giovedì 5 aprile 2018

Lo sconfitto trionfa...



Gesù sulla Croce, sul Calvario, sembrava essere lo sconfitto, il perdente,ma la risurrezione ha dimostrato alla fine che Lui era il vincitore. “Lo sconfitto vince”: il cardinale ungherese Joszef Mindszenty portava sempre con sé queste parole scritte su un'immagine di Gesù crocifisso e da esse attinse la forza per rimanere fedele a Dio anche durante le terribili torture della prigionia.
È la stessa esperienza che ha vissuto il beato rumeno Wladimir Ghika (1873-1954).

Il principe rumeno visse “in compagnia” della croce fin da piccolo. Wladimir, quinto figlio della famiglia dei principi Ghika, nacque il 25 dicembre 1873 a Costantinopoli e fu battezzato e cresimato nella Chiesa Ortodossa. Quando nel 1878 suo padre Giovanni Ghika fu nominato ambasciatore a Parigi, la famiglia si trasferì in Francia, ma, ancor prima di raggiungere i suoi, il capofamiglia morì per le conseguenze di una polmonite. Fu la prima dolorosa perdita per il piccolo Wladimir. Nella scuola francese, tramite i suoi amici, il ragazzo conobbe la fede cattolica e desiderò ardentemente ricevere la Prima Comunione con loro, ma la mamma fu contraria: “Pensa ai tuoi antenati! Tu, discendente dei principi greco-ortodossi, vuoi diventare un traditore?”. Più tardi Wladimir confessò: “Ho aspettato sedici anni prima di decidermi; più aspettavo e più la mia anima si infiammava. La chiamata si faceva sentire in me perfino di notte". Questa sofferenza interiore fu la sua croce nascosta, alla quale si aggiunse presto un'altra umiliazione, la salute cagionevole. Dopo aver brillantemente completato gli studi a Parigi, Wladimir si ammalò di polmonite e dovette rinunciare alla prevista carriera diplomatica. Ma proprio attraverso questo sacrificio Dio gli rivelò passo dopo passo la sua vera vocazione. Con il fratello, chiamato all'Ambasciata rumena in Italia, soggiorno per sei anni a Roma. Più tardi descrisse questi anni come “il tempo della presa di possesso della fede cattolica sul mio spirito e sul mio cuore".
Wladimir comprese che l'unità dei cristiani può essere realizzata solo sotto l'autorità del Papa, successore di Pietro. Per questo a Roma nel 1902, assieme alla cugina, la regina Natalia di Serbia, passò ufficialmente alla Chiesa Cattolica. Questo passo scandalizzò non solo la sua famiglia, ma anche i fedeli ortodossi rumeni. La mamma, che intuiva, temendola, la possibilità che il figlio potesse perfino diventare sacerdote cattolico, si rivolse personalmente a papa Pio X con la supplica di dissuadere il figlio da questa scelta. Effettivamente il santo Pontefice consigliò al principe di rimanere nel mondo e di testimoniare lì la sua fede. Un'altra pugnalata, ma Wladimir obbedì. Ad un monaco ortodosso che, dolorosamente colpito, lo interrogava sul perché fosse diventato cattolico, egli rispose semplicemente: “Mi sono fatto cattolico per essere più ortodosso!”.


San Giosafat, il martire che diede la vita per l'unità dei fedeli ortodossi con il Santo Padre di Roma, divenne il suo grande modello. Da laico Wladimir volle operare per l'unificazione mediante la carità. Cristiani ortodossi, ebrei e non credenti, tutti avrebbero dovuto sperimentare la testimonianza dell'amore concreto per il prossimo, per potersi così aprire a tutta la verità. Insieme a suor Pucci, una suora di carità di San Vincenzo de' Paoli, con il proprio patrimonio, il trentunenne principe aprì a Bucarest un ambulatorio medico, nel quale in poco tempo arrivarono a collaborare circa cento “dame di carità" dell'aristocrazia rumena e un giovane medico.

Wladimir fu l'anima di quest'opera, da lui impregnata di spirito profondamente sacerdotale. Chiamò il servizio ai poveri la “liturgia del prossimo”.
"Doppia e misteriosa liturgia: il povero vede Cristo venire a lui sotto le specie di colui che lo soccorre, e il benefattore vede apparire nel povero il Cristo sofferente, sul quale egli si china. Ma, per ciò stesso, si tratta di un'unica liturgia. Infatti, se il gesto è compiuto come si deve, da ambedue i lati c'è soltanto Cristo: il Cristo Salvatore viene verso il Cristo Sofferente, e ambedue si integrano nel Cristo Risorto, glorioso e benedicente”.
Così la liturgia eucaristica, già celebrata sull'altare, si prolunga nella cura ai poveri. Non si tratta d'altro che di “dilatare la Messa nella giornata e nel mondo intero, come onde concentriche che si propagano a partire dalla comunione eucaristica del mattino".
Quando nel 1914 la principessa Alexandrina, mamma di Wladimir, morì, al figlio si ripresentò la questione della sua vocazione al sacerdozio. Una fedele lo aiutò a prendere la decisione con queste parole: “La celebrazione di una sola Santa Messa è più efficace di tutte le altre opere che si possano compiere per il bene della Chiesa e dell'umanità”.

Alla presenza di tanti rappresentanti delle famiglie reali d'Europa, Wladimir Ghika venne ordinato sacerdote il 7 ottobre 1923 all'età di 50 anni dall'arcivescovo di Parigi. Subito iniziò il suo benefico apostolato. Ovunque egli giungesse nei suoi numerosi viaggi pastorali, parlava di Dio con persone di tutti gli orientamenti religiosi e non di rado i suoi interlocutori si convertivano, poveri e ricchi, colti e persino satanisti. Prima di tutto però guidò le anime alla profonda contrizione e, come il suo modello San Giosafat, impartì loro ovunque nel segno della croce l'assoluzione - in treno o al bar, in teatro o in una sala da concerti - così da essere chiamato “il confessore
delle strade”.

Egli stesso, con indescrivibile mitezza, accettò ogni croce che incontrò nel suo apostolato e così, con tanta pazienza, conquistò per Dio anche gli atei più accaniti. Sperimentò come la sofferenza accettata per amore sconfigga ogni malizia e diventi benedizione per se stessi e per gli altri. Ebbe modo perfino di comprendere come Dio si servisse di lui per operare miracoli nel segno della croce. Dopo che nel 1931 Papa Pio XI gli ebbe conferito il titolo di “Protonotario Apostolico”, l'apostolato di padre Ghika lo portò fino in Giappone. Li andò a trovare un amico, l'ammiraglio Yamamoto, che si convertì alla fede cattolica e gli procurò un'udienza con l'imperatore Hirohito. Per l'occasione padre Wladimir imparò a dire in giapponese: “Che Dio onnipotente ti benedica!”, sebbene gli avessero spiegato che era impossibile benedire l'imperatore, dal momento che era ritenuto una divinità.
Il sovrano si intrattenne a lungo con p. Ghika parlando in francese e gli confidò la sua grande pena di avere delle figlie femmine, ma nessun maschio successore al trono. P. Wladimir, confidando nel Signore, gli disse: “Maestà imperiale, vi darò la benedizione di Dio e Dio vi darà un figlio”. Dopo il colloquio i due si alzarono in piedi e l'imperatore chinò il capo. Quando p. Ghika sollevò la mano per il segno della croce e pronunciò la benedizione in lingua giapponese, i dignitari presenti si precipitarono esterrefatti su di lui per impedirglielo. Ma il loro “dio in terra" fece segno di essere consenziente a quanto stava facendo lo straniero. L'anno dopo l'imperatore ebbe tra le braccia un figlio.
Questo è solo uno dei tanti miracoli sconosciuti che p. Wladimir poté ottenere per mezzo della sua benedizione sacerdotale.

L'imperatore Hirohito fu il 124° "sovrano celeste” del Giappone. Il suo regno, il più lungo nella storiadella monarchia giapponese, durò dal 1926 al 1989. Abolì l'usanza delle concubine, fino a quel momento vigente, provocando forti discussioni, soprattutto perché per lungo tempo non gli nacque un figlio maschio. Con la moglie, l'imperatrice Kojun, ebbe 7 figli; dopo le prime quattro figlie, nel 1933 nacque finalmente il desiderato erede, l'attuale imperatore Akihito, salito al trono imperiale del Giappone nel 1989.

I più grandi miracoli, però, furono quelli della consolazione e della fedeltà, che operò nella prigione militare in Romania negli anni 1952-1954, quando sacerdoti e laici furono arrestati e torturati dai comunisti con l'accusa di “spionaggio per il Vaticano”.

Da prigioniero, p. Wladimir ripeteva continuamente queste parole: "Signore, credo più alla tua bontà che alla realtà che mi lascia soffrire, più che al mio tormento". Così divenne per i suoi compagni una luce nella terribile oscurità della prigione. A 80 anni di età, alto 1,76 metri, arrivò a pesare meno di 50 chili. Ma p. Ghika non si piegò neanche quando, con un falso processo, fu condannato ad altri 3 anni di prigione. “Quando prendi su di te il dolore del tuo prossimo, il tuo lo prenderà su di Sé il Signore e lo farà suo proprio, che vuol dire che lo farà redentivo". Con la sua presenza la buia cella del carcere divenne una chiesa.
P. Wladimir trasmise ai compagni di prigione la forza di accettare le loro sofferenze dalle mani di Dio come espiazione e per questo diffuse intorno a sé una profonda pace. Un testimone ricorda: "In questo uomo ho visto la vera libertà. Per lui non esistevano le mura della prigione. Lui era libero perché compiva la volontà di Dio". Nel mese di gennaio del 1954, l'ottantunenne prigioniero Ghika fu valutato non idoneo al lavoro e trasferito nell'infermeria dove, nella continua preghiera, la sua vita si spense lentamente il 16 maggio. Lo si sentiva ripetere: “Signore, non mi abbandonare. Mi aggrappo al Tuo amore per sconfiggere l'odio dei miei nemici”. Offrì la sua vita per l'unità degli ortodossi con la Chiesa Cattolica e per la Romania, il suo paese.

Tratto da “ Il Trionfo del Cuore” - Nella Croce è la Salvezza – Marzo Aprile 2018 - Anno 9 n° 48 http://www.familiemariens.org – Opera di Gesù Sommo Sacerdote-Famiglia di Maria


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