Si sono impadroniti di un
cristiano battezzato che hanno riempito di percosse e di
maltrattamenti per costringerlo a rinnegare la sua fede. Grazie a Dio
il neofita è rimasto irremovibile. » E a un altro : « Confesso,
battezzo, amministro i sacramenti più che mai. Da ogni parte mi
vengono chiesti dei catechisti. Padre mio, che cosa sono, in
confronto con tutto questo, tutte le grandezze dell'Europa ? » I
neofiti sono però spaventati dalla costante minaccia della
persecuzione; Giovanni de Britto cerca allora un'occasione propizia
per incontrare il re di Marava al fine di ottenere da lui un editto
di tolleranza.
Un'offesa
personale
Nel
frattempo, un principe reale, Thadiyathevan, prima nemico del
missionario, ma che si è ammalato gravemente, avendo esaurito gli
espedienti umani, fa chiedere di lui per essere guarito. Il Padre
invia inizialmente un catechista per assicurarsi della sincerità
della richiesta e proporgli piuttosto il Battesimo. Nonostante i
rischi di una nuova persecuzione da parte del re, alla fine accetta
di incontrare il principe. Quest'ultimo, poligamo, ha cinque mogli e
non può ricevere il Battesimo prima di essersi conformato alla legge
cristiana del matrimonio. Ma il ripudio delle mogli illegittime
rischia di indisporre il re stesso, che vi vedrà uno sconvolgimento
dell'ordine sociale costituito nel suo regno. Il principe esita;
lascia tuttavia che il missionario organizzi nel suo palazzo una
magnifica cerimonia durante la quale viene conferito il Battesimo a
duecento catecumeni e viene data la Comunione a centinaia di sudditi
del principe già battezzati. Meravigliato, il principe alla fine si
lascia convincere, ripudia tutte le sue mogli, dopo aver provveduto
alle loro necessità, tranne quella sposata per prima, che considera
sua moglie legittima, e riceve il Battesimo, con quest'ultima, il 6
gennaio 1693. Ma una delle mogli ripudiate, nipote del re
persecutore, si precipita dallo zio e gli rivolge le sue lamentele;
pazzo di rabbia, egli arriva a considerare questo ripudio come
un'offesa personale.
La
fermezza di padre Giovanni de Britto quanto alla santità del
matrimonio lo ha fatto spesso paragonare a san Giovanni Battista, che
ha pagato con la vita il suo attaccamento alla legge di Dio e in
particolare al divieto assoluto di ogni unione adultera.
Nell'enciclica Redemptoris missio, san Giovanni Paolo II ricorda che
il rispetto degli insegnamenti del Vangelo conduce l'uomo alla vera
libertà e al vero amore al quale egli aspira: «La chiesa offre agli
uomini il Vangelo, documento profetico, rispondente alle esigenze e
aspirazioni del cuore umano : esso è sempre "Buona Novella".
La chiesa non può fare a meno di proclamare che GESÙ è venuto a
rivelare il volto di Dio e a meritare, con la croce e la
risurrezione, la salvezza per tutti gli uomini. All'interrogativo :
perché la missione? noi rispondiamo, con la fede e con l'esperienza
della Chiesa, che aprirsi all'amore di Cristo è la vera liberazione.
In lui, soltanto in lui, siamo liberati da ogni alienazione e
smarrimento, dalla schiavitù al potere del peccato e della morte.
Cristo è veramente la nostra pace, (Ef 2, 14) e l'amore di Cristo ci
spinge, (2 Cor 5,14) dando senso e gioia alla nostra vita. La
missione è un problema di fede, è l'indice esatto della nostra fede
in Cristo e nel suo amore per noi. La tentazione oggi è di ridurre
il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del
buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato, è avvenuta una
graduale secolarizzazione della salvezza, per cui ci si batté, sì,
per l'uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione
orizzontale. Noi invece, sappiamo che GESÙ è venuto a portare la
salvezza integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini,
aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina» (7 dicembre
1990, n. 11).
Il
giorno detta felicità
Consapevole
del pericolo che corre, padre de Britto fa i suoi addii ai cristiani
e li invita a nascondersi: « Ciò che Dio richiede a me, non lo
chiede a voi », dichiara. L'8 gennaio, viene arrestato : quando i
soldati si avvicinano, si presenta loro per permettere ai cristiani
che lo circondano di fuggire; sono catturati con lui un brahmano
divenuto cristiano e due catechisti. Viene picchiato e gli viene
ingiunto di invocare Shiva; ma lui invoca GESÙ. Una notte, un
catechista, di statura imponente, che non è stato preso, gli si
presenta per liberarlo. Il Padre rifiuta: « Lasciamo fare alla
Provvidenza! » Il giorno dopo, viene portato via per un viaggio di
tre o quattro giorni che lo conduce a Ramnad, dove si ritrova con
altri sei cristiani. Il Padre ha potuto conservare il suo breviario;
ne trae ogni giorno, per i suoi compagni, il racconto della vita di
un martire. Scrive anche ai suoi amici francesi a Pondichéry e ai
suoi superiori gesuiti per pregarli di non intervenire a suo favore,
sapendo quanto la sua testimonianza fino al sangue sarà preziosa per
i neofiti ancora soggetti alla persecuzione. Viene condannato a morte
in segreto il 28 gennaio, ma le autorità annunciano che sarà
esiliato, per paura di una rivolta popolare perché i cristiani sono
molto numerosi in quel luogo. Due giorni dopo, viene trasferito a
Oriyur, con alcuni cristiani fedeli. Lì scrive le sue ultime
lettere. Il principe governatore del posto è malato : chiede al suo
prigioniero di guarirlo, in cambio di aver salva la vita. Il
missionario gli parla di un'altra guarigione, la guarigione morale e
spirituale, ma il principe rifiuta di capire e ordina la sua
esecuzione. Il Padre scrive al suo amico, padre Giovanni da Costa,
un'ultima lettera piena di fede, umiltà e speranza : «Sono stato
condotto a Oriyur per esservi decapitato : ho molto patito nel
viaggio, ma alla fine sono potuto arrivare. Presentato al tribunale,
vi ho subito un lungo interrogatorio sulla fede, che ho confessata.
Di lì, sono stato di nuovo portato in prigione, dove aspetto ora il
giorno della felicità. Ma per arrivarci ho bisogno delle vostre
preghiere. La gioia del Signore abbonda nel mio cuore e sostiene le
mie forze. Sono circondato da guardie, non posso dirvi di più.
Addio, mio caro Padre. Vi prego di comunicare questa lettera a tutti
i nostri Padri. Il vostro servo e amico in GESÙ CRISTO, Giovanni de
Britto. »
Il
nuovo apostolo delle Indie viene decapitato il 4 febbraio 1693,
mercoledì delle ceneri. Il soldato che lo ha giustiziato e che il
Padre ha prima abbracciato, si convertirà e riceverà il Battesimo
insieme a grandi folle di quel paese. Beatificato il 21 agosto 1853
dal beato Pio IX, Giovanni de Britto è stato canonizzato da Pio XII
il 22 giugno 1947: la sua memoria liturgica è fissata al 4 febbraio.
Oriyur è diventato un luogo di pellegrinaggio molto frequentato dai
cristiani del Sud dell'India.
Come
eco alla vita di san Giovanni di Britto, papa Francesco ci ricorda
ancora oggi che «quanto più GESÙ occupa il centro della nostra
vita, tanto più ci fa uscire da noi stessi, ci decentra e ci rende
più vicini agli altri. Questo dinamismo dell'amore è come il
movimento del cuore... si concentra per incontrare il Signore e
subito si apre, uscendo da se stesso per amore, per rendere
testimonianza a GESÙ e parlare di GESÙ, per predicare GESÙ.
L'esempio ce lo dà lui stesso : si ritirava per pregare il Padre e
subito andava incontro agli affamati e agli assetati di Dio, per
guarirli e salvarli» (Messaggio del 5 luglio 2017, ai partecipanti
al Primo Simposio Internazionale sulla Catechesi, a Buenos Aires -
11-14 luglio 2017). Chiediamo allo Spirito Santo di fare di noi dei
veri testimoni di GESÙ CRISTO.
Dom
Antoine Marie osb
Tratto da : "Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia (Website : www.clairval.com)".
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