domenica 15 luglio 2018

Beato Giuseppe Benedetto Dusmet Vescovo



CHIUNQUE vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome... vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa (Mc 9, 41). Su queste parole evangeliche, affermava san Giovanni Paolo II, il 25 settembre 1988, nell'omelia della beatificazione, meditò certo a lungo il Cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet... Egli si erge quale testimone della carità evangelica in tempi particolarmente tormentati per la vita della Chiesa, in mezzo ad accesi conflitti di parte e a profonde alterazioni del tessuto politico e sociale del Paese, in una regione sconvolta dal susseguirsi di paurose calamità naturali : epidemie di colera, terremoti, inondazioni, eruzioni dell'Etna, oltre a quella costante e vastissima calamità che è la miseria dei diseredati. “


Ufficiale della marina belga, il capitano di vascello Louis Dusmet fa naufragio non lontano dalle coste della Sicilia. Si stabilisce allora su questa isola e vi sposa la marchesa Maria Dragonetti. Il 15 settembre 1818, i giovani sposi accolgono il loro primo figlio. Al suo Battesimo, il bambino è posto sotto la protezione di dodici santi, ma in famiglia verrà chiamato Melchiorre. Avrà sei fratelli e sorelle. Fin dall'età di cinque anni, Melchiorre mostra una propensione per gli atti di pietà e di carità verso i poveri. I suoi genitori lo affidano ai Padri benedettini dell'abbazia di San Martino delle Scale, non lontano da Palermo. È da loro che viene preparato alla Comunione e alla Cresima.
Le seduzioni del mondo
Al termine dei suoi primi studi, il giovane esprime il desiderio di farsi religioso. Come risposta, il padre lo conduce a Napoli e gli fa scoprire il mondo allo scopo di mettere alla prova la solidità della sua vocazione. Nulla riesce a far vacillare il suo desiderio. Entra allora, a quindici anni, nell'abbazia di San Martino, e vi prende i nomi di Giuseppe Benedetto. Il 15 Agosto 1840, fa la sua professione perpetua. Due anni dopo, all'età di ventiquattro anni, riceve il sacerdozio. Il suo abate lo incarica di insegnare filosofia e teologia, nonché di porre rimedio alle discordie interne della comunità, dovute in parte all'eccessivo accumulo di beni temporali. Fedele osservante della Regola e dotato di grandi capacità di lavoro, padre Giuseppe Benedetto si trova in contrasto con quei confratelli che deviano dalle antiche osservanze. L'abate, dom Carlo Antonio, lo sceglie però come segretario personale. Nel 1847, dom Carlo viene eletto abate di Santa Flavia a Caltanissetta; padre Giuseppe lo segue in questa abbazia. Vi si fa presto notare per le sue doti, e il vescovo della diocesi lo sceglie come consigliere, sia sul piano spirituale che per le questioni temporali.
Nel 1850, all'età di trentadue anni, padre Giuseppe Benedetto viene nominato coadiutore del priore dell'abbazia dei Santi Severino e Sossio, a Napoli. Modello di osservanza religiosa, consigliere ascoltato, amministratore prudente e generoso, non esita a distribuire egli stesso il cibo ai molti mendicanti che si affollano alla porta dell'abbazia. Durante una decina d'anni, si fa appello a lui per risolvere difficoltà in varie comunità. Inviato al monastero di San Nicola a Catania, dove si è introdotta una grande rilassatezza, riceve ben presto l'ultimo respiro dell'abate, al quale succede nel 1858. Il convento è allora considerato da molti come «un luogo di eterna delizia, dove la vita passava, senza cure dell'oggi e senza paure del domani, tra lauti conviti, sontuose cerimonie, gaie conversazioni e scampagnate gioconde ».
Dom Giuseppe Benedetto inaugura il suo abbaziato senza nessun festeggiamento esteriore, e s'impegna, con fermezza e carità, per ristabilire la regolarità nel monastero. In primo luogo, con il pro­prio esempio, incoraggia i Padri a rinunciare ai loro domestici privati. Durante l'estate, che la comunità ha preso l'abitudine di trascorrere a Nicolosi, alcuni monaci frequentano il casinò e vi giocano a carte, a volte fino a tarda notte. Senza fare loro rimproveri, l'abate si pone all'ingresso del locale, e la sua sola presenza è sufficiente per far loro capire l'irregolarità della loro condotta e portarli a rinunciarvi.
Dom Giuseppe Benedetto mette in atto la raccomandazione fatta da San Benedetto : « L'Abate deve imporsi ai propri discepoli con un duplice insegnamento, mostrando con i fatti più che con le parole tutto quello che è buono e santo : in altri termini, insegni oralmente i comandamenti del Signore ai discepoli più sensibili e recettivi, ma li presenti esemplificati nelle sue azioni ai più tardi e grossolani. Confermi con la sua condotta che bisogna effettivamente evitare ciò che è contrario alla Legge di Dio» (Regola, cap. 2).
L'ultimo ad andarsene
A Catania, l'influenza del giansenismo si fa ancora sentire tra il clero e i fedeli. Per ovviare a questo, l'abate introduce il culto del Sacro Cuore di GESÙ, culto d'amore riparatore e di fiducia, e promuove la frequentazione dei sacramenti. Non esita a farsi, in certi casi, missionario ambulante tramite visite a domicilio. Non si coinvolge nelle vicende politiche che sconvolgono l'Italia negli anni intorno al 1860, ma fonda l'"Obolo di San Pietro", che raccoglie fondi per sostenere il Papa progressivamente spogliato dei suoi Stati dall'Italia nascente. Nel 1860, il "Regno d'Italia" s'impadronisce della Sicilia : vengono votate leggi che sopprimono gli ordini religiosi. Al momento della confisca del suo monastero, padre Dusmet è l'ultimo a lasciare il luogo. Si rifugia presso un coraggioso canonico, e rifiuta di andare a Torino per negoziare la sopravvivenza della sua comunità. Alcuni glielo rimproverano, ma gli eventi successivi mostreranno che le possibilità offerte dal governo erano solo un inganno.
A causa dei disordini politici, la sede episcopale di Catania rimaneva vacante dal 1861. All'inizio del 1867, il Papa nomina dom Giuseppe Benedetto arcivescovo di Catania. Questa scelta provoca un'esultanza generale nella diocesi; solo l'interessato ne prova dolore e inquietudine. Riceve la consacrazione episcopale il 10 marzo 1867, a Roma. Senza indugio, invia ai suoi diocesani una lettera pastorale in cui espone i motivi che lo hanno spinto ad accettare la dignità episcopale : «Ma vedemmo d'altra parte che col ricusarci in sì difficile congiuntura, saremmo stati colpevoli di aver rimosso dalle nostre labbra il calice di amarezza, lasciando il Padre dei fedeli (il Papa) a trangugiarlo egli solo ; e comprendemmo tutta la viltà del rifiuto. » Vi traccia il programma del suo episcopato : riforma del clero, rafforzamento della fede, fedeltà al Sovrano Pontefice, umiltà e preghiera; egli assegna un posto d'onore alla virtù della carità che gli sta tanto a cuore: « Sin quando avremo un panettello, Noi lo divideremo col povero. La nostra porta per ogni misero che soffre sarà sempre aperta. L'orario che ordineremo affiggersi all'ingresso dell'Episcopio sarà che gli indigenti a preferenza entrino in tutte le ore. Un soccorso, ed ove i mezzi ci manchino, un conforto, una parola di affetto l'avranno tutti e sempre. »
Il nuovo arcivescovo è impregnato degli insegnamenti della Regola di san Benedetto sull'incarico dell'abate di un monastero : «Soprattutto, si guardi dal perdere di vista o sottovalutare la salvezza delle anime di cui è responsabile, per preoccuparsi eccessivamente delle realtà terrene, transitorie e caduche; ma pensi sempre che si è assunto l'impegno di dirigere delle anime, di cui un giorno dovrà rendere conto» (Regola, cap. 2). Mons. Dusmet si ricorda anche di ciò che san Benedetto scrive riguardo all'economo (o cellerario) del monastero : « Soprattutto sia umile, e se non può concedere quanto gli è stato richiesto, dia almeno una risposta caritatevole, perché sta scritto : Una buona parola vale più del migliore dei doni (Sir, 18, 17) » (ibid, cap. 31).
Due camere
Divenuto arcivescovo, dom Giuseppe Benedetto Dusmet s'impegna a mantenere il suo stile di vita monastico. Si alza presto, celebra la Messa, partecipa, in azione di grazie, a quella del suo segretario, prende una tazza di caffè e poi si reca nella vicina chiesa dedicata a Sant'Agata. Solo allora inizia la sua laboriosa giornata di lavoro, neppure interrotta da un po' di riposo nel primo pomeriggio. Il pranzo consiste in un po' di frutta e un po' d'acqua. Il suo pasto principale, molto frugale, si svolge la sera. In Quaresima, non mangia carne. Nel vescovado, fa allestire due camere : una, opportuna-mente arredata, destinata all'arcivescovo, l'altra, molto più sobria, dove riposa abitualmente il monaco. Un crocifisso, un'immagine della Madonna e un grande rosario, ricordo di un pellegrinaggio a Lourdes, ne sono gli unici ornamenti. Trascorre del resto una parte della notte nella cappella, a pregare e meditare. In mezzo agli impegni del governo pastorale, cerca di custodire il raccoglimento interiore. Si considera egli stesso come un peccatore e si raccomanda umilmente alle preghiere dei poveri che assiste, per ottenere da Dio il perdono dei propri peccati. In città, si sposta a piedi e non usa mai la carrozza; lo accompagna un unico cameriere, e porta, come insegna della propria dignità, una piccola croce d'oro sul suo abito monastico. Nell'esercizio dell'autorità, non usa il tono di comando, nemmeno nei confronti delle persone che sono al suo servizio. Il suo modello è san Francesco di Sales.
Questo grande dottore della Chiesa, vescovo di Ginevra, raccomanda la dolcezza e mitezza basandosi sulle parole di GESÙ : Imparate da me, che sono mite e umile di cuore (Mt 11, 29). L'umiltà, egli fa notare, ci perfeziona nei confronti di Dio, e la dolcezza e mitezza nei confronti del prossimo : «Non corrucciarti affatto, se è possibile, e non accogliere nessun pretesto, qualunque esso sia, per aprire la porta del tuo cuore all'ira. » Ma se la collera è entrata nel nostro cuore, «bisogna invocare l'aiuto di Dio... perché Egli comanderà alle nostre passioni di cessare, e subentrerà una grande calma. Ma vi avverto sempre che la preghiera che si fa contro la collera in atto e travolgente deve essere praticata con dolcezza, con tranquillità, e assolutamente non in modo violento... Inoltre, quando siete nella calma e senza alcun motivo di collera, cercate di compiere tutte le vostre azioni, piccole e grandi, nel modo più dolce possibile. » Il Santo raccomanda poi la dolcezza verso se stessi: «Non irritiamoci mai contro noi stessi né contro le nostre imperfezioni..., perché non c'è da stupirsi che l'infermità sia inferma e la debolezza debole. Detestate nondimeno con tutte le vostre forze l'offesa che Dio ha ricevuto da voi » (Introduzione alla vita devota, terza parte, cap. 8).
Non ferirlo
Fin dall'inizio del suo episcopato, mons. Dusmet difende con forza i diritti della Chiesa. I pubblici ufficiali incaricati di applicare le leggi anticlericali agiscono nei suoi confronti con la massima prudenza, «per non ferire un uomo simile », dicono, ma ancor più per paura dell'opinione pubblica che non è loro favorevole. Queste circostanze consentono al prelato di recuperare gradualmente la maggior parte delle chiese confiscate dal governo, nonché il seminario, e di ottenere la riapertura delle case religiose. Ben presto, egli s'impone una visita di tutta la diocesi, anche delle frazioni più remote. Organizza missioni parrocchiali e insiste sulla necessità dell'insegnamento del catechismo. Per soddisfare le diverse esigenze dei suoi diocesani, istituisce numerose associazioni e scuole di cui si prende grande cura, fonda un ospizio per gli anziani e fa venire le Piccole Sorelle dei Poveri per occuparsene. A favore dei poveri, organizza un'opera di assistenza a domicilio e istituisce un ospedale.
Consapevole dell'importanza del ruolo dei laici nell'apostolato, l'arcivescovo di Catania vuole che i fedeli siano in grado di rendere ragione della loro fede ai non credenti. Fonda per loro due periodici di formazione dottrinale, e associa alle sue iniziative ausiliari laici.
Anticipa così le vedute di san Giovanni Paolo II, che scriverà: «Anche i fedeli laici sono personalmente chiamati dal Signore, dal quale ricevono una missione per la Chiesa e per il mondo... Sempre più urgente si rivela oggi la formazione dottrinale dei fedeli laici,... per l'esigenza di rendere ragione della speranza che è in loro di fronte al mondo e ai suoi gravi e complessi problemi. Si rende così assolutamente necessaria una sistematica azione di catechesi, da graduarsi in rapporto all'età e alle diverse situazioni di vita... In particolare, soprattutto per i fedeli laici variamente impegnati nel campo sociale e politico, è del tutto indispensabile una conoscenza più esatta della dottrina sociale della Chiesa » (Esortazione Christifideles laici, 30 dicembre 1988, nn. 2 e 60).
Mons Dusmet si adopera anche perché i fedeli siano formati alla vita di preghiera; organizza pellegrinaggi, promuove le pie pratiche del mese di MARIA e la devozione al Sacro Cuore. Ogni anno, scrive una lettera pastorale sulla Vergine MARIA. Così, nel mese di maggio del 1893, potrà dire: «Nella grande penuria di opere meritorie che accompagnerà la mia dipartita, pensai tener pronte le mie venticinque lettere mariane, belle impaccate, sicché mi valgano come unico passaporto che potrò presentare alla Regina della misericordia nell'ora estrema. » Attento alla formazione intellettuale dei suoi sacerdoti, e preoccupato della loro vita morale, riorganizza il seminario diocesano. Nella sua prima lettera pastorale, aveva scritto loro : «A conciliarvi la pubblica stima, a menar vita meno travagliata altro mezzo non v'ha, che star contenti alle dolcezze del vostro stato senza cercarne altrove, senza spandervi al di fuori, tenendovi strettamente uniti fra voi. L'atmosfera della politica, delle assemblee, dei partiti, delle dissenzioni non è respirabile dal ceto ecclesiastico... Elevarsi al di sopra dei terreni avvenimenti, dissetarsi alla sorgente delle divine grazie, collocarsi nel centro della luce, tale è il compito del sacerdozio. » In quei tempi di agitazione politica, in effetti, le defezioni dei membri del clero non sono rare. L'arcivescovo deve a volte rimproverare gli ostinati, ma, deciso a mostrarsi « più buono che giusto », promuove la santificazione del suo clero con esercizi spirituali e riunioni mensili.
Come governare
I consigli di san Benedetto aiutano il prelato nel suo governo : «Nei suoi insegnamenti, l'Abate deve tener presente la norma dell'apostolo : Correggi, esorta, rimprovera (2 Tm 4, 2). Deve quindi variare il suo modo di agire a seconda dei tempi e delle circostanze, alternando i rimproveri agli incoraggiamenti, dimostrando ora la severità di un maestro ora la tenerezza di un padre. Deve inoltre correggere più energicamente gli indisciplinati e gli irrequieti, mentre gli basterà esortare a progredire sempre più quelli che sono docili, miti e pazienti. Quanto ai negligenti o a coloro che disprezzano la disciplina, gli raccomandiamo di rimproverarli e correggerli... Nelle correzioni stesse, l'Abate agisca con prudenza e senza esagerare, per evitare che, volendo raschiare troppo la ruggine, si rompa il vaso. Abbia sempre davanti agli occhi la propria fragilità, e si ricordi che non bisogna spezzare la canna già incrinata (Is 42, 3) » (Regola, capp. 2 e 64).
Il colera scoppia a Catania nel 1867. Si vede allora l'arcivescovo entrare nelle case e nei tuguri per visitare malati e moribondi, e portare aiuto ai sopravvissuti. Se, per paura di trasmettergli la malattia, rifiutano di aprirgli la porta, lui non esita a passare attraverso la finestra o il balcone. Quando i malati troppo timorosi rifiutano i farmaci prescritti, ne ingoia egli stesso alcune gocce davanti a loro per mostrare che non sono nocivi. Per alleviare tutte queste miserie, vende i vasi decorativi del palazzo vescovile e arriva fino a indebitarsi. Abbandona persino la sua preziosa croce pettorale, ma i catanesi la riscattano e gliela restituiscono. Venti anni dopo, lo stesso flagello colpirà di nuovo la città, e l'arcivescovo vi si dedicherà con lo stesso zelo di carità, che si dà libero sfogo anche in occasione dei terremoti, delle carestie o degli uragani.
Nel 1885, su richiesta di papa Leone XIII, mons. Dusmet viene incaricato di amministrare, oltre alla propria diocesi, quella di Castiglione, con la missione di calmare il conflitto allora in corso tra le autorità ecclesiastiche e quelle civili. Il suo tatto, la sua fermezza al tempo dolce e tenace, e la sua carità lo aiutano a riuscire in questo compito delicato. Nel 1886, il Santo Padre gli affida una nuova e importante missione : restaurare in Italia l'Ordine benedettino gravemente danneggiato dalle leggi antireligiose, e promuovervi l'unità. Gli abati dei monasteri sopravvissuti della congregazione benedettina cassinese si riuniscono sotto la sua direzione e adottano diverse linee di orientamento fondamentali. Nel suo discorso di chiusura, mons. Dusmet raccomanda loro soprattutto l'amore fraterno. Ottiene in seguito la collaborazione degli abati del mondo intero, per fondare la confederazione di tutte le congregazioni benedettine che si sono formate nel corso della storia. Viene così costituita la Confederazione benedettina, dotata di due organi di unità: un Abate Primate e un Collegio d'Insegnamento universitario, entrambi con sede a Roma, presso l'abbazia di Sant'Anselmo, che sarà costruita alla fine del secolo.
« Ho la fede !»
La città di Catania e i suoi dintorni sono costantemente minacciati dalle eruzioni dell'Etna. Nel 1886, una di esse mette in pericolo la città di Nicolosi. Il pastore vi si reca, celebra la Messa su una piazza ed esorta gli abitanti ad affidarsi a Dio avvicinandosi ai sacramenti. Nel frattempo, un'enorme colata di lava che ha già costretto molte persone a evacuare le loro case avanza verso l'agglomerato. Mons. Dusmet fa allora portare da Catania il reliquario contenente il velo che aveva coperto la tomba di Sant'Agata (vergine, martire nel 251) per rinnovare il gesto del beato Pietro Geremia. Questo domenicano aveva già, nel XVI secolo, scongiurato lo stesso pericolo con questo mezzo. A chi gli fa osservare l'imprudenza del gesto, l'arcivescovo risponde risolutamente : « lo ho fede ! » Esce verso il vulcano, seguito dal clero e dal popolo, e traccia per tre volte il segno di croce con il velo, in direzione della lava. La colata in fusione si arresta e rimane come bloccata; quindici giorni dopo, l'eruzione è cessata.
Nel 1889, Leone XIII promuove mons. Dusmet alla dignità cardinalizia. Al momento di prendere possesso della sua chiesa titolare, quella di santa Pudenziana a Roma, egli rinuncia all'usanza di offrire un sontuoso banchetto e ne dona il prezzo corrispondente alle opere caritative. Di ritorno a Catania, rimane quello che era, umile e povero. Tuttavia, all'avvicinarsi dei suoi settantacinque anni, le sue forze diminuiscono e risente fortemente il peso del suo lungo episcopato. Lo si sente dire : « Oh ! qual gioia morire, andare in paradiso, in paradiso ! » L'ultima chiesa che visita è quella che ha fatto costruire in onore delle apparizioni della Madonna a La Salette. Ben presto, l'uremia e le sue conseguenze lo costringono a letto per non più alzarsi. Questo stato dura diversi mesi. Riceve infine gli ultimi sacramenti con devozione, poi supplica: «Non lasciatemi in purgatorio; la responsabilità di un vescovo è grande ! » Muore il 4 aprile 1894, dopo aver più volte ripetuto : « O San GIUSEPPE, fa' presto ! Dammi al mio GESÙ ! San GIUSEPPE, prendimi in fretta, la mia valigia è tutta pronta ! Possa io morire della morte dei giusti e la mia fine sia simile alla loro ! » Secondo le sue ultime volontà, i funerali avvengono con la massima semplicità possibile, in presenza di un gran concorso di popolo.

Il 25 Settembre 1988, san Giovanni Paolo II affermava: « Pur allevato tra gli agi di una famiglia aristocratica e facoltosa, il cardinal Dusmet fece della povertà, vissuta in funzione di servizio e di donazione agli altri, una pro-grammatica scelta di vita talmente radicale che, alla sua morte, non si trovò neppure un lenzuolo in cui avvolgerlo : di tutto, letteralmente, egli si era spogliato per rivestirne i poveri, di cui si sentiva umile servitore. » Chiediamogli di ottenerci la grazia di seguire, secondo le nostre possibilità, gli esempi di carità e di umiltà che ci ha lasciati !

"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia (Website : www.clairval.com)".

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