venerdì 8 giugno 2018

L’amore del pellicano...



Nel 2003 san Giovanni Paolo II ha beatificato un medico oculista, che aveva incarnato in modo esemplare il vero amore, quello "che non avrà mai fine”, così come viene descritto nella Prima Lettera ai Corinzi - e non lo aveva fatto da solo! Il dottor Ladislaus Batthyány-Strattmann (1870-1931), un principe ungherese, ebbe sempre al suo fianco, come stupendo sostegno, la moglie Maria Teresa. Lei condivise con lui tutte le gioie e ogni impegno nel matrimonio, nella famiglia e nella professione.

Ladislaus nacque presso Dunakiliti, era il settimo figlio di un'antica e nobile famiglia ungherese. I genitori del piccolo e solare Laci - come veniva chiamato in famiglia - non furono per lui un esempio di rapporto felice. Aveva infatti otto anni quando il padre, il conte Joseph Batthyány, lasciò la numerosa famiglia per un'altra donna. Tre anni più tardi la mamma, profondamente religiosa, morì a causa di una nefropatia; era diventata cieca ed era tanto amata da Ladislaus. La sua perdita lo segnò profondamente: da questo triste evento germinò la sua aspirazione di diventare medico e aiutare gli altri. In un primo tempo, però, il giovane, sensibile e irascibile allo stesso tempo, visse senza obiettivi e senza stabilità. A scuola fu autore di brutti scherzi e per questo costretto a cambiare ginnasio; malgrado i numerosi interessi e talenti non sapeva quale strada seguire. Interruppe gli studi universitari di economia, intrapresi per poter un giorno gestire l'eredità dei numerosi castelli e residenze della sua famiglia. Lentamente, ma sempre più vigorosamente, s'impose in Laci il desiderio di quando era bambino: diventare medico. Nel 1896 l'ormai venticinquenne Ladislaus si trasferì a Vienna, per iniziare gli studi di medicina. Appartiene a questo periodo un fatto che si può considerare l'ultimo passo falso del futuro beato: in questa città, da una relazione amorosa irresponsabile, gli nacque una figlia illegittima, della quale tuttavia il giovane principe si preoccupò con sollecitudine per tutta la vita. Nel frattempo le sorelle di Ladislaus erano seriamente preoccupate per la sua condotta libertina. Si impegnarono con zelo a farlo incontrare con una loro amica sudtirolese, la contessa Maria Teresa di Coredo. Sulle prime Ladislaus non volle saperne di sposarsi, poi però “abbocco”. I due si fidanzarono e, dopo soli tre mesi, con l'università non ancora conclusa, si sposarono a Vienna il 10 novembre del 1898. Era il giorno del ventiquattresimo compleanno della sposa.
I miei figli e i miei malati sono i miei tesori"

Il matrimonio con Maria Teresa, che egli amorevolmente chiamava “Misl”, provocò in Ladislaus un cambiamento radicale. Da ribelle che era, trasferitosi con la famiglia nel castello di Kittsee nel Burgenland (Austria), divenne in breve tempo un medico e un marito assai coscienzioso, altruista
e sensibile, un padre esemplare per i tredici figli che Dio volle donare alla coppia. Nel conte Ladislaus sbocciò in particolare un grande amore per Dio e per il prossimo. Dio era infatti al centro della famiglia Batthyány, che conduceva uno stile di vita estremamente modesto per la posizione sociale che ricopriva. Tutti si riunivano per la Messa mattutina nella cappella del castello così come per il santo rosario prima di cena. Ladislaus progrediva nella vita spirituale guidando la sua famiglia nell'aiuto vicendevole e affidando a Dio la turbolenta vita quotidiana. Si può davvero dire che Ladislaus e Misl vissero un matrimonio ideale completandosi l'un l'altro perfettamente. Tutto quel che riguardava la famiglia veniva discusso “nelle nostre abituali passeggiate su e giù per la sala del castello”, soprattutto l'educare i figli a divenire uomini umili e pronti al sacrificio. Mai si scambiarono grandi regali, ma piuttosto gesti di profondo affetto. Ladislaus poteva dedicarsi ai suoi figli solo la sera, e tornava ad essere egli stesso bambino, spendendosi con tutto il suo amore e con grande talento: sapeva infatti suonare, cucinare torte fantastiche e preparare con i suoi bambini gelato, caramelle e acqua di colonia. Seguiva lo sviluppo interiore di ciascun figlio con grande cura. Sotto il profilo organizzativo era spesso “Misl” a prendere l'iniziativa. Se i ragazzi combinavano qualcosa, “temevano” maggiormente la madre; ma, sentendosi davvero al sicuro nel rapporto eccezionalmente amorevole coi loro genitori, ubbidivano al primo cenno. Un educatore testimoniò: "Un così tenero rapporto familiare, un'atmosfera così piena d'amore e di gioviale allegria non l'ho mai vissuta in alcun altro luogo neppur in modo parziale".
Un giorno la sorella Elisabeth gli chiese: “Dimmi, ma perché ti sei specializzato proprio in oftalmologia?". La bella risposta di Ladislaus fu: “Perché l'occhio è lo specchio dell'anima; e se con l'aiuto di Dio mi riuscirà di ridare il lume della vista a qualcuno, allora potrò esercitare un influsso anche sulla sua anima. Sono infatti così riconoscenti quelli che erano ciechi e poi tornano a vedere!".
Per quanto concerne la sua professione, come una particolare vocazione che Dio gli aveva instillato nel cuore, fin dall'inizio volle essere un medico per i poveri! Nel 1902, presso la sua proprietà di Kittsee, istituì una clinica privata, organizzata come quella di una grande città, con trenta posti di degenza. E straordinario il fatto che non solo ogni giorno visitasse gratuitamente i circa ottanta pazienti che gli si presentavano, ma anche che spesso consegnasse loro gratuitamente le medicine e rimborsasse i costi del viaggio. Quando, dopo una cura, un povero gli chiedeva quanto gli dovesse, egli rispondeva sempre cordialmente e umilmente: "Preghi un Padre Nostro per me".
Con lo stesso zelo con cui si spendeva per i figli, così in spirito di sacrificio si adoperava per i suoi pazienti. Misl era per lui la migliore assistente e punto di appoggio. Ad un certo momento però la salute di Laci non resse più l'alto numero di pazienti sempre in aumento. Saggiamente, nel 1907, sua moglie gli "ordinò” alcune settimane di vacanza al sud e il trentaseienne scrisse pieno di gratitudine: "Ci amiamo ogni giorno di più; dopo nove anni di vita matrimoniale siamo davvero un corpo solo e un'anima sola”. Poiché entrambi volevano usare questa pausa dal lavoro per porre la loro vita e le loro forze in un rinnovato inizio sotto la Divina Volontà, durante il felice soggiorno a Nizza decisero di fare una confessione generale di tutta la vita. Era il Sabato Santo, dopo aver ricevuto il sacramento andarono sulla spiaggia e da un'altura gettarono festevolmente in mare i loro appunti strappati. Ladislaus si specializzò quindi in oftalmologia e con il suo talento divenne ben presto uno stimato chirurgo oftalmico. In questo modo il lavoro certo non diminuì. Durante la Grande Guerra il “principe dottore”, così veniva chiamato, si adoperò anche per i militari feriti. "Il paziente mi insegna ad amare sempre più Dio ed io amo Dio negli ammalati. L'ammalato mi aiuta più di quanto io stesso lo aiuti! Questi prega per me e sommerge me e la mia famiglia di grazie ... Quante volte i pazienti mi dicono: 'Dio glielo ricompensi! In terra e in cielo!'. E le molte parole di benedizione sono state e saranno esaudite da Dio!".
Nel 1920 la famiglia si trasferì in un'altra proprietà, presso Körmend, in Ungheria. Qui in un'ala del castello Ladislaus allestì un secondo ospedale e proseguì nella sua attività benefica. Solo un anno più tardi dovette affrontare la morte improvvisa del figlio maggiore, di 21 anni, l'intelligentissimo e profondamente pio Ödön - una prova difficile! Impotente il padre medico vide il giovane morire tra acuti dolori intestinali.
Attraverso la grazia e il puro, ardente desiderio di Ödön di andare in Cielo, Ladislaus comprese come con la sofferenza ci si possa assai avvicinare a Dio. L'ultima esortazione del moribondo: "Voi dovete adesso diventare sempre migliori, sempre migliori!”, rese ancor più chiara alla coppia la vocazione ad aiutarsi reciprocamente sulla via della santità.
Questo dolore che Ladislaus, pieno di gratitudine e fiducia, accettò dalle mani di Dio, "sempre come Egli vuole, essendo il mio miglior Padre”, provocò in lui, per così dire, una seconda conversione. Più chiaro che mai si presentò a lui e anche alla moglie il supremo ideale della loro vita: l'Inno alla Carità del capitolo 13 della Prima Lettera ai Corinzi sarebbe divenuto la regola generale di tutta la loro esistenza. In questo alto ideale la coppia visse pienamente in un'armonia vicendevole. Se uno dei due era esausto per il contatto con alcuni pazienti difficili o aveva i nervi a pezzi, bastava uno sguardo e la parola magica: “ Lettera ai Corinzi': e allora sia io che lei sappiamo cosa fare! Come la luce del sole tutto indora, per prima cosa rende rosa la rosa e dà all'oro il suo splendore, così si realizza anche quello che la Lettera ai Corinzi esprime: solo con l'amore la vita diviene bella”. Nonostante la sua professione lo avesse reso famoso in tutta Europa, nel suo intimo Ladislaus era convinto di essere solo uno strumento di Dio. Il suo servizio ai pazienti iniziava e si concludeva sempre presso il Santissimo Sacramento dell'Altare nella cappella del castello. Prima di ogni operazione, spesso in ginocchio, pregava con i pazienti, invitandoli ad aver fiducia nella bontà di Dio e tracciava benedicente un segno di croce sulla parte da operare. Per i casi particolarmente difficili pregava incessantemente la notte per ottenere un miracolo in favore dei malati e invitava alla preghiera anche la sua famiglia. Poi la sera raccontava loro come era andata e ringraziava i figli per la collaborazione!
Nella primavera del 1926 Ladislaus si accorse che le sue forze andavano diminuendo. Aveva 56 anni e quando, dopo un colpo di tosse, si accorse di aver sputato sangue, fu subito pronto a rimettere tutto nelle mani di Dio. “La mia buona Misl era davvero preoccupata. Sempre come Dio vuole... Egli mi ha tenuto nella Sua grazia, in una famiglia amatissima, con una donna pia e con una professione per la quale ho avuto la possibilità di ridare il lume della vista a centinaia di persone"
Ladislaus comprese bene che il Dio sofferente ora stava prendendo forma
in lui, medico, e volle così unirsi al Signore. In questo tempo fu ancora più fervente nella preghiera: “Per mia moglie, per tutti i miei figli, che tutti divengano santi, per i malati”.
Nei successivi due anni e mezzo, dimentico di sé, il dottor Batthyány continuò a lavorare, nonostante fosse sempre più debole, con il numero dei pazienti in continuo aumento. Era al culmine dei suoi impegni lavorativi, quando nell'estate del 1929 gli venne diagnosticato un tumore alla vescica. Un intervento presso il sanatorio di Vienna giunse ormai troppo tardi. Ladislaus soffrì di terribili crampi dolorosi, fino a 13 al giorno, e tuttavia era raggiante per la sua quiete interiore.
Per essergli vicino la sua famiglia si ritrasferì nel castello di Kittsee, e Misl o uno dei figli restarono continuamente al suo fianco. In quel periodo purtroppo si ammalò anche la moglie, costretta a sottoporsi ad un'operazione chirurgica in Germania. Prima della sua partenza, Ladislaus le scrisse: "Dio ti benedica, mio caro piccolo cuore, Egli è con noi!". Il fatto che fossero un corpo e un'anima sola lo si può riscontrare in modo particolare quando, nonostante la grande distanza che li separava, entrambi, nello stesso momento, furono colti da insufficienza cardiaca. Tra dolori quasi insopportabili, nei quattordici mesi della sua Via Crucis, fedele fino alla fine, Laci pregò con il Breviario mariano. Il 22 gennaio 1931 Misl e i figli erano al suo capezzale.
La sera, alle 19.15, come avevano sempre fatto, recitarono insieme il santo rosario, prima che egli perdesse conoscenza e s'incamminasse in silenzio verso Dio. Il giorno precedente aveva chiesto ai suoi cari: “Portatemi sul balcone affinché possa gridare al mondo quant'è buono il Signore!".

Il santo preferito di Ladislaus era san Francesco di Sales, anch'egli di carattere irascibile. Di lui il principe, dal temperamento irritabile, imitò in particolare il fare di tutto per tendere alla bontà, cosicché i suoi familiari e collaboratori concordemente poterono asserire di non aver mai visto il dottor Batthyány spazientito. Spesso supplicava Dio, dicendo: "Che io possa diventare più mite". È giusto citare il suo testamento spirituale riguardo al rapporto pieno di amore nei confronti dei pazienti, della moglie e della famiglia: "Manchiamo molto a motivo dell'impazienza, ogni cattivo umore dovrebbe restare fuori della camera del malato. Mai dobbiamo mostrare al paziente che abbiamo poco tempo per lui”.

Tratto dalla rivista “Trionfo del Cuore” Famiglia di Maria - Maggio-Giugno 2018 Anno 9 n°49 http://www.familiemariens.org/


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