“
CHIUNQUE
vi
darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome... vi dico in verità
che non perderà la sua ricompensa (Mc 9, 41). Su queste
parole evangeliche, affermava san Giovanni Paolo II, il 25
settembre 1988, nell'omelia della beatificazione, meditò certo a
lungo il Cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet... Egli si erge quale
testimone della
carità evangelica in tempi particolarmente tormentati per la vita
della Chiesa,
in mezzo ad accesi conflitti di parte e a profonde alterazioni del
tessuto
politico e sociale del Paese, in una regione sconvolta dal
susseguirsi di paurose calamità naturali : epidemie di colera,
terremoti, inondazioni, eruzioni
dell'Etna, oltre a quella costante e vastissima calamità che è la
miseria
dei diseredati. “
Ufficiale
della marina belga, il capitano di vascello Louis
Dusmet fa naufragio non lontano dalle coste della Sicilia.
Si stabilisce allora su questa isola e vi sposa la marchesa
Maria Dragonetti. Il 15 settembre 1818, i giovani sposi
accolgono il loro primo figlio. Al suo Battesimo, il bambino
è posto sotto la protezione di dodici santi, ma in
famiglia verrà chiamato Melchiorre. Avrà sei fratelli
e
sorelle. Fin dall'età di cinque anni, Melchiorre mostra una
propensione per gli atti di pietà e di carità verso i poveri.
I suoi genitori lo affidano ai Padri benedettini dell'abbazia
di San Martino delle Scale, non lontano da Palermo.
È da loro che viene preparato alla Comunione e
alla Cresima.
Le
seduzioni del
mondo
Al
termine dei suoi primi studi, il giovane esprime il
desiderio di farsi religioso. Come risposta, il padre
lo conduce a Napoli e gli fa scoprire il mondo allo scopo
di mettere alla prova la solidità della sua vocazione.
Nulla riesce a far vacillare il suo desiderio. Entra allora,
a quindici anni, nell'abbazia di San Martino, e vi
prende i nomi di Giuseppe Benedetto. Il 15 Agosto 1840,
fa la sua professione perpetua. Due anni dopo, all'età
di ventiquattro anni, riceve il sacerdozio. Il suo abate
lo incarica di insegnare filosofia e teologia, nonché di
porre rimedio alle discordie interne della comunità, dovute
in parte all'eccessivo accumulo di beni temporali.
Fedele osservante della Regola e dotato di grandi capacità
di lavoro, padre Giuseppe Benedetto si trova in
contrasto con quei confratelli che deviano dalle antiche osservanze.
L'abate, dom Carlo Antonio, lo sceglie però
come segretario personale. Nel 1847, dom Carlo viene
eletto abate di Santa Flavia a Caltanissetta; padre Giuseppe
lo segue in questa abbazia. Vi si fa presto notare
per le sue doti, e il vescovo della diocesi lo sceglie come
consigliere, sia sul piano spirituale che per le questioni
temporali.
Nel
1850, all'età di trentadue anni, padre Giuseppe Benedetto
viene nominato coadiutore del priore dell'abbazia
dei Santi Severino e Sossio, a Napoli. Modello di
osservanza religiosa, consigliere ascoltato, amministratore prudente
e generoso, non esita a distribuire egli
stesso il cibo ai molti mendicanti che si affollano alla
porta dell'abbazia. Durante una decina d'anni, si fa
appello a lui per risolvere difficoltà in varie comunità.
Inviato al monastero di San Nicola a Catania, dove
si è introdotta una grande rilassatezza, riceve ben presto
l'ultimo respiro dell'abate, al quale succede nel 1858.
Il convento è allora considerato da molti come «un
luogo di eterna delizia, dove la vita passava, senza cure
dell'oggi e senza paure del domani, tra lauti conviti,
sontuose cerimonie, gaie conversazioni e scampagnate
gioconde ».
Dom
Giuseppe Benedetto inaugura il
suo abbaziato senza nessun festeggiamento esteriore, e
s'impegna, con fermezza e carità, per ristabilire la regolarità nel
monastero. In primo luogo, con il proprio esempio, incoraggia i
Padri a rinunciare ai loro domestici
privati. Durante l'estate, che la comunità ha preso
l'abitudine di trascorrere a Nicolosi, alcuni monaci frequentano
il casinò e vi giocano a carte, a volte fino a tarda
notte. Senza fare loro rimproveri, l'abate si pone all'ingresso
del locale, e la sua sola presenza è sufficiente per
far loro capire l'irregolarità della loro condotta e portarli
a rinunciarvi.
Dom
Giuseppe Benedetto mette in atto la raccomandazione fatta da San
Benedetto : « L'Abate deve imporsi ai propri discepoli con un
duplice insegnamento, mostrando con i fatti più che con le parole
tutto quello che è buono e santo : in altri termini, insegni
oralmente i comandamenti del Signore ai discepoli più sensibili e
recettivi, ma li presenti esemplificati nelle sue azioni ai più
tardi e grossolani. Confermi con la sua condotta che bisogna
effettivamente evitare ciò che è contrario alla Legge di Dio»
(Regola, cap. 2).
L'ultimo
ad andarsene
A
Catania, l'influenza del giansenismo si fa ancora sentire tra il
clero e i fedeli. Per ovviare a questo, l'abate introduce il culto
del Sacro Cuore di GESÙ, culto d'amore riparatore e di fiducia, e
promuove la frequentazione dei sacramenti. Non esita a farsi, in
certi casi, missionario ambulante tramite visite a domicilio. Non si
coinvolge nelle vicende politiche che sconvolgono l'Italia negli anni
intorno al 1860, ma fonda l'"Obolo di San Pietro", che
raccoglie fondi per sostenere il Papa progressivamente spogliato dei
suoi Stati dall'Italia nascente. Nel 1860, il "Regno d'Italia"
s'impadronisce della Sicilia : vengono votate leggi che sopprimono
gli ordini religiosi. Al momento della confisca del suo monastero,
padre Dusmet è l'ultimo a lasciare il luogo. Si rifugia presso un
coraggioso canonico, e rifiuta di andare a Torino per negoziare la
sopravvivenza della sua comunità. Alcuni glielo rimproverano, ma gli
eventi successivi mostreranno che le possibilità offerte dal governo
erano solo un inganno.
A
causa dei disordini politici, la sede episcopale di Catania rimaneva
vacante dal 1861. All'inizio del 1867, il Papa nomina dom Giuseppe
Benedetto arcivescovo di Catania. Questa scelta provoca un'esultanza
generale nella diocesi; solo l'interessato ne prova dolore e
inquietudine. Riceve la consacrazione episcopale il 10 marzo 1867, a
Roma. Senza indugio, invia ai suoi diocesani una lettera pastorale in
cui espone i motivi che lo hanno spinto ad accettare la dignità
episcopale : «Ma vedemmo d'altra parte che col ricusarci in sì
difficile congiuntura, saremmo stati colpevoli di aver rimosso dalle
nostre labbra il calice di amarezza, lasciando il Padre dei fedeli
(il Papa) a trangugiarlo egli solo ; e comprendemmo tutta la viltà
del rifiuto. » Vi traccia il programma del suo episcopato : riforma
del clero, rafforzamento della fede, fedeltà al Sovrano Pontefice,
umiltà e preghiera; egli assegna un posto d'onore alla virtù della
carità che gli sta tanto a cuore: « Sin quando avremo un
panettello, Noi lo divideremo col povero. La nostra porta per ogni
misero che soffre sarà sempre aperta. L'orario che ordineremo
affiggersi all'ingresso dell'Episcopio sarà che gli indigenti a
preferenza entrino in tutte le ore. Un soccorso, ed ove i mezzi ci
manchino, un conforto, una parola di affetto l'avranno tutti e
sempre. »
Il
nuovo arcivescovo è impregnato degli insegnamenti della Regola di
san Benedetto sull'incarico dell'abate di un monastero :
«Soprattutto, si guardi dal perdere di vista o sottovalutare la
salvezza delle anime di cui è responsabile, per preoccuparsi
eccessivamente delle realtà terrene, transitorie e caduche; ma pensi
sempre che si è assunto l'impegno di dirigere delle anime, di cui un
giorno dovrà rendere conto» (Regola, cap. 2). Mons. Dusmet si
ricorda anche di ciò che san Benedetto scrive riguardo all'economo
(o cellerario) del monastero : « Soprattutto sia umile, e se non può
concedere quanto gli è stato richiesto, dia almeno una risposta
caritatevole, perché sta scritto : Una buona parola vale più del
migliore dei doni (Sir, 18, 17) » (ibid, cap. 31).
Due
camere
Divenuto
arcivescovo, dom Giuseppe Benedetto Dusmet s'impegna a mantenere il
suo stile di vita monastico. Si alza presto, celebra la Messa,
partecipa, in azione di grazie, a quella del suo segretario, prende
una tazza di caffè e poi si reca nella vicina chiesa dedicata a
Sant'Agata. Solo allora inizia la sua laboriosa giornata di lavoro,
neppure interrotta da un po' di riposo nel primo pomeriggio. Il
pranzo consiste in un po' di frutta e un po' d'acqua. Il suo pasto
principale, molto frugale, si svolge la sera. In Quaresima, non
mangia carne. Nel vescovado, fa allestire due camere : una,
opportuna-mente arredata, destinata all'arcivescovo, l'altra, molto
più sobria, dove riposa abitualmente il monaco. Un crocifisso,
un'immagine della Madonna e un grande rosario, ricordo di un
pellegrinaggio a Lourdes, ne sono gli unici ornamenti. Trascorre del
resto una parte della notte nella cappella, a pregare e meditare. In
mezzo agli impegni del governo pastorale, cerca di custodire il
raccoglimento interiore. Si considera egli stesso come un peccatore e
si raccomanda umilmente alle preghiere dei poveri che assiste, per
ottenere da Dio il perdono dei propri peccati. In città, si sposta a
piedi e non usa mai la carrozza; lo accompagna un unico cameriere, e
porta, come insegna della propria dignità, una piccola croce d'oro
sul suo abito monastico. Nell'esercizio dell'autorità, non usa il
tono di comando, nemmeno nei confronti delle persone che sono al suo
servizio. Il suo modello è san Francesco di Sales.
Questo
grande dottore della Chiesa, vescovo di Ginevra, raccomanda la
dolcezza e mitezza basandosi sulle parole di GESÙ : Imparate da me,
che sono mite e umile di cuore (Mt 11, 29). L'umiltà, egli fa
notare, ci perfeziona nei confronti di Dio, e la dolcezza e mitezza
nei confronti del prossimo : «Non corrucciarti affatto, se è
possibile, e non accogliere nessun pretesto, qualunque esso sia, per
aprire la porta del tuo cuore all'ira. » Ma se la collera è entrata
nel nostro cuore, «bisogna invocare l'aiuto di Dio... perché Egli
comanderà alle nostre passioni di cessare, e subentrerà una grande
calma. Ma vi avverto sempre che la preghiera che si fa contro la
collera in atto e travolgente deve essere praticata con dolcezza, con
tranquillità, e assolutamente non in modo violento... Inoltre,
quando siete nella calma e senza alcun motivo di collera, cercate di
compiere tutte le vostre azioni, piccole e grandi, nel modo più
dolce possibile. » Il Santo raccomanda poi la dolcezza verso se
stessi: «Non irritiamoci mai contro noi stessi né contro le nostre
imperfezioni..., perché non c'è da stupirsi che l'infermità sia
inferma e la debolezza debole. Detestate nondimeno con tutte le
vostre forze l'offesa che Dio ha ricevuto da voi » (Introduzione
alla vita devota, terza parte, cap. 8).
Non
ferirlo
Fin
dall'inizio del suo episcopato, mons. Dusmet difende con forza i
diritti della Chiesa. I pubblici ufficiali incaricati di applicare le
leggi anticlericali agiscono nei suoi confronti con la massima
prudenza, «per non ferire un uomo simile », dicono, ma ancor più
per paura dell'opinione pubblica che non è loro favorevole. Queste
circostanze consentono al prelato di recuperare gradualmente la
maggior parte delle chiese confiscate dal governo, nonché il
seminario, e di ottenere la riapertura delle case religiose. Ben
presto, egli s'impone una visita di tutta la diocesi, anche delle
frazioni più remote. Organizza missioni parrocchiali e insiste sulla
necessità dell'insegnamento del catechismo. Per soddisfare le
diverse esigenze dei suoi diocesani, istituisce numerose associazioni
e scuole di cui si prende grande cura, fonda un ospizio per gli
anziani e fa venire le Piccole Sorelle dei Poveri per occuparsene. A
favore dei poveri, organizza un'opera di assistenza a domicilio e
istituisce un ospedale.
Consapevole
dell'importanza del ruolo dei laici nell'apostolato, l'arcivescovo di
Catania vuole che i fedeli siano in grado di rendere ragione della
loro fede ai non credenti. Fonda per loro due periodici di formazione
dottrinale, e associa alle sue iniziative ausiliari laici.
Anticipa
così le vedute di san Giovanni Paolo II, che scriverà: «Anche i
fedeli laici sono personalmente chiamati dal Signore, dal quale
ricevono una missione per la Chiesa e per il mondo... Sempre più
urgente si rivela oggi la formazione dottrinale dei fedeli laici,...
per l'esigenza di rendere ragione della speranza che è in loro di
fronte al mondo e ai suoi gravi e complessi problemi. Si rende così
assolutamente necessaria una sistematica azione di catechesi, da
graduarsi in rapporto all'età e alle diverse situazioni di vita...
In particolare, soprattutto per i fedeli laici variamente impegnati
nel campo sociale e politico, è del tutto indispensabile una
conoscenza più esatta della dottrina sociale della Chiesa »
(Esortazione Christifideles laici, 30 dicembre 1988, nn. 2 e 60).
Mons
Dusmet si adopera anche perché i fedeli siano formati alla vita di
preghiera; organizza pellegrinaggi, promuove le pie pratiche del mese
di MARIA e la devozione al Sacro Cuore. Ogni anno, scrive una lettera
pastorale sulla Vergine MARIA. Così, nel mese di maggio del 1893,
potrà dire: «Nella grande penuria di opere meritorie che
accompagnerà la mia dipartita, pensai tener pronte le mie
venticinque lettere mariane, belle impaccate, sicché mi valgano come
unico passaporto che potrò presentare alla Regina della misericordia
nell'ora estrema. » Attento alla formazione intellettuale dei suoi
sacerdoti, e preoccupato della loro vita morale, riorganizza il
seminario diocesano. Nella sua prima lettera pastorale, aveva scritto
loro : «A conciliarvi la pubblica stima, a menar vita meno
travagliata altro mezzo non v'ha, che star contenti alle dolcezze del
vostro stato senza cercarne altrove, senza spandervi al di fuori,
tenendovi strettamente uniti fra voi. L'atmosfera della politica,
delle assemblee, dei partiti, delle dissenzioni non è respirabile
dal ceto ecclesiastico... Elevarsi al di sopra dei terreni
avvenimenti, dissetarsi alla sorgente delle divine grazie, collocarsi
nel centro della luce, tale è il compito del sacerdozio. » In quei
tempi di agitazione politica, in effetti, le defezioni dei membri del
clero non sono rare. L'arcivescovo deve a volte rimproverare gli
ostinati, ma, deciso a mostrarsi « più buono che giusto »,
promuove la santificazione del suo clero con esercizi spirituali e
riunioni mensili.
Come
governare
I
consigli di san Benedetto aiutano il prelato nel suo governo : «Nei
suoi insegnamenti, l'Abate deve tener presente la norma dell'apostolo
: Correggi, esorta, rimprovera (2 Tm 4, 2). Deve quindi variare il
suo modo di agire a seconda dei tempi e delle circostanze, alternando
i rimproveri agli incoraggiamenti, dimostrando ora la severità di un
maestro ora la tenerezza di un padre. Deve inoltre correggere più
energicamente gli indisciplinati e gli irrequieti, mentre gli basterà
esortare a progredire sempre più quelli che sono docili, miti e
pazienti. Quanto ai negligenti o a coloro che disprezzano la
disciplina, gli raccomandiamo di rimproverarli e correggerli... Nelle
correzioni stesse, l'Abate agisca con prudenza e senza esagerare, per
evitare che, volendo raschiare troppo la ruggine, si rompa il vaso.
Abbia sempre davanti agli occhi la propria fragilità, e si ricordi
che non bisogna spezzare la canna già incrinata (Is 42, 3) »
(Regola, capp. 2 e 64).
Il
colera scoppia a Catania nel 1867. Si vede allora l'arcivescovo
entrare nelle case e nei tuguri per visitare malati e moribondi, e
portare aiuto ai sopravvissuti. Se, per paura di trasmettergli la
malattia, rifiutano di aprirgli la porta, lui non esita a passare
attraverso la finestra o il balcone. Quando i malati troppo timorosi
rifiutano i farmaci prescritti, ne ingoia egli stesso alcune gocce
davanti a loro per mostrare che non sono nocivi. Per alleviare tutte
queste miserie, vende i vasi decorativi del palazzo vescovile e
arriva fino a indebitarsi. Abbandona persino la sua preziosa croce
pettorale, ma i catanesi la riscattano e gliela restituiscono. Venti
anni dopo, lo stesso flagello colpirà di nuovo la città, e
l'arcivescovo vi si dedicherà con lo stesso zelo di carità, che si
dà libero sfogo anche in occasione dei terremoti, delle carestie o
degli uragani.
Nel
1885, su richiesta di papa Leone XIII, mons. Dusmet viene incaricato
di amministrare, oltre alla propria diocesi, quella di Castiglione,
con la missione di calmare il conflitto allora in corso tra le
autorità ecclesiastiche e quelle civili. Il suo tatto, la sua
fermezza al tempo dolce e tenace, e la sua carità lo aiutano a
riuscire in questo compito delicato. Nel 1886, il Santo Padre gli
affida una nuova e importante missione : restaurare in Italia
l'Ordine benedettino gravemente danneggiato dalle leggi
antireligiose, e promuovervi l'unità. Gli abati dei monasteri
sopravvissuti della congregazione benedettina cassinese si riuniscono
sotto la sua direzione e adottano diverse linee di orientamento
fondamentali. Nel suo discorso di chiusura, mons. Dusmet raccomanda
loro soprattutto l'amore fraterno. Ottiene in seguito la
collaborazione degli abati del mondo intero, per fondare la
confederazione di tutte le congregazioni benedettine che si sono
formate nel corso della storia. Viene così costituita la
Confederazione benedettina, dotata di due organi di unità: un Abate
Primate e un Collegio d'Insegnamento universitario, entrambi con sede
a Roma, presso l'abbazia di Sant'Anselmo, che sarà costruita alla
fine del secolo.
«
Ho la fede !»
La
città di Catania e i suoi dintorni sono costantemente minacciati
dalle eruzioni dell'Etna. Nel 1886, una di esse mette in pericolo la
città di Nicolosi. Il pastore vi si reca, celebra la Messa su una
piazza ed esorta gli abitanti ad affidarsi a Dio avvicinandosi ai
sacramenti. Nel frattempo, un'enorme colata di lava che ha già
costretto molte persone a evacuare le loro case avanza verso
l'agglomerato. Mons. Dusmet fa allora portare da Catania il
reliquario contenente il velo che aveva coperto la tomba di
Sant'Agata (vergine, martire nel 251) per rinnovare il gesto del
beato Pietro Geremia. Questo domenicano aveva già, nel XVI secolo,
scongiurato lo stesso pericolo con questo mezzo. A chi gli fa
osservare l'imprudenza del gesto, l'arcivescovo risponde
risolutamente : « lo ho fede ! » Esce verso il vulcano, seguito dal
clero e dal popolo, e traccia per tre volte il segno di croce con il
velo, in direzione della lava. La colata in fusione si arresta e
rimane come bloccata; quindici giorni dopo, l'eruzione è cessata.
Nel
1889, Leone XIII promuove mons. Dusmet alla dignità cardinalizia. Al
momento di prendere possesso della sua chiesa titolare, quella di
santa Pudenziana a Roma, egli rinuncia all'usanza di offrire un
sontuoso banchetto e ne dona il prezzo corrispondente alle opere
caritative. Di ritorno a Catania, rimane quello che era, umile e
povero. Tuttavia, all'avvicinarsi dei suoi settantacinque anni, le
sue forze diminuiscono e risente fortemente il peso del suo lungo
episcopato. Lo si sente dire : « Oh ! qual gioia morire, andare in
paradiso, in paradiso ! » L'ultima chiesa che visita è quella che
ha fatto costruire in onore delle apparizioni della Madonna a La
Salette. Ben presto, l'uremia e le sue conseguenze lo costringono a
letto per non più alzarsi. Questo stato dura diversi mesi. Riceve
infine gli ultimi sacramenti con devozione, poi supplica: «Non
lasciatemi in purgatorio; la responsabilità di un vescovo è grande
! » Muore il 4 aprile 1894, dopo aver più volte ripetuto : « O San
GIUSEPPE, fa' presto ! Dammi al mio GESÙ ! San GIUSEPPE, prendimi in
fretta, la mia valigia è tutta pronta ! Possa io morire della morte
dei giusti e la mia fine sia simile alla loro ! » Secondo le sue
ultime volontà, i funerali avvengono con la massima semplicità
possibile, in presenza di un gran concorso di popolo.
Il
25 Settembre 1988, san Giovanni Paolo II affermava: « Pur allevato
tra gli agi di una famiglia aristocratica e facoltosa, il cardinal
Dusmet fece della povertà, vissuta in funzione di servizio e di
donazione agli altri, una pro-grammatica scelta di vita talmente
radicale che, alla sua morte, non si trovò neppure un lenzuolo in
cui avvolgerlo : di tutto, letteralmente, egli si era spogliato per
rivestirne i poveri, di cui si sentiva umile servitore. »
Chiediamogli di ottenerci la grazia di seguire, secondo le nostre
possibilità, gli esempi di carità e di umiltà che ci ha lasciati !
"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia (Website : www.clairval.com)".
"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia (Website : www.clairval.com)".
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