Dopo
la sua orazione notturna, Gesù, di buon mattino, ritornò nuovamente
al Tempio, ossia - come si esprime il testo greco –
in
uno dei fabbricati o dei portici che facevano una sola cosa col
Tempio propriamente detto.
Il
Cuore gli ardeva dal desiderio di comunicarsi alle anime perché
voleva salvarle, e andò Egli stesso a trovarle per annunciare loro
le parole dell'eterna Verità e della Vita eterna. Il popolo, che
ancora numeroso affollava la Città Santa e dimorava nelle vicinanze
del Tempio, notò la sua presenza e gli si accalcò d'intorno per
ascoltarlo, nella speranza di assistere anche a qualche prodigio.
Mentre
Gesù parlava, ecco che gli scribi e i farisei gli condussero una
donna sorpresa proprio allora in adulterio, e, postala in mezzo
all'adunanza, gli dissero che secondo la Legge
di Mosè doveva essere lapidata, domandandogli che cosa ne pensasse.
Essi
non erano affatto mossi dallo zelo per la giustizia e per la Legge,
ma speravano di mettere Gesù in imbarazzo e avere occasione di
condannarlo. La Legge (cf. Dt
22,23-24)
comandava che venisse lapidata la fidanzata che avesse mancato di
fede al suo promesso sposo; per la donna già maritata comminava
semplice mente la pena di morte, senza specificare il genere (cf.
Lv
20,10).
La
donna sorpresa nel peccato, dunque, doveva essere fidanzata. Forse in
occasione delle feste, abitando gli Ebrei sotto capanne improvvisate,
si era trovata esposta alla tentazione e aveva peccato.
Se
Gesù avesse giudicato che doveva essere lapidata, i suoi nemici
speravano di denunciarlo come crudele dinanzi al popolo e come
violatore della legge innanzi ai Romani, i quali non permettevano che
l'adulterio fosse punito di morte e si erano riservati l'esecuzione
delle sentenze capitali. Se non l'avesse condannata, l'avrebbero
accusato come violatore della Legge di Mosè e indirettamente come
favoreggiatore dei Romani, alle cui leggi e disposizioni avrebbe
mostrato di adattarsi.
Gesù
Cristo non rispose, ma chinatosi a terra cominciò a scrivere col
dito sulla polvere del pavimento. Questo era un gesto che i rabbini
solevano fare quando, interrogati, volevano evitare di rispondere a
questioni moleste; Gesù, però, non scriveva indifferentemente sulla
terra, ma forse o ricordava i principali precetti della Legge
trasgrediti dagli scribi e i farisei o addirittura ricordava i
gravissimi peccati da loro commessi. Egli poi, per grande
misericordia, volle sottrarre quella povera donna alla curiosità e
al disprezzo di quanti erano presenti, attraendo gli sguardi sul
pavimento sul quale scriveva e suscitando in tutti il desiderio di
vedere quel che scrivesse.
Gli
scribi e i farisei, vedendo quello che scriveva, si turbarono e, per
impedirgli di continuare, gli fecero premura affinché desse una
risposta sollecitamente. Gesù, perciò, alzandosi, disse, in tono di
grande solennità e penetrandoli con un raggio di luce che scopriva
loro gli orrori della loro coscienza: Chi
di voi è
senza
peccato
scagli per
primo la pietra contro di lei. E
di nuovo, chinatosi, continuò a scrivere sulla terra, forse
determinando più specifica mente i loro delitti. Si può anche
supporre, infatti, che la prima volta abbia tracciato i precetti
della Legge da essi trasgrediti e la seconda volta abbia determinato,
con frasi più chiare, le loro trasgressioni.
Certo,
gli accusatori, udite le sue parole, se ne andarono uno dopo l'altro,
a cominciare dai più vecchi, sulla cui coscienza pesa vano le più
gravi responsabilità. Con quel suo gesto e con quelle sue parole,
Gesù non volle dare un criterio generale di giudizio per le cause
legali, ma volle ammonire i privati a non presumere di elevarsi a
giudici dei peccatori, essendo anch'essi peccatori. I giudici
applicano la Legge anche se essi sono peccatori, ma chi si trova
dinanzi al prossimo che manca deve considerare prima di tutto i
propri peccati, e invece di giudicarlo severamente deve umiliarsi e
compatirlo, implorando per lui la divina misericordia.
Gli
scribi e i farisei si erano arrogati un diritto che non ave vano,
catturando quell'infelice, proprio essi la cui vita era piena
d'infedeltà e di adulteri,
e volevano far apparire Gesù come un usurpatore di diritti che
spettavano ai giudici della nazione. Egli era Giudice di tutti, ma
non volle assumere questa qualità pubblicamente, soppiantando i
giudici del popolo, tanto più che nella sua mortale carriera era
venuto non a giudicare ma a immolarsi, per meritare a tutti il
perdono. Egli, infatti, quando tutti se ne furono andati, si alzò e
domandò alla povera donna: Dove
sono coloro che ti accusavano? Nessuno
ti ha condannato?
Ella rispose: Nessuno,
Signore.
E Gesù, effondendo nell'anima di lei la sua misericordia, le disse:
Neppure
io ti condannerò;
vattene
e
non
peccare
più.
Evidentemente
la donna era pentita del suo peccato; diversa mente, Gesù non le
avrebbe concesso il perdono. Egli, poi, nella sua infinita bontà, le
comunicò interiormente una grazia rinnovatrice che la mutò tutta e
la rese nuova creatura. Scrivendo per terra, Egli compunse il povero
cuore di quell'infelice, ricordandole i precetti di Dio e, mentre i
suoi accusatori si dileguarono, ella sola rimase dinanzi al Giudice
d’amore
infinito che la perdonò.
Non
giudicate malignamente il prossimo!
Quando
noi giudichiamo malignamente il prossimo per i suoi difetti e i suoi
peccati, rinnoviamo il gesto degli scribi e dei farisei: trasciniamo
quell'anima al giudizio con la nostra mancanza di carità e
pretendiamo di lapidarla con le nostre invettive e le nostre
insinuazioni. Ricordiamoci che siamo peccatori noi per primi e che
non abbiamo davvero il diritto di scagliare per primi le pietre.
Quanti
peccati abbiamo fatto e quante responsabilità pesano sulla nostra
coscienza! Umiliamoci, e invece di accusare il prossimo accusiamoci
noi dinanzi al sacerdote, affinché siamo perdonati dalla
misericordia di Dio.
Quando
giudichiamo il prossimo, Gesù si curva sulla nostra miseria e scrive
sulla terra della nostra fragile creta, ricordandoci le nostre
iniquità. Abbiamo tutto l'interesse che Egli le cancelli, perciò
abituiamoci a compatire le debolezze altrui e a meritarci
misericordia, usando misericordia.
Tratto da “ I quattro Vangeli” - Commento al Vangelo di Giovanni - del Sacerdote Dolindo Ruotolo
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