Introduzione
1.
1. Riguardo alla menzogna c’è un
grosso problema: un problema che spesso anche nei comportamenti della
vita di ogni giorno ci crea pensieri. Succede infatti che noi a cuor
leggero chiamiamo menzogna ciò che menzogna non è, mentre poi
riteniamo lecito il mentire quando si tratta di una menzogna
giustificata, come quando è detta a fin di bene o per misericordia.
Tratteremo il problema con premura e attenzione, mettendoci alla
ricerca insieme con quanti come noi cercano la verità. Se poi
abbiamo o no trovato qualcosa, non lo diremo noi parlando con
leggerezza, ma al lettore attento lo rivelerà sufficientemente la
stessa trattazione. È infatti, il presente, un problema assai
oscuro, che nei suoi meandri cavernosi sfugge spesso all’acume
dell’investigatore; e succede che a volte ti vedi sfuggire di mano
ciò che avevi trovato, mentre a volte te lo vedi riapparire per poi
dileguarsi di nuovo. Alla fine tuttavia la nostra disamina, raggiunta
una certezza maggiore (per dire così), ci consentirà di delineare
la soluzione che adottiamo. E se in questa ci sarà qualcosa di
errato (è infatti proprio della verità liberare da ogni errore,
mentre la falsità è inclusa in ogni errore), io ritengo che non si
sbagli mai con più cautela di quando si sbaglia per l’eccessivo
amore alla verità e per un eccesso di zelo nel rigettare la falsità.
Questo procedimento è ritenuto un’esagerazione dagli ipercritici,
ma, se si interrogasse proprio la verità, essa direbbe che non si è
ancora abbastanza in regola. Orbene, chiunque tu sia che vieni a
leggere, astieniti dalle critiche prima che abbia letto l’opera
intera; così sarai meno severo nel giudicare. Non fermarti poi a
sottilizzare sulla forma letteraria, poiché abbiamo speso molto
lavoro sul contenuto, volendo anche terminare in breve tempo un’opera
così necessaria allo svolgimento della vita quotidiana: motivo per
cui la rifinitura dell’eloquio è stata limitata o quasi trascurata
del tutto.
2.
2. È doveroso fare eccezione per lo
scherzo, che di fatto nessuno mai ha considerato una menzogna. Lì
infatti è manifesto in maniera evidentissima il senso che ha in
animo colui che sta scherzando: lo si ricava dalla pronunzia e
dall’umore di chi parla, che appunto non è quello di uno che
voglia ingannare, sebbene non proferisca la verità [completa]. Una
questione diversa è stabilire se un’anima perfetta possa far uso
di un tal modo d’esprimersi; ma ora non intendiamo risolvere questo
problema. Eccettuiamo dunque lo scherzo, e vediamo per prima cosa
come non si debba considerare bugiardo colui che di fatto non dice
menzogne.
Definizione
di menzogna
3.
3. Occorre dunque precisare cosa sia
la menzogna. In effetti non tutti quelli che dicono delle falsità
mentiscono: tale è colui che crede o suppone essere vero ciò che
afferma. C’è poi una differenza tra il credere e il supporre: chi
crede a volte s’accorge di non conoscere la cosa che crede, sebbene
non nutra dubbi di sorta sulla cosa che sente di non conoscere, se in
essa crede con assoluta certezza. Viceversa, chi su qualcosa fa
supposizioni ritiene di conoscere una cosa che invece non conosce. Ad
ogni modo, chi afferma una cosa che nel suo animo o crede o suppone,
anche se la cosa in sé è falsa, egli non dice una menzogna. Infatti
nel suo parlare asserisce ciò che ha nell’animo e lo asserisce
adeguandosi alla sua convinzione, e di fatto considera le cose come
egli afferma. Ma anche se non mentisce, non è esente da colpa, se
presta fede a cose da non credersi o se pensa di conoscere le cose
che viceversa non conosce, anche se si tratta di cose in sé vere.
Egli infatti ritiene di conoscere ciò che invece non conosce.
mentisce poi sicuramente colui che nell’animo ha una cosa mentre a
parole o con qualsiasi mezzo espressivo ne dice un’altra. Per
questo, si suol dire che il bugiardo è doppio di cuore, cioè ha due
[diversi] pensieri: uno quello che sa o ritiene come vero ma non ne
parla, l’altro quello che invece del precedente proferisce con le
labbra sapendo o congetturando che è falso. Ne segue che uno, senza
mentire, può affermare una cosa falsa, inquanto crede che le cose
stiano proprio come egli dice, sebbene di fatto non stiano così.
Parimenti può accadere che uno, pur mentendo, dica la verità: come
quando uno crede falsa una cosa che egli afferma essere vera, sebbene
effettivamente le cose stiano com’egli asserisce. Riteniamo infatti
che una persona sia sincera o bugiarda in base al giudizio della sua
mente e non in base alla verità o falsità della cosa in sé.
Pertanto di uno che dice il falso in luogo del vero, in quanto lo
ritiene effettivamente vero, possiamo dire che sia nell’errore o
magari che sia un illuso, ma non che sia un mentitore. Nel suo
parlare infatti egli non ha in cuore la doppiezza e non intende
imbrogliare ma è vittima dell’inganno. La colpa del mentitore sta
invece nel desiderio di ingannare, quando dichiara il suo animo, sia
che riesca a ingannare, perché si crede alla sua falsa
dichiarazione, sia che di fatto non inganni, vuoi perché non gli si
crede, vuoi, nel caso che con il desiderio di ingannare dica vero,
ciò che non crede vero. In questo caso egli non inganna chi gli
crede, sebbene abbia avuto intenzione d’ingannarlo, a meno che nel
mentire non arrivi al punto di fargli credere che lui stesso conosce
od opina secondo quel che dice a parole.
3.
4. A questo punto ci si potrebbe
chiedere (ma si tratta d’una questione quanto mai sottile!) se
quando manca l’intenzione di trarre in inganno, manchi del tutto
anche la menzogna.
Chi mente?, colui che
asserisce il falso con l’intento di non ingannare o colui che dice
il vero con il proposito di ingannare?
4.
4. Che
diremo infatti di uno che dice il falso su una cosa che ritiene falsa
ed egli si comporta così proprio perché ritiene che non gli si
presterà fede e col far ciò voglia tener lontano da false
conclusioni il suo interlocutore, che peraltro sa per nulla disposto
a credergli? Se è menzogna affermare una cosa di cui si sa o si
suppone che sia diversa, costui mente, sia pur senza l’intenzione
di trarre in inganno. Se invece non si dà menzogna se non quando si
afferma una cosa con l’intenzione di ingannare, non commette
menzogna colui che, pur sapendo o pensando che la cosa asserita è
falsa, dice il falso senza il proposito d’ingannare la persona con
cui parla. Egli infatti sa che l’altro non gli presterà fede, e
parla così proprio perché sa o congettura che l’altro non crede
alle sue parole. Può dunque risultare con chiarezza, almeno in linea
dei possibili, che ci sia chi dice il falso per non trarre in inganno
il suo interlocutore, e che viceversa ci sia qualche soggetto che
dica la verità con l’intenzione d’ingannare. Così, uno che dice
la verità perché è convinto che la gente non gli crede, se dice la
verità lo fa certo per ingannare: egli in effetti sa di sicuro, o
almeno suppone, che quanto da lui detto può esser preso per falso
proprio perché lo dice lui. E pertanto, dicendo la verità perché
la si prenda come una falsità, egli dice, sì, la verità ma
nell’animo vuole ingannare.
Si
impone quindi la domanda: Chi mente?, colui che asserisce il falso
con l’intento di non ingannare o colui che dice il vero con il
proposito di ingannare?
In
effetti il primo sa o immagina di dire il falso, il secondo sa o
pensa di dire la verità. Al riguardo abbiamo già sopra affermato
che non mente colui che non conosce la falsità delle sue asserzioni,
da lui ritenute vere; è invece mentitore colui che dice cose vere
credendole false. L’uno e l’altro li si deve giudicare dalle
convinzioni che hanno nell’animo. Riguardo agli individui che
abbiamo ora elencato la questione non è semplice: e questo dico in
primo luogo di uno che sa, o pensa, di dire una cosa falsa, ma la
dice allo scopo d’evitare l’inganno. Ecco, ad esempio, uno che,
riguardo a una strada, sa che essa è infestata da briganti; e nello
stesso tempo egli teme che per quella strada s’incammini una
persona la cui salute gli è cara. Sapendo che questa persona non gli
presterà fede, egli le può dire che i briganti non ci sono,
affinché costui non passi per quella strada, credendola infestata da
briganti, per il fatto che a dirgli di no è stato uno al quale egli
non presta fede ritenendolo un bugiardo. C’è poi un altro che sa,
o crede di sapere, che una cosa è vera, eppure la dice per trarre in
inganno. Tale, ad esempio, è colui che a uno che non gli presta fede
dice che in una certa via ci sono i briganti conoscendo che lì
davvero ci sono; e se gli dice così è perché chi lo ascolta si
diriga effettivamente verso quella strada credendo false le parole
del collega: di fatto però egli si imbatte nei briganti. Orbene,
quale di questi due è mentitore? Colui che preferisce dire il falso
per non ingannare o colui che dice la verità con l’intenzione
d’ingannare? Colui, dico, il quale dicendo una menzogna ha fatto sì
che il suo interlocutore raggiungesse la verità ovvero l’altro che
dicendo la verità ha fatto sì che l’interlocutore fosse indotto
in errore? Non sarà piuttosto esatto dire che hanno mentito tutti e
due: il primo perché volle affermare una falsità, il secondo perché
intese trarre in inganno? O diremo per caso che nessuno dei due ha
mentito: il primo perché gli mancò l’intenzione d’ingannare, il
secondo perché intese affermare la verità? Non discutiamo infatti
adesso il problema se l’uno o l’altro abbia peccato ma solo se
abbia detto menzogne. Quanto al peccato infatti a prima vista
sembrerebbe averlo commesso colui che dicendo la verità ha fatto sì
che quello sventurato incappasse nei malandrini, mentre non avrebbe
peccato, anzi avrebbe fatto un’opera buona, colui che dicendo il
falso ha sottratto quel tizio alla disgrazia. Ma questi esempi si
possono invertire, e quindi esserci qualcuno che, non volendo
ingannare il prossimo, fa questo per esporlo a una disgrazia più
grave. Molti infatti conoscendo la verità di certe cose andarono in
rovina poiché le cose erano proprio tali che sarebbe stato meglio se
non le avessero mai conosciute. L’altro invece, che vuole ingannare
il prossimo, può farlo affinché costui ne tragga un qualche
vantaggio: ad esempio certuni si sarebbero suicidati se avessero
conosciuto una qualche sciagura capitata realmente ai propri cari;
credendo invece a quella falsità si trattennero dal suicidio. In tal
modo fu utile a questi ultimi essere stati ingannati, come fu dannoso
ai primi l’aver conosciuto la verità. Non si tratta dunque di
appurare quali siano stati i sentimenti con cui l’uno ha detto il
falso per non lasciar cadere in inganno e l’altro ha detto il vero
volendo ingannare: se cioè volevano giovare o nuocere. Escludendo
per ora la questione dei vantaggi o dei danni derivati a coloro cui
si parla, vogliamo limitarci a considerare la verità e la falsità
delle affermazioni in se stesse e vedere quale dei due soggetti sia
reo di menzogna, o se per caso lo siano tutti e due o nessuno dei
due. In effetti se è menzogna parlare con l’intenzione di dire il
falso, ha mentito naturalmente colui che ha inteso dire una falsità
dicendo poi quel che gli è piaciuto dire e dicendolo magari con
l’intenzione di non ingannare. Se al contrario è menzogna ogni
affermazione fatta con l’intenzione d’ingannare, non ha mentito
il primo fra i due ma l’altro, cioè colui che anche dicendo la
verità intendeva trarre in inganno. Se poi è menzogna
un’affermazione detta col proposito di mescolare il vero con il
falso, hanno mentito tutti e due: l’uno perché intese come falsa
la sua affermazione, l’altro perché dalla sua affermazione vera
intese farla prendere per falsa. Se finalmente la menzogna consiste
nell’affermare il falso con l’intenzione d’affermarlo per
trarre in errore, non è stato bugiardo nessuno dei due: non il primo
in quanto dicendo il falso si riprometteva di indurre alla verità;
non il secondo in quanto per indurre alla falsità affermava cose
vere. Sarà dunque assente ogni doppiezza ed ogni falsità se
affermiamo a tempo e luogo ciò che riteniamo per vero riconoscendolo
anche come tale, e ciò che affermiamo è quello che vogliamo
richiamare alla mente altrui. Ma si danno casi diversi, quando cioè
noi tentiamo di proporre solamente quello che diciamo con le labbra,
ma noi stessi crediamo vero ciò che è falso o diamo come noto ciò
che ci è sconosciuto o non crediamo a ciò che si dovrebbe credere o
affermiamo ciò che non si dovrebbe affermare. In questi casi c’è,
sì, l’errore della sconsideratezza ma in nessun modo la menzogna.
Non si deve infatti temere nessuna delle suddette definizioni quando
l’animo dentro di sé è convinto di affermare una cosa che sa di
essere vera, o almeno così opina o crede, e così pure se non vuol
far credere altro se non quello che afferma.
Se
si diano menzogne che, almeno a volte, siano utili.
4.
5. Molto
più importante e necessaria di questa è la domanda se si diano
menzogne che, almeno a volte, siano utili. Può quindi rimanere
dubbio il problema se dica menzogne uno che non abbia la volontà
d’ingannare o magari si dia da fare perché non cada in errore
colui al quale parla, sebbene abbia consentito che si ritenessero
false le sue parole da colui al quale egli voleva proporre solo la
verità; e così può dubitarsi se mentisca colui che deliberatamente
dice la verità con l’intenzione d’ingannare. Nessuno certo
dubita che mente colui che dice il falso volendo ingannare. Ne segue
che certamente dice una menzogna colui che asserisce il falso allo
scopo d’ingannare. È dunque cosa evidente che la menzogna è una
affermazione falsa proferita con l’intenzione d’ingannare. Se poi
soltanto in questo caso ci sia la menzogna, è un’altra questione.
Se
qualche volta non sia utile dire il falso con l’intenzione di
trarre in inganno.
5.
5.
Esaminiamo adesso il genere di menzogne, sul quale tutti sono
d’accordo, e cioè se esistano casi in cui sia utile dire il falso
anche con l’intenzione di trarre in inganno. Così infatti
ritengono alcuni, i quali per convalidare la loro dottrina ricorrono
a testimonianze [scritturistiche]. Citano l’esempio di Sara, che
avendo riso [della promessa divina], agli angeli disse che non aveva
riso. Così Giacobbe: interrogato dal padre, egli rispose dicendo
d’essere il suo figlio maggiore, Esaù. Così le ostetriche
d’Egitto: perché non fossero uccisi i bambini ebrei che nascevano
ricorsero alla menzogna, che lo stesso Dio approvò ricompensando con
doni il loro operato. Scegliendo i numerosi episodi [narrati dalla
Scrittura], ricordano gli esempi di quegli uomini che nessuno
oserebbe dichiarare colpevoli, con la conclusione di farti
riconoscere che almeno in certi casi la menzogna può essere non solo
non meritevole di biasimo ma anzi meritevole di elogio. E portano
anche delle altre prove, volendo convincere non solo gli uomini che
hanno familiarità con i Libri sacri ma tutti gli uomini forniti di
comune buon senso. Dicono: Se viene da te uno che tu con la tua bugia
potresti sottrarre alla morte, ti rifiuteresti di mentire? Se un
malato ti chiede un’informazione che tu sai essergli per niente
affatto utile e d’altra parte t’accorgi che a non dargli alcuna
risposta sarebbe ancor peggio, tu oserai dire a lui la verità con
suo grave danno oppure te ne rimarresti in silenzio, quando con una
bugia - in questo caso incolpevole, anzi pietosa - potresti invece
contribuire alla sua salute? Con numerosi argomenti di questo genere,
o non molto diversi da questi, credono di dover necessariamente
concludere che, se c’è un motivo valido che lo esiga, a volte
almeno è lecito mentire.
La
menzogna nell’Antico Testamento.
5.
6. Quanti son persuasi che mai si
deve mentire reagiscono con grande energia, e prima di tutto adducono
la prova di autorità desunta dalla divina Scrittura. Nel decalogo
infatti si dice: Non dire falsa
testimonianza, che è un’espressione
generica comprendente ogni sorta di menzogne. In realtà quando si
proferisce una parola si rende testimonianza di ciò che ci passa
nell’animo. Ma qualcuno potrebbe obiettare che non tutte le
menzogne meritano d’essere chiamate «falsa testimonianza». Ebbene
cosa potrà costui replicare all’affermazione: La
bocca menzognera uccide l’anima? E
perché non si pensi che l’espressione sia compresa nel giusto
senso anche quando si eccettua il caso di qualche mentitore, si vada
a leggere quell’altro passo dove è detto: Tu
mandi in perdizione tutti coloro che proferiscono menzogne.
Per questo il Signore di sua propria bocca affermò: Sia
sulla vostra bocca il sì, sì, e il no, no. Il di più viene dal
maligno. In questo senso anche
l’Apostolo, quando prescrive di spogliarsi dell’uomo vecchio,
denominazione che abbraccia tutti i peccati, con logica stringente
pone al principio questa ingiunzione: Pertanto
gettate via la menzogna [e] parlate
[dicendo] la verità.
In
che senso i libri dell’Antico Testamento non insegnano a mentire.
5.
7. Costoro affermano di non sentirsi
spaventati dagli esempi di menzogna che si ricavano dai libri
dell’Antico Testamento. Infatti quanto accadeva a quei tempi,
sebbene realmente accaduto, poteva avere anche un senso figurativo; e
quanto avviene o si narra in senso figurato non costituisce menzogna.
In effetti ogni affermazione è da rapportarsi a ciò che con essa si
afferma; e quindi tutto ciò che accade o viene detto con linguaggio
figurato afferma ciò che la figura presenta alla comprensione
dell’ascoltatore. Questo è da credersi nei riguardi di quegli
uomini che al tempo delle antiche profezie vengono descritti come
personaggi autorevoli: e cioè che quanto è scritto nei loro
riguardi essi lo hanno fatto o detto con valore profetico. Parimenti
non avevano un minor valore profetico le cose che loro accadevano se
dallo Spirito profetico furono ritenute meritevoli d’essere
ricordate a memoria o trascritte in libri. Quanto alle ostetriche,
siccome non è possibile dire che abbiano parlato mosse da Spirito
profetico al fine di rappresentare la verità futura, si afferma, è
vero, che esse furono approvate e ricompensate da Dio per aver detto
al faraone una cosa per un’altra; ma si trattò d’una ricompensa
relativa. A loro insaputa poi lo Spirito diede un significato
ulteriore al gesto da loro compiuto. Se infatti uno, abituato a
mentire per procurare danni al prossimo, in un secondo momento arriva
a mentire per fare del bene, certamente ha compiuto un grande
progresso. E poi una cosa è presentare come lodevole un gesto in se
stesso e un’altra è quando si dice che un atto è migliore di un
altro che risulti peggiore. Una cosa infatti è congratularsi con una
persona perché sta bene [in salute], e un’altra è congratularsi
con un malato perché è migliorato. Del resto, nelle stesse
Scritture si dice che anche Sodoma fu giustificata se la si paragona
con le nefandezze commesse dal popolo d’Israele. A questa norma
rimandano [i sostenitori della presente teoria] in ogni caso di
menzogna che si desume dall’Antico Testamento e che ivi non viene
biasimato. Lo stesso se non è possibile biasimarla, anzi se viene
approvata in vista dei proficienti e della speranza [di farli
progredire], ovvero se non si tratta in alcun modo di menzogne dette
con qualche significato recondito.
Nessuna
menzogna nei libri del Nuovo Testamento.
5.
8. Nei libri del nuovo Testamento ci
sono, è vero, espressioni con senso figurato poste sulla bocca del
Signore; ma, eccettuate queste e considerando la vita e i
comportamenti dei santi, come anche i loro fatti e detti, non si può
citare alcun esempio che, se imitato, induca alla menzogna. Tale la
simulazione di Pietro e Barnaba: essa non è soltanto raccontata ma
anche disapprovata e corretta. Non è infatti vero, come pensano
alcuni, che ricorrendo a una tale simulazione lo stesso Paolo
circoncise Timoteo o celebrò personalmente alcuni riti del
cerimoniale giudaico; ma, al contrario egli fu sempre mosso da quella
libertà di opinione per cui predicava che la circoncisione come non
giovava in nulla ai pagani così in nulla nuoceva ai giudei. Per
questo egli riteneva che, se non si dovevano costringere i pagani ad
osservare le costumanze dei giudei, non bisognava distogliere i
giudei dalle usanze dei padri. Ne fan testo le sue parole: Uno
è stato chiamato da circonciso? Non si rifaccia il prepuzio. Un
altro è stato chiamato col prepuzio? Non si lasci circoncidere. La
circoncisione infatti non è nulla, come nulla è il prepuzio: quello
che vale è la osservanza dei comandamenti di Dio. Ciascuno rimanga
nella condizione di quando fu chiamato.
Come si potrebbe rifare il prepuzio quando lo si è asportato? Dice:
Non si rifaccia
nel senso di «non viva come se si fosse rifatto il prepuzio»,
e cioè: «Non viva come se su quella parte del corpo, che ha
scoperto, protenda di nuovo la pelle», quasi che abbia cessato di
essere giudeo. Con lo stesso senso dice altrove: La
tua circoncisione s’è mutata in prepuzio.
Tutto questo l’Apostolo dice non per costringere i pagani a
conservare il prepuzio o i giudei a seguire per forza il costume dei
loro padri. Egli non voleva imporre né agli uni né agli altri il
comportamento opposto, avendo tutt’e due le genti la facoltà, non
la necessità, di rimanere nelle consuetudini di prima. Se pertanto
un giudeo avesse voluto, senza recare scandalo ad alcuno, abbandonare
le costumanze del giudaismo, l’Apostolo non l’avrebbe certo
ostacolato. Che se egli diede ai giudei il consiglio di attenersi
alle loro pratiche, lo fece per timore che essi, turbati in cose
superflue, non giungessero ad incamminarsi per quelle vie che alla
salvezza sono necessarie. E se un pagano avesse voluto farsi
circoncidere con l’intenzione di mostrare che non rifuggiva quella
pratica come dannosa [per la salvezza] ma la riteneva solo un segno
ormai sorpassato nel tempo e quindi per lui del tutto indifferente,
certo l’Apostolo non gli avrebbe proibito di circoncidersi. Se è
vero infatti che dalla circoncisione non derivava in alcun modo la
salvezza, nessun timore che da essa derivasse la rovina. Per questo
motivo l’Apostolo circoncise Timoteo. Egli fu chiamato dal popolo
degli incirconcisi ma era nato da madre giudea. Ora Paolo per
conquistare [alla fede] i suoi connazionali doveva loro mostrare che
nella disciplina della Chiesa cristiana non aveva imparato a
rigettare sdegnosamente i riti sacri dell’antica legge.
Comportandosi così, [Paolo e Timoteo] dimostravano ai giudei che, se
i pagani non si sottoponevano a tali pratiche, non era perché
fossero cose cattive, e quindi i patriarchi le avevano osservate a
loro danno. Egli intendeva solo insegnare che esse non erano più
necessarie per la salvezza, dopo la realizzazione di quel grande
mistero che tutta la Scrittura dell’Antico Testamento per tanti
secoli aveva gestato e messo al mondo con profetici simboli e figure.
Egli, Paolo, dietro le pressioni dei giudei avrebbe circonciso anche
Tito se non ci fossero stati quei falsi fratelli che, intrufolatisi
fra i cristiani, avevano sparso la diceria che egli aveva ceduto di
fronte a loro. Riconoscendo in loro la verità, egli si sarebbe
arreso di fronte a quei tali che predicavano che secondo il Vangelo
la speranza di salvarsi era riposta nella circoncisione della carne e
nelle altre pratiche simili ad essa, e che senza queste pratiche
Cristo non avrebbe arrecato alcun giovamento all’umanità. La
verità, viceversa, era che Cristo non giovava a nulla a coloro che
si facevano circoncidere con la convinzione che in tale rito si
trovava la salvezza. Perciò dice: Ecco
io, Paolo, vi dico questo: Se vi circoncidete, Cristo non vi gioverà
a nulla. Con tale libertà Paolo
osservò le pratiche in uso presso i padri, badando solo a questo - e
così anche predicando -, che cioè non si credesse annullata la
salvezza di cui godono i cristiani perché venivano escluse le
antiche osservanze. Pietro al contrario con la sua simulazione
costringeva i pagani a vivere da giudei come se la salvezza si
trovasse nel giudaismo. Lo attestano le parole di Paolo, che gli
disse: Come puoi costringere i gentili a
farsi giudei? Non si sarebbe potuto
dire che erano costretti se non l’avessero visto osservare quei
riti ritenendo che senza di loro non c’era salvezza. Quindi la
simulazione di Pietro non ha nulla di simile con la libertà di
[coscienza predicata da] Paolo. Noi quindi dobbiamo amare Pietro che
volentieri si lasciò riprendere da Paolo, ma non possiamo in alcun
modo difendere la [liceità della] menzogna in base all’autorità
di Paolo. Costui alla presenza di tutti richiamò al dovere Pietro,
per impedire che per il suo esempio i pagani venissero costretti a
vivere da giudei. Inoltre Paolo fu coerente con la sua predicazione
quando, di fronte a quelli che lo giudicavano nemico delle tradizioni
dei padri, in quanto non voleva che venissero imposte ai gentili, non
ricusò di rispettarle lui stesso celebrando i riti dell’antico
cerimoniale. Ciò facendo, mostrò con sufficiente chiarezza che,
dopo la venuta di Cristo, tali pratiche sopravvivevano in queste
dimensioni: per i giudei non erano dannose, per i pagani non erano
obbligatorie, per nessuno erano necessarie in ordine alla salvezza.
Nessun
argomento valido a favore della menzogna dai libri sacri.
5.
9.
Nessun argomento valido a favore della menzogna si può quindi
ricavare dai libri sacri. Non dall’Antico Testamento, perché non è
menzogna ciò che si deve prendere come figura, tanto se si tratta di
fatti quanto di detti, ovvero anche perché non si propone alla
imitazione dei buoni ciò che nei cattivi, incamminati verso il
meglio, si loda rapportandolo con cose peggiori. Non si ricava
nemmeno dai libri del Nuovo Testamento, nei quali ci si invita ad
imitare il ravvedimento di Pietro più che non la [colpa della]
simulazione, come, dello stesso Pietro, dobbiamo imitare le lacrime e
non la negazione.
La
menzogna è peccato grave.
6.
9. Quanto agli esempi desunti dalla
vita ordinaria, asseriscono con la più grande sicurezza [questi
dottori] che non vi si deve prestar fede. Nel loro insegnamento
infatti essi partono dal principio che la menzogna è un’iniquità;
e ciò provano con molti testi della sacra Scrittura, primo dei quali
il passo: Tu, Signore, hai in odio
quanti commettono azioni inique, mandi in perdizione quanti dicono la
menzogna. Infatti, come di solito fa la
Scrittura, con lo stico seguente si chiarifica il precedente; e così,
siccome la parola «iniquità” ha un significato assai ampio,
dobbiamo intendere che, quando si nomina la menzogna, l’autore ha
voluto presentarla come una specie nel genere della iniquità. Ovvero
se fra menzogna
e iniquità
c’è una qualche differenza, tanto peggiore è da ritenersi la
menzogna quanto più è severa la parola mandare
in perdizione rispetto a odiare.
Può darsi infatti che Dio abbia in odio qualcuno in maniera
piuttosto blanda, cioè non al punto di dannarlo; riguardo al dannato
viceversa, tanto più forte è l’odio divino quanto più severa è
la punizione inflitta. Orbene, quanti operano l’iniquità egli li
odia; invece tutti coloro che dicono menzogne egli addirittura li
manda in perdizione. Ammesso questo, chiunque accetta un tale
principio come potrà lasciarsi impensierire dagli esempi addotti da
quei tali che dicono:»Se viene da te un uomo che con una menzogna tu
potresti liberare dalla morte, come ti comporteresti?». Eppure
quella morte, temuta stoltamente dagli uomini che non temono il
peccato, è una morte che uccide il corpo, non l’anima, come
insegna il Signore nel Vangelo, dove appunto ordina di non temerla.
La bocca che proferisce menzogna, viceversa, uccide non il corpo ma
l’anima. È scritto in termini quanto mai espliciti: La
bocca che dice menzogne uccide l’anima.
Come quindi non sarà un’enorme perversione affermare che per
conservare ad uno la vita del corpo un altro possa lecitamente morire
nello spirito? Infatti l’amore del prossimo ha come punto di
riferimento l’amore verso se stessi. Dice: Amerai
il prossimo tuo come te stesso. In che
maniera dunque potrà uno amare un altro come se stesso, se per dare
a costui la vita temporale, egli personalmente si gioca la vita
eterna? In realtà, se per dargli la vita temporale uno
compromettesse la sua vita temporale non sarebbe questo un amare come
se stesso, ma più di se stesso. E ciò oltrepassa la norma imposta
dalla sana dottrina. Molto meno sarà lecito perdere la propria vita
eterna dicendo menzogne, per [salvare] all’altro la vita temporale.
Ovviamente il cristiano non esiterà a sacrificare la propria vita
temporale per la vita eterna del prossimo: in questo ci ha preceduti
con l’esempio il nostro Signore quando ha dato la vita per noi.
Egli infatti diceva a questo riguardo: Questo
è il mio comandamento: che vi amiate l’un l’altro come io vi ho
amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i
suoi amici. A questo proposito nessuno
vorrà essere così scervellato da dire che il Signore abbia inteso
provvedere ad altro che alla salvezza dell’uomo quando compiva di
persona le opere che comandava o quando comandava di compiere le
opere che lui faceva. Se pertanto col mentire si perde la vita
eterna, è evidente che mai è lecito mentire per giovare in
qualsiasi modo alla vita temporale di chicchessia. Che dire infatti
di questi tali, che si indispettiscono e vanno sulle furie quando
qualcuno si rifiuta di uccidere la propria anima con la menzogna,
perché un altro nel suo corpo giunga a vecchiaia? Che dire, insisto,
se qualcuno potrebbe scampare la stessa morte mediante un nostro
furto o adulterio? Potremo, per ottenere un tale risultato, rubare o
commettere adulterio? Costoro non si rendono conto di dover per forza
tirare questa conclusione: se un uomo, corda in mano, voglia farsi da
te stuprare, affermando ripetutamente che, se non gli si concede
quanto richiesto, egli si legherà la corda al collo. In tal caso,
dicono costoro, per liberare la sua vita [dalla morte] bisogna
acconsentire [alla sua richiesta]. Ebbene, se un tal gesto è assurdo
e delittuoso, perché si dovrebbe concedere ad uno di deturpare la
propria anima con la menzogna affinché l’altro conservi la vita
del corpo? Poiché, se per lo stesso scopo abbandonasse alla
corruttela il proprio corpo quel tale sarebbe, a giudizio di tutti,
condannato come reo di esecranda turpitudine? In conclusione, su
questo problema nulla si deve considerare all’infuori del fatto se
la menzogna sia o no una cosa illecita. Ora siccome, stando ai
documenti citati sopra, la risposta è affermativa, è da porsi il
problema se si possa mentire per salvare una persona come si porrebbe
quello se sia lecito commettere il peccato per salvare qualcuno. Si
sa però che la salvezza dell’anima non consente questa scelta,
poiché non ci si salva se non con la giustizia; anzi la stessa
salvezza esige che la collochiamo al di sopra della salute temporale
non solo degli altri ma anche di noi stessi. Di fronte a ciò -
dicono costoro - cosa concludere se non che, indubbiamente, non si
deve mai assolutamente mentire? Non si può infatti affermare che fra
i beni d’ordine temporale ce ne sia qualcuno più grande o più
prezioso della vita e della salute fisica. E se nemmeno questi beni
son da preporsi alla verità, quale motivo possono addurre coloro che
ritengono che a volte sia lecito mentire, per dimostrare
efficacemente questa loro sentenza?
Non
si può mentire nemmeno per difendere il pudore.
7.
10. E
veniamo ora al rispetto del corpo. Ecco, fa’ che ti si presenti una
persona degna della massima stima e ti chieda insistentemente che tu
dica una menzogna perché la insidia uno stupratore che si potrebbe
tenere lontano con una menzogna. In questo caso -dicono certuni - si
deve mentire senza alcun dubbio. È facile la risposta: non c’è
pudicizia del corpo se non quella che deriva dall’integrità
dell’anima. Se s’infrange quest’ultima, necessariamente cade
anche l’altra, sebbene all’apparenza essa sembri rimanere
intatta. Questo, perché non la si collochi fra i beni corporali, per
cui la si possa strappare anche a chi ha volontà contraria. Ne
consegue che l’anima non deve in alcun modo contaminarsi con la
menzogna per giovare al proprio corpo, sapendo che il corpo rimane
intatto se la corruzione non intacca l’anima. Infatti tutto ciò
che il corpo subisce per una violenza esterna senza alcuna libidine
antecedente deve chiamarsi sopraffazione, non corruttela. O,
ammettendo che ogni sopraffazione sia corruttela, non ne segue che
ogni corruttela sia riprovevole e viziosa! Lo è soltanto quand’è
provocata da affetto libidinoso o quando con tale affetto ad essa si
consente. Orbene, quanto l’anima è superiore al corpo, altrettanto
più grave è il delitto di chi la corrompe. Là dunque si può
conservare la pudicizia dove non ci può essere corruzione che non
sia volontaria. Ma ecco che il corpo di una persona viene aggredito
da uno stupratore che non si riesce ad ostacolare né opponendogli la
forza né ricorrendo a persuasioni o menzogne. In tal caso, dobbiamo
confessarlo, la pudicizia del violentato non è compromessa dalla
sporca passione dell’aggressore. E siccome non c’è alcun dubbio
che l’anima è superiore al corpo, all’integrità del corpo va
preferita l’integrità dell’anima: quell’integrità che potremo
conservare per sempre. Ora, chi oserà dire che l’anima di colui
che proferisce menzogne è integra? Questa in effetti è la
definizione esatta della libidine: Appetito dell’anima per il quale
ai beni eterni si preferiscono i beni temporali, di qualsiasi genere
siano. Ne segue che nessuno può addurre ragioni valide per sostenere
che almeno qualche volta è lecito mentire: fino a quando almeno non
avrà dimostrato che con la menzogna si può conseguire qualche bene
eterno. Ma se è vero che l’uomo tanto più si allontana
dall’eternità quanto più si allontana dalla verità, è cosa
quanto mai assurda asserire che uno allontanandosi dalla verità
possa conseguire un qualsiasi bene. Ovvero, se c’è un qualche bene
che sia eterno senza che rientri nella verità, questo non è un vero
bene, e pertanto, siccome è un bene falso, non è nemmeno un bene. E
come si deve stimare più l’anima che il corpo, così la verità
deve stimarsi più dell’anima, con la conseguenza che essa deve
essere desiderata dall’anima non solo più del corpo ma anche più
di se stessa. Ciò facendo, in quanto gode dell’immutabilità
propria della verità più che non della propria mutevolezza, l’anima
ci guadagna in integrità e castità. Si pensi a Lot. Essendo
talmente giusto da ospitare in casa sua anche gli angeli, diede ai
sodomiti le proprie figlie perché abusassero di loro e in tal modo
si violassero corpi di femmine e non di maschi
. Ebbene, con quanto maggiore
oculatezza e tenacia non dovrà conservarsi la castità dell’anima
perché resti nella verità, se è certo che l’anima stessa è
superiore al corpo più di quanto non lo sia un corpo maschile
rispetto a un corpo di donna?
Non
è lecito mentire per procurare ad alcuno la salvezza.
8.
11. Ci
potrà essere chi ritenga lecita la menzogna detta ad uno a vantaggio
di un altro per farlo vivere, ovvero perché non venga contrariato
nelle cose che gli stanno molto a cuore, e così possa raggiungere,
attraverso l’apprendimento, la verità eterna. Costui non si rende
conto, prima di tutto, che non c’è nefandezza a commettere la
quale non ci si possa costringere quando si avverano le stesse
condizioni, come è stato esposto sopra. Inoltre è chiaro che
l’autorità stessa della dottrina è eliminata e cessa totalmente
se in coloro che vorremmo condurre alla verità, con la nostra
menzogna creiamo la persuasione che qualche volta sia necessario
mentire. Tener presente che la dottrina rivelata risulta composta di
cose che in parte son da credersi mentre altre son da comprendersi:
soltanto che alle verità da comprendersi non si può arrivare senza
prima credere a quelle che debbono essere credute. Orbene, come si
può credere a uno che ritiene, almeno qualche volta, necessaria la
menzogna, senza pensare che egli menta anche quando ci ingiunge di
credergli? In base a che si può dedurre con certezza che egli non
abbia anche in quel caso un qualche motivo per dire una
menzogna»officiosa», come egli la considera? Egli infatti potrebbe
pensare che l’interlocutore, spaventato dal racconto falso [che gli
viene fatto], si astenga dagli atti di libidine; e pertanto come non
dire che in tal modo egli con la sua menzogna abbia anche contribuito
a farlo progredire spiritualmente? Notiamo tuttavia che, una volta
ammesso e approvato un tale comportamento, va a rotoli tutta la
normativa della fede e, scomparsa questa, non si arriva nemmeno alla
comprensione [della verità], per ottenere la quale la fede nutre la
mente dei piccoli. Pertanto, se si apre il varco per ammettere in
qualche situazione la menzogna (anche quella chiamata «ufficiosa”),
viene tolta di mezzo ogni norma di verità, la quale è costretta a
ritirarsi di fronte alla falsità anche nelle sue forme più
stravaganti. Chiunque mente infatti antepone alla verità i vantaggi
temporali, o propri o di qualche altro: ma ci può essere qualcosa
più perversa di questa? Può anche darsi che uno ricorrendo alla
menzogna intenda condurre un altro all’acquisto della verità;
costui però nello stesso tempo gl’impedisce il raggiungimento
della verità. Volendo infatti conseguire la verità ricorrendo alla
menzogna, si rende inattendibile anche quando dice la verità.
Pertanto, o non si deve credere ai buoni, o bisogna credere a coloro
che ritengono lecito dire menzogne, almeno in qualche caso, o bisogna
credere che i buoni non dicano mai menzogne. Di queste tre ipotesi,
la prima è perniciosa, la seconda insipiente. Si conclude che i
buoni non debbono in nessun caso mentire.
Mentire
per evitare mali peggiori.
9.
12. A
questo punto la questione della menzogna potrebbe dirsi esaminata e
risolta da entrambi i lati, ma la conclusione non deve trarsi con
faciloneria. Occorre ascoltare quei tali che dicono non esserci
azione così cattiva che non si possa commettere per evitare un male
peggiore: e fra queste azioni umane sono da annoverarsi non solo gli
atti che gli uomini compiono ma anche quelli che subiscono
condiscendendovi. Ci si chiede, ad esempio, se non sia un motivo
valido per cui il cristiano possa offrire incenso agli idoli quello
di non consentire allo stupro che il persecutore gli minaccia in caso
di rifiuto. Alla pari sembra [loro] lecito domandarsi se non sia
lecito mentire per evitare la stessa infame sconcezza. Dicono costoro
che il consenso prestato nell’offrire incenso agli idoli piuttosto
che subire lo stupro non è una passione ma un semplice gesto : per
non fare quella sconcezza ecco che uno preferisce offrire l’incenso.
Ebbene, con quanto maggiore facilità non avrebbe dovuto scegliere la
bugia se con essa gli fosse stato possibile sottrarre il corpo ad una
oscenità così mostruosa?
Si
critica questa argomentazione.
9.
13.
Riguardo a questa argomentazione si
possono fare diverse domande. E cioè: se un tale consenso può
essere preso come un [semplice] fatto; se si può parlare di consenso
dove non ci sia anche l’approvazione; se sia un’approvazione
dire: «È meglio subire questo [male] che fare quest’altro»; se
abbia agito bene colui che per non subire lo stupro ha offerto
incenso agli idoli; se finalmente sia preferibile mentire piuttosto
che offrire incenso, qualora capitasse una tale occasione. Orbene, se
tale consenso è da ritenersi un fatto, sono omicidi anche coloro che
preferiscono farsi uccidere anziché dire una falsa testimonianza;
anzi il loro omicidio è più grave [perché commesso] contro se
stessi. Perché infatti non dire che essi hanno ammazzato se stessi,
se hanno scelto essi stessi che l’atto venisse compiuto contro di
loro per non dover cedere alla costrizione? Ovvero, se si ritiene che
uccidere un altro sia più grave che uccidere se stesso, che dire se
a un martire venisse fatta la seguente proposta: tu non vuoi dire una
falsa testimonianza su Cristo né immolare sacrifici ai demoni;
ebbene dinanzi ai tuoi occhi ti viene ucciso non un qualsiasi uomo ma
tuo padre, e lo si uccide mentre egli scongiura te, suo figlio, di
non permettere col tuo persistere che una tale sventura gli accada.
Non è del tutto chiaro in questo caso che, se quel tale rimane saldo
nella sua determinazione di dare una testimonianza di assoluta
fedeltà [a Cristo], quegli altri, cioè coloro che gli uccidono il
padre, sono certo degli omicidi, ma lui stesso non è un parricida?
Egli non è stato corresponsabile di quell’enorme delitto avendo
preferito che suo padre, uomo magari sacrilego la cui anima stava per
andare in perdizione, venisse ucciso da gente estranea anziché
macchiare la propria fede con una falsa testimonianza. Il suo
consenso non lo ha infatti reso corresponsabile di così enorme
delitto se lui personalmente non voleva compiere il male, e di fatto
non l’ha compiuto, qualunque cosa abbiano poi fatto gli altri. In
effetti, i persecutori che cosa dicono se non: Fa’ tu il male
perché non abbiamo a farlo noi? E se davvero avendo fatto noi il
male essi non lo facessero, nemmeno in questo caso noi dovremmo dare
ad essi l’appoggio del nostro consenso. Ma ecco che essi, pur non
dicendo cose come queste, fanno il male: ora perché si dovrebbe
essere detestabili malfattori e loro e noi, e non loro soli? In
effetti il nostro operare non può chiamarsi consenso, poiché noi
non approviamo quello che essi fanno, ma cerchiamo sempre [il bene]
e, per quanto sta in noi, ci sforziamo d’impedire che facciano [il
male] e, quanto all’azione cattiva, non solo non la compiamo
insieme con loro ma la condanniamo detestandola con tutto il nostro
animo, per quanto ci è possibile.
Evitare
la collaborazione al peccato.
9.
14. Tu replichi: Come si fa a dire
che quel tale non compie la tal opera se gli altri non l’avrebbero
fatta qualora l’avesse fatta lui? In questa maniera siamo noi che
sfondiamo la porta insieme con i predoni, poiché se noi non la
tenessimo chiusa loro non la forzerebbero; siamo noi che uccidiamo la
gente con gli assassini se per caso sappiamo che ciò essi avrebbero
fatto, poiché se noi li avessimo uccisi prima [del delitto], essi
non avrebbero ucciso nessuno. Supponiamo ancora che qualcuno ci
confessi l’intenzione di commettere un parricidio. Noi siamo suoi
conniventi se, potendolo, non lo uccidiamo prima che egli passi
all’azione, ammesso che noi non possiamo trattenere l’omicida né
impedire [il suo gesto] in altre maniere. In poche parole si può
dire: Tu hai commesso [il delitto] insieme con lui, poiché egli non
avrebbe potuto commetterlo se tu avessi posto quell’altro atto.
Veramente, io non avrei voluto commettere nessuno dei due mali, ma
son riuscito ad evitare soltanto quello che era in mio potere. Quanto
all’altra parte dell’altrui colpa, io non potendola escludere con
un atto della mia volontà, non dovevo impedirla con una colpa mia.
Non approva quindi il colpevole colui che si rifiuta di peccare al
posto di un altro, e nessuno dei due elementi peccaminosi approva
colui che non si compiace di nessuno dei due, ma quello che era in
sua facoltà lo esclude anche intervenendo, mentre l’altro lo
disapprova solo con la volontà. E ora il caso dell’offerta
dell’incenso. A chi fa ad un cristiano la proposta: «Se tu non
offrirai l’incenso, ti capiterà questo e questo», egli può
rispondere: «Io non scelgo nessuna delle due cose a me proposte, le
disapprovo di cuore tutt’e e due e non vi acconsento in alcuna
maniera». Con queste parole o simili, certamente vere, si esclude da
lui ogni consenso, ogni approvazione; e qualsiasi pena egli subisca
da parte loro, è da considerarsi un maltrattamento da lui subìto
mentre negli altri un reato commesso. Ma allora, dirà qualcuno, quel
tizio doveva subire lo stupro piuttosto che offrire l’incenso? Se
domandi che cosa fosse tenuto a compiere, egli non era tenuto a
compiere né l’una né l’altra cosa. Se infatti ti dicessi che
era tenuto a farne una delle due, dimostrerei che l’approvo; invece
io le disapprovo tutt’e e due. Può invece porsi la domanda: Quale
delle due cose doveva evitare colui che non poteva evitarle entrambe
ma solo una? Risponderei: Doveva evitare quella che era peccato per
lui personalmente più che non quella che era peccato per l’altro,
e questo anche se il suo peccato era più leggero e quello dell’altro
più grave. Salvo una ricerca più approfondita, ammettiamo in via
provvisoria che lo stupro sia un peccato più grave che non l’offerta
dell’incenso; nel nostro caso però fare l’offerta è un peccato
commesso in prima persona, mentre lo stupro un peccato commesso da un
altro, anche se subìto dallo stesso soggetto. Ora il peccato è di
chi compie l’opera [cattiva]. Infatti, per quanto l’omicidio sia
una colpa più grave del furto, è tuttavia cosa peggiore commettere
un furto che subire l’omicidio. Supponiamo dunque che ad un tizio
venga proposto di rubare. Se non lo farà, verrà messo a morte, cioè
si compirà un omicidio contro di lui. Non potendo evitare tutti e
due i mali, egli dovrà evitare quello che è peccato suo
piuttostoché quello che è peccato degli altri. Questo non diventerà
peccato suo per il fatto che è stato commesso contro di lui e
nemmeno perché lo avrebbe evitato se avesse commesso il suo peccato
personale.
Mentire
per evitare le profanazioni del corpo.
9.
15. Il nocciolo della presente
questione si riduce a questo: sapere se nessuno dei peccati altrui,
sebbene commesso contro di te, sia imputabile a te qualora tu possa
evitarlo con un tuo peccato più leggero e non l’hai fatto. Non si
dovrà per caso fare eccezione per le sudicerie con cui ci si
imbratta il corpo? In effetti nessuno oserà dire che l’uomo è
insudiciato quando lo si uccide o lo si getta in prigione o lo si
incatena o lo si flagella o colpisce con altri strumenti di tortura o
di strazio. Lo stesso se lo si proscrive o danneggia nelle forme più
gravi fino a ridurlo all’estrema nudità, se lo si priva di ogni
titolo onorifico e gli si scarica addosso tutta una serie di insulti
e vituperi. Qualunque sofferenza fra quelle elencate uno abbia subìto
ingiustamente, nessuno sarà così pazzo da dire che egli ne è stato
contaminato. Ma poniamo il caso che uno venga coperto di escrementi o
che roba come questa gli si sbatta in faccia o cacci in bocca o si
abusi di lui come di una prostituta. Il sentimento di tutti, o quasi,
aborrisce queste cose, e di chi le ha subite si dice che è stato
contaminato e reso immondo. Le conclusioni che derivano da tutto
questo sono le seguenti: nessuno deve evitare mediante peccati propri
i peccati altrui, qualunque essi siano, eccettuando quelle cose che
rendono immondo colui sul quale si commettono; e quindi non si può
peccare né per la propria né per l’altrui utilità, ma si deve
affrontare il male e sopportarlo con fortezza. Se pertanto non è
lecito evitare il male commettendo un qualsiasi peccato, non lo si
può evitare nemmeno con la menzogna. Riguardo poi alle aberrazioni
che si commettono sull’uomo rendendolo impuro, le dobbiamo evitare
anche con peccati nostri: i quali, essendo commessi per evitare
appunto tale contaminazione, non meritano nemmeno il nome di peccato.
Non è infatti peccato ciò che, se non si facesse, ci attirerebbe
[giusti] rimproveri. Si deduce da questo che le cose che si fanno
perché non c’è alcun modo di evitarle non sono nemmeno da
chiamarsi contaminazione. Anche in tale ipotesi infatti colui che le
subisce ha un qualcosa di buono da compiere, e cioè sopportare con
pazienza ciò che non gli è possibile evitare. Ora nessuno che fa il
bene può essere contaminato dal contatto materiale con qualsiasi
cosa [impura]. Dinanzi a Dio è impuro chi commette ingiustizie,
mentre il giusto (qualsiasi giusto) è puro; e se non lo è dinanzi
agli uomini, lo è certamente dinanzi a Dio, che giudica con verità.
Pertanto, quando l’uomo subisce tali affronti, se ha facoltà di
evitarli e non li evita, non viene reso impuro dal contatto materiale
con le cose ma dal peccato per il quale, dandoglisi la possibilità,
non ha voluto evitarli. Qualunque cosa poi sarà stata compiuta per
evitarli, non sarà peccato; e quindi, se per evitarli uno fosse
ricorso alla menzogna, non avrebbe peccato.
Illecite
tutte le menzogne che nuocciono agli altri.
9.
16. Ma
non bisognerà per caso eccettuare alcune menzogne, per le quali sia
preferibile subire la contaminazione piuttosto che mentire? Se così
fosse, ne risulterebbe che non tutto quello che si fa per evitare le
sudicerie di cui sopra è esente da colpa. Lo dico di certe menzogne,
commettere le quali è più grave che non subire l’oltraggio. Ecco
uno, che un disonesto ricerca per violentarlo sessualmente e che
invece con una menzogna si potrebbe tenere nascosto. Chi oserà dire
che nemmeno in questo caso è lecito mentire? Ma se per occultarlo
bisogna ricorrere a una menzogna che lede la fama altrui,
incriminando falsamente questo secondo della contaminazione a cui si
voleva sottoporre quell’altro? Se si dicesse, [ad esempio], a quel
perverso il nome di un uomo casto e del tutto estraneo a simili
disordini: «Va’ dal quel tizio, e lui ti procurerà senz’altro
come qualmente tu possa scapricciarti a tuo piacimento. È infatti
uno che conosce l’ambiente e ci gongola»? Ammesso che con tali
parole si possa distogliere quell’uomo dal perseguire la persona
ricercata, non saprei dire se si possa ledere con la menzogna la fama
di uno per impedire che sia profanato dalla libidine di quel
malintenzionato il corpo d’un altro. In realtà mai bisogna dire
menzogne che rechino vantaggio a uno, se un altro ne viene
danneggiato, anche se il danno di costui sia inferiore a quello
dell’altro, che tu impedisci con la tua menzogna. Fa’ conto che
si tratti del pane: se uno si rifiuta di darlo ed è in ottima
salute, tu non glielo puoi togliere per sfamare un affamato. Così tu
non puoi fustigare un innocente, che non voglia subire la pena, per
evitare che un altro [innocente] venga ucciso. Se essi liberamente
accettassero la cosa, la si faccia! Accettando loro personalmente,
non c’è più lesione.
10.
16. Ci si chiede ora se si può
macchiare la fama di una persona anche consenziente attribuendole
falsamente il peccato di stupro per impedire che un’altra persona
sia stuprata nel corpo. È una questione spinosa, e io non saprei
dire se facilmente si possa trovare un motivo per concludere che è
giusto macchiare con l’accusa d’uno stupro inventato la fama
d’una persona consenziente piuttostoché macchiare col medesimo
stupro il corpo di chi vi si oppone.
In
fatto di religione la menzogna è sempre illecita.
10.
17. Ora
ripensiamo a quel tale a cui si proponeva d’offrire l’incenso
agli idoli piuttosto che subire delle sfrenatezze postribolari. Se
per evitare questi abusi qualcuno si permettesse d’offendere con la
menzogna il buon nome di Cristo, con questo suo comportamento si
dimostrerebbe persona del tutto impazzita. Dico di più: egli sarebbe
pazzo se per evitare un atto di libidine commesso da un altro, per
impedire cioè che si compia un atto che egli subisce senza alcuna
sua voglia libidinosa, falsificasse il Vangelo di Cristo lodando
Cristo con lodi menzognere. Così facendo, dimostrerebbe di voler
evitare la contaminazione del proprio corpo da un estraneo più che
evitare di contaminarsi da se stesso nella dottrina che santifica le
anime e i corpi. Pertanto occorre assolutamente evitare ogni sorta di
menzogne quando si tratta di dottrina religiosa e di tutte quelle
espressioni in cui si enunzia la dottrina religiosa, tanto
nell’insegnarla quanto nell’apprenderla. Non si pensi che per un
qualche verso si possano trovare motivi che autorizzino a mentire in
questa materia, se è vero, com’è vero, che nella dottrina
religiosa non è lecito mentire nemmeno per rendere più facile
l’adesione ad essa. Vanificato o soltanto sminuito di un po’ il
peso della verità, tutto rimarrebbe dubbio, perché certe cose, se
non le si crede vere, non le si può ritenere nemmeno certe. Pertanto
a un espositore o trattatista o predicatore delle verità eterne, o
anche a un narratore o banditore di cose temporali che mirano ad
edificare l’uomo nella religione o nella santità, sarà lecito
tenere occulto per un certo tempo ciò che si ritiene dover restare
occulto, ma non sarà mai lecito mentire e nemmeno occultare [la
verità] ricorrendo alla menzogna.
Da
escludersi tutte le menzogne che recano danno.
11.
18. Una volta stabilito con assoluta
fermezza quanto or ora detto, si può con maggiore tranquillità
indagare sulle altre menzogne. E come conseguenza logica segnaliamo
subito che è da escludersi qualsiasi menzogna che ingiustamente leda
la persona altrui. A nessuno infatti è lecito recare un danno, anche
se leggero, per allontanare da un altro un danno magari più grave.
Né si debbono tollerare quelle menzogne che, sebbene non nuocciano
ad alcuno, non giovano a nessuno mentre nuocciono a chi le proferisce
senza un perché. Chi mente così, propriamente merita il nome di
impostore. C’è infatti differenza fra mentitore e impostore. È
infatti mentitore anche chi mente contro voglia; impostore invece è
colui che ama mentire e dentro l’animo in modo abituale si diletta
della menzogna. Sono da prendersi in considerazione anche coloro che
nel mentire si propongono di accattivarsi il plauso della gente.
Costoro non danneggiano né offendono nessuno (questo genere di
mentitori li abbiamo già condannati!), ma agiscono così per essere
piacevoli nel loro discorrere. Questi tali differiscono dalla
categoria degli impostori, di cui parlavamo sopra, perché questi
provano gusto nel mentire godendo della falsità della cosa stessa,
mentre questi altri intendono piacere per il loro parlare faceto ma
vorrebbero piacere più ancora per la verità che dicono. Non
trovando facilmente cose vere con cui rendersi graditi agli uditori,
preferiscono dire menzogne anziché tacere. È comunque difficile che
questi bugiardi riescano una qualche volta a imbastire un racconto
del tutto falso; in genere essi mescolano il falso con il vero,
quando viene loro a mancare la vena del dire. Queste due specie di
menzogna non danneggiano chi vi presta fede, poiché non lo si
imbroglia nella dottrina concernente la religione o la verità né in
qualcosa che gli rechi profitto o emolumento. A chi crede così è,
infatti, sufficiente poter concludere che quanto gli viene raccontato
sia potuto realmente avvenire, e in tal modo conservi fiducia nel
narratore che non si può prendere per bugiardo senza validi motivi.
Che pregiudizio infatti mi reca supporre che il padre o il nonno d’un
tale sia stato una buona persona mentre non lo era? O che uno,
facendo il soldato, sia arrivato magari in Persia, mentre di fatto
non si è allontanato mai da Roma? Tali menzogne però son di grave
danno a coloro che le dicono. Nuocciono agli uni perché si
allontanano dalla verità per godere della falsità; nuocciono agli
altri perché al piacere proprio della verità antepongono il loro
piacere personale.
La
menzogna che arreca vantaggi.
12.
19. Condannate senza esitazione di
sorta queste specie di menzogna, saliamo gradatamente verso il meglio
e consideriamo quella menzogna che la gente dice esser propria dei
buoni e dei bendisposti: quando cioè chi la proferisce non solo non
nuoce a nessuno ma a qualcuno procura vantaggi. Riguardo a questo
genere di menzogne, tutta la controversia sta nel decidere se chi
offende la verità per giovare a un altro non rechi danno a se
stesso. È pacifico, certo, che merita il nome di verità solo quella
che illumina le menti con la sua luce interiore e immutabile;
tuttavia chi agisce così agisce contro un qualcosa di vero. Pur
ammettendo infatti che i sensi del corpo si ingannano, è indubitato
che si pone in contrasto con la verità colui che di una cosa
asserisce che è così, o non così, senza che tale conclusione gli
venga presentata o dalla ragione o dai sensi o da personali
congetture o persuasioni. Stabilire quindi se un’affermazione che
giova a un altro non nuoccia a chi la dice o non gli nuoccia, perché
il danno è compensato dal vantaggio che si reca al prossimo, è una
gran questione. Se fosse vero questo, ne seguirebbe che uno può
anche procurare vantaggi a se stesso con una menzogna che non nuoce a
nessuno. Son questioni collegate fra loro; e se le si accetta, ne
derivano conseguenze che lasciano molto sconcertati. Ci si potrebbe
chiedere infatti quale danno derivi a un uomo che nuota
nell’abbondanza di beni superflui se dagli innumerevoli mucchi di
frumento gli si sottragga un moggio, con il quale il ladro possa
procurarsi il necessario per vivere. La conseguenza sarebbe che si
può impunemente anche rubare e dire falsa testimonianza senza
commettere peccato. Ma quale conclusione potrebbe essere più
sballata di questa? Ancora: si potrà ammettere che un tizio rubi
quel moggio [di frumento] sotto i tuoi occhi e tu, interrogato del
fatto, per favorire il povero possa dire una menzogna a coscienza
tranquilla, mentre saresti colpevole se rubassi per rimediare alla
tua povertà? Quasi che tu debba amare più il prossimo che non te
stesso!... Se ne deduce che le cose sono tutt’e due sconvenienti, e
quindi da evitarsi.
Menzogne
oneste: ci sono? e quando ci sono?
12.
20. Forse qualcuno vorrà qui
aggiungere una qualche eccezione e sostenere che ci siano menzogne
innocenti: quelle cioè che, senza nuocere ad alcuno, recano anche
dei vantaggi. Si escludono evidentemente quelle dette per occultare o
difendere le azioni criminose. È infatti senz’altro riprovevole la
menzogna che, pur senza danno per alcuno, anzi con utilità del
povero, tuttavia serve ad occultare un furto; ma se non danneggiasse
nessuno e a qualcuno recasse utilità né vi si nascondesse o
difendesse alcuna azione peccaminosa, diremo che è cosa disonesta?
Facciamo l’esempio che tu veda un tizio che sta nascondendo il
proprio denaro per non farselo rubare o portar via per forza.
Interrogato del fatto, tu dici una menzogna, che non reca danno a
nessuno mentre è utile a colui che occulta il denaro. Col tuo
mentire non commetteresti peccato, come non è peccato nascondere i
propri averi di cui si teme la perdita. Ma se mentendo non pecchiamo
in quanto non occultiamo alcuna colpa, né rechiamo danno ad alcuno
né a qualcuno rechiamo vantaggi, come la metteremo nei confronti di
quel peccato che è la menzogna di per se stessa? Dove sta scritto
infatti: Non rubare,
sta anche scritto: Non dire falsa
testimonianza. Sono cose proibite
tutt’e due. Perché dunque dovrebbe essere illecita la falsa
testimonianza quando serve a nascondere il furto o qualche altro
peccato, ed essere esente da colpa quando la si dice solo per mentire
e non per difendere una qualche colpa? Il furto e gli altri peccati
sono colpe di per se stessi: che quindi sia lecito fare il peccato,
mentre è illecito occultarlo?
Menzogna
e falsa testimonianza.
12.
21. È questa una conclusione
assurda: e allora che diremo? Che non ci sia falsa testimonianza se
non quando si mente per attribuire a qualcuno un delitto, o per
nascondere il delitto commesso da qualcuno, o in qualsiasi modo per
incolpare qualcuno in tribunale? Il testimone infatti sembra esser
necessario al giudice per essere informato sul processo. Ma se la
Scrittura facesse menzione del testimone solo a questo riguardo,
l’Apostolo non direbbe: Noi risultiamo
essere falsi testimoni di Dio se contro Dio abbiamo attestato che
egli ha risuscitato Cristo dai morti, mentre invece non l’ha
risuscitato. Con tali parole mostra che
la falsa testimonianza è una menzogna, anche quando la si dice per
elogiare falsamente qualcuno.
Falsa
testimonianza e menzogna.
13.
21. Chiediamo se dica una falsa
testimonianza colui che mente attribuendo a qualcuno un peccato o
nascondendolo, ovvero se in qualche modo reca danno a qualcuno. Se
infatti è riprovevole una menzogna che si dice per nuocere alla vita
temporale di qualcuno, quanto maggiormente non lo sarà quella che
danneggia la vita eterna? Tale è ogni menzogna che verte circa la
dottrina religiosa, per cui l’Apostolo chiama falsa testimonianza
la menzogna che tocca la persona di Cristo, anche se le parole
sembrano contenere una sua lode. Ma supponiamo che si tratti di
menzogne dette non per attribuire a qualcuno un peccato o per
nasconderlo, menzogne che esulano da inchieste giudiziarie, menzogne
dalle quali deriva dell’utile a qualcuno senza che nuocciano ad
alcuno. Diremo forse che non sono false testimonianze né menzogne
meritevoli di biasimo?
Se
mente chi occulta un omicida o un innocente accusato di reato.
13.
22. Che dire pertanto se in casa di un
cristiano si rifugi un omicida, o se un cristiano veda dov’egli si
è rifugiato, quando di questo venga interrogato da colui che vuol
mettere a morte quell’omicida? Dovrà per caso mentire? E se mente,
non sarà forse per occultare il peccato, dal momento che quel tale
per cui si mente ha commesso una scelleratezza? [Non peccherà] forse
perché non gli vien chiesto qualcosa sul fatto peccaminoso ma solo
nel luogo dove si è nascosto? Sarebbe dunque un male dire una
menzogna per occultare il peccato che uno ha commesso e non sarebbe
un male dirla per occultare colui che l’ha commesso? Proprio così,
dirà qualcuno. Non si pecca infatti quando si sfugge alla pena
capitale ma quando si commette il peccato per cui si merita quella
pena. Nella dottrina cristiana poi s’insegna a non disperare del
ravvedimento di nessuno e a non chiudere ad alcuno l’accesso alla
penitenza. Che dire però dell’evenienza che tu, condotto alla
presenza del giudice, venga da lui interrogato proprio del luogo dove
quel ricercato si nasconde? Risponderai per caso che non lo sai,
mentre invece sai che è in quel luogo? Ovvero dirai: «Non lo so,
non l’ho visto «pur sapendolo e avendolo visto? Vorrai dunque dire
una falsa testimonianza, uccidendo la tua anima, perché non venga
ucciso l’omicida? Vorrai dunque mentire finché non ti trovi di
fronte al giudice, mentre quando il giudice ti farà un’esplicita
domanda dirai finalmente la verità per non essere un falso
testimone? Con il tuo palesare la cosa, tu allora ucciderai
quell’uomo! La Scrittura divina infatti condanna severamente colui
che rivela il colpevole. Diremo quindi che non ci si renda colpevoli
di denunzia quando si risponde con verità al giudice inquirente,
mentre si sarebbe rei palesando di propria iniziativa un colpevole
per farlo condannare a morte? E che diremo se tu, informato del luogo
dove si nasconda un cittadino giusto e innocente, venga interrogato
da un giudice, mentre a condannarlo a morte sia un’autorità
superiore [al giudice], per cui chi ti interroga sia un esecutore
della legge e non il legislatore stesso? Forse che il mentire a pro’
dell’innocente non dovrà dirsi falsa testimonianza, perché a
interrogarti non è il [vero] giudice ma un esecutore della legge?
Che diremo quindi se ti interrogasse il legislatore in persona o un
giudice [competente], il quale perché iniquo stia cercando di
condannare a morte l’innocente? Che farai in tal caso? Dirai la
falsa testimonianza o rivelerai quell’uomo? E poi, sarà veramente
un delatore colui che di sua spontanea volontà indica a un giudice
giusto il nascondiglio dell’omicida e non lo sarà colui che,
interrogato da un giudice iniquo dove si nasconda l’innocente, da
lui perseguitato a morte, rivela colui che si era messo
fiduciosamente nelle sue mani? Rimarrai dunque dubbioso e incerto fra
il delitto di falsa testimonianza e quello di delazione? Forse che
stando in silenzio o ripromettendoti di non dir nulla potrai esser
certo di aver evitato tutt’e due i mali? Perché allora, prima di
comparire davanti al giudice, non vorrai evitare la menzogna?
Evitando la menzogna, eviterai anche la falsa testimonianza, tanto se
qualsiasi specie di menzogna è anche falsa testimonianza quanto se
non lo è; se invece eviterai ogni falsa testimonianza, intesa come
tu vuoi, non eviterai ogni specie di menzogna. Con quanto maggiore
fortezza e nobiltà di spirito dirai dunque: Non lo denunzierò e non
mentirò!
L’esempio
del vescovo di Tagaste, Fermo.
13.
23. Questo fece or non è molto un
vescovo di Tagaste che si chiamava Fermo e che nella volontà fu
ancora più fermo. Egli aveva nascosto con massima solerzia un uomo
che si era rifugiato presso di lui. Richiesto per ordine
dell’imperatore, che aveva spedito delle guardie a prelevare
quell’uomo, il vescovo rispose che non poteva né mentire né
rivelare il nascondiglio del ricercato, e sopportando molti tormenti
corporali (in quel tempo gli imperatori non erano cristiani) restò
saldo nella sua decisione. Quando più tardi fu tradotto in presenza
dell’imperatore, si mostrò d’una virtù così ammirabile da
chiedere e ottenere lui stesso senza difficoltà la grazia all’uomo
che aveva tenuto presso di sé. Cosa si potrebbe fare di più forte e
coraggioso d’un tale gesto? Ma qualcuno, più pauroso, potrebbe
obiettare: Io sarei disposto a tollerare ogni sorta di tormenti e ad
affrontare la stessa morte per evitare il peccato; ma se non è
peccato mentire quando non si reca danno a nessuno, non si dice falsa
testimonianza e si fa del bene a qualcuno, è una stoltezza, anzi un
grave peccato, sottoporsi inutilmente a tormenti volontari e gettar
via di fronte a nemici imbestialiti la salute e la vita, che forse
potrebbero risultare ancora utili. A costui domando perché tema la
parola della Scrittura: Non dire falsa
testimonianza e non tema
quell’affermazione rivolta a Dio: Tu
mandi in perdizione tutti coloro che proferiscono menzogne.
Risponde: «Non è scritto: Ogni menzogna»; ma io lo intendo come se
dicesse: «Tu mandi in perdizione tutti coloro che proferiscono falsa
testimonianza». Infatti nemmeno in questo caso si dice: Ogni falsa
testimonianza. Dice ancora: «Questa però è collocata fra quegli
atti che sono cattivi sotto ogni punto di vista». «Ma non sarà
così anche di quel testo che dice: Non
uccidere?». Che se l’uccidere è in
tutti i casi un’azione cattiva, come scusare da colpa quei giusti
che, dopo che fu promulgata la legge, uccisero tante persone? Ti
risponde che non uccide di persona colui che è esecutore materiale
d’un precetto giusto. Il timore di questi obiettori io lo accetto,
ma credo che quell’uomo encomiabile che non volle mentire né
denunziare il suo protetto capì meglio la parola della Scrittura e
mise in pratica con più coraggio ciò che aveva compreso.
Come
rispondere a chi ti chiede dove si nasconde un ricercato.
13.
24. A volte si arriva al caso che
non ci si domandi dove si trova colui che è ricercato né siamo
costretti a rivelare dove si nasconda colui che, se noi non lo
indichiamo, non può essere facilmente scoperto; ma ci si chieda
soltanto se stia o meno in quel determinato posto. Se noi lo
sappiamo, col nostro stesso tacere lo denunziamo, e così pure se
diciamo che non riveleremo mai se egli sia o non sia in quel luogo.
Da ciò infatti l’investigatore ricava che effettivamente egli si
trova lì, poiché se non vi si trovasse, la persona interrogata che
non volesse né mentire né rivelare il nascondiglio risponderebbe
semplicemente: Non c’è. In questo modo sia con il nostro silenzio
sia con le parole che diciamo riveliamo dove si trovi quell’uomo, e
così colui che ne va in cerca entra nel nascondiglio, se ne ha il
potere, e lo scopre. Con una nostra menzogna invece avremmo potuto
impedire che lo trovasse. In conclusione, se non sai dove si trova
non hai motivo per nascondere la verità, ma dovrai confessare che
non conosci la cosa. Ecco invece che tu sai dove si trova colui che è
ricercato, tanto se lo si cerchi là dove effettivamente si trova
quanto se lo si cerchi altrove. Se a te si chiede se sia in quel
luogo o in un altro, a questa richiesta (dove sia o dove non sia) tu
non devi rispondere: Non ti dirò mai quello che tu cerchi, ma
risponderai: So dove si trova, ma a te non lo indicherò mai. Se
infatti nel rispondere non dirai niente del posto dichiarando però
che dici così perché non lo vuoi rivelare, è come se mostrassi a
dito il posto stesso. Susciti infatti un sospetto che non lascia
dubbi. Se invece cominci col dire che tu conosci dove si trova ma non
vuoi dirlo, può darsi che l’inquirente si tenga lontano da quel
posto ma ti carichi di domande perché tu manifesti il suo
nascondiglio. E se tu avrai da sopportare qualcosa per essere
coscienzioso e benevolo e lo farai con fortezza, nessuno dirà che
sei colpevole, ma tutti che meriti lode. Si escludono evidentemente i
casi in cui chi ha da soffrire qualcosa lo fa non per motivo di
fortezza ma di lussuria e disonestà. Questo tipo di menzogna è
l’ultimo, e ne dovremo trattare con più accuratezza.
Si
elencano otto specie di menzogna.
14.
25. La prima specie di menzogna,
quella che è necessario evitare e fuggire sopra ogni altra, è
quella che riguarda la dottrina religiosa. La si deve escludere da
tutti senza alcun cedimento. Seconda è quella che danneggia
ingiustamente qualcuno: che cioè è tale che a nessuno reca vantaggi
mentre nuoce a qualcuno. La terza specie è data da quelle menzogne
che, mentre a qualcuno giovano, ad altri recano danno, non però
contaminando il corpo sì da renderlo immondo. La quarta è di quelle
menzogne che si dicono solo per la voglia di mentire e trarre in
inganno, cioè le bugie pure e semplici. La quinta specie è data da
quelle menzogne che si dicono per il desiderio di farsi belli per
l’arguzia nel parlare. Tutte queste specie di menzogna bisogna
assolutamente evitare e disapprovare. C’è poi una sesta specie,
che è quella in cui la falsità non arreca danno a nessuno mentre a
qualcuno reca vantaggi. È il caso di uno che sa dove si trovi il
denaro di un altro, e a chi vuol sottrarglielo ingiustamente dice,
ricorrendo alla menzogna, che non lo sa, chiunque sia colui che lo
interroga. Settima specie è quella menzogna che, senza nuocere ad
alcuno, giova a qualche altro, e chi interroga non è il giudice. Ad
esempio, uno mente per impedire che sia condannato a morte un
ricercato, non solo se buono e innocente ma anche se colpevole.
Rientrano infatti nella dottrina cristiana le massime che non bisogna
disperare del ravvedimento di nessuno e che non si deve precludere ad
alcuno l’accesso alla conversione. Riguardo a queste due specie di
menzogna di solito vengono sollevate grandi controversie, ma di
questo noi abbiamo già trattato a sufficienza mostrando la soluzione
che preferiamo. È questa: gli uomini e le donne forti, muniti di
fede e amanti della verità, debbono evitare anche questi due tipi di
menzogna, sostenendo a tal fine le inevitabili molestie, che occorre
sopportare con animo retto e grande fortezza. L’ottava specie di
menzogne è quella in cui il mentire non danneggia nessuno e giova a
qualcuno, preservandolo dall’essere contaminato nel corpo con una
di quelle lordure che sopra abbiamo elencate, e non altre. Infatti i
giudei ritenevano che fosse una contaminazione anche il mangiare
senza lavarsi le mani. Che se qualcuno chiamasse impurità anche
questo, io non la ritengo tale che per evitarla si possa mentire. Se
però si trattasse d’una menzogna che danneggia qualcuno, anche nel
caso che ti preservi da quella contaminazione che la gente aborrisce
e detesta [io mi chiederei ancora]: Si deve anche in tal caso dire
una menzogna dalla quale non deriva un disordine che rientri tra
quelle sudicerie di cui ora stiamo trattando? Ma è una questione
diversa. Non si fa più infatti una ricerca sulla menzogna, ma ci si
chiede se anche senza mentire si possa procurare a qualcuno un danno
per eliminare una contaminazione da una terza persona. Per parte mia,
io penserei che ciò non sia affatto lecito, anche se si trattasse di
piccolissimi danni, come quello che sopra ho ricordato, cioè la
perdita di un solo moggio. È pur vero che lascia molto perplessi il
fatto che non dobbiamo arrecare a nessuno nemmeno il più piccolo
torto, quando facendolo una qualche persona potrebbe essere riparata
o protetta contro la minaccia di uno stupro. Ma questa, come ho
detto, è un’altra questione.
Se
è mai lecito mentire.
15.
25. Ora occupiamoci della questione
accennata: è lecito o no mentire se ci si trovi nella situazione
ineludibile o di dire una menzogna o di subire uno stupro o un’altra
contaminazione altrettanto esecrabile, anche nel caso che con la
menzogna non si danneggi nessuno?
Passi
della sacra Scrittura che proibiscono la menzogna.
15.
26. Su questo argomento si aprirà
un qualche spiraglio utile alla nostra considerazione quando avremo
esaminato i libri dotati di autorità divina che proibiscono la
menzogna. In effetti se essi non ci danno alcun fondamento è inutile
che noi cerchiamo altrove le soluzioni. Bisogna infatti attenersi ad
ogni costo al comando di Dio e seguire di buon grado la sua volontà
anche se, per eseguire i suoi comandi, dobbiamo affrontare dei
patimenti. Se viceversa rimanesse aperto un qualche varco, in tal
caso non sarebbe obbligatorio rifuggire dalla menzogna. Le divine
Scritture infatti descrivono non solo i precetti di Dio ma anche la
vita e il comportamento dei santi, e così, qualora il senso di un
qualche precetto risultasse oscuro, diventerebbe comprensibile
attraverso l’agire dei santi. Bisogna tuttavia eccettuare quegli
avvenimenti che si possono prendere in senso allegorico, sebbene non
si possa dubitare che si tratti di fatti realmente avvenuti. Tali
appunto son quasi tutti gli avvenimenti narrati dai libri dell’Antico
Testamento. Chi infatti oserà dire che una qualche narrazione ivi
contenuta non rientri fra le prefigurazioni simboliche? In tal senso
anche l’Apostolo dice che i figli di Abramo raffigurano i due
Testamenti, sebbene essi fossero nati e vissuti secondo l’ordine
naturale con cui si propaga una stirpe, come è facilissimo rilevare.
Non nacquero infatti in modo tale da poter essere presi come portenti
o esseri straordinari, e così indurre l’animo di qualcuno ad
attribuire loro un valore simbolico. Lo stesso diciamo di quel dono
stupendo conferito da Dio al popolo d’Israele, quando lo liberò
dalla schiavitù che l’opprimeva in Egitto, e dei castighi con cui
lo punì per i peccati commessi durante la traversata [del deserto],
sebbene Paolo affermi che ciò avveniva con valore di simbolo. Quali
fatti dunque potrai tu trovare per considerarli una eccezione a
questa regola e sui quali oserai affermare con sicurezza che non si
possono prendere come una figura? Esclusi pertanto questi
avvenimenti, gli altri, cioè le opere dei santi del Nuovo Testamento
nelle quali c’è un richiamo chiarissimo perché ne imitiamo la
condotta, vanno presi come esempi per comprendere quei passi delle
Scritture che contengono precetti.
Porgere
l’altra guancia.
15.
27. Leggiamo nel Vangelo: Hai
ricevuto uno schiaffo? Presenta l’altra guancia.
Orbene, della pazienza noi non troviamo un esempio più forte e
sublime di quello datoci dal Signore stesso; eppure egli, quando fu
schiaffeggiato non disse: «Eccoti l’altra guancia», ma: Se
ho parlato male rimproverami del male; se invece ho parlato bene
perché mi percuoti? Con ciò dimostra
che l’offerta dell’altra guancia è da farsi nel cuore. È questa
una cosa di cui anche l’apostolo Paolo era ben cosciente. Infatti
quando fu preso a schiaffi dinanzi al pontefice non disse: «Percuoti
anche l’altra guancia», ma: Il
Signore ti percuoterà, o muro imbiancato! Tu
[che] siedi per giudicarmi secondo la
legge, e contro la legge mi fai colpire di percosse...
Egli penetrava a fondo nella realtà che il sacerdozio giudaico era
ormai diventato tale che, mentre all’esterno rifulgeva per il
titolo, all’interno s’era insudiciato con desideri di fango.
Dicendo quelle parole, egli illuminato dallo Spirito prevedeva che
quell’istituzione sotto i colpi dell’ira divina stava per
tramontare; eppure aveva il cuore pronto non solo a ricevere altri
schiaffi per amore della verità ma anche a sopportare ogni genere di
tormenti, amando sempre coloro da cui li riceveva.
Evitare
il giuramento.
15.
28. Sta scritto ancora: Io
però vi dico di non giurare in alcun modo;
eppure l’Apostolo nelle sue lettere ricorre al giuramento,
mostrando in tal modo come si debbano intendere le parole: Vi
dico di non giurare in alcun modo.
Significano che non deve succedere che a forza di giurare si passi
alla facilità nel far uso del giuramento, dalla facilità nel
giurare all’abitudine, e dall’abitudine si scivoli poi nello
spergiuro. Per questo non si trova che Paolo abbia giurato altrove
fuorché nei suoi scritti: qui infatti un’attenta considerazione
impedisce alla lingua d’uscire in espressioni incontrollate. Con
ciò egli si teneva lontano dal male, di cui è detto: Il
di più viene dal male: non il male
proprio certamente ma della fragilità di coloro nei quali anche in
questo modo si sforzava di generare fiducia. Che egli abbia proferito
giuramenti anche quando parlava e non scriveva, non so se la
Scrittura ce ne dia una qualche notizia. Quanto invece al Signore,
siccome egli dice di non giurare in alcun modo, nemmeno a chi scrive
permette di giurare. Ma anche riguardo a Paolo, è delitto affermare
che egli abbia colpevolmente trasgredito un comando [del Signore],
specialmente perché le sue lettere sono scritte e propagate per la
vita spirituale e la salvezza delle genti. Pertanto intenderemo
l’espressione del Vangelo: In alcun
modo come pronunciata nel senso che tu,
per quanto sta in te, non ammetta, non ami, non desideri con
compiacenza il giuramento come se fosse un bene.
Non
preoccuparsi del domani.
15.
29.
Vale qui quanto diciamo per le parole: Non
preoccupatevi del domani, e per le
altre: Non preoccupatevi del mangiare,
del bere e del vestire. Vediamo in
effetti che il Signore aveva una borsa dove venivano depositate le
offerte che gli si davano, perché fossero serbate per gli usi
necessari giorno per giorno; e negli Atti degli Apostoli
leggiamo che gli apostoli erogarono
molto denaro ai fratelli che erano nell’indigenza, e questo non per
un giorno ma durante la carestia che si protrasse per un tempo assai
lungo. Da ciò risulta con sufficiente chiarezza che quei precetti
[del Signore] debbono essere intesi nel senso che noi non dobbiamo
fare alcun’opera come costretti da necessità, né per l’avidità
d’accumulare beni temporali né per il timore d’essere ridotti in
miseria.
L’apostolo
deve trarre sostentamento dal Vangelo.
15.
30. Nello
stesso senso fu detto agli apostoli di non portare nulla con sé nei
loro viaggi e di ricavare il vitto dal Vangelo. In un testo lo stesso
Signore spiegò il motivo delle sue parole aggiungendo: Poiché
l’operaio è degno del suo compenso.
Dicendo così mostra chiaramente che si tratta di una concessione,
non di un comando, per cui se uno avesse fatto ciò, se cioè nel
predicare la parola avesse preso da coloro a cui si rivolgeva
qualcosa necessario per vivere, non doveva pensare d’aver commesso
una illegalità. Avrebbe potuto, naturalmente, rinunciarvi (e ciò
sarebbe stato ancor più encomiabile), come appare evidente
nell’apostolo Paolo, il quale tuttavia scriveva: Colui
che viene istruito nella parola renda partecipe il catechista di
tutti i suoi beni. E in molti altri
testi ancora mostra che ciò veniva fatto fruttuosamente da coloro ai
quali annunziava la parola, sebbene dica: Io
di questa facoltà non mi sono mai avvalso.
Il signore dunque, dicendo quelle parole, diede un permesso, non
obbligò con un comando. Conclusione: Quando nelle parole non
riusciamo a capirne il senso, dall’operato dei santi ricaviamo come
bisogna intenderle, mentre se non fossimo trattenuti dai loro esempi,
saremmo facilmente portati ad interpretazioni diverse.
La
bocca del cuore.
16.
31. Si pone la domanda a quale bocca
volesse riferirsi l’autore sacro quando scriveva: La
bocca che mente uccide l’anima.
Spesso infatti la Scrittura quando nomina la bocca si riferisce agli
intimi recessi del cuore, dove si accetta con godimento e si
determina ciò che si proferisce con la voce, allorché parliamo
secondo verità. Ne segue che quanti godono della menzogna, nel cuore
sono mentitori. Potrebbe invece non mentire col cuore colui che,
dicendo a parole ciò che non ha nel cuore, lo fa sapendo di
commettere del male ma si comporta così per evitare un male
maggiore, spiacente di tutt’e due i mali [che gli si presentano].
Coloro che sostengono questo principio dicono che in tal senso
bisogna intendere anche la parola della Scrittura: Colui
che pronunzia la verità nel suo cuore.
Col cuore infatti si deve sempre dire la verità, ma non sempre la si
dice con le labbra: ad esempio, se a dire con la voce cose diverse da
quelle che si hanno nell’animo costringa il motivo d’evitare un
male maggiore. Che effettivamente anche il cuore abbia una bocca lo
si comprende dal fatto che là dove ci sono parole non si può
escludere che ci sia anche una bocca. Pertanto non sarebbe corretta
l’espressione: Colui che parla nel suo
cuore, se non si intendesse (e
giustamente) che anche il cuore ha una bocca. Anzi, quello stesso
testo dove è scritto che la bocca
menzognera uccide l’anima, se si bada
bene al contesto non lo si deve (forse) riferire ad altro che alla
bocca del cuore. È oscura infatti una risposta quando rimane celata
agli uomini: i quali non possono ascoltare [quanto dice] la voce del
cuore se non risuona anche sulla bocca del corpo. Dice però la
Scrittura nel testo citato che tale voce giunge all’orecchio dello
Spirito del Signore, che riempie tutta la terra. Nello stesso brano
la Scrittura parla anche di labbra, di voce e di lingua; ma dicendo
che son note al Signore non consente altro significato se non quello
che si riferisce al cuore. Quando poi di quel suono si dice che
colpisce il nostro orecchio, significa che esso non resta celato
nemmeno agli uomini. Così infatti sta scritto: Lo
Spirito della sapienza è amico dell’uomo e non libera il
maldicente dalle sue parole. Dio infatti è testimone dei suoi
sentimenti, indagatore verace del suo cuore e ascoltatore della sua
lingua. Poiché lo Spirito del Signore riempie tutto l’universo, e
colui che contiene tutte le cose [ne]
conosce la voce. Per questo, l’uomo che dice cose cattive non può
rimanere nascosto, né lo risparmierà il giudizio che viene a
punire. Si farà un’indagine sui pensieri dell’empio: l’ascolto
dei suoi discorsi verrà effettuato dal Signore, che lo castigherà
delle sue azioni inique. Infatti l’orecchio geloso ascolta tutto,
né gli è nascosto il chiasso delle mormorazioni. Guardatevi
pertanto dalla mormorazione, che non giova a nulla, e impedite alla
lingua d’essere maldicente, poiché anche una risposta segreta non
rimarrà senza effetto. La bocca che mente poi uccide l’anima.
Sembra quindi che le minacce siano rivolte a coloro che ritengono sia
nascosto e segreto ciò che pensano e rimuginano nel cuore. Il testo
sacro viceversa dimostra che ciò è talmente palese all’orecchio
di Dio da chiamarlo addirittura un chiasso.
La
bocca del cuore secondo il Vangelo.
16.
32. Anche nel Vangelo troviamo
apertamente menzionata la bocca del cuore, tanto che in uno stesso
luogo vediamo il Signore far menzione della bocca del corpo e di
quella del cuore. Dice: Anche voi siete
tuttora privi d’intelligenza? Non capite come tutto ciò che entra
per la bocca va nel ventre e si scarica nella fogna? Quanto invece
esce dalla bocca proviene dal cuore e questo sì che contamina
l’uomo. Dal cuore infatti escono fuori i pensieri cattivi, gli
omicidi, gli adulteri, i furti, le false testimonianze, le bestemmie.
E queste sono le cose che contaminano l’uomo.
Se interpreti questo brano pensando a un’unica bocca, cioè quella
del corpo, che senso darai alle parole: Le
cose che escono dalla bocca provengono dal cuore?
Dalla bocca del corpo infatti viene fuori anche lo sputo, anche il
vomito. Né vorrai dire che non si venga contaminati col mangiare un
cibo immondo, mentre ci si contamina col vomitarlo. Ma se questo è
cosa quanto mai assurda, dobbiamo concludere che quando il Signore
dice: Ciò che esce dalla bocca proviene
dal cuore, le sue parole vanno riferite
alla bocca del cuore. Pensiamo qui al furto. Esso può essere
compiuto (e spesso di fatto lo è) nel silenzio, senza cioè che si
levino voci del corpo o della bocca; e sarebbe proprio roba da matti
intendere la cosa nel senso che uno si contamina col peccato di furto
quando lo confessa o lo rivela, mentre rimane incontaminato quando lo
commette in silenzio. Se però le parole del Signore le riferiamo
alla bocca del cuore, non c’è alcun peccato che si possa
commettere senza parlare. Nessuna colpa infatti si commette senza che
esca da quella bocca interiore.
Astenersi
dalla mormorazione.
16.
33. Come ci si chiede quale sia la
bocca di cui è detto: La bocca che
mente uccide l’anima, così ci si può
chiedere di quale menzogna si tratti. Sembra infatti che propriamente
parli della menzogna detta per detrarre, poiché dice: Astenetevi
dalla mormorazione, che non giova in alcun modo, e trattenete la
lingua dalla detrazione. Ora questa
detrazione si ha quando uno, mosso da malevolenza, con la bocca e la
parola proferisce una cosa inventata ai danni di qualcuno; non solo,
ma anche quando in silenzio vuole che quel tale sia creduto così. E
questo è detrarre servendosi della bocca del cuore, cosa che, come
ivi è detto, non può essere celata o nascosta a Dio.
Non
voler proferire alcuna menzogna.
16.
34.
Quanto è scritto in un altro passo, e cioè: Non
voler proferire alcuna menzogna, dice
qualcuno che non equivale a non dire mai alcuna menzogna. Qualche
altro invece afferma che in forza di questa testimonianza della
Scrittura tutte le specie di menzogna son da disapprovarsi. Infatti
la cosa è detta in una forma così generica che, se uno volesse
mentire, anche se poi di fatto non mentisca, sarebbe da condannarsi
per la stessa sua intenzione. A tale interpretazione conduce il fatto
che non vi si dice: «Non proferire alcuna menzogna», ma: Non
voler proferire alcuna menzogna. Per
cui nessuno dovrà mentire, non solo, ma nessuno dovrà avere la
volontà di mentire dicendo falsità.
Elenco
di menzogne da cui astenersi.
17.
34. Ecco ora venire un altro che
dice: Ma certo!, per il fatto che dice: Non
voler proferire alcuna menzogna impone
l’obbligo di escludere e tener lontana ogni menzogna dalla bocca
del cuore, e lo fa con parole tali che da certe menzogne occorre
tenersi lontani anche con la bocca del corpo. Queste sono soprattutto
le menzogne riguardanti la dottrina religiosa. Ce ne sarebbero poi
altre da cui non ci si dovrebbe astenere dal proferirle con la bocca
del corpo, quando lo richiede la necessità di evitare un male
maggiore, mentre con la bocca del cuore dobbiamo in ogni caso
astenerci da qualsiasi menzogna. In tal caso le parole: Non
volere vanno interpretate nel senso che
la stessa volontà è identificata con la bocca del cuore, per cui
quando mentiamo contro voglia per evitare un male maggiore, la cosa
non riguarda la bocca del cuore. C’è poi una terza interpretazione
da dare alle parole: Non volere,
la quale ti consentirebbe di mentire, escludendo però alcuni tipi di
menzogna. Sarebbe come se ti si dicesse: «Non voler credere ad ogni
uomo», dove non ti si dice di non credere a nessuno ma di non
credere a tutti, sebbene a qualcuno tu possa credere. Riguardo poi
alle parole con cui il testo prosegue, e cioè: La
frequenza a mentire non arreca alcun bene,
a quanto sembra, esse starebbero a significare che non è proibita la
menzogna in sé ma la frequenza nel mentire, cioè l’abitudine e la
voglia di mentire. In questo abuso cadrebbe evidentemente chiunque
ritenesse lecito l’uso indiscriminato di qualsiasi menzogna, non
evitando nemmeno quelle che si dicono in materia di fede e di
dottrina religiosa. Ma dove potremmo trovare un’enormità più
grave di questa, non solo fra le menzogne ma anche fra tutti i
peccati? In essa cadrebbe colui che con la volontà acconsente a dire
una qualsiasi menzogna, magari semplice, magari innocua, ma la dice
non contro voglia, per evitare mali maggiori, ma di proposito, per il
gusto di mentire. Il testo in parola dunque può essere inteso in tre
modi: primo, non solo non dire alcuna menzogna ma non aver la volontà
di dire menzogne di sorta; secondo, non voler dire menzogne nemmeno
contro voglia, sebbene ci sia da evitare un male più grave; terzo,
non voler dire qualsiasi menzogna ma, escludendo alcuni casi in cui
la menzogna è proibita, negli altri sarebbe permessa. Una di queste
interpretazioni è sostenuta da coloro che non accettano in nessun
caso la menzogna, le altre due sono accettate da coloro che pensano
che a volte almeno si può mentire. Sulle parole che seguono [nel
testo, e cioè]: La frequenza a mentire
non arreca alcun bene, non saprei se le
si possa prendere a sostegno della prima fra queste interpretazioni,
a meno che non si ritenga che il non mentire affatto e la volontà di
escludere ogni sorta di menzogna sia un precetto riguardante i
perfetti, mentre la frequenza nel mentire sia un divieto che vale
anche per i proficienti. Questo, perché se a tutti fosse ingiunto di
non mentire mai e perfino di non nutrire la volontà di mentire, la
cosa sarebbe contraddetta da esempi dove almeno alcune menzogne sono
approvate da documenti assai autorevoli. Si potrebbe rispondere così:
riguardano i proficienti i divieti di mentire ove ci sia di mezzo
l’uno o l’altro dei doveri di carità da praticarsi nella vita
presente, ma in generale ogni sorta di menzogna è un male, da
evitarsi a tutti i costi dai perfetti e spirituali. Tant’è vero
che la frequenza a mentire non è lecita nemmeno ai proficienti. Si è
già parlato delle ostetriche egiziane, le cui menzogne furono
approvate per l’intenzione che avevano di rendersi utili. C’è
infatti un certo avvicinamento nell’amare la vera ed eterna
sapienza quando si mente mossi da bontà d’animo, sia pure per
procurare a qualcuno la salute nel solo ambito della vita mortale.
Dio
disperde tutti i mentitori.
17.
35. Riguardo alle parole della
Scrittura: Tu disperdi tutti coloro che
proferiscono menzogne c’è chi dice
che in esse non viene eccettuata nessuna menzogna ma tutte sono
condannate. Al contrario qualcuno dice: Certo che è così, ma si
parla solo di coloro che proferiscono menzogne con il cuore, come è
stato esposto nel paragrafo antecedente. In effetti dice la verità
con il cuore chi detesta la necessità di dover mentire ritenendola
una punizione che grava sulla presente vita mortale. Un altro dice:
Dio disperde tutti coloro che proferiscono menzogne, ma non tutte le
menzogne. Il profeta infatti lascia sottintendere una particolare
menzogna, sulla quale a nessuno si concede perdono. È quando uno non
solo non riconosce il suo peccato ma lo difende, rifiutandosi di
farne penitenza. Gli sembra roba da poco agire male, che anzi, pur
volendo apparire giusto, non si sottopone alla medicina della
confessione. La differenza stessa delle parole usate non sembrerebbe
richiedere altra spiegazione [che questa]. Dice infatti: Tu
hai in odio tutti coloro che operano il male,
ma non li disperdi se pentiti dicono la verità nella loro
confessione e operando la verità vengono alla luce, come è detto
nel Vangelo di Giovanni: Chi fa la
verità viene alla luce. Al contrario
nell’altro testo dice: Tu disperdi
tutti coloro che non solo compiono
opere da te odiate ma anche proferiscono
menzogne, pretendendo una falsa
giustizia e ricusando di confessare la colpa e ravvedersi.
Sulla
falsa testimonianza.
17.
36.
Ora un cenno sulla falsa testimonianza, ricordata tra i dieci
comandamenti. Al riguardo non si può in alcun modo sostenere che
basti conservare nel cuore la verità mentre con la bocca si dice una
falsa testimonianza ai danni di colui per il quale la si dice. Quando
si parla con Dio basta certo esser fedeli alla verità con il cuore,
ma quando si parla agli uomini occorre dire il vero anche con la
bocca, perché all’uomo non è dato penetrare nel cuore. Riguardo
però alla testimonianza in se stessa, non è assurdo chiedersi chi
sia colui dinanzi al quale si è testimoni. Non siamo infatti
testimoni con tutti quelli a cui parliamo, ma solo con coloro a cui
compete, o è doveroso, conoscere la verità o credere, per mezzo
nostro, alla verità. Tale è il giudice, perché non incorra in
errore quando giudica; tale è colui che viene istruito sulla
dottrina religiosa, perché non commetta errori nella fede o perché
non abbia a dubitare e a restare perplesso sull’autorità del suo
insegnante. Se viceversa viene a interrogarti o a chiederti
informazioni uno che va in cerca di cose che non lo riguardano o non
giova che lui le sappia, costui è uno che vuol trovare non un
testimone ma un delatore. Se pertanto a costui rispondi con una
menzogna, forse non avrai proferito una falsa testimonianza, ma sei
certamente reo di menzogna.
Se
una qualche volta sia lecito mentire.
18.
36. Assodato che non è mai lecito
proferire una falsa testimonianza, si pone il quesito se una qualche
volta sia lecito mentire. Se poi qualsiasi menzogna è una falsa
testimonianza, è da vedersi se ammetta qualche compensazione che
consenta di mentire per evitare più gravi peccati. È come per il
precetto scritturale: Onora il padre e
la madre. Lo si trasgredisce senza
colpa quando urge un dovere superiore. Pensiamo a quel tale che il
Signore chiamava per annunziare il regno di Dio: a lui fu dal Signore
stesso proibito di tributare al proprio padre l’estrema onoranza
della sepoltura.
Si
discute su Prov
29, 27.
18.
37.
Esaminiamo ora il passo della
Scrittura che dice: Il figlio che
accoglie la parola sarà molto lontano dalla perdizione; quando
l’accoglie, l’accoglie per sé e nessuna falsità esce dalla sua
bocca. Qualcuno afferma che nel testo
citato, e cioè: Il figlio che accoglie
la parola, il termine «figlio «non è
da riferirsi ad altri che al Verbo di Dio, che è la verità.
Pertanto il figlio che accoglie la
parola, sarà molto lontano dalla perdizione
va riferito a quell’altro testo: Tu
disperdi tutti coloro che proferiscono menzogne.
Quanto al seguito della frase: Quando
l’accoglie, l’accoglie per sé,
cosa vi si insinua se non quanto diceva l’Apostolo con le parole:
Esamini dunque ciascuno la sua opera e
così avrà la gloria in se stesso e non in altri?
Chi infatti accoglie la parola, cioè la verità, non per se stesso
ma per piacere agli uomini, non la conserverà integra qualora si
accorga che con la menzogna può rendersi loro accetto. Se al
contrario uno accoglie la parola per sé, mai alcuna falsità potrà
uscire dalla sua bocca poiché, per quanto agli uomini possa piacere
la menzogna, non si lascerà mai indurre a mentire colui che ha
accolto per sé la verità, non quella per cui si piace alla gente ma
a Dio. Non si può dire pertanto nel nostro caso che Dio disperde,
sì, tutti coloro che proferiscono menzogne ma non ogni menzogna in
quanto tale. Viceversa tutte le menzogne nel senso più ampio della
parola sono riprovate nel testo: E nulla
di falso esce dalla sua bocca. A questo
punto qualcuno dirà che il testo potrebbe essere preso nel senso in
cui l’apostolo Paolo prese la parola del Signore: Ma
io vi dico di non giurare affatto. È
questa infatti un’affermazione che esclude ogni giuramento. Lo
esclude però dalla bocca del cuore, per cui non è mai consentito
approvarlo con la volontà. Può essere invece reso lecito dalla
necessità di andare incontro alla debolezza altrui, cioè da un male
che affligge il prossimo, al quale non pare ci sia altra possibilità
di fargli accettare quanto diciamo se non lo confermiamo col
giuramento. La liceità può dipendere anche da quel male che è in
noi in quanto, rivestiti come siamo dall’involucro della mortalità,
non riusciamo ad esternare il nostro cuore. Se avessimo questo
potere, certo non dovremmo ricorrere al giuramento. Inoltre nella
presente espressione presa globalmente [è consentito prendere] le
parole: Il figlio che accoglie la parola
sarà molto lontano dalla perdizione
come dette della stessa Verità ad opera della quale tutto è stato
creato, la quale resta sempre immutabile. E siccome l’insegnamento
della religione mira a condurci alla contemplazione della Verità,
può supporsi che le parole: E dalla sua
bocca non esce alcuna falsità siano
dette affinché non si dica alcunché di falso in ciò che riguarda
tale insegnamento. È infatti, questa specie di menzogna, tale che
non si deve ammettere alcun motivo che valga a giustificarla; la si
deve anzi evitare radicalmente e con somma cura. Quanto alle parole:
Nessuna falsità,
è assurdo interpretarle come non riferite ad ogni specie di
menzogna. E le altre: Dalla sua bocca,
secondo l’esposizione precedente, cercherà di riferirle alla bocca
del cuore colui che ritiene che in qualche caso sia ammesso mentire.
Gli
uomini errano nella valutazione dei beni.
18.
38.
La discussione su questo punto si presenta, certo, diversificata.
Alcuni infatti sostengono che mai è lecito mentire, e a prova della
loro asserzione citano testimonianze dei libri divini; contraddicono
altri, i quali ricercano fra le testimonianze degli stessi libri
divini parole favorevoli alla menzogna. Nessuno tuttavia può
affermare che negli esempi o nelle espressioni scritturali si trovi
qualcosa, anche solo apparente, da cui si possa concludere che sia
consentito amare la menzogna o soltanto non odiarla. Al massimo si
può ricavare che a volte è lecito, ricorrendo alla menzogna, fare
qualcosa che si odia, per evitare un male ancora più detestabile.
Facendo così però l’uomo cade nell’errore in quanto subordina
cose preziose ad altre meno apprezzabili. Ammesso infatti che si
possa tollerare un qualche male perché non abbia a succederne un
altro più grave, ciascuno classificherà questi mali non secondo la
norma della verità ma secondo le sue inclinazioni e consuetudini, e
riterrà più grave non ciò che in realtà è da sfuggirsi con
maggiore impegno ma ciò che personalmente ciascuno detesta di più.
È questo un vizio prodotto in noi dal disordine nell’amare. Sono
infatti due le nostre vite: la vita eterna, promessa da Dio, e la
vita temporale che viviamo adesso. Se dunque uno comincia ad amare la
presente vita temporale più della vita eterna, si riterrà in dovere
di fare ogni cosa per la vita che predilige, e concluderà che non ci
sono peccati più gravi di quelli che ledono questa vita o che
ingiustamente e illecitamente le sottraggono un qualche vantaggio o
la sopprimono del tutto mediante la morte. Odiano pertanto i ladri, i
sequestratori, i diffamatori, i torturatori e gli omicidi più che
non i dissoluti, gli ubriaconi, gli sporcaccioni, se questi non
recano molestia ad alcuno. Non comprendono, o non vogliono prendere
veramente sul serio, il fatto che costoro offendono Dio, non perché
nuocciano a lui ma perché danneggiano gravemente se stessi rovinando
in se stessi i doni, anche di beni temporali, ricevuti da lui e
compromettendo con i loro abusi gli stessi beni eterni. Questo vale
soprattutto per coloro che son diventati tempio di Dio, come dice
l’Apostolo nei confronti di tutti i cristiani: Non
sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?
Chi profanerà il tempio di Dio, Dio lo abbatterà. È infatti santo
il tempio di Dio, e questo tempio siete voi.
Varie
specie di peccati.
18.
39.
Abbiamo elencato peccati con i quali si danneggia la gente nei beni
di questa vita e peccati con cui l’uomo si degrada ma non reca
danno a nessuno che opponga resistenza. Ebbene tutti questi peccati,
per quanto sembrino arrecare un qualche piacere o vantaggio per la
presente vita temporale (senza tale intenzione o finalità nessuno li
commetterebbe!), tuttavia nei riguardi della vita eterna sono un
impedimento assoluto per coloro che ne sono avviluppati. E di essi
alcuni creano impedimento solo a chi li commette, mentre altri sono
d’impedimento anche per coloro a danno dei quali si commettono.
Quando infatti si sottraggono agli iniqui i beni che si vuol
conservare in vista dell’utile che arrecano nella vita presente,
peccano soltanto coloro che commettono il male, estraniandosi così
dalla vita eterna, e non coloro a danno dei quali si commette il
male. Se pertanto uno si lascia togliere tali beni sia per non
compiere il male sia per non subire conseguenze più gravi nei
riguardi degli stessi beni, non solo non commette peccato ma agisce,
nel primo caso, con fortezza e in modo encomiabile; nel secondo con
profitto e senza cadere in colpa. Quanto invece ai beni che si
tutelano per motivi di santità o di religione, se gli iniqui
vorranno sottrarceli ricorrendo alla violenza, potremo salvaguardarli
anche ricorrendo a peccati più piccoli, ma non certo recando del
danno al prossimo, qualora questa condizione venga posta e ci sia
possibilità [d’agire diversamente]. In tal caso quanto si compie
per evitare i peccati più gravi cessa d’essere peccato. In questo
senso, quando si tratta d’un qualche bene utile, come il denaro o
qualche altro oggetto che risulti vantaggioso per il corpo, noi non
parliamo di danno se si perde qualcosa per ottenere un guadagno più
cospicuo. Allo stesso modo nelle cose sacre non chiamiamo peccato ciò
che si compie per non commettere un peccato più grave. Che se si
chiama danno anche ciò che si perde al fine di non perdere il di
più, potrà anche quella perdita chiamarsi peccato, ma nessuno
dubiti che lo si possa commettere per evitare il danno più grave,
come nessuno dubita che occorre tollerare un danno minore al fine di
evitarne uno maggiore.
Verecondia,
castità, verità.
19.
40. Per conseguire la santità
dobbiamo esser forniti di queste tre doti: la verecondia del corpo,
la castità del cuore, la verità della dottrina. Quanto alla
verecondia del corpo, nessuno può violarla senza il consenso e
l’approvazione dell’anima. Non è infatti impudicizia una cosa,
qualunque sia, che ci raggiunga nel corpo per una violenza esterna
senza che noi diamo alcun consenso, anzi restando contrari. Riguardo
a questo, possono esserci dei motivi per permettere la cosa ma
nessuno per acconsentirvi. Vi acconsentiamo quando approviamo il male
e lo vogliamo; non lo vogliamo invece ma solo lo permettiamo quando
lo facciamo per evitare una qualche sconcezza più grave. Se al
contrario si acconsente all’impudicizia del corpo, un tale atto
viola anche la castità del cuore. In effetti la castità del cuore
consiste nella volontà rivolta al bene e nell’amore sincero, che
non è violato se non quando amiamo e desideriamo ciò che la Verità
ci insegna di non dover amare o desiderare. Occorre dunque conservare
la nitidezza della dilezione tanto verso Dio quanto verso il
prossimo, poiché è con essa che viene consacrata la castità del
cuore. Con tutte le forze e con devote suppliche ci si deve impegnare
affinché, quando fosse insidiata la pudicizia del nostro corpo,
nessuna attrattiva venga a toccare i sensi dell’anima, nemmeno
quelli che, essendo più all’esterno, sono collegati con la carne.
Se questo non sarà possibile, si conservi la castità del cuore
negando il consenso [a tali moti]. Nella castità del cuore è poi
importante conservare i requisiti dell’innocenza e della
benevolenza, per quel che riguarda l’amore del prossimo, e la pietà
per quanto riguarda l’amore di Dio. L’innocenza sta nel non
nuocere ad alcuno, la benevolenza si ha quando ci rendiamo utili a
chi ci è possibile; la pietà consiste nell’onorare Dio. Quanto
alla verità della dottrina, della religione e della pietà, è
questa che si viola quando si dicono menzogne, poiché la Verità in
se stessa, la Verità somma e nascosta nell’anima che è
all’origine della dottrina, non la si può in alcun modo violare.
Ad essa si potrà giungere e con lei rimanere ed a lei aderire
soltanto allorché questo corpo corruttibile avrà rivestito
l’incorruttibilità e questo corpo mortale avrà rivestito
l’immortalità. Ma siccome nella vita presente la pietà consiste
totalmente in un esercizio con cui si mira ad acquistarla, a questo
esercizio fa da guida la dottrina [della fede], che propone e inculca
la stessa verità con parole umane e con segni concreti carichi di
portata sacramentale. A tal fine anche questa dottrina, che di per sé
può essere falsata dalla menzogna, dev’essere con la massima cura
conservata incorrotta; e se in tale castità del cuore si fosse
violato qualcosa, si procuri in ogni modo di rimediarvi. Se invece
anche la dottrina venisse alterata nella sua autorevolezza, non
potrebbe esserci più via né di andata né di ritorno per
raggiungere la castità del cuore.
La
salvaguardia della verecondia non autorizza menzogne.
20.
41. Da tutto quello che è stato
detto si ricaverebbe la conclusione che per conservare la verecondia
corporale si possa tollerare la menzogna, almeno quella che non lede
né la dottrina della fede, né la pietà, né la rettitudine, né la
benevolenza. Ma supponete che uno si proponga d’amare la verità,
non solo quella che si vede nel contemplare ma anche quella che sta
nel dire ciò che è vero in ogni circostanza. Supponete anche che
costui con la bocca del corpo ritenga di non dover proferire alcuna
parola che non sia stata concepita e vagliata nel proprio animo,
preferendo la bellezza genuina derivante dalla fede non solo all’oro,
all’argento, alle pietre preziose, ai campi fioriti ma anche alla
stessa vita temporale e a tutti i beni del corpo. Non saprei dire
come in questo caso ci possa essere chi ragionevolmente dica che ciò
facendo egli è in errore. E se egli preferisse quel bene a tutte
quelle altre cose e lo valutasse più di loro, lo dovrebbe anche per
giustizia preferire ai beni degli altri uomini, che con la sua
innocenza e benevolenza deve aiutare a salvarsi. Così amerebbe
quella fede perfetta con cui non solo si crede integralmente a ciò
che viene detto da autorità superiori e degne di fede, ma anche si
proferisce con fedeltà quanto ciascuno giudica [di dover dire] e
dice di fatto. In latino infatti la fede è chiamata fides
per il fatto che quanto si dice si fa (= fit).
Ora uno che mente è chiaro che non mostra una tal fede; e se questa
fede viene lesa di meno quando uno mente perché gli si creda, senza
che ci siano peraltro conseguenze moleste per se stesso o dannose per
gli altri e si ha, inoltre, l’intenzione di proteggere la salute o
la pudicizia del corpo; tuttavia essa è sempre violata, e la
violazione avviene proprio là dove è da conservarsi la castità e
la santità del cuore. È dunque necessario anteporre la fede
perfetta alla stessa pudicizia corporale; e a questa conclusione ci
induce non l’opinione dell’uomo, che spesso è dominata
dall’errore, ma la Verità stessa, che è assolutamente
invincibile. La castità del cuore consiste infatti nell’amore ben
ordinato, che non fa porre i beni maggiori al di sotto dei beni
minori. Ora bene minore è tutto ciò che può essere violato nel
corpo rispetto a ciò che può essere violato nell’anima. E quando
uno mente per salvaguardare la pudicizia del corpo, s’accorge
certamente che solo la passione sregolata d’un estraneo, non la
propria, minaccia di ledere il suo corpo, se egli la respinge per non
partecipare alla colpa prestando il consenso. Ebbene, questo consenso
dove risiede se non nell’anima? Anche la pudicizia corporale,
quindi, non la si può deturpare se non all’interno dell’anima,
poiché se l’anima non consente né dà il suo benestare, non si
può propriamente parlare di violazione della pudicizia corporale,
qualunque oltraggio a danno del corpo si commetta dalla libidine
altrui. Se ne deduce che la castità dell’anima deve essere
rispettata con cura tanto maggiore [che non quella del corpo] poiché
nell’anima si custodisce anche la pudicizia del corpo. Concludendo:
per quanto sta in noi, occorre che mettiamo al sicuro, con quelle
mura e siepi che sono i buoni costumi e la condotta [irreprensibile],
tutt’e due le cose, in modo che non vengano lese da agenti esterni.
E se tutt’e due non le si può garantire, chi non vede quale sia
quella che occorre sacrificare all’altra? Sappiamo infatti cosa è
da valutarsi maggiormente, e cioè l’anima più del corpo, e non il
corpo più dell’anima. Come dunque non vedere che la castità del
cuore è da anteporsi alla pudicizia del corpo, e non la pudicizia
del corpo alla castità del cuore? E riguardo al peccato, cosa si
dovrà evitare con più cura: la tolleranza d’una colpa altrui o
un’azione cattiva commessa da noi?
Riassunto.
21.
42. Dall’insieme delle discussioni
fatte risulta con estrema chiarezza che dalle testimonianze
scritturali addotte non ci viene altro monito all’infuori di quello
di non mentire mai e poi mai. In realtà nella condotta dei santi e
nelle loro opere non si trova alcun esempio di menzogna che debba
essere imitato. Questo dico a proposito dei libri che non consentono
accezioni figurate o simboliche, ad esempio i racconti riportati
negli Atti degli Apostoli. Quanto invece ai fatti e ai detti del
Signore narrati nel Vangelo, che ai meno colti sembrano menzogne,
sono da prendersi in senso figurato. E così le parole dell’Apostolo:
Mi sono fatto tutto a tutti per
guadagnare tutti. È esatto
interpretarle non nel senso che egli le abbia dette per mentire ma
per adeguarsi ai deboli, mosso da tanta carità nel desiderio di
liberarli come se egli stesso si trovasse in quel male di cui voleva
fossero guariti gli altri. Non si deve dunque mentire quando è in
gioco la dottrina religiosa: ciò sarebbe un grave delitto. È questa
la prima specie di menzogne, ed è quanto mai detestabile. Non si
debbono proferire menzogne della seconda specie, perché non è
lecito danneggiare nessuno. Non si debbono proferire menzogne della
terza specie, perché non si possono recare vantaggi a uno con danno
di un altro. Non si deve mentire con la quarta specie di menzogne, e
cioè solleticati dalla voglia di mentire, cosa viziosa di per se
stessa. Non si deve mentire con la quinta specie di menzogne, poiché,
se non è lecito dire la verità con il solo intento di incontrare il
plauso della gente, quanto meno sarà lecito proferire la menzogna,
quella menzogna che di per se stessa, appunto perché è menzogna, è
cosa disonesta? Non si deve nemmeno mentire con la sesta specie della
menzogna; non è infatti cosa ben fatta distorcere la verità della
testimonianza, anche se si trattasse di provvedere all’utilità e
alla salute temporale di qualsiasi persona. Quanto poi alla salute
eterna, nessuno può esservi addotto con l’ausilio della menzogna.
Non è infatti possibile che uno si converta alla vita buona per la
condotta riprovevole di chi lo porta a conversione, poiché se verso
il proselito si potesse agir male, lo stesso convertito potrà poi
fare lo stesso verso gli altri; e così egli non è convertito per
compiere azioni buone ma cattive, dal momento che all’imitazione di
lui, una volta convertito, si presenta quel falso che gli fu offerto
perché si convertisse. Non si deve mentire dicendo menzogne del
settimo tipo. Infatti né i vantaggi temporali né la stessa salute
di alcuno possono preferirsi al progresso nella fede. Che se anche ci
fosse qualcuno che dalle nostre opere buone venisse spinto a un male
così brutto da rovinarsi nell’anima e allontanarsi seriamente
dalla [vera] religione, neanche per questo dovremmo cessare dal
compiere il bene. Dobbiamo anzi tenere ben saldi quei valori a cui
siamo obbligati a chiamare e invitare coloro che amiamo come noi
stessi. E con animo altamente risoluto dobbiamo sorbire quella
massima dell’Apostolo: Per alcuni
siamo odore di vita per la vita, per altri siamo odore di morte per
la morte: e chi mai è capace di questo?
Non si debbono nemmeno dire menzogne dell’ottavo tipo, poiché, se
si tratta di beni, è superiore la castità del cuore alla pudicizia
del corpo; se si tratta di mali, ciò che noi facciamo è più
importante di ciò che subiamo. In queste otto specie di menzogna,
uno commette un peccato tanto più lieve quanto più si avvicina
all’ottavo tipo, tanto più grave quanto più scende verso il
primo. Se poi qualcuno pensasse che esista una qualche specie di
menzogna che non sia peccato, mentre si ritiene un onesto truffatore
del prossimo, cadrebbe lui stesso in un bruttissimo inganno.
La
cecità dei paladini della menzogna.
21.
43. Ma
c’è di più. Una cecità così assoluta ha invaso l’anima di
alcuni uomini che a loro sembra roba da poco sostenere che certe
menzogne non sono peccato, che anzi dicono che a volte è peccato non
ricorrere alla menzogna. Difendendo poi l’onestà della menzogna
son giunti a dire che lo stesso apostolo Paolo è ricorso a quella
prima specie di menzogna, che fra tutte è la più esecrabile. Si
riferiscono alla lettera ai Galati, uno scritto che, come gli altri
libri biblici, fu composto per l’insegnamento della fede e della
vera pietà, e dicono che egli abbia mentito in quel passo dove,
parlando di Pietro e Barnaba, dice: Vedendo
che non si comportavano rettamente, conforme cioè alla verità del
Vangelo. Essi vogliono scusare Pietro
dall’errore e da quella distorsione di comportamento in cui era
caduto; ma nel loro tentativo, spezzando e distruggendo l’autorità
delle Scritture, sovvertono la stessa via della fede, nella quale è
riposta la salvezza di tutti gli uomini. E non s’accorgono che
facendo così riversano sull’Apostolo non solo la colpa d’una
menzogna ma anche quella dello spergiuro, e questo nell’insegnamento
stesso della fede, cioè in una lettera in cui annunzia il Vangelo.
In essa infatti prima di giungere al fatto da noi ricordato dice:
Riguardo a quello che vi scrivo, ecco,
dinanzi a Dio io non mentisco. Con
questo poniamo termine alla nostra dissertazione. Nel valutare le
varie cose che sono state dette e in qualsiasi elaborazione delle
medesime, più di tutto il resto si abbia in mente, e nella
preghiera, quanto è espresso dal medesimo Apostolo con le parole:
Dio è fedele e non permetterà che
siate tentati sopra le vostre forze, ma con la tentazione vi darà
anche una via d’uscita perché voi possiate resistere.
Tratto dal sito https://www.augustinus.it/italiano/menzogna/index2.htm
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