La
sicurezza degli umili
Gli
apostoli non sono degli esempi solo per le loro virtù, ma anche per
le loro mancanze. Se lo Spirito Santo ha voluto che tali mancanze
fossero manifestate nel Vangelo, lo ha fatto proprio perché esse
c'insegnassero che rischiamo di non poter fare meglio, che saremmo
temerari e presuntuosi se pretendessimo di essere migliori. Pietro e
Paolo sono le colonne della Chiesa: uno ha tradito Gesù e l'altro
l'ha perseguitato...
Non
dico che bisogna tradire e perseguitare, beninteso; c'è una sola
categoria di persone preservate da questo pericolo, e sono quelle che
per la loro innocenza ed umiltà assomigliano alla Santa Vergine.
Essi evitano queste catastrofi perché da se stessi si sono
giustamente convinti che possono fare di peggio; di conseguenza essi
affondano così profondamente nella piccolezza dei bambini, che Dio
li tiene al riparo nella cavità della roccia, dove sono protetti dai
pericoli di cui hanno acutamente coscienza. Quelli non contesteranno
la necessità di passare attraverso delusioni, disillusioni e
capovolgimenti per amare Dio e Gesù Cristo!
La
Santa Vergine è stata consapevole del pericolo del peccato —
oserei dire tranquillamente consapevole, perché ne fu preservata.
Quando imperversano tuono e tempesta, se siete al sicuro non avete
paura; è meglio non esporvisi, sarebbe pericoloso, perciò nella
vostra mente non balena neanche l'idea. Perciò siete al sicuro, ma
la vostra non è presunzione; è la sicurezza di coloro che sanno che
fuori c'è la tempesta.
Io
la chiamo sicurezza degli umili, persone che non si credono più
forti della tempesta. Chi si rifugia non pretende di far fronte agli
elementi scatenati; al contrario, dice: «Non ho nulla da temere
poiché ho un buon riparo». I Salmi cantano questa fiducia: «Tu sei
il mio rifugio, Signore, non manco di nulla; sei il pascolo erboso
dove trovo ristoro, non ho nulla da temere perché sono al riparo. È
in te, mia roccia, che ripongo la mia fiducia, non in me. Se solo
provassi ad uscire sarei spazzato via immediatamente».
La
Santa Vergine lo sapeva perfettamente, come Teresa del Bambin Gesù,
che ne è una voce. Ella non ha praticamente mai parlato nel Vangelo,
ma c'è un tempo per tacere e un tempo per parlare. Grignon de
Montfort profetizzava che negli ultimi tempi Maria si sarebbe
manifestata. L'ha fatto a Lourdes, alla strada di Bac a Fatima, ed in
molti altri luoghi più o meno riconosciuti dalla Chiesa.
A
Lourdes ha detto: «Sono l'Immacolata Concezione». A suo modo, che
non è quello dei teologi, ha avuto coscienza di essere al riparo
dalla tempesta che scuote il genere umano, ha ringraziato di esserne
preservata. Ha sentito l'equivalente della contrizione o della
compunzione, ferita di un cuore che osa appena alzare gli occhi a Dio
come il pubblicano, al quale importa solo di nascondersi, per non
cadere come gli Angeli. La Santa Vergine era consapevole d'aver
scampato di poco questo abisso, sentiva il bisogno di rannicchiarsi
nel cuore di Dio, nello Spirito Santo, per continuare ad esserne
preservata.
Benché
Teresa del Bambin Gesù avesse il peccato originale, Maria le
comunicò il carisma del Magnificat: «Sono una bambina, sono povera,
sono piccola, mi ha amata gratuitamente, misericordiosamente, più
degli altri». Ci vogliono una trasparenza ed un'umiltà incredibili
per pronunciare parole come queste, così simili a quelle del
fariseo, e che in verità sono più umili di quelle del pubblicano...
Questo genere letterario del Magnificat, non lo troverete molto nella
Chiesa. Sant'Agostino ha avuto il buon gusto di dire «Sono un
peccatore». Per dire: «Sono innocente» bisogna essere incoscienti
come il fariseo o realmente innocenti, e non ci sono tanti scrittori,
predicatori o profeti che abbiano avuto l'audacia di dire: «Mi
presento: sono una bambina amata dal Buon Dio».
Teresa
d'Avila: «Vorrei raccontare i miei peccati, il mio direttore me l'ha
proibito. Parlo delle grazie che ho ricevuto per cantare la gloria
del Re ed insegnare alle anime come fare fronte a tali grazie».
Parla come maestra delle novizie e per istruire. Teresa non parla per
istruire ma perché una sua sorella le disse: «Raccontateci i vostri
ricordi d'infanzia». Allora scrisse per la sua famiglia, ma molto
presto sentì che quello scritto aveva un'importanza capitale per le
anime, i deboli, gli insicuri, i poveri, quelli che non osano avere
fiducia. Posseduta dalla stessa fede della Santa Vergine, ha voluto
cantare la misericordia del Signore sulla linea del Magnificat...
Renan
aveva predetto che non ci sarebbe più stato l'entusiasmo del popolo
che canonizza i martiri ed i santi. Sí ripeteranno, disse, dei
Processi con l'avvocato del diavolo, ecc. tutto qui. Sette anni dopo
Teresa del Bambin Gesù polverizzava i record di rapidità del suo
tempo, perché la voce del popolo ha anticipato la canonizzazione
ufficiale con tale vigore che il Magistero ha seguito come ha potuto!
Ma
fino al momento presente il popolo aveva potuto vedere ed ascoltare i
santi, costatare i loro miracoli ed ammirare le loro sofferenze, la
loro pazienza o la loro predicazione. Quando videro Francesco
d'Assisi predicare agli uccelli, furono come Mosè davanti al roveto
ardente: «Cos'è questo? Gli girerò attorno...». Quando la mano di
Dio si manifesta, si canonizza...
Niente
di tutto questo per Teresa. Ella è rimasta nascosta come tutte le
carmelitane, nessuno l'ha conosciuta, anche nel suo carmelo le Suore
dicevano: «Non sappiamo cosa dire su di lei!». In che modo è stata
conosciuta? Unicamente attraverso il suo Magnificat: «Mi presento:
sono stata ricolmata di grazia...» ed il popolo vi ha creduto!
Attraverso Storia di un'anima, e solo Storia di un'anima, Dio ha
fatto conoscere Teresa ed ha causato la sua canonizzazione. Tutto
partì da questo manoscritto.
In
seguito ci furono dei miracoli, delle grazie, il processo, la
testimonianza delle suore, ma solo dopo. L'uragano della gloria è
partito dal Manoscritto, pubblicato in duemila copie con timore e
tremore. E Teresa che presagì, è il caso di dirlo, l'arrivo della
tempesta, disse a Madre Agnese: «Mi raccomando, non lasciate cadere
questo Manoscritto nelle mani di chi che sia prima che venga
pubblicato».
Aveva
ragione di diffidare. Molte priore del carmelo inorridirono; esse lo
considerarono un tradimento nei confronti della trascendenza di Dio.
Se avessero potuto avrebbero fatto di tutto per impedire questa
pubblicazione. Che scandalo presentare la santità come accessibile!
Era il loro modo di concepire il dramma di Pietro.
Successivamente
si scatenò la tempesta, ma tutto cominciò dall'audacia di Teresa:
«Sono una piccola ragazza ricolmata dal Buon Dio, un piccolo fiore
bianco. Non so perché, ma è così; Egli sceglie chi vuole. M'ha
domandato di cantare l'Amore che prova per me, allora canto. Non
cerco di edificare, non parlo per insegnare , ma per cantare, cantare
senza motivo, la misericordia di Dio» (1).
Perdonata
senza aver peccato
«Intorno
a me si raccontava che nessuno ha amato il Buon Dio come i pescatori
convertiti, Maria Maddalena o sant'Agostino. Allora mi sono
ingelosita». Teresa non si esprime in questi termini, ma ciò
rappresenta l'essenza del suo pensiero. Di fatto ci sono persone che,
per amare Dio, oso dire che avrebbero bisogno di commettere dei
peccati, Giovanni Paolo I l'ha detto esplicitamente (Udienza del 6
settembre 1978); di nuovo si ripresenta il dramma dí Pietro. Fin
quando non hanno peccato visibilmente e vergognosamente, sono su un
piedistallo; nulla può farli scendere, ad eccezione, sembrerebbe,
della catastrofe di un profondo ed esplicito peccato.
Ci
vien detto: «Colui che piange i suoi peccati inizia a conoscere la
miseria, gli altri non comprendono. L'uomo che non è stato tentato
cosa ne sa? Non molto! L'uomo che non ha peccato, che non è
sprofondato a causa della sua mancanza, ha un limite: nella maggior
parte dei casi gli manca un sentimento, una dimensione, un
tassello...».
Teresa
lo avvertiva fortemente e si domandava come acquistare tale
dimensione. Perché i convertiti amano Dio più intensamente? Cristo
risponde attraverso la parabola dei debiti: quelli a cui Dio condona
un grande debito sono ricolmi di gratitudine, gli altri non lo sono.
A Maddalena sarà molto perdonato perché ha molto amato. Colui a cui
si perdona può amare.
Dunque,
ci sarebbe una forza insostituibile dell'amore, che consiste nel
sentirsi perdonati, è la compunzione. Solo la compunzione non può
essere prodotta dalla forza di volontà; inutile fare come i
sacerdoti di Baal ed arrabbiarsi. Nel messale di mia madre c'era un
vademecum del penitente nel quale si leggeva: «Stimoliamoci alla
contrizione». Ebbene, la contrizione implica avere il cuore
spezzato, come se si spaccasse un sasso. Non consiglio di
«stimolarsi» a ciò; sarebbe contraddittorio. Non si decide di
avere il cuore spezzato; lo si ha o non lo si ha. Invece, si può
accettare questa rottura o resisterle — in questo caso ci
s'indurisce, ci si rifiuta di sentirsi peccatore; quando Dio prova a
spezzare il nostro cuore, la nostra libertà pone resistenza e
s'irrigidisce. Ancora una volta ci troviamo di fronte al dramma di
Pietro.
Teresa
non aveva alcuna voglia di resistere, al contrario. Comprese che non
ci si doveva comportare così; è il colmo: ella avrebbe voluto
peccare: «Anche se avessi commesso tutti i crimini della terra,
questo non mi fermerebbe; andrei a trovare Gesù con il cuore
spezzato dal pentimento e con lo stesso slancio; questo non mi
fermerebbe» (cfr. fine di Storia di un'anima)
Immaginate
di risvegliarvi da un lungo sonno. Quanti crimini, quale profondo
tradimento sareste capaci di scoprire in voi senza perdere la
fiducia? Se rispondete: «Anche se avessi commesso il peccato di
Giuda non perderei la fiducia», voi siete santi! La quantità di
peccati che siamo capaci di sopportare senza perdere la fiducia
misura la nostra perfezione. Quando sento che lo scoraggiamento
assale il mio cuore, mi sembra di sentire la Santa Vergine che mi
dice: «Puoi mandarmi i tuoi peccati, non mi imbarazzano, so cosa
farne, so come usarli. Tu non sai servirtene, ma io sì, proprio
perché non ne ho. Non chiederei che averne, per precipitarmi con "il
cuore spezzato dal pentimento" verso Gesù, con tutto lo slancio
possibile; non indugerei neanche un istante, al contrario!».
Teresa
non solo avvertiva tutto questo ma sentiva anche che il trampolino
più potente per spingersi verso Cristo era precisamente la coscienza
di aver peccato, dell'aver bisogno di essere perdonata. Ella si
avvicinava al Beato Michel Garicoits dicendo: «Supponiamo che io
muoia in fondo ad un fossato, isolata da tutto, senza sacerdote, dopo
aver commesso tutti i crimini della terra. Mi resta appena qualche
secondo per gettarmi nella misericordia di Dio... la mia sorte
sarebbe invidiabile, invidiabile, invidiabile!».
Teresa
aveva appena peccato. Allora scoprì la dimensione psicologia
racchiusa nel dogma dell'Immacolata Concezione. Due bambini corrono,
uno va più veloce, cade in una trappola, si ferisce. L'altro corre
meno velocemente, il padre si precipita, «salva» quello che non è
ferito, poi si prende cura del primo con tutto il suo amore. I due
sono stati salvati dallo stesso pericolo, ma colui che è stato
«preservato» è stato salvato più dell'altro. Quelli che sono
curati dopo aver peccato sono perdonati, ma quelli che sono curati
prima d'aver peccato sono ancora più perdonati dallo stesso peccato!
Queste
osservazioni interessano la più rigorosa teologia dell'Immacolata
Concezione. La Santa Vergine è stata salvata dal peccato originale,
come gli altri e più degli altri, perché ella ne aveva «diritto»,
era figlia dì Eva. Prima del suo concepimento, il processo della sua
genealogia avanzava ininterrotto, perciò ella poteva contrarre il
peccato. Aveva bisogno di un intervento speciale per essere salvata.
Tale intervento fu così puntuale che impedì alla Santa Vergine di
essere macchiata dal peccato originale. Questa salvezza proveniva dal
Sangue di Cristo, le fu donata in previsione dei meriti di Cristo. La
Vergine è stata bagnata nel sangue di Cristo e salvata dal peccato
originale come voi e me; la sua innocenza non fu come quella di Eva,
la quale non aveva bisogno di essere salvata e riscattata.
Anche
Teresa ha cantato il suo Magnificat: «Io non sono l'Immacolata
Concezione, non sono che una piccola peccatrice, ma non ho mai
rifiutato niente al Buon Dio. Tuttavia sono fragile, e se non avessi
ricevuto le sue grazie potevate assistere a cose molto tristi, poiché
avevo un temperamento terribile. Ho detto Si molto giovane, me se
avessi detto No sarei stata un po' come gli Angeli! Ne sono stata
preservata, perciò canto la misericordia di Dio» (cfr. Ultimi
colloqui e Storia di un'anima, passim).
Anch'ella
sì sentì una peccatrice perdonata; conobbe ciò che accade nella
mente dei peccatori, poté dire: «Colui a cui si perdona di più ama
di più; Gesù mi ha perdonato più che ad altri. M'ha perdonata meno
profondamente che alla Santa Vergine, ma sullo stesso piano ed allo
stesso modo». Teresa è un'eco della Santa Vergine, uno strumento
efficace e prezioso per capire il suo Cuore Immacolato. Nel Vangelo
Maria ha taciuto, Teresa ha parlato spinta dallo Spirito Santo; le
sue confidenze servono a spiegarci la psicologia di Maria.
Il
dramma di Pietro
Dunque,
se volete raggiungere l'Amore di Dio bisogna attraversare una certa
catastrofe. A quelli che dicono: «Facciamo attenzione a non peccare;
se siamo fedeli e giusti forse possiamo evitare la catastrofe»,
Teresa e Maria rispondono: «È necessario passare attraverso una
catastrofe, a meno che non si sia protetti da una grazia eccezionale,
per la quale noi ringraziamo così profondamente come se avessimo
attraversato la catastrofe. Quella che ci ha immerso nell'Amore è la
stessa salvezza che Egli offre ai peccatori. Noi siamo state tirate
fuori dal ruscello, dal fango del genere umano, e portate nel cuore
di Dio».
Ma
coloro che non sentono di essere nel ruscello, bisogna che per prima
cosa vi cadano! A questo punto è ora di parlare del dramma di
Pietro, nominato più volte: «Darei la mia vita per te», è il suo
ritornello. E quando Gesù gli dice: «È necessario che il Figlio
dell'uomo soffra e venga messo a morte dai sommi sacerdoti prima di
risorgere», Pietro risponde: «Io sono qui!». Il Cristo non può
fare a meno di dire: «Pietro il tuo amore è macchiato con qualcosa
di satanico; lungi da me, satana! Tu pensi come gli uomini, con un
cuore di pietra, e non come Dio, con un cuore di carne» (cfr. Marco
8,33).
Fortunatamente,
abbiamo la parola di Ezechiele: «Toglierò da voi il cuore di pietra
e vi darò un cuore di carne!» (36, 26). Il dramma di Pietro è il
nostro: abbiamo un cuore di pietra. Siccome abbiamo un cuore di
pietra ci tocca subire come un trapianto cardiaco. Diciamo con gli
Apostoli:
«Darei
la mia vita per te! (cfr. Luca 22,33). — È vero, e non c'è un
amore più grande che dare la propria vita per coloro che si ama
(cfr. Giovanni 15, 13).
— Allora?
— Non
è così semplice. "Anche se gettassi il mio corpo tra le fiamme
e non avessi la carità, non serve a nulla!" (1 Corinzi 13,3).
Donare la propria vita non è solo donare il proprio corpo. Se muori
nel modo in cui si muore per la patria, non significa che sei ricolmo
della dolcezza di Dio».
Quando
Gesù parla di donare la propria vita per coloro che si ama, fa
pensare ad un agnello indifeso, come Lui. Quelli che muoiono per la
patria non sono agnelli indifesi. I loro sentimenti sono generosi, ma
con un'esaltazione, un fanatismo o una durezza che sono molto lontani
dalla carità. I nazisti davano la vita per Hitler e per la Germania.
Spesso i peggiori banditi hanno più coraggio della brava gente. Dare
la vita del corpo non prova nulla, ecco cosa dice San Paolo. Donare
la propria vita nel senso di cui parla Cristo, suppone avere un cuore
di carne.
Il
dramma di Pietro è proprio questo. Egli si sentiva pieno di ardore e
pensava di poter evitare la morte di Cristo, che per lui era la
catastrofe. Come evitare di tradire? Come ha fatto Giovanni? Non
rifiutandoci di sapere fino a che punto ne saremmo capaci. Senza una
speciale misericordia noi tradiremo. È molto difficile da ammettere
quando ci si sente pieni d'amore, quando si grida: «Non ti tradirò
mai, darei la mia vita per te!». Se in questo entusiasmo iniziale
non accettiamo di capire che: «Prima che il gallo canti mi
rinnegherai tre volte» (Matteo 26, 34), ebbene effettivamente
tradiremo! In un modo o nell'altro vivremo la nostra ora di
rinnegamento e d'infedeltà.
La
nostra unica speranza dì evitare questo tradimento è comprendere
che non siamo migliori di Pietro, che andrebbe già bene se
tradissimo come lui e non come Giuda! Allora facciamo questa
preghiera: «Mio Dio, se ti tradisco fa' che questo stesso tradimento
mi apra gli occhi e diventi per me la grazia dell'arrendimento, della
compunzione, la ferita davanti la scoperta della mia crudeltà».
Questa
è la piccola difficoltà della vita spirituale e della nostra
relazione con Cristo, il cambiamento di tonalità che il peccato
assume ai nostri occhi. Finché siamo generosi ed abbiamo fiducia in
noi stessi (dicendo che la riponiamo in Dio), il peccato si presenta
come una debolezza.
Ci
lamentiamo di essere deboli, chiediamo a Dio di renderci forti,
crediamo col nostro cuore di pietra che se Egli ci darà la forza noi
saremo fedeli ed eviteremo di tradirlo, arriveremo perfino a dare la
nostra vita, diventa una faccenda di sforzi e di primati... con la
grazia di Dio, beninteso!
Quando
abbiamo tradito scopriamo che il nostro peccato non è una debolezza
ma una crudeltà, una durezza. A causa di questa durezza non solo
veniamo meno al nostro cammino, ma ci opponiamo a Gesù Cristo, come
Pietro e gli apostoli quand'Egli parlò loro della Croce. Bisogna
essere liberati da questa crudeltà.
La
debolezza di Dio
Quando
vediamo Gesù sulla Croce, tremiamo e domandiamo la Sua forza. Ma la
Santa Vergine suggerisce che bisognerebbe piuttosto chiedere la Sua
debolezza. Gesù si è volontariamente reso debole: qui è racchiuso
il mistero della Passione, ma soprattutto quello del Natale. Non
potremo accedere al mistero della Passione senza prima assimilare
quello del Natale, che rappresenta la debolezza di Dio, più forte
della forza degli uomini — dura e crudele, segretamente radicata in
quella di satana. La forza dello Spirito Santo si perfeziona nella
debolezza (2 Corinzi 12,9). La debolezza di Cristo fu quella di
restare nella dolcezza; il demonio ed i cattivi non sono riusciti a
far sì che Egli si difendesse. La debolezza e la forza di Gesù
furono di non difendersi..„ lo ripeto: questo è il mistero del
Natale.
E
per questo motivo che è scoppiato il conflitto con gli Apostoli, che
essi L'hanno tradito ed abbandonato. Erano pronti ad estrarre la
spada, ad opporre la loro durezza a quella degli ufficiali, a dare la
vita. Ma quando videro che Gesù non voleva difendersi a nessun
costo: «Chi di spada ferisce di spada perisce. Nessuno mi toglie la
vita, ma la offro da me stesso» (Giovanni 10, 18), non poterono più
seguirlo su quella strada, smisero di credere in Lui. Questo fatto fu
più grave dei dubbi di Pietro nel momento in cui affondava
nell'acqua ed il Cristo gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai
dubitato?» (Matteo 14,31). Fu una messa in discussione completa, il
crollo di ciò che avevano sperato: «Era colui nel quale avevamo
creduto?».
Allora
l'abbandonarono e fuggirono. Non è stata la paura ad averli vinti;
Cristo non li rimprovererà di aver avuto paura, né d'aver smesso di
credere. L'hanno abbandonato sentendosi a loro volta abbandonati. I
discepoli di Emmaus lo dicono a chiare lettere: «Speravamo che fosse
il liberatore d'Israele». In altre parole: «Non lo speriamo più, è
tutto finito, siamo delusi. Lasciarci in questo stato dopo il potere
che ha manifestato, dopo le speranze che ha destato!».
Gesù
dischiude loro il senso delle Scritture: «Voi non avete capito
nulla, uomini privi d'intelligenza, era scritto, era profetizzato!».
In quel momento non lo riconoscevano, ancora dubitavano, ma il loro
cuore cominciò ad ardere. Appena lo riconobbero Egli sfuggì al loro
entusiasmo ancora grossolano ed essi si guardarono: «Non ci ardeva
forse il cuore quando ci spiegava le Scritture?» (cfr. Luca 24,
18-32).
Opera
meravigliosa che si compie nel segreto: togliere il cuore di pietra
per donarci un cuore di carne, a nostra insaputa, quando ci sentiamo
sommersi, scoraggiati, senza alcuna speranza di essere liberati.
Nell'oscurità della tempesta il nostro cuore diventa infocato perché
è mutato in un cuore di carne. La radice ed il veleno del dubbio
(nostra crudeltà) ci vengono sottratti mentre i dubbi sono ancora
presenti! Dal momento in cui il cuore brucia, ha riconosciuto Gesù,
la prova è superata, e noi passiamo dalla frase arrogante: «Darei
la mia vita per te»... a quella che con un altro tono mormora:
«Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo!» (Giovanni 21,17).
La
beatitudine delle lacrime
Dunque
c'è stato bisogno che Pietro tradisse perché passasse dal tono
insolente a quello arrendevole, dall'affermazione squillante al
mormorio gemebondo, per trovare la modulazione, il diesis o il
bemolle, che raggiungesse il cuore di Dio. Ricordiamoci del monte
Oreb. La dichiarazione impetuosa di Pietro era il vento violento; per
passare dal vento violento al mormorio dolce e leggero c'è voluto il
tradimento, un tremito della terra (quello che ha squarciato il velo
del Tempio), il fuoco divorante della contrizione e soprattutto la
beatitudine delle lacrime.
Il
momento in cui Pietro è stato trasformato è molto preciso, lo si
può datare: è quello in cui il gallo ha cantato tre volte. In
quell'istante Gesù lo guardò (Luca 22, 61), e dentro di lui cadde
quella resistenza che aveva attraversato le tribolazioni senza
arrendersi; Pietro crollò. E questa la compunzione: non una pratica
pia, ma una deflagrazione, l'entrata nella beatitudine delle lacrime,
che alla fine ci rivela il vero volto del peccato: non una debolezza,
ma una crudeltà scoperta alla luce dell'Amore e non degli ideali con
cui altri ci avevano forgiati. Proprio in quel momento, Pietro
abbandonò definitivamente quell'ideale.
La
grazia delle lacrime è la più preziosa e la più desiderabile di
tutte, perché non porta con sé né presunzione né disperazione: È
molto difficile sfuggire completamente alla presunzione ed alla
disperazione; essa è la contrizione perfetta di cui parla Teresa nel
suo Ultimi colloqui, quella in cui si piange perché si prende
coscienza della pena inflitta al Cuore di Dio! Con essa si è al
riparo, si è salvati. Le lacrime sgorgano sulla roccia del nostro
cuore, come le acque a Mériba nel deserto.
Si
dice che le donne piangano facilmente. Spesso sono delle lacrime
superficiali, ma piangono anche de profundis, dal profondo, più che
gli uomini. Pensiamo a Maria Maddalena che con le sue lacrime bagnò
i piedi di Gesù. Fu in vantaggio rispetto gli apostoli: davanti a
loro ha versato lacrime che Pietro non capiva, tanto meno Simone il
fariseo.
La
Santa Vergine e Maria Maddalena hanno versato le stesse lacrime sui
peccati di quest'ultima; fu solo la contemplazione del Cuore di
Cristo a rendere possibile tutto questo. Quando si piange sul proprio
peccato, non ci si preoccupa più di sapere chi l'ha commesso, non
siamo più noi ad interessarci bensì l'Amore di Cristo ferito dalla
nostra crudeltà — o dalla crudeltà degli altri, poco importa.
Così Maria Maddalena e la Santa Vergine hanno versato le stesse
lacrime. E per questo che la Vergine Santa non l'ha invidiata; ella
ha pianto in egual misura, forse più, magari in modo meno
spettacolare, ma nell'una e nell'altra scorreva lo stesso fiume
d'acqua viva.
Le
due donne conoscevano la beatitudine delle lacrime ancor prima che il
povero Pietro potesse comprenderla! Fino al momento in cui disse a
Gesù: «Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo!»... Pietro era
ancora rimasto al vento impetuoso dell'Oreb, all'amore che
inconsciamente si gloria di se stesso. Quando smettiamo di
contemplare il nostro amore per guardare il Prediletto e misurare la
distanza tra lui ed il nostro cuore, siamo nella verità, nella Pace
promessa da Gesù: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come
la dà il mondo io la do a voi» (Giovanni 14, 27).
Il
mondo dà la sua pace attraverso la negoziazione ed il compromesso
tra l'uomo vecchio e quello nuovo, il cuore di pietra ed il cuore di
carne. Abbiamo un po' di entrambi, l'acqua delle lacrime, che è
pronta a sgorgare dalla roccia... e la roccia stessa. Il nostro cuore
di pietra non è liquefatto, non è spezzato, non è contrito, non è
morto.
Da
ciò ha origine una situazione molto dolorosa. Ci piacerebbe che i
due avversari che si battono nel nostro cuore, come Esaù e Giacobbe
nel grembo di Rebecca, arrivino ad un compromesso: «Non troppa
durezza! Non troppo orgoglio! Non troppo egoismo!» chiede Giacobbe.
«Non troppo amore! Non troppa umiltà! Non troppa follia!» risponde
Esaù.
Mediando
ciò otteniamo il risultato della coesistenza pacifica. Noi la
chiamiamo la pace, l'equilibrio cristiano, ma è una pace molto
provvisoria. Quando Cristo dice: «Non come la dà il mondo io la do
a voi», significa: «Non la do come compromesso, ma attraverso la
totale sconfitta dell'avversario».
Dunque
è necessario che il cuore di pietra venga spezzato, polverizzato,
frantumato. E poco a poco, al calore del dolce fuoco della dolcezza
di Dio, esso si scioglie. Quando sarà diventato liquido non ci
saranno più conflitti tra il cuore di carne ed il cuore di pietra,
perché non ci sarà più il cuore di pietra. Ci sarà la Pace,
quella donata da Gesù... la santità. Un santo è colui il cui cuore
di pietra è sprofondato nella tenerezza.
(1)
Riassunto personale dell'autore del cap. I di Storia di un'anima.
Tratto
dal libro: “ Chi comprenderà il cuore di Dio? “ di padre
Marie-Dominique Moliniè – da pag.80 a pag.95 – Edizioni Piemme
Nessun commento:
Posta un commento