domenica 7 aprile 2019

L'adultera – Commento del Sacerdote Dolindo Ruotolo



Dopo la sua orazione notturna, Gesù, di buon mattino, ritornò nuovamente al Tempio, ossia - come si esprime il testo greco in uno dei fabbricati o dei portici che facevano una sola cosa col Tempio propriamente detto.
Il Cuore gli ardeva dal desiderio di comunicarsi alle anime perché voleva salvarle, e andò Egli stesso a trovarle per annunciare loro le parole dell'eterna Verità e della Vita eterna. Il popolo, che ancora numeroso affollava la Città Santa e dimorava nelle vicinanze del Tempio, notò la sua presenza e gli si accalcò d'intorno per ascoltarlo, nella speranza di assistere anche a qualche prodigio.

Mentre Gesù parlava, ecco che gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa proprio allora in adulterio, e, postala in mezzo all'adunanza, gli dissero che secondo la Legge di Mosè doveva essere lapidata, domandandogli che cosa ne pensasse.
Essi non erano affatto mossi dallo zelo per la giustizia e per la Legge, ma speravano di mettere Gesù in imbarazzo e avere occasione di condannarlo. La Legge (cf. Dt 22,23-24) comandava che venisse lapidata la fidanzata che avesse mancato di fede al suo promesso sposo; per la donna già maritata comminava semplice mente la pena di morte, senza specificare il genere (cf. Lv 20,10).
La donna sorpresa nel peccato, dunque, doveva essere fidanzata. Forse in occasione delle feste, abitando gli Ebrei sotto capanne improvvisate, si era trovata esposta alla tentazione e aveva peccato.
Se Gesù avesse giudicato che doveva essere lapidata, i suoi nemici speravano di denunciarlo come crudele dinanzi al popolo e come violatore della legge innanzi ai Romani, i quali non permettevano che l'adulterio fosse punito di morte e si erano riservati l'esecuzione delle sentenze capitali. Se non l'avesse condannata, l'avrebbero accusato come violatore della Legge di Mosè e indirettamente come favoreggiatore dei Romani, alle cui leggi e disposizioni avrebbe mostrato di adattarsi.
Gesù Cristo non rispose, ma chinatosi a terra cominciò a scrivere col dito sulla polvere del pavimento. Questo era un gesto che i rabbini solevano fare quando, interrogati, volevano evitare di rispondere a questioni moleste; Gesù, però, non scriveva indifferentemente sulla terra, ma forse o ricordava i principali precetti della Legge trasgrediti dagli scribi e i farisei o addirittura ricordava i gravissimi peccati da loro commessi. Egli poi, per grande misericordia, volle sottrarre quella povera donna alla curiosità e al disprezzo di quanti erano presenti, attraendo gli sguardi sul pavimento sul quale scriveva e suscitando in tutti il desiderio di vedere quel che scrivesse.
Gli scribi e i farisei, vedendo quello che scriveva, si turbarono e, per impedirgli di continuare, gli fecero premura affinché desse una risposta sollecitamente. Gesù, perciò, alzandosi, disse, in tono di grande solennità e penetrandoli con un raggio di luce che scopriva loro gli orrori della loro coscienza: Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei. E di nuovo, chinatosi, continuò a scrivere sulla terra, forse determinando più specifica mente i loro delitti. Si può anche supporre, infatti, che la prima volta abbia tracciato i precetti della Legge da essi trasgrediti e la seconda volta abbia determinato, con frasi più chiare, le loro trasgressioni.
Certo, gli accusatori, udite le sue parole, se ne andarono uno dopo l'altro, a cominciare dai più vecchi, sulla cui coscienza pesa vano le più gravi responsabilità. Con quel suo gesto e con quelle sue parole, Gesù non volle dare un criterio generale di giudizio per le cause legali, ma volle ammonire i privati a non presumere di elevarsi a giudici dei peccatori, essendo anch'essi peccatori. I giudici applicano la Legge anche se essi sono peccatori, ma chi si trova dinanzi al prossimo che manca deve considerare prima di tutto i propri peccati, e invece di giudicarlo severamente deve umiliarsi e compatirlo, implorando per lui la divina misericordia.
Gli scribi e i farisei si erano arrogati un diritto che non ave vano, catturando quell'infelice, proprio essi la cui vita era piena d'infedeltà e di adulteri, e volevano far apparire Gesù come un usurpatore di diritti che spettavano ai giudici della nazione. Egli era Giudice di tutti, ma non volle assumere questa qualità pubblicamente, soppiantando i giudici del popolo, tanto più che nella sua mortale carriera era venuto non a giudicare ma a immolarsi, per meritare a tutti il perdono. Egli, infatti, quando tutti se ne furono andati, si alzò e domandò alla povera donna: Dove sono coloro che ti accusavano? Nessuno ti ha condannato? Ella rispose: Nessuno, Signore. E Gesù, effondendo nell'anima di lei la sua misericordia, le disse: Neppure io ti condannerò; vattene e non peccare più.
Evidentemente la donna era pentita del suo peccato; diversa mente, Gesù non le avrebbe concesso il perdono. Egli, poi, nella sua infinita bontà, le comunicò interiormente una grazia rinnovatrice che la mutò tutta e la rese nuova creatura. Scrivendo per terra, Egli compunse il povero cuore di quell'infelice, ricordandole i precetti di Dio e, mentre i suoi accusatori si dileguarono, ella sola rimase dinanzi al Giudice damore infinito che la perdonò.
Non giudicate malignamente il prossimo!
Quando noi giudichiamo malignamente il prossimo per i suoi difetti e i suoi peccati, rinnoviamo il gesto degli scribi e dei farisei: trasciniamo quell'anima al giudizio con la nostra mancanza di carità e pretendiamo di lapidarla con le nostre invettive e le nostre insinuazioni. Ricordiamoci che siamo peccatori noi per primi e che non abbiamo davvero il diritto di scagliare per primi le pietre. Quanti peccati abbiamo fatto e quante responsabilità pesano sulla nostra coscienza! Umiliamoci, e invece di accusare il prossimo accusiamoci noi dinanzi al sacerdote, affinché siamo perdonati dalla misericordia di Dio.
Quando giudichiamo il prossimo, Gesù si curva sulla nostra miseria e scrive sulla terra della nostra fragile creta, ricordandoci le nostre iniquità. Abbiamo tutto l'interesse che Egli le cancelli, perciò abituiamoci a compatire le debolezze altrui e a meritarci misericordia, usando misericordia.


Tratto da “ I quattro Vangeli” - Commento al Vangelo di Giovanni - del Sacerdote Dolindo Ruotolo


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