mercoledì 29 maggio 2019

VI DARÒ UN CUORE DI CARNE... " Il dramma di Pietro è il nostro: abbiamo un cuore di pietra. Siccome abbiamo un cuore di pietra ci tocca subire come un trapianto cardiaco "...



La sicurezza degli umili
Gli apostoli non sono degli esempi solo per le loro virtù, ma anche per le loro mancanze. Se lo Spirito Santo ha voluto che tali mancanze fossero manifestate nel Vangelo, lo ha fatto proprio perché esse c'insegnassero che rischiamo di non poter fare meglio, che saremmo temerari e presuntuosi se pretendessimo di essere migliori. Pietro e Paolo sono le colonne della Chiesa: uno ha tradito Gesù e l'altro l'ha perseguitato...
Non dico che bisogna tradire e perseguitare, beninteso; c'è una sola categoria di persone preservate da questo pericolo, e sono quelle che per la loro innocenza ed umiltà assomigliano alla Santa Vergine. Essi evitano queste catastrofi perché da se stessi si sono giustamente convinti che possono fare di peggio; di conseguenza essi affondano così profondamente nella piccolezza dei bambini, che Dio li tiene al riparo nella cavità della roccia, dove sono protetti dai pericoli di cui hanno acutamente coscienza. Quelli non contesteranno la necessità di passare attraverso delusioni, disillusioni e capovolgimenti per amare Dio e Gesù Cristo!
La Santa Vergine è stata consapevole del pericolo del peccato — oserei dire tranquillamente consapevole, perché ne fu preservata. Quando imperversano tuono e tempesta, se siete al sicuro non avete paura; è meglio non esporvisi, sarebbe pericoloso, perciò nella vostra mente non balena neanche l'idea. Perciò siete al sicuro, ma la vostra non è presunzione; è la sicurezza di coloro che sanno che fuori c'è la tempesta.
Io la chiamo sicurezza degli umili, persone che non si credono più forti della tempesta. Chi si rifugia non pretende di far fronte agli elementi scatenati; al contrario, dice: «Non ho nulla da temere poiché ho un buon riparo». I Salmi cantano questa fiducia: «Tu sei il mio rifugio, Signore, non manco di nulla; sei il pascolo erboso dove trovo ristoro, non ho nulla da temere perché sono al riparo. È in te, mia roccia, che ripongo la mia fiducia, non in me. Se solo provassi ad uscire sarei spazzato via immediatamente».
La Santa Vergine lo sapeva perfettamente, come Teresa del Bambin Gesù, che ne è una voce. Ella non ha praticamente mai parlato nel Vangelo, ma c'è un tempo per tacere e un tempo per parlare. Grignon de Montfort profetizzava che negli ultimi tempi Maria si sarebbe manifestata. L'ha fatto a Lourdes, alla strada di Bac a Fatima, ed in molti altri luoghi più o meno riconosciuti dalla Chiesa.
A Lourdes ha detto: «Sono l'Immacolata Concezione». A suo modo, che non è quello dei teologi, ha avuto coscienza di essere al riparo dalla tempesta che scuote il genere umano, ha ringraziato di esserne preservata. Ha sentito l'equivalente della contrizione o della compunzione, ferita di un cuore che osa appena alzare gli occhi a Dio come il pubblicano, al quale importa solo di nascondersi, per non cadere come gli Angeli. La Santa Vergine era consapevole d'aver scampato di poco questo abisso, sentiva il bisogno di rannicchiarsi nel cuore di Dio, nello Spirito Santo, per continuare ad esserne preservata.
Benché Teresa del Bambin Gesù avesse il peccato originale, Maria le comunicò il carisma del Magnificat: «Sono una bambina, sono povera, sono piccola, mi ha amata gratuitamente, misericordiosamente, più degli altri». Ci vogliono una trasparenza ed un'umiltà incredibili per pronunciare parole come queste, così simili a quelle del fariseo, e che in verità sono più umili di quelle del pubblicano... Questo genere letterario del Magnificat, non lo troverete molto nella Chiesa. Sant'Agostino ha avuto il buon gusto di dire «Sono un peccatore». Per dire: «Sono innocente» bisogna essere incoscienti come il fariseo o realmente innocenti, e non ci sono tanti scrittori, predicatori o profeti che abbiano avuto l'audacia di dire: «Mi presento: sono una bambina amata dal Buon Dio».
Teresa d'Avila: «Vorrei raccontare i miei peccati, il mio direttore me l'ha proibito. Parlo delle grazie che ho ricevuto per cantare la gloria del Re ed insegnare alle anime come fare fronte a tali grazie». Parla come maestra delle novizie e per istruire. Teresa non parla per istruire ma perché una sua sorella le disse: «Raccontateci i vostri ricordi d'infanzia». Allora scrisse per la sua famiglia, ma molto presto sentì che quello scritto aveva un'importanza capitale per le anime, i deboli, gli insicuri, i poveri, quelli che non osano avere fiducia. Posseduta dalla stessa fede della Santa Vergine, ha voluto cantare la misericordia del Signore sulla linea del Magnificat...
Renan aveva predetto che non ci sarebbe più stato l'entusiasmo del popolo che canonizza i martiri ed i santi. Sí ripeteranno, disse, dei Processi con l'avvocato del diavolo, ecc. tutto qui. Sette anni dopo Teresa del Bambin Gesù polverizzava i record di rapidità del suo tempo, perché la voce del popolo ha anticipato la canonizzazione ufficiale con tale vigore che il Magistero ha seguito come ha potuto!
Ma fino al momento presente il popolo aveva potuto vedere ed ascoltare i santi, costatare i loro miracoli ed ammirare le loro sofferenze, la loro pazienza o la loro predicazione. Quando videro Francesco d'Assisi predicare agli uccelli, furono come Mosè davanti al roveto ardente: «Cos'è questo? Gli girerò attorno...». Quando la mano di Dio si manifesta, si canonizza...
Niente di tutto questo per Teresa. Ella è rimasta nascosta come tutte le carmelitane, nessuno l'ha conosciuta, anche nel suo carmelo le Suore dicevano: «Non sappiamo cosa dire su di lei!». In che modo è stata conosciuta? Unicamente attraverso il suo Magnificat: «Mi presento: sono stata ricolmata di grazia...» ed il popolo vi ha creduto! Attraverso Storia di un'anima, e solo Storia di un'anima, Dio ha fatto conoscere Teresa ed ha causato la sua canonizzazione. Tutto partì da questo manoscritto.
In seguito ci furono dei miracoli, delle grazie, il processo, la testimonianza delle suore, ma solo dopo. L'uragano della gloria è partito dal Manoscritto, pubblicato in duemila copie con timore e tremore. E Teresa che presagì, è il caso di dirlo, l'arrivo della tempesta, disse a Madre Agnese: «Mi raccomando, non lasciate cadere questo Manoscritto nelle mani di chi che sia prima che venga pubblicato».
Aveva ragione di diffidare. Molte priore del carmelo inorridirono; esse lo considerarono un tradimento nei confronti della trascendenza di Dio. Se avessero potuto avrebbero fatto di tutto per impedire questa pubblicazione. Che scandalo presentare la santità come accessibile! Era il loro modo di concepire il dramma di Pietro.
Successivamente si scatenò la tempesta, ma tutto cominciò dall'audacia di Teresa: «Sono una piccola ragazza ricolmata dal Buon Dio, un piccolo fiore bianco. Non so perché, ma è così; Egli sceglie chi vuole. M'ha domandato di cantare l'Amore che prova per me, allora canto. Non cerco di edificare, non parlo per insegnare , ma per cantare, cantare senza motivo, la misericordia di Dio» (1).
Perdonata senza aver peccato
«Intorno a me si raccontava che nessuno ha amato il Buon Dio come i pescatori convertiti, Maria Maddalena o sant'Agostino. Allora mi sono ingelosita». Teresa non si esprime in questi termini, ma ciò rappresenta l'essenza del suo pensiero. Di fatto ci sono persone che, per amare Dio, oso dire che avrebbero bisogno di commettere dei peccati, Giovanni Paolo I l'ha detto esplicitamente (Udienza del 6 settembre 1978); di nuovo si ripresenta il dramma dí Pietro. Fin quando non hanno peccato visibilmente e vergognosamente, sono su un piedistallo; nulla può farli scendere, ad eccezione, sembrerebbe, della catastrofe di un profondo ed esplicito peccato.
Ci vien detto: «Colui che piange i suoi peccati inizia a conoscere la miseria, gli altri non comprendono. L'uomo che non è stato tentato cosa ne sa? Non molto! L'uomo che non ha peccato, che non è sprofondato a causa della sua mancanza, ha un limite: nella maggior parte dei casi gli manca un sentimento, una dimensione, un tassello...».
Teresa lo avvertiva fortemente e si domandava come acquistare tale dimensione. Perché i convertiti amano Dio più intensamente? Cristo risponde attraverso la parabola dei debiti: quelli a cui Dio condona un grande debito sono ricolmi di gratitudine, gli altri non lo sono. A Maddalena sarà molto perdonato perché ha molto amato. Colui a cui si perdona può amare.
Dunque, ci sarebbe una forza insostituibile dell'amore, che consiste nel sentirsi perdonati, è la compunzione. Solo la compunzione non può essere prodotta dalla forza di volontà; inutile fare come i sacerdoti di Baal ed arrabbiarsi. Nel messale di mia madre c'era un vademecum del penitente nel quale si leggeva: «Stimoliamoci alla contrizione». Ebbene, la contrizione implica avere il cuore spezzato, come se si spaccasse un sasso. Non consiglio di «stimolarsi» a ciò; sarebbe contraddittorio. Non si decide di avere il cuore spezzato; lo si ha o non lo si ha. Invece, si può accettare questa rottura o resisterle — in questo caso ci s'indurisce, ci si rifiuta di sentirsi peccatore; quando Dio prova a spezzare il nostro cuore, la nostra libertà pone resistenza e s'irrigidisce. Ancora una volta ci troviamo di fronte al dramma di Pietro.
Teresa non aveva alcuna voglia di resistere, al contrario. Comprese che non ci si doveva comportare così; è il colmo: ella avrebbe voluto peccare: «Anche se avessi commesso tutti i crimini della terra, questo non mi fermerebbe; andrei a trovare Gesù con il cuore spezzato dal pentimento e con lo stesso slancio; questo non mi fermerebbe» (cfr. fine di Storia di un'anima)
Immaginate di risvegliarvi da un lungo sonno. Quanti crimini, quale profondo tradimento sareste capaci di scoprire in voi senza perdere la fiducia? Se rispondete: «Anche se avessi commesso il peccato di Giuda non perderei la fiducia», voi siete santi! La quantità di peccati che siamo capaci di sopportare senza perdere la fiducia misura la nostra perfezione. Quando sento che lo scoraggiamento assale il mio cuore, mi sembra di sentire la Santa Vergine che mi dice: «Puoi mandarmi i tuoi peccati, non mi imbarazzano, so cosa farne, so come usarli. Tu non sai servirtene, ma io sì, proprio perché non ne ho. Non chiederei che averne, per precipitarmi con "il cuore spezzato dal pentimento" verso Gesù, con tutto lo slancio possibile; non indugerei neanche un istante, al contrario!».
Teresa non solo avvertiva tutto questo ma sentiva anche che il trampolino più potente per spingersi verso Cristo era precisamente la coscienza di aver peccato, dell'aver bisogno di essere perdonata. Ella si avvicinava al Beato Michel Garicoits dicendo: «Supponiamo che io muoia in fondo ad un fossato, isolata da tutto, senza sacerdote, dopo aver commesso tutti i crimini della terra. Mi resta appena qualche secondo per gettarmi nella misericordia di Dio... la mia sorte sarebbe invidiabile, invidiabile, invidiabile!».
Teresa aveva appena peccato. Allora scoprì la dimensione psicologia racchiusa nel dogma dell'Immacolata Concezione. Due bambini corrono, uno va più veloce, cade in una trappola, si ferisce. L'altro corre meno velocemente, il padre si precipita, «salva» quello che non è ferito, poi si prende cura del primo con tutto il suo amore. I due sono stati salvati dallo stesso pericolo, ma colui che è stato «preservato» è stato salvato più dell'altro. Quelli che sono curati dopo aver peccato sono perdonati, ma quelli che sono curati prima d'aver peccato sono ancora più perdonati dallo stesso peccato!
Queste osservazioni interessano la più rigorosa teologia dell'Immacolata Concezione. La Santa Vergine è stata salvata dal peccato originale, come gli altri e più degli altri, perché ella ne aveva «diritto», era figlia dì Eva. Prima del suo concepimento, il processo della sua genealogia avanzava ininterrotto, perciò ella poteva contrarre il peccato. Aveva bisogno di un intervento speciale per essere salvata. Tale intervento fu così puntuale che impedì alla Santa Vergine di essere macchiata dal peccato originale. Questa salvezza proveniva dal Sangue di Cristo, le fu donata in previsione dei meriti di Cristo. La Vergine è stata bagnata nel sangue di Cristo e salvata dal peccato originale come voi e me; la sua innocenza non fu come quella di Eva, la quale non aveva bisogno di essere salvata e riscattata.
Anche Teresa ha cantato il suo Magnificat: «Io non sono l'Immacolata Concezione, non sono che una piccola peccatrice, ma non ho mai rifiutato niente al Buon Dio. Tuttavia sono fragile, e se non avessi ricevuto le sue grazie potevate assistere a cose molto tristi, poiché avevo un temperamento terribile. Ho detto Si molto giovane, me se avessi detto No sarei stata un po' come gli Angeli! Ne sono stata preservata, perciò canto la misericordia di Dio» (cfr. Ultimi colloqui e Storia di un'anima, passim).
Anch'ella sì sentì una peccatrice perdonata; conobbe ciò che accade nella mente dei peccatori, poté dire: «Colui a cui si perdona di più ama di più; Gesù mi ha perdonato più che ad altri. M'ha perdonata meno profondamente che alla Santa Vergine, ma sullo stesso piano ed allo stesso modo». Teresa è un'eco della Santa Vergine, uno strumento efficace e prezioso per capire il suo Cuore Immacolato. Nel Vangelo Maria ha taciuto, Teresa ha parlato spinta dallo Spirito Santo; le sue confidenze servono a spiegarci la psicologia di Maria.
Il dramma di Pietro
Dunque, se volete raggiungere l'Amore di Dio bisogna attraversare una certa catastrofe. A quelli che dicono: «Facciamo attenzione a non peccare; se siamo fedeli e giusti forse possiamo evitare la catastrofe», Teresa e Maria rispondono: «È necessario passare attraverso una catastrofe, a meno che non si sia protetti da una grazia eccezionale, per la quale noi ringraziamo così profondamente come se avessimo attraversato la catastrofe. Quella che ci ha immerso nell'Amore è la stessa salvezza che Egli offre ai peccatori. Noi siamo state tirate fuori dal ruscello, dal fango del genere umano, e portate nel cuore di Dio».
Ma coloro che non sentono di essere nel ruscello, bisogna che per prima cosa vi cadano! A questo punto è ora di parlare del dramma di Pietro, nominato più volte: «Darei la mia vita per te», è il suo ritornello. E quando Gesù gli dice: «È necessario che il Figlio dell'uomo soffra e venga messo a morte dai sommi sacerdoti prima di risorgere», Pietro risponde: «Io sono qui!». Il Cristo non può fare a meno di dire: «Pietro il tuo amore è macchiato con qualcosa di satanico; lungi da me, satana! Tu pensi come gli uomini, con un cuore di pietra, e non come Dio, con un cuore di carne» (cfr. Marco 8,33).
Fortunatamente, abbiamo la parola di Ezechiele: «Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne!» (36, 26). Il dramma di Pietro è il nostro: abbiamo un cuore di pietra. Siccome abbiamo un cuore di pietra ci tocca subire come un trapianto cardiaco. Diciamo con gli Apostoli:
«Darei la mia vita per te! (cfr. Luca 22,33). — È vero, e non c'è un amore più grande che dare la propria vita per coloro che si ama (cfr. Giovanni 15, 13).
Allora?
Non è così semplice. "Anche se gettassi il mio corpo tra le fiamme e non avessi la carità, non serve a nulla!" (1 Corinzi 13,3). Donare la propria vita non è solo donare il proprio corpo. Se muori nel modo in cui si muore per la patria, non significa che sei ricolmo della dolcezza di Dio».
Quando Gesù parla di donare la propria vita per coloro che si ama, fa pensare ad un agnello indifeso, come Lui. Quelli che muoiono per la patria non sono agnelli indifesi. I loro sentimenti sono generosi, ma con un'esaltazione, un fanatismo o una durezza che sono molto lontani dalla carità. I nazisti davano la vita per Hitler e per la Germania. Spesso i peggiori banditi hanno più coraggio della brava gente. Dare la vita del corpo non prova nulla, ecco cosa dice San Paolo. Donare la propria vita nel senso di cui parla Cristo, suppone avere un cuore di carne.
Il dramma di Pietro è proprio questo. Egli si sentiva pieno di ardore e pensava di poter evitare la morte di Cristo, che per lui era la catastrofe. Come evitare di tradire? Come ha fatto Giovanni? Non rifiutandoci di sapere fino a che punto ne saremmo capaci. Senza una speciale misericordia noi tradiremo. È molto difficile da ammettere quando ci si sente pieni d'amore, quando si grida: «Non ti tradirò mai, darei la mia vita per te!». Se in questo entusiasmo iniziale non accettiamo di capire che: «Prima che il gallo canti mi rinnegherai tre volte» (Matteo 26, 34), ebbene effettivamente tradiremo! In un modo o nell'altro vivremo la nostra ora di rinnegamento e d'infedeltà.
La nostra unica speranza dì evitare questo tradimento è comprendere che non siamo migliori di Pietro, che andrebbe già bene se tradissimo come lui e non come Giuda! Allora facciamo questa preghiera: «Mio Dio, se ti tradisco fa' che questo stesso tradimento mi apra gli occhi e diventi per me la grazia dell'arrendimento, della compunzione, la ferita davanti la scoperta della mia crudeltà».
Questa è la piccola difficoltà della vita spirituale e della nostra relazione con Cristo, il cambiamento di tonalità che il peccato assume ai nostri occhi. Finché siamo generosi ed abbiamo fiducia in noi stessi (dicendo che la riponiamo in Dio), il peccato si presenta come una debolezza.
Ci lamentiamo di essere deboli, chiediamo a Dio di renderci forti, crediamo col nostro cuore di pietra che se Egli ci darà la forza noi saremo fedeli ed eviteremo di tradirlo, arriveremo perfino a dare la nostra vita, diventa una faccenda di sforzi e di primati... con la grazia di Dio, beninteso!
Quando abbiamo tradito scopriamo che il nostro peccato non è una debolezza ma una crudeltà, una durezza. A causa di questa durezza non solo veniamo meno al nostro cammino, ma ci opponiamo a Gesù Cristo, come Pietro e gli apostoli quand'Egli parlò loro della Croce. Bisogna essere liberati da questa crudeltà.
La debolezza di Dio
Quando vediamo Gesù sulla Croce, tremiamo e domandiamo la Sua forza. Ma la Santa Vergine suggerisce che bisognerebbe piuttosto chiedere la Sua debolezza. Gesù si è volontariamente reso debole: qui è racchiuso il mistero della Passione, ma soprattutto quello del Natale. Non potremo accedere al mistero della Passione senza prima assimilare quello del Natale, che rappresenta la debolezza di Dio, più forte della forza degli uomini — dura e crudele, segretamente radicata in quella di satana. La forza dello Spirito Santo si perfeziona nella debolezza (2 Corinzi 12,9). La debolezza di Cristo fu quella di restare nella dolcezza; il demonio ed i cattivi non sono riusciti a far sì che Egli si difendesse. La debolezza e la forza di Gesù furono di non difendersi..„ lo ripeto: questo è il mistero del Natale.
E per questo motivo che è scoppiato il conflitto con gli Apostoli, che essi L'hanno tradito ed abbandonato. Erano pronti ad estrarre la spada, ad opporre la loro durezza a quella degli ufficiali, a dare la vita. Ma quando videro che Gesù non voleva difendersi a nessun costo: «Chi di spada ferisce di spada perisce. Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso» (Giovanni 10, 18), non poterono più seguirlo su quella strada, smisero di credere in Lui. Questo fatto fu più grave dei dubbi di Pietro nel momento in cui affondava nell'acqua ed il Cristo gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?» (Matteo 14,31). Fu una messa in discussione completa, il crollo di ciò che avevano sperato: «Era colui nel quale avevamo creduto?».
Allora l'abbandonarono e fuggirono. Non è stata la paura ad averli vinti; Cristo non li rimprovererà di aver avuto paura, né d'aver smesso di credere. L'hanno abbandonato sentendosi a loro volta abbandonati. I discepoli di Emmaus lo dicono a chiare lettere: «Speravamo che fosse il liberatore d'Israele». In altre parole: «Non lo speriamo più, è tutto finito, siamo delusi. Lasciarci in questo stato dopo il potere che ha manifestato, dopo le speranze che ha destato!».
Gesù dischiude loro il senso delle Scritture: «Voi non avete capito nulla, uomini privi d'intelligenza, era scritto, era profetizzato!». In quel momento non lo riconoscevano, ancora dubitavano, ma il loro cuore cominciò ad ardere. Appena lo riconobbero Egli sfuggì al loro entusiasmo ancora grossolano ed essi si guardarono: «Non ci ardeva forse il cuore quando ci spiegava le Scritture?» (cfr. Luca 24, 18-32).
Opera meravigliosa che si compie nel segreto: togliere il cuore di pietra per donarci un cuore di carne, a nostra insaputa, quando ci sentiamo sommersi, scoraggiati, senza alcuna speranza di essere liberati. Nell'oscurità della tempesta il nostro cuore diventa infocato perché è mutato in un cuore di carne. La radice ed il veleno del dubbio (nostra crudeltà) ci vengono sottratti mentre i dubbi sono ancora presenti! Dal momento in cui il cuore brucia, ha riconosciuto Gesù, la prova è superata, e noi passiamo dalla frase arrogante: «Darei la mia vita per te»... a quella che con un altro tono mormora: «Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo!» (Giovanni 21,17).
La beatitudine delle lacrime
Dunque c'è stato bisogno che Pietro tradisse perché passasse dal tono insolente a quello arrendevole, dall'affermazione squillante al mormorio gemebondo, per trovare la modulazione, il diesis o il bemolle, che raggiungesse il cuore di Dio. Ricordiamoci del monte Oreb. La dichiarazione impetuosa di Pietro era il vento violento; per passare dal vento violento al mormorio dolce e leggero c'è voluto il tradimento, un tremito della terra (quello che ha squarciato il velo del Tempio), il fuoco divorante della contrizione e soprattutto la beatitudine delle lacrime.
Il momento in cui Pietro è stato trasformato è molto preciso, lo si può datare: è quello in cui il gallo ha cantato tre volte. In quell'istante Gesù lo guardò (Luca 22, 61), e dentro di lui cadde quella resistenza che aveva attraversato le tribolazioni senza arrendersi; Pietro crollò. E questa la compunzione: non una pratica pia, ma una deflagrazione, l'entrata nella beatitudine delle lacrime, che alla fine ci rivela il vero volto del peccato: non una debolezza, ma una crudeltà scoperta alla luce dell'Amore e non degli ideali con cui altri ci avevano forgiati. Proprio in quel momento, Pietro abbandonò definitivamente quell'ideale.
La grazia delle lacrime è la più preziosa e la più desiderabile di tutte, perché non porta con sé né presunzione né disperazione: È molto difficile sfuggire completamente alla presunzione ed alla disperazione; essa è la contrizione perfetta di cui parla Teresa nel suo Ultimi colloqui, quella in cui si piange perché si prende coscienza della pena inflitta al Cuore di Dio! Con essa si è al riparo, si è salvati. Le lacrime sgorgano sulla roccia del nostro cuore, come le acque a Mériba nel deserto.
Si dice che le donne piangano facilmente. Spesso sono delle lacrime superficiali, ma piangono anche de profundis, dal profondo, più che gli uomini. Pensiamo a Maria Maddalena che con le sue lacrime bagnò i piedi di Gesù. Fu in vantaggio rispetto gli apostoli: davanti a loro ha versato lacrime che Pietro non capiva, tanto meno Simone il fariseo.
La Santa Vergine e Maria Maddalena hanno versato le stesse lacrime sui peccati di quest'ultima; fu solo la contemplazione del Cuore di Cristo a rendere possibile tutto questo. Quando si piange sul proprio peccato, non ci si preoccupa più di sapere chi l'ha commesso, non siamo più noi ad interessarci bensì l'Amore di Cristo ferito dalla nostra crudeltà — o dalla crudeltà degli altri, poco importa. Così Maria Maddalena e la Santa Vergine hanno versato le stesse lacrime. E per questo che la Vergine Santa non l'ha invidiata; ella ha pianto in egual misura, forse più, magari in modo meno spettacolare, ma nell'una e nell'altra scorreva lo stesso fiume d'acqua viva.
Le due donne conoscevano la beatitudine delle lacrime ancor prima che il povero Pietro potesse comprenderla! Fino al momento in cui disse a Gesù: «Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo!»... Pietro era ancora rimasto al vento impetuoso dell'Oreb, all'amore che inconsciamente si gloria di se stesso. Quando smettiamo di contemplare il nostro amore per guardare il Prediletto e misurare la distanza tra lui ed il nostro cuore, siamo nella verità, nella Pace promessa da Gesù: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo io la do a voi» (Giovanni 14, 27).
Il mondo dà la sua pace attraverso la negoziazione ed il compromesso tra l'uomo vecchio e quello nuovo, il cuore di pietra ed il cuore di carne. Abbiamo un po' di entrambi, l'acqua delle lacrime, che è pronta a sgorgare dalla roccia... e la roccia stessa. Il nostro cuore di pietra non è liquefatto, non è spezzato, non è contrito, non è morto.
Da ciò ha origine una situazione molto dolorosa. Ci piacerebbe che i due avversari che si battono nel nostro cuore, come Esaù e Giacobbe nel grembo di Rebecca, arrivino ad un compromesso: «Non troppa durezza! Non troppo orgoglio! Non troppo egoismo!» chiede Giacobbe. «Non troppo amore! Non troppa umiltà! Non troppa follia!» risponde Esaù.
Mediando ciò otteniamo il risultato della coesistenza pacifica. Noi la chiamiamo la pace, l'equilibrio cristiano, ma è una pace molto provvisoria. Quando Cristo dice: «Non come la dà il mondo io la do a voi», significa: «Non la do come compromesso, ma attraverso la totale sconfitta dell'avversario».
Dunque è necessario che il cuore di pietra venga spezzato, polverizzato, frantumato. E poco a poco, al calore del dolce fuoco della dolcezza di Dio, esso si scioglie. Quando sarà diventato liquido non ci saranno più conflitti tra il cuore di carne ed il cuore di pietra, perché non ci sarà più il cuore di pietra. Ci sarà la Pace, quella donata da Gesù... la santità. Un santo è colui il cui cuore di pietra è sprofondato nella tenerezza.

(1) Riassunto personale dell'autore del cap. I di Storia di un'anima.

Tratto dal libro: “ Chi comprenderà il cuore di Dio? “ di padre Marie-Dominique Moliniè – da pag.80 a pag.95 – Edizioni Piemme

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