lunedì 27 agosto 2018

Contro l'ipocrisia e l'orgoglio dei farisei... del Sac.Dolindo Ruotolo



Giudizio severo contro la falsa pietà dei farisei e gravi minacce contro di loro
Le insidie che gli scribi e i farisei avevano teso a Gesù, per comprometterlo e sfatarne l'autorità, erano una rivelazione del loro animo perverso. La loro condotta scandalosa, ambigua e ipocrita, secondo i casi, era un ostacolo grande alla conversione del popolo, poiché lo allontanava dalla Legge di Dio e dal Redentore; era però inevitabile e necessaria una chiarificazione da parte di Gesù Cristo che non poteva permettere lo scempio delle anime.
Egli parlò chiaramente alle folle e, pur sapendo che si sarebbe attirato addosso l'odio dei nemici, non omise di farlo.
Prima di tutto, volle salvare il principio di autorità, affinché il popolo non avesse preso occasione o pretesto dal suo discorso per ribellarsi ai legittimi capi, e perciò disse che sedendo essi sulla cattedra di Mosè, cioè essendo i successori dell'insegnamento di lui, dovevano ascoltarli e praticare quello che insegnavano ma non dovevano guardare al loro esempio, tanto dissimile dalla dottrina che predicavano. Dicono e non fanno: ecco la triste caratteristica dei pastori infedeli che non hanno il senso della loro responsabilità dinanzi a Dio e agli uomini. Impongono agli altri pesi gravissimi ed essi non li smuovono neppure con un dito, cioè non fanno nulla. Sono severi con gli altri e indulgenti verso loro stessi. Eppure chi sta a capo e chi insegna agli altri deve prima di tutto dare l'esempio, perché l'insegnamento può illuminare, ma l'esempio trascina all'imitazione e all'azione.

I farisei avevano moltiplicato i precetti, ma non ne facevano nulla; erano solo solleciti di ostentare giustizia, e quindi osservavano esageratamente quello che li poteva far apparire grandi santi dinanzi al popolo, restringendosi a esteriorità che non riflettevano per nulla lo spirito. Portavano quindi lunghi filatteri e lunghe frange. I filatteri erano strisce di pergamena sulle quali erano scritte quattro sezioni della Legge (cf. Es 13,1-10; 13,1116; Dt 6,4-9; 11,13-21). Queste strisce erano chiuse in apposite custodie che venivano legate con nastri sulla fronte e sul braccio sinistro. Per ostentare l'osservanza della Legge, i farisei le facevano di proporzioni più grandi e allungavano le frange del mantello che, nel simbolismo ebraico, figuravano i Comandamenti di Dio. Contenti di questo, non pensavano ad osservare la Legge del Signore e segretamente conducevano una vita disordinata.
Si fingevano giusti unicamente per carpire onori e, pieni d'orgoglio, amavano esser tenuti in considerazione dovunque, sia occupando i primi posti sia desiderando essere salutati e chiamati maestri. Tutto questo rendeva vano ogni loro insegnamento, anche se buono, e concentrava tutta la loro anima in stupide vanità.
Chi sta a capo rappresenta Dio e logicamente non può presumere di rappresentare se stesso. Come rappresentante di Dio dev'essere benefico e diffondere la verità, la bontà, l'ordine, l'armonia, la pace e la provvidenza. Non può pretendere di avere dei criteri personali o delle dottrine cervellotiche nel governare né può credersi padrone o anche semplicemente padre del popolo, indipendentemente da Dio. Gesù Cristo non vieta che uno si possa chiamare maestro o padre come rappresentante del Maestro divino e del Padre infinito di tutti, ma vieta che uno possa credersi, diciamo così, fondatore o caposcuola di una particolare dottrina e che possa chiamarsi padre per orgoglio di superiorità.
I sacerdoti della Chiesa di Dio si chiamano padri e anche maestri, proprio per ricordare l'unico Maestro e l'unico Padre che abbiamo; essi, quindi, essendo viva rappresentanza di Gesù Cristo, non solo non contravvengono alla sua parola, ma la praticano. S'intende che se volessero essere chiamati così per vanità o per ostentazione di un titolo di benemerenza, cadrebbero nella colpa e trasgredirebbero il comando del Signore.
Chi sta a capo dev'essere servo e, in realtà, è tale quando vuole veramente essere utile agli altri; deve stare a disposizione di tutti e deve provvedere a tutti dimenticando se stesso; dev'essere pieno di umiltà, di affabilità, di carità, proprio come una mamma che cura i suoi figli, servendoli.
La Chiesa non conosce altro concetto di superiorità nel suo seno, e se conserva scrupolosamente la gerarchia e il principio di autorità, non lo conserva in una falsa luce di orgoglio, ma in un'aureola di umiltà e di bontà. Se possono esserci quelli che vengono meno a questo dovere, essi non partecipano allo spirito della Chiesa e sono lontani dal Vangelo.
La bontà, l'umiltà e l'affabilità sono la luce più bella dell’autorità e le danno un fascino dominatore che non può essere sostituito da nessuna forza.
L'autorità dev'essere in perfetta unione con Dio per poter essere sua rappresentanza, e quando devia dal Signore non domina che con la forza. La forza non è mai un segreto di dominio, ma piuttosto di oppressione e, lungi dall'unire i sudditi in una sola famiglia, li divide e suscita in loro la reazione e la rivolta. Non accenniamo neppure a quelle esose manifestazioni di dominio tiranno o dittatoriale, quali si vedono proprio in quelle nazioni che pretendono di predicare la libertà; quelle autorità che si reggono con la violenza, dopo aver usurpato il potere, e si dichiarano contro Dio, non sono autorità, sono un' accolta di delinquenti che è sacrosanto dovere combattere e punire, per restituire alla nazione la tranquillità e la pace.
Dopo aver stabilito il principio di autorità e la vera natura del potere dominante, Gesù si rivolse con severità agli scribi e ai farisei, sfatando dinanzi al popolo quel falso prestigio che avevano e del quale abusavano per consumare tanti delitti. Egli era Dio, e come tale aveva il diritto di giudicarli; era Redentore, e come tale non poteva tollerare quella malignità che tentava di distruggere la sua opera in mezzo alle anime. Enumerò quindi le miserie delle quali erano infetti, condannandole con quella terribile parola: Guai a voi! Essi non sarebbero entrati nel regno dei cieli e non permettevano che altri vi entrasse, con la scusa di tutelare la Legge di Mosè. Affettando pietà e promettendo lunghe orazioni, spillavano denaro alle vedove, fingendo di voler consolare il loro dolore e di voler suffragare i loro morti.
Si mostravano zelanti nel fare proseliti alla Legge, ma con l'unico scopo di formare un numero maggiore di affiliati alla loro setta, più perversi di loro e figli di perdizione. Il loro insegnamento, infatti, era falsato e arbitrario, ed essi interpretavano la Legge a modo loro. Gesù Cristo porta un esempio di questa falsità a proposito del giuramento. All'apparenza si mostravano scrupolosi e, mentre era prescritto di pagare solo le decime del frumento e dei frutti (cf. Lv 27,30; Dt 14,22), essi le pagavano anche delle più piccole erbe aromatiche, come la menta, l'aneto e il cumino, ma dimenticavano la Legge nelle sue prescrizioni più gravi e manomettevano la giustizia con i loro soprusi, la misericordia con i loro odi inveterati e la fede, cioè la fedeltà al Signore, con le loro gravi trasgressioni. Questi erano doveri precisi e gravi che si dovevano compiere, mentre le opere di supererogazione potevano anche essere fatte, e in ogni caso dovevano essere fatte con vero spirito di pietà e non per ipocrisia.
Gli scribi e i farisei, al contrario, temevano di contaminarsi ingoiando un moscerino e perciò filtravano i liquidi per evitare il pericolo d'ingoiarne per caso qualcuno, mentre ingoiavano, in realtà, trasgressioni così gravi contro lo spirito stesso della Legge che, a confronto, si sarebbero potuti paragonare alla mole di un cammello. La loro purezza era tutta esterna e si curavano di lavare i piatti ei bicchieri diligentemente, senza badare a purificare la coscienza dai peccati. Erano perciò come sepolcri imbiancati, che sembrano belli all'esterno, mentre dentro sono pieni di putredine e di ossa.
Gli scribi e i farisei avevano premura di elevare sontuosi monumenti sepolcrali ai Profeti uccisi dai loro padri, e apparentemente stigmatizzavano quei delitti, ma essi stessi se ne rendevano rei perseguitando quelli che il Signore inviava loro per convertirli, e perseguitando soprattutto il Redentore. Con questo, manifestavano chiaramente di avere il medesimo spirito dei loro padri e, essendo con i fatti conniventi alle loro malvagità, ne colmavano la misura e dovevano raccogliere un castigo proporzionato a tanta empietà. Essi avevano verso gli inviati di Dio lo spirito di Caino nell'uccidere per invidia e lo spirito dello scellerato Ioas, che fece uccidere il sacerdote Zaccaria tra il Santo dei Santi e l'altare degli olocausti (cf. 2Cr 24,20) perché aveva rimproverato il popolo per la prevaricazione dalla Legge divina(101).
Gesù Cristo, dicendo che tutto il sangue giusto sparso da Abele a Zaccaria sarebbe caduto sulla generazione che gli era contemporanea, allude evidentemente al delitto che contro di Lui stavano per consumare gli Ebrei, del quale i delitti passati erano figura. Ognuno dei misfatti passati aveva un grado di responsabilità proporzionato alla persona soppressa, ma il delitto di uccidere il Figlio di Dio era tale che cumulava sulla generazione contemporanea tutte le responsabilità passate che lo figuravano. La nazione, poi, era un'unica personalità morale ed era giusto e logico che, colmati i suoi delitti in quello dell'uccisione del Redentore, fosse chiesto conto alla generazione deicida di tutti i delitti, come si chiede conto di un debito agli eredi.
Gesù Cristo apostrofa con parole severissime gli scribi e i farisei, chiamandoli serpenti e razza di vipere, cioè astuti avvelenatori del popolo, e perché Egli conosceva bene le loro insidie e le loro congiure, domandava loro come avrebbero fatto a scampare dalla condanna dell'inferno. Evidentemente il suo Cuore era angosciato per questo ed Egli parlava severamente per allontanarli dall'abisso che minacciava d'ingoiarli. Volgendosi a Gerusalemme, poi, l’apostrofò con parole cocenti d'amore e con severe minacce, annunciando ad essa e a tutto Israele la completa rovina della nazione e il completo eclissamento del Redentore da loro finché, convertendosi alla fine dei tempi, l'avessero riconosciuto, invocandolo come vero Messia: Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Contro quelli che nel corso dei secoli imitano gli scribi e i farisei. La falsa pietà degli eretici
Gli scribi e i farisei hanno fatto scuola nel mondo e, dolorosamente, si sono moltiplicati, specialmente tra quelli che, lontani dalla vera Chiesa, pretendono di rappresentare la vera religione. I poveri protestanti, in questo, sono stati e sono all'avanguardia di tutti i traviamenti moderni. Chi non conosce il puritanesimo di certe sette protestanti che si atteggiano a baluardi del buon costume, della fede e della carità? Eppure perfino in mezzo ad esse cresce la corruzione, la miscredenza e l'odio implacabile. Si mostrano con falso splendore di pietà, di bibbie, di pose mistiche, ma tutte queste apparenze sono solo filatteri e frange che nascondono l'orgoglio, la rapacità e la miseria morale. Troppo facilmente e troppo spesso si dice, da certi cattolici da strapazzo, che i protestanti, per esempio, sono gente per bene o, peggio, che sono migliori dei cattolici. Questo, in generale, possono affermarlo solo quelli che non conoscono che cosa siano la pietà e la pratica di virtù cristiane.
È logico che un poveretto che non ha mai visto dei gioielli scambi per veri quelli che sono falsi, ma chi è intenditore non si lascia sedurre dai falsi bagliori(102). Quando la pretesa virtù è solo un'illusione di momenti fugaci o, peggio, è un'ipocrisia del momento per poter accalappiare gli incauti, allora non è virtù ma è insidia alla Fede e merita quella maledizione che Gesù scagliò contro gli scribi e i farisei. Gli eretici chiudono in faccia agli uomini il regno dei cieli e impediscono alle anime di entrarvi; agiscono per interesse, spesso sono pagati lautamente e percorrono le terre e i mari per fare proseliti peggiori di loro. Solo chi non conosce da vicino il male che fanno i gruppi settari nelle cosiddette loro missioni, intralciando il cammino della Verità può usare i guanti gialli nello stigmatizzare la loro nefasta e ipocrita propaganda. Solo chi non pondera che cosa sia chiudere a un'anima il regno dei cieli può trattare alla stregua di galantuomini autentici i ministri del regno di satana. Questo è possibile solo quando la pietà è talmente rilassata e la fede così debole da non saper distinguere tra l'errore e la verità, tra la virtù e l'ipocrisia, tra la vita e la morte.
È un fatto storico innegabile che gli eretici sono sempre alleati con i massoni, con i comunisti e con la peggiore canaglia del mondo per nuocere alla Chiesa Cattolica. Essi, dunque, sono conniventi delle stragi che i perversi fanno nel mondo, e nel tempo stesso in cui fingono di predicare la carità si macchiano le mani di sangue. La storia delle persecuzioni violentissime del Messico e della Spagna è un argomento irrefutabile di ciò che diciamo (103).
Non bisogna dimenticare, infine, quei cristiani falsi e superficiali che onorano i Santi e perseguitano quelli che ancora vivono sulla terra; che edificano tempi sontuosi; che preparano feste a quelli che in passato furono colmati di obbrobri e di umiliazioni dai loro padri, e li imitano avversando coloro che operano il bene e zelano la gloria di Dio. È una miseria che dovrebbe finire, poiché troppo spesso le più fiere e pericolose opposizioni alle opere di bene vengono proprio da quelli che dovrebbero sostenerle. Satana non ha, disgraziatamente, migliori aiutanti nel combatterle, e molto spesso riesce a paralizzarle o addirittura a stroncarle. Lasciamo alla legittima autorità la cura di vigilare contro le possibili deviazioni delle sante iniziative e aiutiamola con tutte le nostre forze, per riparare l'ingratitudine con la quale gli uomini sogliono rispondere ai divini benefici.


(101) Zaccaria è chiamato figlio di Barachia, mentre nei libri delle Cronache è detto figlio di Ioiada o perché il padre aveva due nomi – cosa comunissima tra gli Ebrei – o per errore del copista che, nel trascrivere il Testo, confuse il sacerdote Zaccaria con il profeta omonimo, il cui padre era veramente Barachia.
(102) Come è stato osservato altre volte, Don Dolindo era spesso a contatto con alcune frange del protestantesimo italiano la cui attività non era quella di approfondire la religione, ma di accrescere sempre più violentemente una polemica contro la Chiesa Cattolica. Ci voleva proprio il Concilio Ecumenico per far aprire a tutti le finestre, per far respirare l'aria pura da cui è derivato il nuovo clima [nde].
(103) E già stato osservato che in Spagna, quando presero il potere gli estremisti – oggi diremmo gli extra-parlamentari, le brigate rosse, le brigate nere, ecc. -, vennero uccisi 17 vescovi, 15.000 tra sacerdoti e religiosi; furono profanati cimiteri e chiese, vennero decapitate immagini sacre e profanate nel modo più osceno molte chiese e persone sacre. Perciò non si tratta più di pluralismo sociale, ma di vero odio satanico. Ancora si possono documentare largamente quelli che ricercano la verità e non la demagogia marxista, la sola che vada di moda, con la tacita connivenza degli altri che non vogliono noie [nde].

Tratto da "I Quattro Vangeli" - commentati dal Sac. Dolindo Ruotolo - da pag.497 a pag.504

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