Molti
dei discepoli di Gesù Cristo, ascoltando il suo discorso, dissero
fra loro stessi: Questo
discorso
è
duro o,
secondo il testo greco, è
aspro, è
crudele, e chi può ascoltarlo? Avrebbero
dovuto dire semplicemente che era assurdo, avendolo preso in senso
materiale di un corpo fatto in pezzi e dato da mangiare e di un
sangue bevuto nell'uccidere il corpo, ma era tanto l'accento di
verità delle parole di Gesù che non poterono dirlo.
Essi
inconsciamente sentivano che era vero e, non intendendone il senso,
lo dichiaravano duro, aspro, crudele. Gesù Cristo, conoscendo i loro
pensieri e le loro mormorazioni, disse: Voi
vi scandalizzate di quello che vi ho detto?
E
se vedrete salire il Figlio dell'uomo dov'era prima? Lo spirito è
quello che vivifica, la carne
non
giova a nulla; le parole che io
vi dico sono spirito e vita. Egli
rispondeva alla loro interpretazione antropofaga delle sue parole e
faceva notare che il suo Corpo non aveva bisogno di essere diviso per
darsi. Essi lo avrebbero visto salire dove era prima, cioè al Cielo
e avrebbero osservato, ancora una volta, che quel Corpo poteva
sottrarsi alle leggi della materia ascendendo, mentre il suo peso
l'avrebbe portato in basso.
Egli
parlava del suo Corpo e del suo Sangue non come materia stretta dalle
dimensioni, non come carne determinata dalla quantità, divisa in
pezzi, ma come sostanza vivificata dall'anima
e completata dalla Persona divina.
Una
carne divisa in pezzi e morta, a che cosa poteva giovare? Tutt'al più
a nutrire il corpo per un po'. Ora, questo nutrimento non sarebbe
stato utile all'anima. Egli parlava di un cibo che doveva essere
spirito e vita, che doveva alimentare l'anima, non il corpo, e che
doveva dare all'anima la vita soprannaturale del suo stesso spirito,
la vita della glorificazione e dell'amore di Dio.
"Voi
non capite il mio discorso - soggiunse Gesù - perché
non credete;
non credete che
Io sono veramente il Figlio di Dio, non credete che il mio Corpo e il
mio Sangue sono divini e vivificano, non credete alla mia onnipotenza
che può darveli come cibo dell'anima. Mi considerate come uomo, ed è
logico che come uomo Io
non potrei darvi la carne e il sangue quale cibo dell'anima". Il
Sacro Testo soggiunge che Gesù parlava cosi perché
sapeva
fin dal principio coloro che non credevano e chi stesse
per
tradirlo.
Questo ci fa capire che uno di quelli ai quali il discorso di Gesù
fu più ripugnante fu proprio Giuda.
Tutto
rivolto ad aspirazioni terrene e tutto teso col desiderio al guadagno
materiale, non poteva capire una promessa d'infinita carità e ne
mormorò.
Fu il primo protestante, che con gli altri giudicò
duro e inaccettabile il Cibo della Vita che Gesù prometteva. I
poveri protestanti, che pretendono di trovare la loro origine nei
primi secoli della Chiesa, possono andare un po' oltre e fermarsi a
Giuda e a quelli che protestarono contro la promessa dell'amore.
Questi
si, furono i loro precursori ma, dolorosamente, precursori che Gesù
Cristo dichiarò rigettati dal Padre per il loro orgoglio, incapaci
di andare a Lui, privi di fede perché privi di grazia e di amore.
Non
si può andare a Gesù Cristo con le proprie forze: occorre la grazia
di Dio, e le sue parole non si possono comprendere col proprio
criterio ma con la luce di Dio, che passa per Gesù Cristo stesso e
ci raggiunge attraverso la Chiesa. Rigettare l'Eucaristia, quindi,
secondo le stesse parole di Gesù, significa non credere in Lui,
tradirlo, ed essere già rigettati da Dio. È terribile! I
protestanti dovrebbero riflettere per convertirsi sinceramente,
Dolorosamente,
l'incomprensione e l'ingratitudine umana non si smentiscono mai!
Il
discorso della promessa dell'Eucaristia avrebbe dovuto suscitare un
delirio di entusiasmo da parte di tutti, se avessero ponderato il
dono che era stato loro annunciato, ma, dolorosamente,
l'incomprensione e l'ingratitudine umana non si smentiscono mai e,
come tutta risposta, molti dei discepoli che seguivano Gesù se ne
andarono e non lo seguirono più.
Se
Gesù avesse parlato in senso figurato o simbolico avrebbe dovuto
certamente dichiararsi per impedire agli altri discepoli di
andarsene. Egli, invece, rivolto ai dodici Apostoli, disse: Volete
andarvene anche voi?
Il
suo dolcissimo Cuore, che pur li amava d'intensissimo amore,
preferiva perderli anziché averli vicino senza fede nel dono più
bello che voleva loro fare. Egli fece loro questa domanda perché in
realtà la fede che avevano non era ancora piena, e volle suscitare
nel loro cuore una salutare reazione.
San
Pietro, infatti, nell'impeto del suo amore, prendendo la parola a
nome di tutti disse: Signore,
da chi andremo noi? Tu hai parole di vita eterna. E noi abbiamo
creduto e conosciuto che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio.
Alla domanda recisa di Gesù, san Pietro riflette di più che le
parole che Egli aveva detto erano spirito e vita; il solo pensiero di
poter abbandonare un Maestro così buono lo angustiò e, supponendo
anche negli altri lo stesso sentimento, parlò pure a loro nome. Non
avevano essi visto i miracoli da Lui compiuti? Non avevano ascoltato
le sue profonde parole di vita?
Essi,
dunque, avevano creduto
per fede e conosciuto
dalle opere che Egli era il Figlio di Dio e, pur non comprendendo il
discorso che aveva fatto, non avevano ragione di allontanarsi da Lui.
San Pietro credé di parlare a nome di tutti e protestò la loro
fedeltà come una decisione presa da essi medesimi, ma Gesù lo
corresse, esclamando: Non
sono stato io che ho eletto voi dodici? Eppure uno di voi è un
demonio. Egli –
soggiunge
l'Evangelista - alludeva
a Giuda figlio di Simone Iscariota,
poiché questi stava
per
tradirlo, pur essendo
uno dei Dodici.
"Io
vi ho eletti – voleva dire Gesù - e se rimanete fedeli è per mia
misericordia, ma nonostante questo potreste pure abbandonarmi di
vostra volontà, perché la mia grazia non vi forza. Tu, Pietro,
parli a nome
di tutti, ma non sai che c'è tra voi uno che è un demonio e
che non condivide i tuoi sentimenti di fede". In tal modo,
dolorosamente, Giuda fu presente alla promessa eucaristica e al suo
compimento, rappresentanza tristissima di quelli che avrebbero
disturbato nei secoli con la loro perfidia le divine espansioni
dell'amore di Gesù Sacramentato.
Il
nostro atteggiamento dinanzi al dono di Gesù
La
promessa di Gesù Cristo per noi è una realtà, poiché lo abbiamo
vivo e vero con noi. Il fuoco sacro del Tempio, che non si estingueva
mai, era una pallida figura di questa Fiamma divina d'amore e di
carità che si accese nell'Ultima Cena e non si è spenta mai più.
Il pensiero di avere Gesù con noi dovrebbe farci mutare in angeli
adoranti e dovrebbe rendere i sacerdoti serafini d'amore.
Invece,
ahimè, è ancora notte nel nostro spirito, e dobbiamo fare quasi uno
sforzo per non rinnegare il dono mirabile. Siamo come ciechi
assiderati che stanno nei raggi del sole e non lo vedono, stanno
esposti al suo calore e finché dura il gelo non se ne accorgono.
Da
che cosa deriva questa nostra insensibilità?
Seguiamo
di nuovo il discorso di Gesù per scoprirne la causa, perché è di
suprema importanza per noi porre un termine alla nostra
ingratitudine.
Alla
folla che lo cercava, Gesù disse: Voi
mi cercate perché avete
mangiato i pani e
ve ne
siete saziati. Procuratevi non quel cibo che passa, ma quello che
dura sino alla vita eterna.
Noi cerchiamo tanto spesso Gesù per cercare il pane materiale, per
ottenere grazie temporali, per avere un conforto, e non comprendiamo
che l'Eucaristia è un Cibo ordinato alla Vita eterna.
Dobbiamo
dunque andare da Gesù per vivere soprannaturalmente in Lui e per
Lui, per unirci a Lui, trasvolare la terra e andare verso il Cielo.
Questo ci scopre i veli che nascondono il dono di Dio. I pensieri
della terra ce lo nascondono, e quando non lo vediamo più possiamo
dire con certezza
che l'anima non è ancora orientata all'eternità.
È
questa la ragione per la quale gli uomini specialmente, assillati
dalla ricerca del pane materiale, ne vivono tanto lontani, quasi che
fossero estranei alla mensa dell'amore. Quello che fu la manna per
gli Ebrei è l'Eucaristia per noi: sostenta la vita dell'esilio e ci
fa giungere alla meta. La nostra vita senza la Comunione quotidiana è
un deserto senza manna, è una vita da affamati e da assetati.
Questa
è l'opera di Dio
- disse Gesù , che
voi crediate in Colui che Egli ha mandato.
Bisogna credere veramente in Gesù Sacramentato e rinnovare questa
fede in Lui, ripetendogli spesso: "lo credo in te vivo e vero in
quest' Ostia d'amore, credo e ti adoro". È il Padre che ci
attrae a Gesù, e Gesù ci accoglie per compiere la volontà del
Padre: noi, dunque, andiamo a Dio compiendo la sua Volontà nelle
tribolazioni dell'esilio. Cerchiamo la sua gloria e il suo amore, ed
Egli ci attrarrà a Gesù.
Gesù
Cristo è il pane della vita, Egli
alimenta e sostenta chi è vivo alla grazia e impedisce che possa
cadere nella morte. Il mondo è morto alla grazia perché è lontano
da Gesù Eucaristia, e ne è lontano perché è morto; non vive che
di carne, e l'impurità è ostacolo terribile all'intimità
quotidiana con Gesù. É necessario purificarsi e cercare non la
soddisfazione di un momento ma le gioie celesti.
Siamo
esiliati, e tutto quello che possiamo raccogliere quaggiù non ci
appartiene, è provvisorio, passa. Abbiamo solo un tesoro vero che ci
appartiene, e che è come una gemma venutaci dall'alto: il
pane vivo disceso dal cielo.
Questo è nostro, e questo ci alimenterà in eterno, svelandoci le
meraviglie di Dio.
Ora,
come potremo essere cosi stolti da attaccarci a quello che passa e
non è nostro, e stare lontani dall'unica vera ricchezza che abbiamo
nell'esilio? Quante volte insiste Gesù nel suo discorso che il suo
Corpo e il suo Sangue ci donano la vita! Ora, come possiamo noi
rifiutarla, cercando la morte nelle misere cose della terra o,
peggio, nel peccato? Quanti si ritirano da Gesù, come i discepoli
infedeli, perché sembra loro duro rinunciare alla carne e al
peccato! Che cosa terribile e spaventosa: rinunciare alla Carne
divina che dà la Vita eterna, per non rinunciare alla carne del
peccato che produce l'infelicità e la morte eterna! Dove
compariranno quegli uomini che sono stati e sono lontani da Gesù, e
che rifiutano l'unica vera e sublime felicità della vita per non
rifiutare i ceppi dell'infelicità?
È
davvero impazzita l'umanità, che affolla i ritrovi dove si perde la
vita e lascia deserto il tabernacolo dove la si trova e la si gode!
Se si acquista familiarità con Gesù e si orienta a Lui tutta
l'anima, senza riserve, quanto è dolce conversare con Lui cuore a
Cuore, nel placido silenzio che avvolge il tabernacolo!
Tu
ci hai privilegiati, o Gesù, in una maniera mirabile; Tu sei con noi
vivo e vero, Tu supplisci la nostra vita interiore, Tu sei nel
tabernacolo rifulgente d'amore, e noi ti dimentichiamo e tante volte
consideriamo come un segreto di normale tranquillità stare lontano
da te o l'accomunarci alle abitudini di quelli che non ti amano o ti
amano poco! Aprici gli occhi, non permettere più che siamo ingrati,
castigaci, se occorre, ma tienici fedeli all'amor tuo per sempre.
Amen.
Tratto dal libro " I Quattro Vangeli" Commento al Vangelo di Giovanni del Sac. Dolindo Ruotolo - da pag.1812 a pag.1817
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