lunedì 8 aprile 2019

Gesù Cristo luce del mondo e l'aberrazione moderna che lo rinnega per assuefarsi alle tenebre del mondo



In occasione della festa dei Tabernacoli si faceva una grande illuminazione negli atri del Tempio, e il popolo vi accorreva con torce accese. Forse c'erano ancora le vestigia di questa illuminazione e non si erano ancora tolte le lampade sospese da ogni parte, quando Gesù, alzando la voce, si proclamò Luce e Guida del mondo, esclamando: Io sono la luce del mondo, chi mi segue non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita. In mezzo a tanto sfoggio di luce che gli Ebrei facevano nelle solennità, in realtà rimanevano nelle tenebre dello spirito e non sapevano come volgere i loro passi alla Vita eterna. Ciechi e guide di ciechi, non vedevano neppure nella loro storia e nei loro Profeti, non sapevano discernere l'avverarsi delle divine promesse e si abbrutivano miseramente in una vita tutta materiale.
Gesù si dichiarò non solo la loro Luce, ma la Luce del mondo, cioè di tutte le età e di tutte le nazioni. Luce intellettuale per la rivelazione dell'eterna Verità; Luce del cuore per la guida sicura che Egli dona alle eterne aspirazioni; Luce della vera scienza perché la orienta e le impedisce ogni traviamento; Luce della storia perché la riempie di sé e la spiega; Luce delle arti perché dona ad esse l'ispirazione sublime.
Senza di Lui c'è la barbarie e, rinnegandolo, le nazioni più civili vi ricadono, come si vede e si tocca con mano ogni giorno. Le nazioni che eclissarono semplicemente la sua luce con la nebbia fitta degli errori, delle eresie e dello scisma, decaddero e decadono precipitosamente nell'abisso e, se non giungono ancora nel fondo, è per quel residuo di cristianesimo che ancora le pervade, quasi crepuscolo del giorno già tramontato.

Gesù Cristo c'insegna e ci indica il valore vero della nostra vita; senza di Lui e senza la sua Croce, essa è quella che hanno concepito o gli epicurei abbrutiti o i fanatici impazziti o i pessimisti disperati.
Per Gesù e con Gesù la vita fiorisce soprannaturalmente, e l'orrido spineto lasciatoci dal peccato, innestandosi a Lui, rivive e fruttifica. Lavorare, rinnegarsi e portare la croce per meritare una felicità eterna è un ideale che alletta, mentre agitarsi in una lotta continua, con la sola certezza di morire, è disperante. Brancolare nel labirinto delle idee umane, senza sapere né da dove si venga né dove si vada, è lo stesso che essere preda di una furiosa tempesta che ci sommerge; navigare, invece, nella nave magnifica del Redentore, cioè nella Chiesa, è lo stesso che drizzare la prua agli eterni lidi.
La Chiesa! Quale oasi di pace e di splendori nella storia turbinosa del mondo, quale asilo di sicurezza per l'umana ragione e l'umana libertà, quale inesauribile miniera di gioie profonde per Gesù Cristo e in Gesù Cristo!
I richiami del mondo e i richiami della Chiesa
Venne una volta, sui giornali nel 1914, la continua e chiassosa propaganda di una lampada chiamata plurivalenteche doveva sostituire tutte le lampade e tutte le luci. Era riprodotta in effigie, circondata da fasci di luce vivissima e, dato il prezzo economico, invogliava a comprarla. Che cos'era in realtà? Un misero disco di stagno spalmato di una materia debolmente fosforescente!
Tutte le luci del mondo, senza Gesù Cristo e senza la sua Chiesa, questo sono: miserissime lampade plurivalenti e un'ancor più misera turlupinatura! Sapere di poter essere certi, certissimi di quello che si crede, di quello che si spera e di quello che si ama e si attende è una tale felicità che basterebbe da sola a colmare di luce il nostro povero esilio.
Avere certamente con noi il Signore, sebbene celato dai veli eucaristici, è una tale sorgente di vita che basta questo solo a mutare la valle di lacrime in un'aiuola di profumi e in un campo di balsamo dissetante. Basterebbe notare la semplice differenza che passa tra i richiami del mondo e quelli della Chiesa, per vedere dove sta la luce, la consolazione e la pace: il mondo ha i cannoni, la Chiesa le campane; il mondo lancia dalle bocche infernali la morte, la Chiesa diffonde dai campanili osannanti il placido suono che invoglia alla vita, alla vera vita; il cannone forma intorno a sé, nel suo raggio di azione, la devastazione, il campanile, invece, raggruppa intorno a sé le case e domina con voci d'amore la vita placida dei campi e la vita tranquilla e laboriosa delle famiglie.
Luce di Gesù Cristo, grida la Chiesa nel Sabato Santo: lumen Christi, e avanza verso l'altare, per ricordare che alla luce di Gesù Cristo noi avanziamo verso l'eterna Meta, che è la felicità eterna.
Le tenebre di oggi anche fra i cattolici
Ecco, noi viviamo in un'epoca di tenebre fitte, in un momento di frenesia collettiva che ci fa correre verso la catastrofe; si affondano le navi, si distruggono immani ricchezze, si corre come esercito mobilitato verso la morte, e perché? Perché manca la luce di Gesù Cristo che è Lume di vita! Si assiste al miserando spettacolo della creazione di nuove fedi fondate sull'ignoranza, di nuove religioni fondate su idoli scelleratissimi, carichi di delitti, e persino di nuovi misticismi che mostrano come simboli e oggetto di contemplazione la rivoltella, il pugnale, la bomba a mano e il teschio di morte, non per considerare la morte in ordine alla Vita eterna ma per darla spietatamente o incontrarla disperatamente.
Gli uomini sembrano impazziti, impazziti fino al delirio; sconvolgono tutto per creare, secondo loro, un ordine nuovo, e fanno rovinare tutto, travolgendo tutto nell'immane cataclisma delle rivoluzioni e delle guerre. Si presta una fede cieca ai corifei dellempietà, fino a considerarli come dèi, e si nega l'assenso nobilissimo dell'intelletto e del cuore a Gesù Cristo.
È una cosa penosissima! È necessario spegnere le false luci del mondo e riaccendere la luce di Gesù Cristo, non solo nelle nazioni ma anche tra i medesimi cattolici.
Ci sono infatti, fra essi, gravi sintomi di assideramento e di disorientamento; serpeggiano fra loro a man salva errori funestissimi e pochi se ne accorgono, assorbendone il veleno nella vita. C'è una forte infiltrazione di razionalismo, di materialismo e di naturalismo nelle anime, un aborrimento del soprannaturale, una forzata paralisi degli slanci dell'anima verso vette più alte, un subcosciente disprezzo di tutto quello che è vita interiore e vita di santità e, soprattutto, un rispetto umano spinto fino a ostentare rispetto e simpatia per gli eretici e i perversi e disprezzo e noncuranza per tutto quello che può far temere l'accusa di piccolezza d'animo o di pietà da donnette. Citiamo, a questo proposito, un tratto del Fabers, perché è troppo importante che si riaccenda in pieno la luce che ci ha dato Gesù Cristo tra i fedeli e - bisogna dirlo tra quelli stessi che li guidano, perché il disorientamento è anche tra le anime consacrate a Dio. «Vi sono molti, ai nostri tempi, i quali non dicono di non essere cristiani, ma pure scrivono e parlno come se fossero fuori e come se fossero, allo stesso tempo, cristiani e non cristiani. Essi non si diedero pena di formulare una miscredenza positiva, ma non comprendono come mai il progresso, la perfettibilità e le scoperte moderne... possano conciliarsi con quella collezione di antichi dogmi che costituiscono la religione cristiana, e inclinerebbero a rinunciare ai dogmi piuttosto che alle scoperte e invenzioni.
Tali persone mettono la dignità umana fra le considerazioni di prim'ordine, mentre, secondo loro, l'assenso dell'uomo alle dottrine e alle pratiche della Chiesa è tanto degradante alla sua nobiltà intellettuale, quanto la sua obbedienza alle medesime è superstiziosa e umiliante.
Papa e teologia, Madonna e Santi, grazie e Sacramenti, penitenza e Purgatorio, scapolari e rosari, ascetismo e misticismo, combinandosi per formare un carattere perfettamente distinto e riconoscibile, arrecano un tono alla mente e un fare alla condotta che non lasciano dubbio, e che difficilmente si sbaglia a riconoscerli... Le persone delle quali ora parliamo sono ben lontane dal nutrire stima per un tale carattere. Ai loro occhi è un carattere piccolo, debole, spregevole, codardo, gretto, pusillanime. Difetta di quell'espansione e ardire della grandezza morale, secondo il loro modo di misurare la grandezza. Queste persone tracciarono dei limiti al servizio di Dio, cercarono con lui un compromesso, lo ridussero da Creatore ad un ente che può imporre tasse e tributi e nulla più, perché Egli è un monarca costituzionale e non dispotico, ed essi si formarono della perfezione un'opinione sfavorevole, come di un'aggressione incostituzionale per parte di Dio e del suo esecutivo
Noi non ci accorgiamo che Gesù Cristo non è più considerato come luce del mondo e che alla Chiesa stessa si tende a dare una fisionomia che non discordi troppo o dal mondo o dalle pompose esibizioni di sapienza, di equilibrio e di serietà delle sette. Quasi quasi ci piace quell'ipocrita austerità di riti senz'anima e senza slanci, quel bando dato a tutto quello che riscalda il cuore e lo muta in un vibrante motore spirituale che porta l'anima nei voli dell'amore. Ci mostriamo disgustati dalle pose dei Santi che ci sembrano esagerate e tendiamo sempre più a vestirci dello smoking del mondo, per mostrarci a nostro modo seri ed equilibrati, rinnegando così la divina stoltezza della Croce.
Crediamo quasi indecoroso che un cardinale si mostri con la corona in mano o che baci un'immagine sacra; ci abituiamo troppo a confondere la luminosa maestà dell'anima che crede, spera e ama, con la boria di una serietà mondana, più ridicola di quella di un pagliaccio.
Siamo come schiavi, incatenati dalla miscredenza e dagli errori altrui, tremanti a ogni cenno del loro disprezzo per quello che è frutto di devozione e di pietà cristiana, premurosi di toglierci ogni segno di riconoscimento cristiano, rinnegatori del la nostra divina nazionalità, diremmo snobisti di satana e di quello che satana ha prodotto per renderci come stranieri e forestieri nella stessa Chiesa, simili a quegli zulù africani che passano dal loro deserto ardente in una delle nostre rumorose piazze, smarriti nello splendore della civiltà e desiderosi del covo delle loro montagne.
Non abbiamo bisogno di pseudo-cristi e pseudo-profeti
Lumen Christi, lumen Christi, luce di Gesù Cristo: gridiamolo con la Chiesa e invochiamo quest'unica luce senza farci affascinare da quelli che corrono da pazzi con le loro fiaccole fumogene, annebbiando il limpido cielo dell'anima. Luce di Gesù Cristo in pieno, nel mondo, affinché il mondo ritrovi la vita. Non abbia mo bisogno di pseudo-cristi o pseudo-profeti, anzi, ne abbiamo abbastanza e vediamo già le disastrose conseguenze delle tenebre che hanno diffuso nel mondo. Basta! Non ci serve più un uomo, qualunque esso sia, che rinnovi le gesta di Maometto e pretenda di dare un corano nuovo alla nazione e al mondo; abbiamo bisogno solo della luce di Gesù Cristo e del suo rinnovato fulgore nelle anime nostre!
La discussione di Gesù con i farisei
Quando i farisei sentirono Gesù che si proclamava Luce del mondo, insorsero contro di Lui come ad uno che si esaltava da sé ed esclamarono: Tu rendi testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è veritiera. Non capirono che quella proclamazione era una grazia, un'immensa grazia, e che Egli non cercava di glorificarsi vanamente ma di salvare, chiamandosi luce del mondo. Egli rimuoveva quasi lo schermo che lo eclissava, e rifulgeva dinanzi ai secoli che furono e che saranno come sole al centro di un sistema planetario.
Gesù Cristo un'altra volta aveva risposto alla difficoltà fatta gli dai farisei, appellandosi alla testimonianza del Padre e del Battista, come si vede al capitolo 5,33-36; Egli, anzi, allora disse che la sua testimonianza non sarebbe stata veritiera per loro se l'avesse data. Ma allora Egli parlava della sua missione esterna e logicamente si appellava alla proclamazione che ne aveva fatto il Padre dal Cielo, quando Egli andò al Giordano per ricevere il Battesimo e Giovanni sulle rive del fiume, additandolo come Messia e come Agnello di Dio, cioè come Vittima d'amore.
Ora Egli parlava di quello che era per i secoli e per il mondo, prescindendo dalla sua carriera mortale e dalla missione immediata che aveva in mezzo al suo popolo, e perciò rendeva testimonianza di sé, perché Egli solo poteva conoscere la sua origine divina da dove vengo - e l'estensione del suo disegno divino a tutte le creature: dove vado. Rispose, perciò, ai farisei: Benché io renda testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché io so da dove sono venuto e dove vado; voi, invece, non sapete da dove io venga e dove io vada. Non avevano essi detto che la caratteristica del Messia sarebbe stata il mistero della sua origine? Quando verrà il Cristo, avevano detto (7,27), nessuno saprà da dove esca; sebbene questo mistero che essi negavano perché giudicavano secondo la carne, cioè riguardando la sua origine terrena, c'era veramente e riguardava la sua origine divina. Essi poi giudicavano secondo la carne non per serena indagine sulla stessa origine terrena, ma per prendere motivo di disconoscerlo e disprezzarlo; per questo, Gesù soggiunse: Io non giudico nessuno, cioè Io non parlo per secondo fine né parlo per diminuire la vostra reputazione e la vostra autorità, ma per dirvi la verità e per condurvi alla salvezza eterna.
Gesù proclama la sua Divinità
Ritornando al nodo della questione, e cioè alla validità e al valore della testimonianza che Egli aveva reso di sé, chiamandosi luce del mondo, Gesù soggiunse che questo giudizio che Egli faceva di sé non poteva essere chiamato falso neppure considerandolo legalmente, poiché Egli, assolutamente parlando, non era il solo testimone che essi avevano ascoltato sulla sua stessa origine divina e sulla proclamazione che aveva fatto di sé come luce del mondo. Al Giordano il Padre lo aveva presentato come Figlio suo diletto nel quale si era compiaciuto (cf. Mt 3,17; Mc 1,11; Lc 3,22), e le opere che gli faceva compiere erano una luminosa conferma che Egli era il Salvatore del mondo, atteso da tanti secoli. Ora, se la Legge diceva che la testimonianza di due persone era degna di fede (cf. Dt 17,6; 19,15), ecco che la sua affermazione aveva la testimonianza di due persone: la sua e quella del Padre. Mettendosi allo stesso grado del Padre, Egli proclamava che la sua Persona era divina, e chiamandosi Figlio di Dio, conoscenza del Padre e oggetto della sua compiacenza, Egli dava alla propria testimonianza il valore più grande che poteva avere, essendo testimonianza dell'eterna sapienza e dell'eterna Verità.
Nel sentir nominare il Padre i farisei gli domandarono in tono ironico: Dov'è tuo Padre? Essi volevano dire: Tuo padre lo conosciamo bene; era quel Giuseppe di Nazaret, povero falegname.
Per questo, Gesù, rispondendo a questo loro pensiero nascosto, disse: Voi non conoscete né me né il Padre mio. Credete che perché conoscete il mio padre putativo potete conoscere me, riguardarmi come uomo e povero figlio di un fabbro; ma lo vi dico che, se voi conosceste me e approfondiste la testimonianza che di me vi rende Dio, conoscereste certamente anche il Padre mio. Egli, infatti, come Verbo del Padre ne era la conoscenza sussistente e si era fatto Uomo per farlo conoscere agli uomini; se essi avessero conosciuto Lui in questa luce, avrebbero conosciuto anche il Padre.
Queste cose soggiunge l'Evangelista - Gesù le disse nella sala del tesoro, dov'erano le casse per raccogliere le offerte dei fedeli; era la sala più vigilata, trattandosi di custodire il denaro. Le guardie del Tempio stavano pronte in ogni momento, eppure nessuno osò arrestarlo, nonostante si proclamasse così solennemente Dio, perché non era giunta la sua ora. Anche in questo, Egli dimostrava di essere il Padrone di tutto e che si sarebbe offerto spontaneamente alla morte.
Evidentemente i farisei dovettero adirarsi profondamente all'esplicita affermazione della sua Divinità e avrebbero voluto arrestarlo proprio allora; non osarono però farlo, pur rodendosi di livore. Per questo, Gesù, leggendo nel loro cuore e nei loro pensieri e rispondendo alla loro ferma decisione di ucciderlo, riprese il discorso e disse: Io me ne vado, e voi mi cercherete e morirete nel vostro peccato. Dove io vado voi non potete venire. E voleva dire: Io me ne vado quando lo vorrò Io e quando vi permetterò d'insorgere contro di me, morirò e allora ne godrete come di una vittoria riportata da voi; ma poi verrà il giorno dell'angustia terribile e voi mi cercherete, ossia cercherete il Messia che vi salvi e cercherete anche me, sospettando che lo sia stato il Messia, ma non mi riconoscerete, morirete nel vostro peccato e non mi potrete raggiungere in cielo, dove io vado". Parole terribili che danno una grande angustia: Dove io vado voi non potete venire!
Parole che annunciano la perdizione eterna di quegli infelici che tuttora sono nell'inferno e cercano invano la salvezza, avendola già rifiutata. Essi non si ricordarono solo del Messia nell'assedio e nella distruzione di Gerusalemme, ma se ne ricordano anche ora nella perdizione eterna.
O Gesù, non lo dire anche a noi, per carità, dove io sono voi non potete venire; noi ti crediamo, ti amiamo, ti vogliamo servire e ti vogliamo seguire eternamente. Che terrore ci fa questa tua parola: Dove io vado non potete venire; che pena pensando a tante anime che si perdono miseramente e sono eternamente staccate dal tuo Cuore!
I farisei, vistisi scoperti nel loro furore e nella loro decisione di ucciderlo, per dissimularla dissero alla gente: Si darà forse la morte, per dire: dove io vado voi non potete venire? Fecero un'insinuazione proprio assurda che non poteva neppure lontanamente essere giustificata dalle parole dette da Gesù, ma la fecero sia per disprezzo e sia, forse, perché pensavano di farlo morire di nascosto e spargere poi la voce che si fosse addirittura ucciso. Egli, poi, parlava con infinito amore e traspariva dalle sue parole il proposito di voler dare la vita per gli uomini; essi scambiavano quel proposito d'amore addirittura con un proposito suicida, e pensavano di poterlo sfruttare dinanzi al popolo per disfarsi di Lui definitivamente, uccidendolo e spargendo la voce che si era ucciso.
Erano così lontani dalle sue vedute damore! E Gesù soggiunge: Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. E, per disingannarli, soggiunse subito: Vi ho detto che morrete nei vostri peccati perché se non credete che io sono, morirete nel vostro peccato. Non era Lui che voleva uccidersi, ma erano essi che, ostinandosi nella loro incredulità, davano la morte all'anima loro; essi non avevano pensieri di Cielo, ma seguivano il mondo e per questo non intendevano le sue parole e non gli credevano. Dovevano pensare seriamente ai loro casi e non precipitarsi nell'abisso della perdizione con la loro ostinata incredulità.
Sentendo che Gesù parlava con accento divino della necessità assoluta di credere in Lui, i suoi interlocutori dovettero avere una certa scossa, perché quelle parole non erano indifferenti, e perciò gli domandarono: Tu chi sei? Egli aveva detto di non essere di questo mondo e non l'aveva solo affermato, ma aveva dato alle sue parole un tono e un'espressione che non erano normali e umani. Dal suo Volto doveva trasparire qualcosa di misterioso che impressionava, e perciò gli stessi suoi avversari se ne preoccuparono e gli domandarono chi Egli fosse. Gesù rispose solennemente: Il Principio, io che vi parlo , cioè Io sono Colui che era in principio presso Dio, Io sono il Principio di tutte le cose, perché tutto fu fatto per me; Io sono il Principio fondamentale di ogni sapienza, essendo Io l'eterna Sapienza"
Gesù rimase per un momento in silenzio; dalla sua persona spirava un'aura divina di solenne verità; Egli non disse semplicemente: lo sono il Principio che vi parlo, ma si mostrò in grande maestà di luce e di amore per scuotere l'insensibilità dei suoi interlocutori. Essi erano là insensibili, non capivano che si proclamava Figlio di Dio e rimuginavano tra loro stessi su come liberarsi di Lui, giudicandolo come un forgiatore di stranezze. Per questo, Gesù soggiunse: Molte cose ho da dire e da condannare a vostro riguardo, cioè lo potrei mostrarvi la genesi e la natura delle tenebre che in questo momento vi avvolgono e svelarvi quali peccati vi impediscono di vedere la luce della verità, ma vi dico solo questo: Io non sogno né dico sciocchezze, dico al mondo quello che ho udito dal Padre che mi ha mandato e il Padre è veritiero. E soggiunse: "Voi mi domandate chi lo sia senza riflettere a tutto ciò che vedete e al compimento delle profezie; anzi, mi rinnegate e pensate come togliermi di mezzo e uccidermi. Ed Io vi dico che proprio quando, crocifiggendomi, mi avrete sollevato in alto sulla terra, allora conoscerete, dai prodigi che avverranno nella mia morte e da quelli che seguiranno nella mia risurrezione, quello che Io sono. Ascolterete le mie ultime parole rivolte a voi e al Padre, e capirete da esse che Io non sono un sopraffatto da voi, ma che compio ciò che il Padre ha voluto che compissi; lo compio secondo i suoi disegni e la sua Volontà e parlo secondo l'eterna Verità, essendo Io Verbo di Dio e sua conoscenza sussistente. Capirete, allora, che Io non sono sulla Croce perché maledetto e abbandonato dal Padre, come potrebbe esserlo qualunque malfattore che pende dal legno dell'infamia, ma che lo vi sono per compiere fino all'ultimo il disegno e la Volontà del Padre e per compierlo in sua compagnia, amandolo, cioè, ed essendo amato da Lui di amore infinito. Allora capirete che in Croce ci sono Io che parlo secondo quello che il Padre mi ha insegnato, cioè ci sono Io Verbo del Padre ed Io che nulla faccio da me, perché sono il Verbo Incarnato, disceso in terra per compiere la Volontà di Dio. Capirete che il Padre è con me e non mi ha lasciato solo, amandomi infinitamente, e che lo sono con Lui e lo amo infinitamente, compiendo la sua volontà; capirete, quindi, che col Padre e con me c'è l'eterno Amore che procede dal Padre e da me, e unisce il Padre a me e me al Padre. È questo il senso delle misteriose e divinamente sintetiche parole che Gesù disse: Quando avrete innalzato da terra il Figlio dell'uomo, allora conoscerete quello che io sono, e che nulla faccio da me stesso, ma parlo secondo quello che il Padre mi ha insegnato. E Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre ciò che piace a lui. Gesù poi diceva: Allora capirete, per dire: allora sarà manifesto e, per riferirsi a quelli che nella sua morte si sarebbero ricreduti, avrebbero abbracciato la fede e avrebbero compreso, a poco a poco, l'ineffabile mistero della redenzione. Egli non poteva esprimersi più chiaramente e parlò con sintesi divina per non dare occasione ai suoi nemici di inveire di più contro di Lui e peggiorarsi. Egli, però, parlando, fece rifulgere come vita la verità che diceva, e per questo molti credettero in lui, molti di quelli che non erano interamente accecati dalle passioni e nella cui mente poteva penetrare la luce della Verità.


Tratto da "I quattro Vangeli - Commento al Vangelo di Giovanni - del Sacerdote Dolindo Ruotolo



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