In
occasione della festa dei Tabernacoli si faceva una grande
illuminazione negli atri del Tempio, e il popolo vi accorreva con
torce accese. Forse c'erano ancora le vestigia di questa
illuminazione e non si erano ancora tolte le lampade sospese da ogni
parte, quando Gesù, alzando la voce, si proclamò Luce e Guida del
mondo, esclamando: Io
sono la luce del mondo, chi mi segue
non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita.
In mezzo
a tanto sfoggio di luce che gli Ebrei facevano nelle solennità, in
realtà rimanevano nelle tenebre dello spirito e non sapevano come
volgere i loro passi alla Vita eterna. Ciechi e guide di ciechi, non
vedevano neppure nella loro storia e nei loro Profeti, non sapevano
discernere l'avverarsi delle divine promesse e si abbrutivano
miseramente in una vita tutta materiale.
Gesù
si dichiarò non solo la loro Luce, ma la
Luce del mondo, cioè
di tutte le età e di tutte le nazioni. Luce intellettuale per la
rivelazione dell'eterna Verità; Luce del cuore per la guida sicura
che Egli dona alle eterne aspirazioni; Luce della vera scienza perché
la orienta e le impedisce ogni traviamento; Luce della storia perché
la riempie di sé e la spiega; Luce delle arti perché dona ad esse
l'ispirazione sublime.
Senza
di Lui c'è la barbarie e, rinnegandolo, le nazioni più civili vi
ricadono, come si vede e si tocca con mano ogni giorno. Le nazioni
che eclissarono semplicemente la sua luce con la nebbia fitta degli
errori, delle eresie e dello scisma, decaddero e decadono
precipitosamente nell'abisso e, se non giungono ancora nel fondo, è
per quel residuo di cristianesimo che ancora le pervade, quasi
crepuscolo del giorno già tramontato.
Gesù
Cristo c'insegna e ci indica il valore vero della nostra vita; senza
di Lui e senza la sua Croce, essa è quella che hanno concepito o gli
epicurei abbrutiti o i fanatici impazziti o i pessimisti disperati.
Per
Gesù e con Gesù la vita fiorisce soprannaturalmente, e l'orrido
spineto lasciatoci dal peccato, innestandosi a Lui, rivive e
fruttifica. Lavorare, rinnegarsi e portare la croce per meritare una
felicità eterna è un ideale che alletta, mentre agitarsi in una
lotta continua, con la sola certezza di morire, è disperante.
Brancolare nel labirinto delle idee umane, senza sapere né da dove
si venga né dove si vada, è lo stesso che essere preda di una
furiosa tempesta che ci sommerge; navigare, invece, nella nave
magnifica del Redentore, cioè nella Chiesa, è lo stesso che
drizzare la prua agli eterni lidi.
La
Chiesa! Quale oasi di pace e di splendori nella storia turbinosa del
mondo, quale asilo di sicurezza per l'umana ragione e l'umana
libertà, quale inesauribile miniera di gioie profonde per Gesù
Cristo e in Gesù Cristo!
I
richiami del mondo e i richiami della Chiesa
Venne
una volta, sui giornali nel 1914, la continua e chiassosa propaganda
di una lampada chiamata “plurivalente”
che
doveva sostituire tutte le lampade e tutte le luci. Era riprodotta in
effigie, circondata da fasci di luce vivissima e, dato il prezzo
economico, invogliava a comprarla. Che cos'era in realtà? Un misero
disco di stagno spalmato di una materia debolmente fosforescente!
Tutte
le luci del mondo, senza Gesù Cristo e senza la sua Chiesa, questo
sono: miserissime lampade plurivalenti e un'ancor più misera
turlupinatura! Sapere di poter essere certi, certissimi di quello che
si crede, di quello che si spera e di quello che si ama e si attende
è una tale felicità che basterebbe da sola a colmare di luce il
nostro povero esilio.
Avere
certamente con noi il Signore, sebbene celato dai veli eucaristici, è
una tale sorgente di vita che basta questo solo a mutare la valle di
lacrime in un'aiuola di profumi e in un campo di balsamo
dissetante. Basterebbe notare la semplice differenza che passa tra i
richiami del mondo e quelli della Chiesa, per vedere dove sta la
luce, la consolazione e la pace: il mondo ha i cannoni, la Chiesa le
campane; il mondo lancia dalle bocche infernali la morte, la Chiesa
diffonde dai campanili osannanti il placido suono che invoglia alla
vita, alla vera vita; il cannone forma intorno a sé, nel suo raggio
di azione, la devastazione, il campanile, invece, raggruppa intorno a
sé le case e domina con voci d'amore la vita placida dei campi e la
vita tranquilla e laboriosa delle famiglie.
Luce
di Gesù Cristo, grida
la Chiesa nel Sabato Santo:
lumen Christi, e
avanza verso l'altare, per ricordare che alla luce di Gesù Cristo
noi avanziamo verso l'eterna Meta, che è la felicità eterna.
Le
tenebre di oggi
anche fra i cattolici
Ecco,
noi viviamo in un'epoca di tenebre fitte, in un momento di frenesia
collettiva che ci fa correre verso la catastrofe; si affondano le
navi, si distruggono immani ricchezze, si corre come esercito
mobilitato verso la morte, e perché? Perché manca la luce di Gesù
Cristo che è Lume di vita! Si assiste al miserando spettacolo della
creazione di nuove fedi fondate sull'ignoranza, di nuove religioni
fondate su idoli scelleratissimi, carichi di delitti, e persino di
nuovi misticismi che mostrano come simboli e oggetto di
contemplazione la rivoltella, il pugnale, la bomba a mano e il
teschio di morte, non per considerare la morte in ordine alla Vita
eterna ma per darla spietatamente o incontrarla disperatamente.
Gli
uomini sembrano impazziti, impazziti fino al delirio; sconvolgono
tutto per creare, secondo loro, un ordine nuovo, e fanno rovinare
tutto, travolgendo tutto nell'immane cataclisma delle
rivoluzioni e delle guerre. Si presta una fede cieca ai corifei
dell’empietà,
fino a considerarli come dèi, e si nega l'assenso nobilissimo
dell'intelletto e del cuore a Gesù Cristo.
È
una cosa penosissima! È necessario spegnere le false luci del mondo
e riaccendere la luce di Gesù Cristo, non solo nelle nazioni ma
anche tra i medesimi cattolici.
Ci
sono infatti, fra essi, gravi sintomi di assideramento e di
disorientamento; serpeggiano fra loro a man salva errori funestissimi
e pochi se ne accorgono, assorbendone il veleno nella vita. C'è una
forte infiltrazione di razionalismo, di materialismo e di naturalismo
nelle anime, un aborrimento del soprannaturale, una forzata paralisi
degli slanci dell'anima verso vette più alte, un subcosciente
disprezzo di tutto quello che è vita interiore e vita di santità e,
soprattutto, un rispetto umano spinto fino a ostentare rispetto e
simpatia per gli eretici e i perversi e disprezzo
e noncuranza per tutto quello che può far temere l'accusa di
piccolezza d'animo o di pietà da donnette. Citiamo, a questo
proposito, un tratto del Fabers, perché è troppo importante che si
riaccenda in pieno la luce che ci ha dato Gesù Cristo tra i fedeli e
- bisogna dirlo –
tra
quelli stessi che li guidano, perché il disorientamento è anche tra
le anime consacrate a Dio. «Vi
sono molti, ai nostri tempi, i quali non dicono di non essere
cristiani,
ma pure scrivono e parlno come
se fossero
fuori e
come
se fossero, allo stesso tempo, cristiani e non cristiani. Essi non si
diedero pena di formulare una miscredenza positiva, ma non
comprendono
come mai il progresso, la perfettibilità e le scoperte moderne...
possano conciliarsi con quella collezione di antichi dogmi che
costituiscono la religione cristiana, e inclinerebbero a rinunciare
ai dogmi piuttosto che alle scoperte e invenzioni.
Tali
persone mettono la dignità umana fra le considerazioni di
prim'ordine,
mentre,
secondo loro, l'assenso dell'uomo alle dottrine e alle pratiche della
Chiesa è tanto degradante alla sua nobiltà intellettuale, quanto la
sua obbedienza alle medesime è superstiziosa e umiliante.
Papa
e teologia, Madonna e Santi, grazie e Sacramenti, penitenza e
Purgatorio, scapolari e rosari, ascetismo e misticismo, combinandosi
per formare
un
carattere
perfettamente
distinto e riconoscibile, arrecano un tono alla mente e un fare alla
condotta che non lasciano dubbio, e che difficilmente si sbaglia a
riconoscerli... Le persone
delle
quali ora parliamo sono ben lontane dal nutrire stima per un tale
carattere. Ai loro occhi è un carattere piccolo, debole, spregevole,
codardo, gretto, pusillanime. Difetta di quell'espansione e ardire
della grandezza morale, secondo il loro modo di misurare la
grandezza.
Queste persone tracciarono dei limiti al servizio di Dio, cercarono
con lui un compromesso, lo ridussero da Creatore ad un ente che
può
imporre tasse
e
tributi e nulla più, perché Egli è un monarca costituzionale e non
dispotico, ed essi si formarono della perfezione un'opinione
sfavorevole, come di un'aggressione
incostituzionale per parte di Dio e del suo esecutivo”
Noi
non ci accorgiamo che Gesù Cristo non è più considerato come luce
del mondo e che alla Chiesa stessa si tende a dare una fisionomia che
non discordi troppo o dal mondo o dalle pompose esibizioni di
sapienza, di equilibrio e di serietà delle sette. Quasi quasi ci
piace quell'ipocrita austerità di riti senz'anima e senza slanci,
quel bando dato a tutto quello che riscalda il cuore e lo muta in un
vibrante motore spirituale che porta l'anima nei voli dell'amore. Ci
mostriamo disgustati dalle pose dei Santi che ci sembrano esagerate e
tendiamo sempre più a vestirci dello smoking
del mondo, per mostrarci a nostro modo seri ed equilibrati,
rinnegando così la divina stoltezza della Croce.
Crediamo
quasi indecoroso che un cardinale si mostri con la corona in mano o
che baci un'immagine sacra; ci abituiamo troppo a confondere la
luminosa maestà dell'anima che crede, spera e ama, con la boria di
una serietà mondana, più ridicola di quella di un pagliaccio.
Siamo
come schiavi, incatenati dalla miscredenza e dagli errori altrui,
tremanti a ogni cenno del loro disprezzo per quello che è frutto di
devozione e di pietà cristiana, premurosi di toglierci ogni segno di
riconoscimento cristiano, rinnegatori del la nostra divina
nazionalità, diremmo snobisti di satana e di quello che satana ha
prodotto per renderci come stranieri e forestieri nella stessa
Chiesa, simili a quegli zulù africani che passano dal loro deserto
ardente in una delle nostre rumorose piazze, smarriti nello splendore
della civiltà e desiderosi del covo delle loro montagne.
Non
abbiamo bisogno di pseudo-cristi e pseudo-profeti
Lumen
Christi, lumen Christi,
luce di Gesù Cristo: gridiamolo con la Chiesa e invochiamo
quest'unica luce senza farci affascinare da quelli che corrono da
pazzi con le loro fiaccole fumogene, annebbiando il limpido cielo
dell'anima. Luce di Gesù Cristo in pieno, nel mondo, affinché il
mondo ritrovi la vita. Non abbia mo bisogno di pseudo-cristi o
pseudo-profeti, anzi, ne abbiamo abbastanza e vediamo già le
disastrose conseguenze delle tenebre che hanno diffuso nel mondo.
Basta! Non ci serve più un uomo, qualunque esso sia, che rinnovi le
gesta di Maometto e pretenda di dare un corano nuovo alla nazione e
al mondo; abbiamo bisogno solo della luce di Gesù Cristo e del suo
rinnovato fulgore nelle anime nostre!
La
discussione di Gesù con i farisei
Quando
i farisei sentirono Gesù che si proclamava Luce del mondo, insorsero
contro di Lui come ad uno che si esaltava da sé ed esclamarono: Tu
rendi testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è
veritiera.
Non capirono che quella proclamazione era una grazia, un'immensa
grazia, e che Egli non cercava di glorificarsi vanamente ma di
salvare, chiamandosi luce
del mondo.
Egli rimuoveva quasi lo schermo che lo eclissava, e rifulgeva dinanzi
ai secoli che furono e che saranno come sole al centro di un sistema
planetario.
Gesù
Cristo un'altra volta aveva risposto alla difficoltà fatta gli dai
farisei, appellandosi alla testimonianza del Padre e del Battista,
come si vede al capitolo 5,33-36; Egli, anzi, allora disse che la sua
testimonianza non sarebbe stata veritiera per loro se l'avesse data.
Ma allora Egli parlava della sua missione esterna e logicamente si
appellava alla proclamazione che ne aveva fatto il Padre dal Cielo,
quando Egli andò al Giordano per ricevere il Battesimo e Giovanni
sulle rive del fiume, additandolo come Messia e come Agnello di Dio,
cioè come Vittima d'amore.
Ora
Egli parlava di quello che era per i secoli e per il mondo,
prescindendo dalla sua carriera mortale e dalla missione immediata
che aveva in mezzo
al suo popolo, e perciò rendeva testimonianza di sé, perché Egli
solo poteva conoscere la sua origine divina –
da
dove vengo
- e l'estensione del suo disegno divino a tutte le creature:
dove vado. Rispose,
perciò, ai farisei: Benché
io renda testimonianza di me stesso, la mia testimonianza
è vera, perché io so da dove sono venuto e dove vado; voi, invece,
non sapete da dove io venga e dove io vada. Non
avevano essi detto che la caratteristica del Messia sarebbe stata il
mistero della sua origine? Quando
verrà il Cristo,
avevano detto (7,27),
nessuno
saprà da dove esca;
sebbene questo mistero che essi negavano perché giudicavano secondo
la carne,
cioè riguardando la sua origine terrena, c'era veramente e
riguardava la sua origine divina. Essi poi giudicavano secondo la
carne non per serena indagine sulla stessa origine terrena, ma per
prendere motivo di disconoscerlo e disprezzarlo; per questo, Gesù
soggiunse: “Io
non
giudico nessuno,
cioè Io non parlo per secondo fine né parlo per diminuire la vostra
reputazione e la vostra autorità, ma per dirvi la verità e per
condurvi alla salvezza eterna”.
Gesù
proclama la sua Divinità
Ritornando
al nodo della questione, e cioè alla validità e al valore della
testimonianza che Egli aveva reso di sé, chiamandosi luce del mondo,
Gesù soggiunse che questo giudizio che Egli faceva di sé non poteva
essere chiamato falso neppure considerandolo legalmente, poiché
Egli, assolutamente parlando, non era il solo testimone che essi
avevano ascoltato sulla sua stessa origine divina e sulla
proclamazione che aveva fatto di sé come luce del mondo. Al Giordano
il Padre lo aveva presentato come Figlio
suo diletto nel quale si era compiaciuto
(cf. Mt
3,17;
Mc 1,11; Lc
3,22),
e le opere che gli faceva compiere erano una luminosa conferma che
Egli era il Salvatore del mondo, atteso da tanti secoli. Ora, se la
Legge diceva che la testimonianza di due persone era degna di fede
(cf. Dt
17,6;
19,15), ecco che la sua affermazione aveva la testimonianza di due
persone: la sua e quella del Padre. Mettendosi allo stesso grado del
Padre, Egli proclamava che la sua Persona era divina, e chiamandosi
Figlio di Dio, conoscenza del Padre e oggetto della sua compiacenza,
Egli dava alla propria testimonianza il valore più grande che poteva
avere, essendo testimonianza dell'eterna sapienza e dell'eterna
Verità.
Nel
sentir nominare il Padre i farisei gli domandarono in tono ironico:
Dov'è
tuo Padre?
Essi volevano dire: “Tuo
padre lo conosciamo bene; era quel Giuseppe di Nazaret, povero
falegname“.
Per
questo, Gesù, rispondendo a questo loro pensiero nascosto, disse:
“Voi
non conoscete né me né il Padre mio.
Credete che perché conoscete il mio padre putativo potete conoscere
me, riguardarmi come uomo e povero figlio di un fabbro; ma lo vi dico
che, se voi
conosceste me
e approfondiste la testimonianza che di me vi rende Dio, conoscereste
certamente anche il Padre mio”.
Egli, infatti, come Verbo del Padre ne era la conoscenza sussistente
e si era fatto Uomo per farlo conoscere agli uomini; se essi avessero
conosciuto Lui in questa luce, avrebbero conosciuto anche il Padre.
Queste
cose –
soggiunge
l'Evangelista - Gesù le disse nella sala del tesoro, dov'erano le
casse per raccogliere le offerte dei fedeli; era la sala più
vigilata, trattandosi di custodire il denaro. Le guardie del Tempio
stavano pronte in ogni momento, eppure nessuno osò arrestarlo,
nonostante si proclamasse così solennemente Dio,
perché non era giunta la sua ora. Anche
in questo, Egli dimostrava di essere il Padrone di tutto e che si
sarebbe offerto spontaneamente alla morte.
Evidentemente
i farisei dovettero adirarsi profondamente all'esplicita affermazione
della sua Divinità e avrebbero voluto arrestarlo proprio allora; non
osarono però farlo, pur rodendosi di livore. Per questo, Gesù,
leggendo nel loro cuore e nei loro pensieri e rispondendo alla loro
ferma decisione di ucciderlo, riprese il discorso e disse: Io
me ne vado, e voi mi cercherete
e
morirete nel vostro peccato. Dove io vado voi non potete venire.
E voleva dire: “Io
me ne vado quando lo vorrò Io e quando vi permetterò d'insorgere
contro di me, morirò e allora ne godrete come di una vittoria
riportata da voi; ma poi verrà il giorno dell'angustia terribile e
voi mi
cercherete,
ossia cercherete il Messia che vi salvi e cercherete anche me,
sospettando che lo sia stato il Messia, ma non mi riconoscerete,
morirete
nel vostro peccato e non mi potrete raggiungere
in cielo, dove io vado".
Parole terribili che danno una grande angustia: Dove
io vado voi non potete
venire!
Parole
che annunciano la perdizione eterna di quegli infelici che tuttora
sono nell'inferno e cercano invano la salvezza,
avendola già rifiutata. Essi non si ricordarono solo del Messia
nell'assedio e nella distruzione di Gerusalemme, ma se ne ricordano
anche ora nella perdizione eterna.
O
Gesù, non lo dire anche a noi, per carità, dove io
sono voi non potete venire;
noi ti crediamo, ti amiamo, ti vogliamo servire e ti vogliamo seguire
eternamente. Che terrore ci fa questa tua parola: Dove
io vado non potete venire; che
pena pensando a tante anime che si perdono miseramente e sono
eternamente staccate dal tuo Cuore!
I
farisei, vistisi scoperti nel loro furore e nella loro decisione di
ucciderlo, per dissimularla dissero alla gente: Si
darà forse la morte, per dire: dove io vado voi non potete
venire?
Fecero un'insinuazione proprio assurda che non poteva neppure
lontanamente essere giustificata dalle parole dette da Gesù, ma la
fecero sia per disprezzo e sia, forse, perché pensavano di farlo
morire di nascosto e spargere poi la voce che si fosse addirittura
ucciso. Egli, poi, parlava con infinito amore e traspariva dalle sue
parole il proposito di voler dare la vita per gli uomini; essi
scambiavano quel proposito d'amore addirittura con un proposito
suicida, e pensavano di poterlo sfruttare dinanzi al popolo per
disfarsi di Lui definitivamente, uccidendolo e spargendo la voce che
si era ucciso.
Erano
così lontani dalle sue vedute d’amore!
E Gesù soggiunge: Voi
siete di quaggiù, io sono
di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo.
E, per disingannarli, soggiunse subito: Vi ho
detto che morrete nei vostri peccati
perché se non credete che io sono,
morirete
nel vostro peccato.
Non era Lui che voleva uccidersi, ma erano essi che, ostinandosi
nella loro incredulità, davano la morte all'anima loro; essi non
avevano pensieri di Cielo, ma seguivano il mondo e per questo non
intendevano le sue parole e non gli credevano. Dovevano pensare
seriamente ai loro casi e non precipitarsi nell'abisso della
perdizione con la loro ostinata incredulità.
Sentendo
che Gesù parlava con accento divino della necessità assoluta di
credere in Lui, i suoi interlocutori dovettero avere una certa
scossa, perché quelle parole non erano indifferenti, e perciò gli
domandarono: Tu
chi sei?
Egli aveva detto di non essere di questo mondo e non l'aveva solo
affermato, ma aveva dato alle sue parole un tono e un'espressione che
non erano normali e umani. Dal suo Volto doveva trasparire qualcosa
di misterioso che impressionava, e perciò gli stessi suoi avversari
se ne preoccuparono e gli domandarono chi Egli fosse. Gesù rispose
solennemente: Il
Principio, io che vi parlo
, cioè “Io
sono Colui che era in principio presso Dio, Io sono il Principio di
tutte le cose, perché tutto fu fatto per me; Io sono il Principio
fondamentale di ogni sapienza, essendo Io l'eterna Sapienza"
Gesù
rimase per un momento in silenzio; dalla sua persona spirava un'aura
divina di solenne verità; Egli non disse semplicemente: lo
sono il Principio che vi parlo, ma
si mostrò in grande maestà di luce e di amore per scuotere
l'insensibilità dei suoi interlocutori. Essi erano là insensibili,
non capivano che si proclamava Figlio di Dio e rimuginavano tra loro
stessi su come liberarsi di Lui, giudicandolo come un forgiatore di
stranezze. Per questo, Gesù soggiunse: “Molte
cose ho da dire e da condannare a vostro riguardo, cioè
lo potrei mostrarvi la genesi e la natura delle tenebre che in questo
momento vi avvolgono e svelarvi quali peccati vi impediscono di
vedere la luce della verità, ma vi dico solo questo: Io non sogno né
dico sciocchezze,
dico al mondo quello che ho udito dal Padre che mi ha mandato
e il Padre è veritiero”.
E soggiunse: "Voi mi domandate chi lo sia senza riflettere a
tutto ciò che vedete e al compimento delle profezie; anzi, mi
rinnegate e pensate come togliermi di mezzo
e uccidermi. Ed Io vi dico che proprio quando, crocifiggendomi, mi
avrete sollevato in alto sulla terra, allora conoscerete, dai prodigi
che avverranno nella mia morte e da quelli che seguiranno nella mia
risurrezione, quello che Io sono. Ascolterete le mie ultime parole
rivolte a voi e al Padre, e capirete da esse che Io non sono un
sopraffatto da voi, ma che compio ciò che il Padre ha voluto che
compissi; lo compio secondo i suoi disegni e la sua Volontà e parlo
secondo l'eterna Verità, essendo Io Verbo di Dio e sua conoscenza
sussistente. Capirete, allora, che Io non sono sulla Croce perché
maledetto e abbandonato dal Padre, come potrebbe esserlo qualunque
malfattore che pende dal legno dell'infamia, ma che lo vi sono per
compiere fino all'ultimo il disegno e la Volontà del Padre e per
compierlo in
sua compagnia, amandolo,
cioè, ed essendo amato da Lui di amore infinito. Allora capirete che
in Croce ci sono Io che parlo
secondo quello che il Padre mi ha insegnato,
cioè ci sono Io Verbo del Padre ed Io che nulla
faccio da me,
perché sono il Verbo Incarnato, disceso in terra per compiere la
Volontà di Dio. Capirete che il Padre
è con me
e non
mi ha lasciato solo,
amandomi infinitamente, e che lo sono con Lui e lo amo infinitamente,
compiendo la sua volontà; capirete, quindi, che col Padre e con me
c'è l'eterno Amore che procede dal Padre e da me, e unisce il Padre
a me e me al Padre”.
È questo il senso delle misteriose e divinamente sintetiche parole
che Gesù disse: Quando
avrete innalzato da terra il Figlio dell'uomo, allora conoscerete
quello che io sono,
e che nulla faccio da me stesso, ma parlo secondo quello che il Padre
mi ha insegnato. E Colui che mi ha mandato è con
me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre
ciò che
piace
a lui. Gesù
poi diceva: Allora
capirete,
per dire: allora
sarà manifesto e,
per riferirsi a quelli che nella sua morte si sarebbero ricreduti,
avrebbero abbracciato la fede e avrebbero compreso, a poco a poco,
l'ineffabile mistero della redenzione. Egli non poteva esprimersi più
chiaramente e parlò con sintesi divina per non dare occasione ai
suoi nemici di inveire di più contro di Lui e peggiorarsi. Egli,
però, parlando, fece rifulgere come vita la verità che diceva, e
per questo molti
credettero in lui, molti
di quelli che non erano interamente accecati dalle passioni e nella
cui mente poteva penetrare la luce della Verità.
Tratto da "I quattro Vangeli - Commento al Vangelo di Giovanni - del Sacerdote Dolindo Ruotolo
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