Nel
2003 san Giovanni Paolo II ha beatificato un medico oculista, che
aveva incarnato in modo esemplare il vero amore, quello "che non
avrà mai fine”, così come viene descritto nella Prima Lettera ai
Corinzi - e non lo aveva fatto da solo! Il dottor Ladislaus
Batthyány-Strattmann (1870-1931), un principe ungherese, ebbe sempre
al suo fianco, come stupendo sostegno, la moglie Maria Teresa. Lei
condivise con lui tutte le gioie e ogni impegno nel matrimonio, nella
famiglia e nella professione.
Ladislaus
nacque presso Dunakiliti, era il settimo figlio di un'antica e nobile
famiglia ungherese. I genitori del piccolo e solare Laci - come
veniva chiamato in famiglia - non furono per lui un esempio di
rapporto felice. Aveva infatti otto anni quando il padre, il conte
Joseph Batthyány, lasciò la numerosa famiglia per un'altra donna.
Tre anni più tardi la mamma, profondamente religiosa, morì a causa
di una nefropatia; era diventata cieca ed era tanto amata da
Ladislaus. La sua perdita lo segnò profondamente: da questo triste
evento germinò la sua aspirazione di diventare medico e aiutare gli
altri. In un primo tempo, però, il giovane, sensibile e irascibile
allo stesso tempo, visse senza obiettivi e senza stabilità. A scuola
fu autore di brutti scherzi e per questo costretto a cambiare
ginnasio; malgrado i numerosi interessi e talenti non sapeva quale
strada seguire. Interruppe gli studi universitari di economia,
intrapresi per poter un giorno gestire l'eredità dei numerosi
castelli e residenze della sua famiglia. Lentamente, ma sempre più
vigorosamente, s'impose in Laci il desiderio di quando era bambino:
diventare medico. Nel 1896 l'ormai venticinquenne Ladislaus si
trasferì a Vienna, per iniziare gli studi di medicina. Appartiene a
questo periodo un fatto che si può considerare l'ultimo passo falso
del futuro beato: in questa città, da una relazione amorosa
irresponsabile, gli nacque una figlia illegittima, della quale
tuttavia il giovane principe si preoccupò con sollecitudine per
tutta la vita. Nel frattempo le sorelle di Ladislaus erano seriamente
preoccupate per la sua condotta libertina. Si impegnarono con zelo a
farlo incontrare con una loro amica sudtirolese, la contessa Maria
Teresa di Coredo. Sulle prime Ladislaus non volle saperne di
sposarsi, poi però “abbocco”. I due si fidanzarono e, dopo soli
tre mesi, con l'università non ancora conclusa, si sposarono a
Vienna il 10 novembre del 1898. Era il giorno del ventiquattresimo
compleanno della sposa.
“I
miei figli e i miei malati sono i miei tesori"
Il
matrimonio con Maria Teresa, che egli amorevolmente chiamava “Misl”,
provocò in Ladislaus un cambiamento radicale. Da ribelle che era,
trasferitosi con la famiglia nel castello di Kittsee nel Burgenland
(Austria), divenne in breve tempo un medico e un marito assai
coscienzioso, altruista
e
sensibile, un padre esemplare per i tredici figli che Dio volle
donare alla coppia. Nel conte Ladislaus sbocciò in particolare un
grande amore per Dio e per il prossimo. Dio era infatti al centro
della famiglia Batthyány, che conduceva uno stile di vita
estremamente modesto per la posizione sociale che ricopriva. Tutti si
riunivano per la Messa mattutina nella cappella del castello così
come per il santo rosario prima di cena. Ladislaus progrediva nella
vita spirituale guidando la sua famiglia nell'aiuto vicendevole e
affidando a Dio la turbolenta vita quotidiana. Si può davvero dire
che Ladislaus e Misl vissero un matrimonio ideale completandosi l'un
l'altro perfettamente. Tutto quel che riguardava la famiglia veniva
discusso “nelle nostre abituali passeggiate su e giù per la sala
del castello”, soprattutto l'educare i figli a divenire uomini
umili e pronti al sacrificio. Mai si scambiarono grandi regali, ma
piuttosto gesti di profondo affetto. Ladislaus poteva dedicarsi ai
suoi figli solo la sera, e tornava ad essere egli stesso bambino,
spendendosi con tutto il suo amore e con grande talento: sapeva
infatti suonare, cucinare torte fantastiche e preparare con i suoi
bambini gelato, caramelle e acqua di colonia. Seguiva lo sviluppo
interiore di ciascun figlio con grande cura. Sotto il profilo
organizzativo era spesso “Misl” a prendere l'iniziativa. Se i
ragazzi combinavano qualcosa, “temevano” maggiormente la madre;
ma, sentendosi davvero al sicuro nel rapporto eccezionalmente
amorevole coi loro genitori, ubbidivano al primo cenno. Un educatore
testimoniò: "Un così tenero rapporto familiare,
un'atmosfera così piena d'amore e di gioviale allegria non l'ho mai
vissuta in alcun altro luogo neppur in modo parziale".
Un
giorno la sorella Elisabeth gli chiese: “Dimmi, ma perché ti sei
specializzato proprio in oftalmologia?". La bella risposta di
Ladislaus fu: “Perché l'occhio è lo specchio dell'anima; e se con
l'aiuto di Dio mi riuscirà di ridare il lume della vista a qualcuno,
allora potrò esercitare un influsso anche sulla sua anima. Sono
infatti così riconoscenti quelli che erano ciechi e poi tornano a
vedere!".
Per
quanto concerne la sua professione, come una particolare vocazione
che Dio gli aveva instillato nel cuore, fin dall'inizio volle essere
un medico per i poveri! Nel 1902, presso la sua proprietà di
Kittsee, istituì una clinica privata, organizzata come quella di una
grande città, con trenta posti di degenza. E straordinario il fatto
che non solo ogni giorno visitasse gratuitamente i circa ottanta
pazienti che gli si presentavano, ma anche che spesso consegnasse
loro gratuitamente le medicine e rimborsasse i costi del viaggio.
Quando, dopo una cura, un povero gli chiedeva quanto gli dovesse,
egli rispondeva sempre cordialmente e umilmente: "Preghi un
Padre Nostro per me".
Con
lo stesso zelo con cui si spendeva per i figli, così in spirito di
sacrificio si adoperava per i suoi pazienti. Misl era per lui la
migliore assistente e punto di appoggio. Ad un certo momento però la
salute di Laci non resse più l'alto numero di pazienti sempre in
aumento. Saggiamente, nel 1907, sua moglie gli "ordinò”
alcune settimane di vacanza al sud e il trentaseienne scrisse pieno
di gratitudine: "Ci amiamo ogni giorno di più; dopo nove
anni di vita matrimoniale siamo davvero un corpo solo e un'anima
sola”. Poiché entrambi volevano usare questa pausa dal lavoro
per porre la loro vita e le loro forze in un rinnovato inizio sotto
la Divina Volontà, durante il felice soggiorno a Nizza decisero di
fare una confessione generale di tutta la vita. Era il Sabato Santo,
dopo aver ricevuto il sacramento andarono sulla spiaggia e da
un'altura gettarono festevolmente in mare i loro appunti strappati.
Ladislaus si specializzò quindi in oftalmologia e con il suo talento
divenne ben presto uno stimato chirurgo oftalmico. In questo modo il
lavoro certo non diminuì. Durante la Grande Guerra il “principe
dottore”, così veniva chiamato, si adoperò anche per i militari
feriti. "Il paziente mi insegna ad amare sempre più Dio ed
io amo Dio negli ammalati. L'ammalato mi aiuta più di quanto io
stesso lo aiuti! Questi prega per me e sommerge me e la mia famiglia
di grazie ... Quante volte i pazienti mi dicono: 'Dio glielo
ricompensi! In terra e in cielo!'. E le molte parole di
benedizione sono state e saranno esaudite da Dio!".
Nel
1920 la famiglia si trasferì in un'altra proprietà, presso Körmend,
in Ungheria. Qui in un'ala del castello Ladislaus allestì un secondo
ospedale e proseguì nella sua attività benefica. Solo un anno più
tardi dovette affrontare la morte improvvisa del figlio maggiore, di
21 anni, l'intelligentissimo e profondamente pio Ödön - una prova
difficile! Impotente il padre medico vide il giovane morire tra acuti
dolori intestinali.
Attraverso
la grazia e il puro, ardente desiderio di Ödön di andare in Cielo,
Ladislaus comprese come con la sofferenza ci si possa assai
avvicinare a Dio. L'ultima esortazione del moribondo: "Voi
dovete adesso diventare sempre migliori, sempre migliori!”,
rese ancor più chiara alla coppia la vocazione ad aiutarsi
reciprocamente sulla via della santità.
Questo
dolore che Ladislaus, pieno di gratitudine e fiducia, accettò dalle
mani di Dio, "sempre come Egli vuole, essendo il mio miglior
Padre”, provocò in lui, per così dire, una seconda
conversione. Più chiaro che mai si presentò a lui e anche alla
moglie il supremo ideale della loro vita: l'Inno alla Carità del
capitolo 13 della Prima Lettera ai Corinzi sarebbe divenuto la regola
generale di tutta la loro esistenza. In questo alto ideale la coppia
visse pienamente in un'armonia vicendevole. Se uno dei due era
esausto per il contatto con alcuni pazienti difficili o aveva i nervi
a pezzi, bastava uno sguardo e la parola magica: “ Lettera ai
Corinzi': e allora sia io che lei sappiamo cosa fare! Come la
luce del sole tutto indora, per prima cosa rende rosa la rosa e dà
all'oro il suo splendore, così si realizza anche quello che la
Lettera ai Corinzi esprime: solo con l'amore la vita diviene bella”.
Nonostante la sua professione lo avesse reso famoso in tutta Europa,
nel suo intimo Ladislaus era convinto di essere solo uno strumento di
Dio. Il suo servizio ai pazienti iniziava e si concludeva sempre
presso il Santissimo Sacramento dell'Altare nella cappella del
castello. Prima di ogni operazione, spesso in ginocchio, pregava con
i pazienti, invitandoli ad aver fiducia nella bontà di Dio e
tracciava benedicente un segno di croce sulla parte da operare. Per i
casi particolarmente difficili pregava incessantemente la notte per
ottenere un miracolo in favore dei malati e invitava alla preghiera
anche la sua famiglia. Poi la sera raccontava loro come era andata e
ringraziava i figli per la collaborazione!
Nella
primavera del 1926 Ladislaus si accorse che le sue forze andavano
diminuendo. Aveva 56 anni e quando, dopo un colpo di tosse, si
accorse di aver sputato sangue, fu subito pronto a rimettere tutto
nelle mani di Dio. “La mia buona Misl era davvero preoccupata.
Sempre come Dio vuole... Egli mi ha tenuto nella Sua grazia, in una
famiglia amatissima, con una donna pia e con una professione per la
quale ho avuto la possibilità di ridare il lume della vista a
centinaia di persone"
Ladislaus
comprese bene che il Dio sofferente ora stava prendendo forma
in
lui, medico, e volle così unirsi al Signore. In questo tempo fu
ancora più fervente nella preghiera: “Per mia moglie, per tutti
i miei figli, che tutti divengano santi, per i malati”.
Nei
successivi due anni e mezzo, dimentico di sé, il dottor Batthyány
continuò a lavorare, nonostante fosse sempre più debole, con il
numero dei pazienti in continuo aumento. Era al culmine dei suoi
impegni lavorativi, quando nell'estate del 1929 gli venne
diagnosticato un tumore alla vescica. Un intervento presso il
sanatorio di Vienna giunse ormai troppo tardi. Ladislaus soffrì di
terribili crampi dolorosi, fino a 13 al giorno, e tuttavia era
raggiante per la sua quiete interiore.
Per
essergli vicino la sua famiglia si ritrasferì nel castello di
Kittsee, e Misl o uno dei figli restarono continuamente al suo
fianco. In quel periodo purtroppo si ammalò anche la moglie,
costretta a sottoporsi ad un'operazione chirurgica in Germania. Prima
della sua partenza, Ladislaus le scrisse: "Dio ti benedica,
mio caro piccolo cuore, Egli è con noi!". Il fatto che
fossero un corpo e un'anima sola lo si può riscontrare in modo
particolare quando, nonostante la grande distanza che li separava,
entrambi, nello stesso momento, furono colti da insufficienza
cardiaca. Tra dolori quasi insopportabili, nei quattordici mesi della
sua Via Crucis, fedele fino alla fine, Laci pregò con il Breviario
mariano. Il 22 gennaio 1931 Misl e i figli erano al suo capezzale.
La
sera, alle 19.15, come avevano sempre fatto, recitarono insieme il
santo rosario, prima che egli perdesse conoscenza e s'incamminasse in
silenzio verso Dio. Il giorno precedente aveva chiesto
ai suoi cari: “Portatemi sul balcone affinché possa gridare al
mondo quant'è buono il Signore!".
Il
santo preferito di Ladislaus era san Francesco di Sales, anch'egli di
carattere irascibile. Di lui il principe, dal temperamento
irritabile, imitò in particolare il fare di tutto per tendere alla
bontà, cosicché i suoi familiari e collaboratori concordemente
poterono asserire di non aver mai visto il dottor Batthyány
spazientito. Spesso supplicava Dio, dicendo: "Che io possa
diventare più mite". È giusto citare il suo testamento
spirituale riguardo al rapporto pieno di amore nei confronti dei
pazienti, della moglie e della famiglia: "Manchiamo
molto a motivo dell'impazienza, ogni cattivo umore dovrebbe restare
fuori della camera del malato. Mai dobbiamo mostrare al paziente che
abbiamo poco tempo per lui”.
Tratto
dalla rivista “Trionfo del Cuore”
Famiglia di Maria - Maggio-Giugno 2018
Anno 9 n°49
http://www.familiemariens.org/
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