Introduzione
Cecilia
Baij nacque a Montefiascone il 4 gennaio 1694. Entrò nel Monastero
delle Benedettine di Montefiascone il 12 aprile 1713. Dopo essere
stata Maestra delle Novizie e Vicaria, fu eletta Abbadessa il 10
luglio 1743, e tenne la carica quasi ininterrottamente per un
ventennio. Attraversò, come tutti i mistici, ogni sorta di prove
intime ed esterne, e venne sempre fuori con una umiltà e un distacco
di sé che sono da soli una buona raccomandazione nei confronti della
sincerità delle sue opere. Moriva a 71 anni, il 6 gennaio 1766. Il
Cristo sofferente, durante la sua vita, volle associarla alla Sua
Passione e a questo scopo, ne purificò il cuore con dure prove,
rendendola degna di ricevere grazie e favori eccezionali.
Gli
importanti scritti che la serva di Dio ci ha lasciati, e ricevuti per
illuminazione divina, fanno di lei un’apostola e una messaggera
dell’amore di Dio, nonché una grande mistica del secolo XVIII.
Scrisse in particolare tre opere considerate pietre miliari della
storia della mistica di tutti i tempi: “Vita interna di Gesú
Cristo”, “Vita interna di S. Giuseppe” e la “Vita interna di
S. Giovanni Battista” che sono il frutto di locuzioni interiori che
la pia monaca riceveva e fedelmente scriveva in obbedienza al
confessore. La prima edizione della “ Vita di S. Giuseppe” uscì
nel 1921, trascritta e presentata da Mons.Bergamaschi, allora
direttore del Seminario Regionale di Montefiascone e attento studioso
delle opere della serva di Dio. Incoraggiato da eminenti personalità
del tempo- da Bendedetto XV che gli fornì i mezzi per la
pubblicazione e a cui dedicò il volume, all’Abate ordinario di San
Paolo, il futuro Card.Schuster, elevato in seguito agli onori degli
altari.
Capitolo I - La patria di S. Giuseppe e dei suoi genitori
Fondamento
teologico - Avendo Dio destinato il glorioso S. Giuseppe per
Sposo della Madre del suo Unigenito, volle anche che egli le
assomigliasse molto, sia nelle origini, come nella patria e molto di
più nelle sue virtù, impegnandosi l'Altissimo a formarlo tale e
quale si conveniva per renderlo degno sposo della divina Madre.
I
suoi genitori - I genitori del nostro Giuseppe erano, il padre
nativo di Nazareth e la madre di Betlemme, e uniti in matrimonio
dimorarono a Nazareth fino a che vissero. Il padre si chiamava
Giacobbe e la madre Rachele, persone di santissima vita e simili sia
nella nobiltà , come nelle virtù. Il padre era della stirpe e della
progenie di Davide, come anche la madre era della medesima
discendenza.
Frutto
dell'orazione dei genitori - Dio permise che fossero per qualche
tempo sterili, perchè voleva che il nostro Giuseppe fosse figlio di
orazione, e perciò i suoi genitori facevano larghe elemosine ai
poveri, come anche al Tempio di Gerusalemme, dove andavano spesso a
pregare per impetrare da Dio la sospirata prole, e Dio non tardò
molto a consolarli. Un giorno erano stati al Tempio ad offrire larghe
elemosine, quando la madre ebbe una grande fede che Dio l'avrebbe
esaudita e consolata. Tornando a Nazareth concepì il nostro
Giuseppe, ed in quel tempo si videro sopra la loro casa tre
lucidissime stelle, una di maggiore sublimità e splendore
dell'altra, manifestando Dio con questi segni, come il nostro
Giuseppe doveva formare la Trinità in terra ed essere il capo della
Sacra Famiglia. Dio, però, permise che questo prodigio non fosse
molto notato, affinchè il mistero e la fortuna del Santo rimanessero
celati. La madre, essendo già incinta del nostro Giuseppe,
sperimentava una grande consolazione e si andava esercitando sempre
più in atti di virtù. Il nostro Giuseppe con l'alimento che
riceveva dalla madre, si imbeveva anche delle virtù e devozioni che
lei praticava, cosicchè nel seno materno contrasse, con il
nutrimento, anche le nobili virtù della sua buona madre.
Un
sogno profetico - La virtù, la devozione e l'allegrezza dei
suoi genitori crebbero molto quando Dio rivelò loro l'occulto
segreto per mezzo di un angelo che parlò ad entrambi in sogno,
cioè¨, manifestò alla madre, come il fanciullo che lei portava nel
suo grembo, avrebbe avuto la sorte di vedere il Messia promesso e
trattare con Lui; che lei, però, avrebbe dovuto allevarlo con grande
cautela ed accuratezza, e porgli il nome di Giuseppe, e che sarebbe
stato grande al cospetto di Dio. Lo stesso disse in sogno a suo
padre, ordinando però ad entrambi di tenere nascosto il segreto del
Re e di non manifestarlo nemmeno al loro figliolo, ma che ne
parlassero solo fra di loro per consolazione del loro spirito e per
unirsi entrambi a ringraziare Dio e ad allevare bene il fanciullo,
come anche a farlo istruire nella Sacra Scrittura. Ricolmi di giubilo
per il sogno misterioso, i genitori del nostro Giuseppe conferirono
insieme su quanto era loro accaduto, e scoprendo di essere stati
fatti degni dello stesso sogno, ne resero affettuose grazie a Dio e
si animarono alla pratica delle più eroiche virtù; e poichè erano
saggi e prudentissimi, conservarono il segreto dentro di loro, non
manifestandolo mai ad alcuno, obbedendo a quanto l'Angelo aveva loro
ordinato.
Santa
e felice gravidanza - Nel tempo della sua gravidanza, la madre
si esercitava in digiuni, orazioni e larghe elemosine, ringraziando
Dio del dono che le aveva fatto della sospirata prole e supplicandolo
dell'aiuto divino, affinchè avesse dato felicemente alla luce il
fanciullo. La madre portò con grande felicità la sua gravidanza,
non essendo disturbata eccessivamente dai soliti travagli e
patimenti; di tutto rendeva grazie a Dio, riconoscendo con molta
gratitudine i benefici divini. Lo stesso faceva il padre di Giuseppe,
che godeva molto della grazia che Dio faceva alla sua consorte di
portare il fanciullo con tanta facilità e consolazione, ed entrambi
rendevano grazie a Dio.
Capitolo II - La nascita di S. Giuseppe e la sua circoncisione
Nascita
di Giuseppe - Arrivato il tempo della nascita del nostro
Giuseppe, sua madre si preparò con più calde orazioni, cosicché
arrivato il giorno fortunato lo diede alla luce con grande facilità,
restando molto consolati, sia i genitori, come chi li assisteva. Il
nostro Giuseppe aveva un'aria angelica, grave e serena e nonostante a
quell'età si possano appena distinguere negli altri fanciulli le
fattezze, tuttavia si distinguevano bene nel nostro Giuseppe che, al
solo guardarlo, apportò a tutti una grande consolazione e
specialmente ai suoi genitori, che, nel vederlo tale, si confermarono
nella verità di quanto l'Angelo aveva detto loro in sogno. Terminate
le funzioni che si fanno in tali occorrenze, la madre si applicò con
la sua mente a rendere grazie a Dio del felice parto, e fattasi
portare il fanciullo l'offrì a Dio col desiderio di dedicarlo al
servizio del sacro Tempio di Gerusalemme. Ma Dio aveva già destinato
di farlo custode del Tempio vivo e animato dello Spirito Santo, cioè
della Madre del Verbo divino. L'Altissimo, però, gradì il desiderio
e l'offerta della madre di Giuseppe e, se non accettò ed esaudì i
suoi desideri, fu per sublimarlo ad un posto assai maggiore.
Comune
esultanza - Per tutta Nazareth si sparse la fama della nascita
del fanciullo e delle sue rare fattezze, e di come sembrava un angelo
del Paradiso. Tutti si rallegrarono e fecero festa per la nascita dei
fanciullo, che apportava a tutti un'insolita allegrezza e giubilo di
cuore. Alla nascita di Giuseppe sfolgorarono poi a meraviglia le tre
stelle splendenti sopra la casa dei suoi genitori, e si fecero vedere
di nuovo, benché di passaggio. Il nostro Giuseppe aprì gli occhi e
li fissò verso il cielo, tenendoli per qualche tempo così fissi,
come stupito a rimirare la grandezza dei segno che Dio dava al mondo
nel suo natale. Chiusi gli occhi, poi, non li aprì più fino al
tempo debito, e questo fu ammirato da tutti con grande stupore e
meraviglia.
Singolare
modestia del fanciullo - Il fanciullo stava poi con grande
quiete e tranquillità, apportando in tutto molta consolazione ai
suoi genitori, e specialmente alla madre, che lo allattò con giubilo
ed allegrezza e con molta riservatezza. Sebbene fosse in quella
tenera età non permise mai che alcuno gli si avvicinasse a fargli le
solite carezze che si fanno ai bambini, ritirando sempre il suo volto
in atto di sdegnarle, mostrando anche in quella tenera età come
doveva custodire illibato il candore della sua purezza ed innocenza,
e permetteva solo ai genitori qualche dimostrazione di cordiale
amore, benché essi fossero molto riservati, vedendo come il
fanciullo schivava quei vezzi e quelle dimostrazioni di affetto.
Sua
circoncisione - Arrivato l'ottavo giorno, i suoi genitori fecero
circoncidere il fanciullo secondo l'uso degli Ebrei e i comandamenti
della Legge e gli imposero il nome di Giuseppe, poiché erano
comunemente d'accordo. Nel circonciderlo, il fanciullo pianse, ma
asciugò presto le lacrime perché, nell'atto della circoncisione,
Dio gli accelerò l'uso della ragione. Essendosi levata la macchia
che aveva contratto dal peccato originale, stando in grazia ed
amicizia di Dio, senza quella macchia che glielo rendesse in qualche
modo disgustoso, Giuseppe fu ornato da Dio di molti doni e anche
dell'uso della ragione, per la quale conobbe il suo Dio, e l'adorò
con profonda adorazione, chinando la sua piccola testa e
rasserenandosi tutto nel volto. Con atto ridente e grave esultò,
mostrando anche esteriormente il godimento del suo spirito. Conobbe
il beneficio che Dio gli aveva fatto e ne rese grazie affettuose e
tutto si offrì a Lui. A Giuseppe, fu dato poi da Dio, oltre al suo
angelo custode, anche un altro angelo, che molto spesso gli parlava
nel sonno e lo ammaestrava in tutto quello che doveva fare per
piacere maggiormente al suo Dio.
Pietà
e zelo di Giuseppe - Il nostro Giuseppe, in quella tenera età
aveva l'uso della ragione, della quale si serviva per conoscere,
lodare e ringraziare il suo Dio che tanto lo aveva favorito,
soffrendo l'incomodità di quella tenera età con grande pazienza.
L'Angelo molto spesso lo avvisava di offrire a Dio quei patimenti che
soffriva stando stretto tra le fasce; il fanciullo lo faceva in
ringraziamento dei favori che Dio gli compartiva, e le sue offerte
erano molto gradite a Dio. Il fanciullo comprendeva poi come il suo
Dio fosse molto offeso dagli uomini, perciò spesso lacrimava, benché
senza strepito, per non recare pena ai suoi genitori, e offriva a Dio
quelle lacrime innocenti, ammaestrato così dal suo Angelo. Quando
poi faceva questo, riceveva da Dio maggiori lumi e grazie, ed egli
non mancava di rendere grazie a chi tanto lo beneficava.
Sua
modestia e gratitudine - Quando poi la madre lo fasciava, il
nostro Giuseppe si vedeva con il volto ricoperto di un vermiglio
rossore e con gli occhi chiusi, in atto di mostrare dispiacere di
essere sfasciato e visto. La madre era molto riservata in questo, ed
usava grande cautela per non recare pena a suo figlio, poiché
conosceva bene come la grazia divina facesse in lui mirabili prodigi,
essendo anche lei un'anima molto illuminata e ornata di grandi virtù.
Il nostro Giuseppe, succhiando il latte di sua madre, si imbeveva
sempre di più delle sue virtù, e si mostrava con lei, più che con
gli altri, molto affezionato e gradevole per l'alimento che gli dava.
Le si mostrava molto allegro e gioviale, perché scorgeva in lei le
rare virtù e capiva come, con il latte che prendeva da lei, gli si
comunicavano anche le sue virtù.
Sua
crescita - Il nostro Giuseppe aveva un ottimo temperamento ed
era arricchito di doni naturali e molto più di doni soprannaturali.
Cresceva a meraviglia sia nel corpo che nello spirito. Nel corpo per
il buon nutrimento che riceveva da sua madre, anche lei di ottima
salute; nell'anima, per i continui doni che riceveva dalla grazia
divina e dalla generosità del suo Dio, che lo andava formando tutto
a suo genio e secondo il suo Cuore, per renderlo poi degno sposo
della Madre del Verbo divino. Il fanciullo conosceva le grazie che
continuamente riceveva da Dio, e gli si mostrava grato con i soliti
atti di ringraziamento. Il nostro Giuseppe aveva appena il cuore
capace di amare, che tutto lo impiegò nell'amore verso il suo Dio e
sommo benefattore, al quale ben riconosceva quanto doveva per i doni
che gli aveva fatto.
Capitolo III - Purificazione della madre e presentazione di S. Giuseppe al Tempio
Al
Tempio - Passati i giorni stabiliti dalla legge per le donne che
si dovevano purificare, i genitori del nostro Giuseppe andarono a
Gerusalemme; la madre per purificarsi e per offrire il loro fanciullo
e poi riscattarlo, così come era ordinato nella legge. Essi
portarono grandi doni al Tempio: non solo quello che erano soliti
portare gli altri, ma molto di più, in atto di gratitudine per il
beneficio ricevuto da Dio della sospirata prole. Il nostro Giuseppe
in questo viaggio si fece vedere con un'insolita allegrezza e
giovialità di volto, che fu ben avvertita dai suoi genitori, tanto
che anche loro si riempirono di consolazione nel vedere il loro
piccolo bambino tanto allegro e festoso. Capivano molto bene come la
grazia divina si andava diffondendo nell'anima del loro figliolo, e
che se tanto operava in quella tenera età, tanto maggiormente
avrebbe fatto dei progressi nel crescere. Di questo ne rendevano
grazie all'Altissimo e ne traevano motivo per crescere anche loro
nell'amore e nella gratitudine verso Dio, ed applicarsi sempre più
nella pratica delle virtù.
Purificazione
e presentazione - Arrivati al Tempio, la madre di S. Giuseppe si
purificò, e in quell'atto ricevette grandi lumi da Dio, per mezzo
dei quali conobbe più chiaramente come Dio avesse arricchito suo
figlio di doni. Lo presentò al sacerdote, e il sacerdote, nel
riceverlo nelle sue braccia e presentarlo ed offrirlo a Dio,
sperimentò un'insolita allegrezza e consolazione del suo spirito; fu
illuminato interiormente da Dio e capì quanto fosse caro a Dio quel
fanciullo che egli presentava. Il nostro Giuseppe accompagnò
l'offerta di se stesso a Dio con il donarsi tutto a Lui e di buon
cuore. In quest'atto apri gli occhi verso il cielo e stette per tutto
il tempo in una posizione come astratto ed assorto in Dio. Ricevette
allora da Dio la grazia santificante con un chiarissimo lume da
riconoscere il nobile e sublime dono che Dio gratuitamente gli
faceva, nell'atto in cui egli si era donato tutto a Lui. Conosciuto
il grande dono si mostrò grato al suo Dio e lo ringraziò
affettuosamente.
Il
riscatto - I suoi genitori riscattarono il figliolo con le
solite monete che per questo si davano, ed il sacerdote, nel rendere
il figlio alla madre disse che lo allevasse pure allegramente e ne
avesse una cura particolare, perché aveva capito che quel fanciullo
era molto caro a Dio e che sarebbe stato un grande uomo, e che
avrebbe apportato una consolazione a chi avesse trattato con lui, per
la nobile indole che in lui si scorgeva. E questo si avverò perché,
non solo apportava consolazione a chi trattava con lui, ma l'apporta
anche a tutti i fedeli suoi devoti, avendolo Dio destinato come
avvocato dei moribondi, come si dirà a suo tempo, e serve a tutti
questi di grande consolazione e conforto nelle loro agonie.
Progresso
di Giuseppe nelle virtù - I suoi genitori, ricevuto il
fanciullo, resero grazie a Dio, lacrimando per la tenerezza di
affetto e il giubilo dei loro cuori, e lo condussero alla loro patria
come un tesoro e un dono sublime dato loro da Dio. Il nostro Giuseppe
se ne stava tutto tranquillo, come assorto, facendo atti di
ringraziamento al suo Dio, godendo e giubilando per la grazia
ricevuta, per mezzo della quale andava facendo grandi progressi
nell'amore verso il suo Dio, crescendo sempre a passi da gigante
nella virtù. E nonostante a quella tenera età non gli fosse
permesso di praticare quelle virtù che già tanto amava, tuttavia le
andava praticando col desiderio, finché fatto poi adulto le praticò
con le opere, operando sempre con tutta la perfezione, come si dirà
in seguito.
Capitolo IV - L'infanzia di S. Giuseppe: il suo rapporto con Dio
Amore
di Giuseppe per Dio e per il prossimo - La madre di Giuseppe,
continuando ad allattare suo figlio con la solita consolazione, stava
tutta attenta ad osservarlo. Il nostro Giuseppe spesso si faceva
vedere tutto mesto ed afflitto, spargendo lacrime in un profondo
silenzio. La madre si stupiva per vedere cose tanto insolite nel suo
figlio, ma poiché era prudentissima, taceva, né manifestava ad
alcuno le meraviglie che osservava nel figlio, pensando già che la
grazia l'avesse prevenuto. Questa posizione in cui il nostro Giuseppe
si faceva vedere, apportava alla madre una grande compunzione, quasi
vedesse il suo innocente figlio in figura di penitente, e in questo
non si sbagliava, perché il nostro Giuseppe, avendo già l'uso della
ragione ed essendo arricchito della grazia santificante, conosceva
più di ogni altro il suo Dio e capiva quanto era offeso e disgustato
dagli uomini; ed egli, tutto mesto e dolente, spargeva lacrime in
abbondanza, che poi offriva a Dio, supplicandolo di avere pietà dei
peccatori, illuminandoli e facendogli conoscere i loro gravi errori.
Oltre a questa conoscenza che il nostro Giuseppe aveva, spesso gli
era suggerito dall'Angelo di fare questi atti verso il suo Dio, al
quale sarebbero stati graditi, e con questo avrebbe anche usato la
carità verso il prossimo errante. Il nostro Giuseppe lo faceva con
grande desiderio di dare gusto a Dio e di beneficare il prossimo,
tanto che, appena nato, si può dire che già adempiva i due precetti
della legge, cioè, di amare il suo Dio sopra ogni cosa, con tutte le
sue potenze e forze, ed il prossimo suo. E quello che non poteva fare
per se stesso, perché non aveva colpa, lo faceva per il suo
prossimo, piangendo ed affliggendosi per le colpe altrui. Quanto
fossero gradite a Dio le lacrime dell'innocente Giuseppe, ce lo
dimostreranno le grazie che Dio gli fece, una delle quali fu
l'accelerare il tempo della nascita della Madre del Verbo divino,
perché egli fosse il suo custode e fedelissimo sposo.
Sue
prime estasi - Il santo fanciullo si faceva poi vedere molto
spesso, come astratto ed assorto in Dio, stando in questo modo giorni
interi, senza prendere il solito alimento, accontentandosi di quel
cibo soavissimo che tanto riempiva il suo spirito, che era la divina
consolazione; e quanto questa fosse grande si poteva capire da quello
che anche esternamente appariva, cioè: un volto del tutto angelico,
rubicondo, e ridente, con gli occhi sfavillanti come due stelle. La
madre, che lo osservava, quando lo vedeva in tale posizione lo
lasciava in libertà, né lo importunava; nel guardarlo anche lei si
riempiva di un'insolita consolazione e si espandeva tutta in lodi e
ringraziamenti a Dio per i doni che si degnava di fare a suo figlio.
Molte volte anche suo padre osservò questo e, unito alla madre, si
scioglieva in lacrime di consolazione.
Giuseppe
e il Vicerè d'Egitto - Quanto furono consolati i genitori del
nostro Giuseppe, nell'allevare il loro fanciullo, e quanto
teneramente lo amarono! Ben altro che i genitori di Giuseppe
patriarca, che fu poi Vicerè dell'Egitto, che fu una figura del
nostro Giuseppe. Quello fu amato da suo padre sopra tutti gli altri
figli, e il nostro Giuseppe fu amato e favorito da Dio sopra ogni
altra creatura, destinandolo Padre putativo del divin Verbo Incarnato
e sposo di sua Madre. Quello fu vestito dal padre con una veste
preziosa, e il nostro Giuseppe fu vestito e ornato della grazia
santificante. Quello fu odiato dai suoi fratelli e venduto come uno
schiavo, e al nostro Giuseppe, alla morte dei suoi genitori, furono
usurpate tutte le facoltà e fu costretto ad andare ramingo a
Gerusalemme per imparare l'arte del falegname e per acquistarsi il
vitto. Quello fu interprete dei sogni, e il nostro Giuseppe ebbe un
angelo che nel sonno lo ammaestrava e gli insegnava quel tanto che
doveva fare per piacere al suo Dio e per adempire la sua volontà.
Quello fu Vicerè dell'Egitto, e il nostro Giuseppe fu Vice-Dio
nell'Egitto di questo mondo. Quello conservò la fede al suo principe
lasciando intatta la sua consorte, e il nostro Giuseppe conservò la
fede allo Spirito Santo, lasciando non solo intatta la Sua divina
sposa, ma essendo egli stesso il custode della sua purezza. Quello
conservò il frumento per il beneficio di tutto il popolo, e il
nostro Giuseppe mise in salvo la vita al Frumento degli eletti, cibo
e conforto dei fedeli. Quello fu di consolazione ai suoi parenti e a
tutto l'Egitto, e il nostro Giuseppe fu di consolazione al Verbo
Incarnato alimentandolo con le sue fatiche e con i suoi sudori, e a
Sua Madre, servendole di conforto nei suoi viaggi, ed è di
consolazione a tutte le anime fedeli nelle loro necessità e nelle
estreme agonie. Quello fu amato oltremodo dal suo principe, ed il
nostro Giuseppe, quanto fu più amato e favorito dal suo Dio, facendo
le sue veci sulla terra! Per cui non c'è stato nessuno sulla terra
che si sia potuto paragonare al nostro Giuseppe, tanto favorito e
sublimato dal suo Dio. Solo la sua santissima e purissima sposa fu
senza paragone a lui sublime, perché Vergine e Madre del Verbo
divino. Ora, essendo il nostro Giuseppe arricchito di tanti doni,
apportò non solo una grande consolazione ai suoi genitori
nell'allevarlo, ma essi furono anche arricchiti di molte grazie per
amore del loro figlio che si mostrava loro molto grato; e se pregava
in quella tenera età per i peccatori, molto più si applicava a
pregare Dio per i suoi genitori. Dio esaudiva le sue preghiere, e
perciò essi crebbero a meraviglia nelle virtù e nell'amore di Dio e
del prossimo.
Suo
sguardo al cielo - Quando poi il nostro Giuseppe era condotto da
sua madre in un luogo dove poteva vedere il cielo, allora sì che si
mostrava tanto contento! E, fissando gli occhi al cielo, li teneva
immobili a guardarlo esultando e facendo festa, dando così a vedere
come qui fosse il suo tesoro e tutto il suo bene. La madre, che si
accorse di questo, spesso ve lo conduceva e quando vedeva il figlio
afflitto, per sollevarlo, lo portava nei luoghi dove potesse vedere
il cielo, e allora si rasserenava tutto, e per un pezzo era costretta
a tenervelo per non privarlo della sua consolazione. Anche lei in
tali occorrenze godeva molto e il suo spirito si rallegrava,
contemplando le grandezze di Dio e le sue opere mirabili.
Tentazioni
e vittorie - Il nemico infernale si accorse della luce che
splendeva in Giuseppe e che i suoi genitori facevano grandi progressi
nelle virtù, per cui temette molto che questo fanciullo potesse
fargli guerra, e che con il suo esempio molti si applicassero
all'esercizio delle virtù. Tentò più volte di togliergli la vita,
ma i suoi attentati riuscirono sempre vani, perché il nostro
Giuseppe era difeso dal braccio onnipotente di Dio e custodito dai
due angeli che Dio gli aveva assegnato. Quindi il nemico fremeva di
rabbia per non poter effettuare i suoi disegni, e si appigliò ad un
altro partito, ingegnandosi di mettere guerra e confusione fra i
genitori di Giuseppe. Anche questo gli riuscì vano, perché, essendo
questi ornati di grandi virtù e timore di Dio, capivano bene le
insidie del comune nemico, e con la preghiera lo facevano fuggire
confuso. Tentò anche con le persone di servizio della casa, ma anche
questo gli riuscì vano, perché il nostro Giuseppe pregava per tutti
e Dio non tardava ad esaudirlo. Molte volte si asteneva dal prendere
il solito alimento per accompagnare con l'orazione anche il digiuno:
per cui trovandosi il nemico abbattuto di forze, desisteva per
qualche tempo e si ritirava con il pensiero di fargli nuova guerra,
aspettandone l'occasione: ma restò sempre vinto ed abbattuto, perché
le preghiere di Giuseppe avevano una grande forza, ed erano molto
efficaci presso Dio. L'Angelo poi destinato a parlargli nel sonno,
ammoniva il nostro Giuseppe di tutto ciò che doveva fare per
abbattere il nemico infernale, e lo avvisava quando questo si
apprestava a fargli guerra e a disturbare la sua casa; ed il nostro
Giuseppe non mancava di fare tutto ciò che l'Angelo gli diceva nel
sonno.
Orazione
e contemplazione - Essendo arrivato il fanciullo ad un'età
conveniente, e crescendo a meraviglia, la madre lo tolse dalle fasce
e lo vesti. Il nostro Giuseppe mostrò in questo grande gaudio, e
alzando le mani verso il cielo, tutto anelante, pareva che volesse
volare dove stava il suo Tesoro e spesso si faceva vedere in tale
posizione. Altre volte la madre lo trovava con le mani incrociate
molto strette sul petto, in segno che si abbracciava con il suo Dio,
che abitava nella sua anima per mezzo della grazia e dimorava nel suo
cuore. Altre volte lo trovava con le mani giunte, in atto di pregare
e tanto assorto che sembrava non avesse sentimenti, perché tutto
immerso nella contemplazione. La madre, in tali occorrenze, lo
lasciava stare, ed egli vi dimorava giorni interi, trattenendosi nel
contemplare le perfezioni divine, istruito ed ammaestrato nella
preghiera dal suo angelo, e molto più dal suo Dio, che con tanta
generosità si comunicava alla sua anima infondendogli il suo
spirito.
Capitolo V - L'infanzia di S. Giuseppe
I
primi passi - Il nostro Giuseppe, crescendo ogni giorno di più
nell'amore verso il suo Dio e nella cognizione delle divine
perfezioni, bramava di arrivare ad essere perfetto e santo per potere
in qualche modo assomigliare al suo Dio nella santità e
corrispondere al suo infinito amore. Perciò desiderava di arrivare
presto a camminare per poter impiegare anche il suo corpo in ossequio
al suo Dio e fargli, anche esternamente, quelle dimostrazioni d'amore
e di sottomissione. Dio gradiva molto i desideri del nostro Giuseppe
e li esaudiva, e così arrivò in breve a camminare.
Le
prime parole - Il nostro Giuseppe incominciò molto presto a
parlare e a camminare e le prime parole che proferì furono il
nominare il suo Dio, ammonito così dall'Angelo nel sonno. La mattina
che parlò, appena svegliato, disse: «Dio mio!». Fu inteso dai suoi
genitori che, stupiti ed attoniti, si riempirono di giubilo, godendo
che il loro figliolo incominciasse a parlare e godendo molto di più
che le sue prime parole fossero dirette a Dio, come invocandolo in
suo aiuto e chiamandolo "suo". Il nostro Giuseppe proferiva
spesso questa parola e con ragione, perché essendosi egli donato
tutto a Dio, Dio era tutto suo; e quando sentiva dire dai suoi
genitori, che Dio si era chiamato il Dio di Abramo, di Isacco e di
Giacobbe, egli soggiungeva: «E di Giuseppe» - e lo diceva con tanta
grazia, in quella così tenera età, che i suoi genitori ne godevano
molto, e per ascoltarlo, gli dicevano spesso queste parole; ed era
tanto il sentimento con cui il fanciullo le diceva, che sembrava,
come infatti era, che Dio fosse tutto il suo bene e lo scopo di tutti
i suoi affetti e desideri, e che non avesse altro pensiero ed amore
che per il suo Dio. Perciò si vedeva esultare e giubilare quando lo
sentiva nominare, e i suoi genitori spesso glielo nominavano con
grande affetto e riverenza, per apportare al loro figliolo questa
consolazione.
Offerte
e suppliche - I primi passi che il nostro Giuseppe formò furono
da lui stesso offerti a Dio, supplicandolo della grazia che in tutti
i suoi passi Egli rimanesse glorificato e mai offeso, come fece anche
delle sue parole, ammaestrato così dall'Angelo. Dio ascoltò le sue
suppliche e le esaudì perché, tanto nelle parole come nei passi e
in tutte le sue opere, restò sempre glorificato e mai offeso o
disgustato. In tutte le sue azioni ebbe poi il nobile esercizio di
guardare sempre il cielo ed invocare il suo Dio, supplicandolo del
suo aiuto e della sua santa grazia nell'azione che faceva, affinché
fosse secondo il suo divino beneplacito; e questo era nel cibarsi,
nell'andare a riposare, nel parlare e nel camminare. E poiché in
quella tenera età non gli era permesso di fare quelle azioni
virtuose che lui bramava, gli offriva il suo desiderio e quelle
azioni indifferenti che sono comuni a tutti per conservare la vita,
come il mangiare, il bere, il dormire, il ricrearsi. Il nostro
Giuseppe impreziosiva tutte queste azioni con la retta intenzione,
facendo tutto per amore del suo Dio, e per amore dello stesso, si
privava spesso di quello che più gli piaceva, ammaestrato così dal
suo angelo in quella tenera età, perché altro non poteva fare per
il suo Dio, che tanto amava; e spesso gli si offriva tutto in dono,
rinnovando quegli atti che già fece quando fu presentato al Tempio.
Sua madre, poi, vedendo come il figlio avesse molte capacità, lo
andava istruendo insegnandogli vari atti di affetto verso Dio, come
praticavano gli Ebrei, ed il nostro Giuseppe mostrava molto gusto
nell'ascoltarli e li praticava mirabilmente con ammirazione della
madre e di chi lo udiva.
Spirito
dì preghiera - Quando poi camminava speditamente, spesso si
nascondeva a pregare con le mani sollevate al cielo, facendo atti di
ringraziamento a Dio, perché tanto lo beneficava, e stava ore intere
inginocchiato a terra. Era meraviglioso vedere quel piccolo fanciullo
in tale posizione, ma faceva più meraviglia vedere come il suo
spirito si deliziasse nella contemplazione delle perfezioni divine e
ben si notava anche esternamente mentre il suo volto appariva tutto
rubicondo e gli occhi sfavillanti, dimostrando con questo che si
deliziava con il suo Creatore, e che gli influssi della grazia
ricolmavano la sua anima. La madre, che con destrezza si metteva in
un luogo dove il figlio non la potesse vedere, lo sentiva spesso
esclamare:«O Dio di bontà infinita, quanto mi hai beneficato e
perciò quanto ti devo!». E diceva tutto questo balbettando, ma con
il cuore infiammato d'amore verso il suo Dio. La madre che lo udiva,
accompagnava il figlio con atti d'amore e di ringraziamento, e si
scioglieva in lacrime di tenerezza per vedere il suo figliolo tanto
favorito da Dio e arricchito di tanti doni.
Sospira
il Messia - Gli fu poi manifestato dai suoi genitori come Dio
aveva promesso di mandare al mondo il Messia, che si aspettava con
desiderio, e che gli antichi Patriarchi bramavano tanto; questo gli
fu anche insinuato dall'Angelo nel sonno, così il nostro Giuseppe si
accese di un vivo e ardente desiderio di questa venuta e ne porgeva
calde suppliche a Dio, perché si fosse degnato di accelerarne i
tempi. Da questo momento tutte le sue preghiere tendevano a questo
fine e Dio udiva con gusto le suppliche dell'innocente Giuseppe
compiacendosene molto, e di questo gliene dava una chiara
testimonianza perché, quando egli gli porgeva queste suppliche, Dio
gli riempiva il cuore di giubilo e di consolazione, per cui il nostro
Giuseppe si animava ancora di più nel fare la richiesta, e così
avanzava nell'amore verso il suo Dio e nelle suppliche premurose.
Pena
per le offese a Dio - Quando in casa accadeva qualche cosa per
la quale Dio potesse restare disgustato - e questo capitava fra le
persone di servizio per la loro fragilità - allora sì che il nostro
Giuseppe si faceva vedere tutto afflitto e mesto, e piangeva
amaramente; e poiché a quella tenera età non poteva riprenderli,
dimostrava però con il pianto quanto fosse grande il suo dolore. La
madre, che si accorgeva di questo, gli domandò un giorno perché
piangesse tanto e si affliggesse, ed egli rispose con gran
sentimento:«Tu mi hai più volte insegnato quello che devo fare per
piacere a Dio e quello che si deve fuggire per non disgustarlo. Ora
vedendo che nella nostra casa si disgusta, non vuoi che io mi
affligga e pianga?». Questo disse alla madre, perché da lei era già
stato più volte istruito a fuggire le offese divine, ed anche perché
lei non arrivasse a comprendere i doni che Dio gli aveva partecipato,
come l'uso della ragione e la chiara cognizione delle divine offese
per le quali egli molto si affliggeva, mentre capiva come Dio
meritava di essere amato, onorato e non offeso, e che le colpe
disgustavano molto il suo Dio, che egli tanto amava. Inteso questo,
la madre procurava di stare molto vigilante, affinché Dio non fosse
offeso da nessuno della sua casa e riprendeva aspramente i
trasgressori, tanto che il nostro Giuseppe, con il suo comportamento,
fu occasione perché la casa dei suoi genitori si potesse chiamare
piuttosto "scuola di virtù", vivendo tutti con un'esatta
osservanza della legge divina.
Prudenza
della madre - La madre, poi, era molto accorta, e prudente nel
tenere nascosto quanto il figlio le diceva, e quanto in lui scorgeva
di doni e di grazie soprannaturali; né si dimenticò mai di quanto
le disse l'Angelo del Signore in sogno, e cioè che suo figlio
avrebbe visto il Messia e avrebbe conversato con lui; perciò non si
faceva grande meraviglia nel vederlo tanto favorito da Dio, e si
impiegava tutta nel lodare e ringraziare la generosità di Dio, tanto
grande verso il suo Giuseppe. A volte lo guardava con grande
tenerezza di affetto, lacrimando per la consolazione che sentiva nel
pensare che suo figlio avrebbe avuto la bella sorte, che non avevano
potuto avere tanti Patriarchi e Profeti, di vedere venuto al mondo il
Messia promesso; e spesso diceva al figlio: «Figlio mio, beato te!»,
- invidiando santamente la sua felice sorte. Il nostro Giuseppe le
domandò una volta perché gli dicesse questo. La saggia madre gli
rispose: «Ti dico questo, perché so che il nostro Dio ti ama
molto», - celandogli il mistero. Giuseppe nel sentire queste parole,
alzava le mani al cielo, esclamando: «Oh, sì, sì, che mi ama il
mio Dio!». E qui si infiammava tutto nel volto, esultando per la
gioia e lacrimando per la dolcezza. Poi aggiungeva: «Ed io lo amo?
Poco lo amo! Ma lo voglio amare molto più di quello che lo amo; e
nel crescere che farò negli anni e nelle forze, crescerò anche
nell'amore del mio Dio».E fu così perché, a misura che andava
crescendo nell'età, cresceva anche nell'amore.
Istruzione
patema - I suoi genitori, vedendo poi che il figliolo era tanto
capace, incominciarono ad istruirlo nelle lettere, e questo lo fece
il proprio padre perché egli era molto dotto nella Legge, e non
volle consegnare ad altri il figlio perché fosse istruito, perché
frequentando gli altri non venisse a perdere quello spirito che Dio
gli aveva comunicato. Così il nostro Giuseppe incominciò ad
imparare a leggere e gli riusciva mirabilmente, in modo che suo padre
non ebbe mai occasione di riprenderlo. Aveva appena tre anni che già
incominciava a leggere con molta consolazione dei suoi genitori e a
suo profitto. Si esercitava nella lettura della Sacra Scrittura e nei
Salmi di Davide, che il Padre poi gli spiegava. Era molta la
consolazione che il nostro Giuseppe sperimentava nel leggere e nel
sentirsi spiegare dal padre quel tanto che leggeva, ed in questo
esercizio ci mise tutto il suo studio, non tralasciando però mai i
soliti esercizi di orazione e preghiere a Dio, e spendeva tutto il
suo tempo in questo esercizio, cioè nel pregare, studiare e leggere,
avendo per ogni cosa il suo tempo assegnato.
Sua
ammirabile pazienza - Non fu mai visto, benché fanciullo, né
adirato, né impaziente, ma conservava sempre una serenità di volto
ed una somma quiete, nonostante molte volte Dio permettesse che
gliene capitasse l'occasione, essendo maltrattato dalle persone di
casa in assenza dei suoi genitori; e il nostro Giuseppe soffriva
tutto con pazienza ed allegrezza. Il demonio spesso si ingegnava ad
istigare le persone di servizio in casa, perché lo maltrattassero
per vederlo perdere la bella virtù della sofferenza; ma questo non
gli riuscì mai, perché il nostro Giuseppe era tanto immerso con il
pensiero nell'amore del suo Dio e tanto godeva della sua presenza
nella sua anima, che non c'era cosa, per grande che fosse, che
turbasse la pace del suo cuore e la serenità del suo spirito. Il
demonio fremeva molto nel vedere tanta virtù in Giuseppe, e fremeva
molto di più perché non si poteva accostare a lui con le
tentazioni, tenendolo Dio lontano; ma tanto fece che un giorno lo
precipitò per una scala della casa, permettendolo Dio per esercizio
di virtù al nostro Giuseppe e per maggior confusione del nemico
infernale. Vedendosi il fanciullo così precipitato, chiamò Dio in
suo aiuto, e Dio non tardò a soccorrerlo liberandolo da ogni male.
Da questo Giuseppe ebbe occasione di riconoscere la grazia del suo
Dio e ringraziarlo, e il demonio partì confuso.
Sua
vita raccolta - Non fu poi mai visto, nonostante quella tenera
età, fare cose fanciullesche, né mai si curò di trattare con altri
fanciulli suoi pari, stando sempre ritirato in casa, applicato allo
studio e all'orazione, non perdendo mai tempo. Prestava poi un'esatta
obbedienza ai suoi genitori, non tralasciando mai di fare quel tanto
che da loro gli era ordinato. Tutto il suo divertimento stava nel
trattenersi spesso a guardare il cielo, perché sapeva che lì
abitava il suo Dio; e gli inviava caldi sospiri supplicandolo di
mandare presto nel mondo il Messia promesso.
Imitazione
dei Patriarchi - Portava poi un grande affetto al Patriarca
Abramo, Isacco e Giacobbe e al Profeta Davide, e spesso supplicava
suo padre di narrargli la vita che essi avevano condotto, con il
desiderio di imitarli; poiché sapeva che erano stati tanto amati e
favoriti dal suo Dio e il padre lo compiaceva e gli narrava la vita,
ora di uno, ora dell'altro. Il nostro Giuseppe lo stava ad ascoltare
con molta attenzione e poi diceva: «Questi sono stati amici e
favoriti del nostro Dio e questi dobbiamo imitare nelle loro virtù».
E sentendo come il Padre Abramo camminava sempre alla presenza di
Dio, come lo stesso gli aveva ordinato se voleva essere perfetto,
procurò di imitarlo perfettamente. Il nostro Giuseppe era appena
giunto all'età di sette anni, che era già capace di tutte le virtù
che questi Patriarchi avevano esercitato, e per quanto si estendevano
le sue forze, si applicava ad imitarli nella fede e nella confidenza
ed amore verso il suo Dio; così il nostro Giuseppe cresceva nelle
virtù e si rendeva sempre più gradito a Dio.
Lode
a Dio - Sentendo poi come il santo Davide lodava il suo Dio
sette volte al giorno in modo speciale, anch'egli lo volle praticare,
e supplicò il suo angelo perché lo avesse svegliato per tempo, per
potere lodare il suo Creatore anche nelle ore notturne. Sapeva già
varie cose a mente, a lode del suo Dio, e le ripeteva spesso, sia di
giorno che di notte con molto gusto del suo spirito e Dio non mancava
di illuminarlo sempre di più ed accrescere in lui i suoi doni. Nel
tempo stesso che lo stava lodando, era così acceso d'amore verso il
suo Dio che, molte volte, nonostante fosse notte, apriva la finestra
della sua stanza e si metteva a guardare il cielo, e qui dava adito
al suo cuore perché divampasse le fiamme verso la sua sfera e
diceva: «Beato colui che avrà la sorte di vedere con i propri occhi
il Messia promesso! Beato chi avrà la fortuna di servirlo e di
trattare con lui! Che sorte sarà la sua!».E diceva questo con tanto
ardore che restava estatico per molto tempo, acceso da un vivo
desiderio di poterlo servire e prestargli tutto l'onore e il
servizio.
Amore
per i poveri - Nel petto di Giuseppe ardeva poi un grande amore
verso il prossimo e bramava di giovare a tutti, perciò diceva spesso
ai suoi genitori che distribuissero delle elemosine ai poveri
bisognosi e che non avessero riguardo di conservarle per lui, perché
si accontentava di essere povero, purché gli altri non avessero
patito; e i suoi genitori non mancavano di assecondare il suo
desiderio, facendo larghe elemosine ai poveri, essendo già anche
loro inclini nell'usare grande carità verso i bisognosi.
Sua
purezza verginale - Il nostro Giuseppe era già arrivato all'età
di sette anni con questo tenore di vita che abbiamo detto, avendo
conservato sempre un illibato candore ed innocenza in modo tale che,
non solo non diede mai un minimo disgusto ai suoi genitori, ma
nemmeno fece mai alcuna azione che non fosse stata di sommo gusto e
compiacimento del suo Dio; anzi, quanto più cresceva negli anni,
tanto più gli si rendeva gradito operando sempre con maggiore
perfezione. Oltre all'amore che aveva per la purezza, che Dio gli
aveva infuso in modo mirabile, questa virtù gli fu anche molto
raccomandata dal suo angelo, quando una volta nel sonno gli fece un
grande elogio, soggiungendogli che questa virtù era molto cara al
suo Dio ed il nostro Giuseppe se ne invaghì molto di più e propose
di conservarla per tutto il tempo della sua vita; e perché potesse
eseguire questo, supplicava il suo Dio perché gli avesse dato la
grazia di poterlo fare. Propose anche di fuggire tutte le occasioni
pericolose, perché il suo ammirabile candore non avesse mai patito
alcun danno e infatti l'eseguì con tutto lo studio immaginabile,
custodendo tutti i suoi sentimenti con grande rigore e specialmente
gli occhi che teneva per lo più fissi a terra o rivolti al cielo.
Dal suo aspetto si conosceva bene quanto fosse grande la purezza
della sua anima e anche del suo corpo, tanto che pareva un angelo
vestito di carne mortale. La madre più volte osservò lo splendore
nel suo volto, ed anche suo padre; da questo conoscevano bene quanto
grande fosse la purezza e l'innocenza del loro figliolo e come Dio si
compiaceva di abitare nella sua purissima anima per mezzo della sua
grazia; questo si notava quando il nostro Giuseppe terminava la
preghiera, e che da solo a solo aveva trattato con il suo Dio.
Cura
dei suoi genitori - In queste occasioni i suoi genitori si
sentivano riempire l'anima di un'insolita consolazione e di un amore
riverenziale verso il loro figlio, guardandolo sempre più come un
tesoro e un dono del Cielo. Non tralasciavano però di esercitare su
di lui quell'autorità propria dei genitori verso i loro figli, e
spesso provavano come fosse obbediente ai loro cenni, ed egli si
mostrava obbedientissimo in tutto.
Sua
mortificazione - Il nostro Giuseppe era molto incline al digiuno
e alle asprezze, ma quando i suoi genitori glielo proibivano, egli si
sottometteva alla loro volontà con tutta la rassegnazione, e non
replicava mai in alcuna cosa. Quando desiderava fare digiuni e veglie
domandava a loro il permesso con tanta sottomissione, che sembrava
non glielo sapessero negare, tanto era il modo che aveva per
accattivarseli; e quando gli negavano il permesso, lo facevano con
pena, perché non potevano contraddirlo.
Carità
ai poveri - Molte volte ancora, il padre gli dava dei soldi
perché desse l'elemosina ai poveri che gliela domandavano; ed allora
la prendeva con tanta sottomissione ed umiltà, come se quella
elemosina l'avessero fatta a lui stesso, e ben presto la dispensava
ai poveri non trattenendo mai presso di sé alcuna cosa. Quando
vedeva qualche povero venire a casa sua a domandare la carità, egli
andava dalla madre e gliela domandava come per sé, con tanta
sottomissione; la madre si meravigliava della virtù di suo figlio e
gliela faceva largamente. Era poi tanto grande il gusto che il nostro
Giuseppe aveva nel dare l'elemosina ai poveri, che si capiva bene nel
suo volto, poiché se vedeva un povero si affliggeva tutto e subito
si rallegrava quando gli dava l'elemosina.
Invaghito
delle virtù - Era già molto incline alla pratica di tutte le
virtù, ma se ne era molto più invaghito perché l'Angelo gli
parlava nel sonno e gli manifestava il pregio e valore delle virtù,
e come queste fossero molto care e di gusto al suo Dio. Non ci voleva
altro perché il nostro Giuseppe si innamorasse della virtù. Il solo
sentire che erano gradite al suo Dio, era sufficiente perché egli si
mettesse a praticarle con tutto l'impegno.
Capitolo VI - Progresso di S. Giuseppe nelle virtù e favori che riceve da Dio
Consigliere
umile e prudente - Il nostro Giuseppe aveva già compiuto sette
anni e a questa età mostrava grande senno, più di un uomo di età
matura. Le sue parole gravi e le sue opere tutte perfette erano tali
che suo padre, dovendo prendere consiglio circa le cose importanti e
di rilievo, non trovava miglior consigliere che il proprio figlio, e
tutto gli riusciva bene con il consiglio che lui gli dava, perché
era molto illuminato da Dio, e non sbagliava mai nel suo parere,
perché trattava tutto con Dio nella preghiera. I suoi genitori non
facevano nessuna cosa, se prima non avevano chiesto il parere del
figlio, sapendo per esperienza che quello che lui diceva riusciva a
puntino; ma il nostro Giuseppe si comportava in questo con tanta
umiltà e sottomissione, che i suoi genitori stessi rimanevano
meravigliati. Egli diceva loro il suo parere e poi aggiungeva:«Io vi
dico questo, secondo quello che so essere giusto e che si deve fare;
voi considerate bene il tutto e fate quello che conoscerete essere
meglio e piùgradito al nostro Dio». Poi, rientrando di nuovo
nell'orazione, pregava Dio di illuminare i suoi genitori, affinché
avessero operato tutto quello che era di suo maggior gusto, non
fidandosi mai di se stesso e giudicandosi una creatura vilissima e
miserabile. Si umiliava molto al cospetto del suo Dio e quando i suoi
genitori gli chiedevano il suo parere e qualche consiglio, ne sentiva
una grande confusione, e parlava solo per obbedire e perché Dio
rimanesse glorificato in tutte le cose. E Dio non mancava di
prevenirlo sempre più con le sue grazie e di illuminarlo
chiaramente, sia nell'orazione sia per mezzo dell'Angelo che gli
parlava nel sonno, benché questo, a misura che egli andava
crescendo, gli parlava più di rado, perché, oltre i lumi che Dio
gli comunicava con più pienezza, veniva anche istruito con la
lettura della Sacra Scrittura.
Cintura
celeste - Una notte, però, mentre il nostro Giuseppe dormiva,
l'Angelo gli apparve nel sonno e gli disse che Dio aveva gradito
molto il suo proposito di conservarsi vergine per tutto il tempo
della sua vita e che gli prometteva il suo favore ed aiuto
particolare; e mostrandogli una cintura di incomparabile valore e
bellezza, gli disse: «Questa cintura te la manda il nostro Dio in
segno del gradimento che ha avuto del tuo proposito e della grazia
che tifa di poter conservare sempre illibato il candore della tua
purezza, ordinandomi che io te la cinga».Ed avvicinandosi a lui gli
cinse i fianchi con quella cintura, ordinandogli di ringraziare Dio
del favore e della grazia che gli concedeva. Quando si svegliò, il
nostro Giuseppe si alzò subito e inginocchiato a terra adorò il suo
Dio e lo ringraziò affettuosamente per il beneficio che gli aveva
fatto e per il dono che gli aveva inviato, per mezzo del quale non
ebbe mai alcuna cosa che lo molestasse in questo particolare. Benché
il demonio lo assalisse con varie tentazioni, come si dirà a suo
tempo, su di questo però non poté mai molestarlo in nessun modo,
non permettendo Dio che il nemico lo assalisse con tentazioni contro
la purezza, conservando in lui una purezza mirabile in modo che fu
ben degno di trattare e di avere in custodia la Regina delle Vergini.
Grande
grazia promessa - Un'altra volta l'Angelo gli parlò nel sonno e
gli disse che Dio aveva destinato di fargli un dono molto grande e
sublime non sapendo però che cosa fosse, ma che intanto gli
manifestava la grazia che gli voleva fare, affinché lui si fosse
impegnato a supplicarlo e se ne fosse reso degno con la pratica delle
virtù e con le suppliche, perché il suo Dio godeva molto di essere
pregato, e che alle grazie e favori grandi vuole che precedano grandi
orazioni e preghiere. Sentito questo il nostro Giuseppe non fu
curioso di investigare quale fosse questo favore e questa grazia
sublime, ma si mise con tutto lo spirito a supplicare il suo Dio; e
da quel momento in poi, lo supplicava con grande premura di due
grazie: una era che accelerasse la venuta del Messia, e l'altra era
che gli facesse la grazia che gli aveva fatto promettere dall'Angelo.
Domandava a Dio molte altre grazie, ma queste due gli stavano molto a
cuore. Questa grazia e dono sublime era il dargli per sposa la Madre
del Verbo divino; non lo seppe mai fino a quando non la ottenne,
benché nemmeno allora gli fu manifestata la Maternità divina.
Mentre il nostro Giuseppe continuava a domandare le suddette grazie,
sperimentava una grande consolazione.
Estasi
sublime - Una volta, fra le altre, fu rapito in un'estasi
sublime, nella quale gli furono manifestate le virtù che il Messia
avrebbe praticato quando sarebbe venuto al mondo per vivere fra gli
uomini, tra le quali l'umiltà e la mansuetudine che avrebbero
spiccato a meraviglia, come anche tutte le altre e Giuseppe se ne
invaghì tanto e pose tanto affetto a queste virtù che bramava
praticarle ed arrivare a possederle, e perciò non mancò di porre
tutto lo studio e la diligenza per acquistarle. Ed era mirabile il
profitto che faceva in queste virtù, ed esortava anche le persone di
casa dicendo loro che praticassero quelle virtù, perché piacevano
molto al suo Dio.
Al
Tempio per la Pasqua - Il nostro Giuseppe andava poi con i suoi
genitori al Tempio di Gerusalemme nella solennità della Pasqua e,
quando arrivava quel tempo, si faceva vedere allegro più del solito,
mostrando di avere tutta la consolazione. Si preparava però a questa
solennità con digiuni e preghiere, ammaestrato così dal suo Angelo.
Quando era arrivato al Tempio, si metteva in ginocchio a pregare,
stando immobile ore intere con ammirazione di chi lo osservava,
specialmente perché era molto giovane. Qui riceveva grandi
illuminazioni da Dio, e contemplando il gaudio della celeste
Gerusalemme, pregava il suo Dio di mandare presto il Messia promesso,
affinché per mezzo della Redenzione le anime potessero andare a
godere quell'eterna beatitudine; e Dio si compiaceva molto delle sue
suppliche. Suo padre portava poi larghe elemosine al Tempio che dava
in mano al figlio, perché lui le offrisse e faceva questo perché
conosceva il grande desiderio che il figlio aveva di fare
l'elemosina, ed il nostro Giuseppe la faceva con tanto cuore ed
allegrezza, che non c'è mai stato chi abbia tanto goduto nel
ricevere quanto godeva Giuseppe nel dare e lo faceva con
un'intenzione rettissima, donando di nuovo tutto se stesso a Dio.
Aveva poi un grande desiderio di trattenersi a Gerusalemme per potere
avere la comodità di andare spesso al Tempio; ed i suoi genitori,
per compiacerlo, vi si trattenevano più del solito, ed in quel tempo
il nostro Giuseppe non se ne andava mai dal Tempio se non per
prendere il cibo ordinario e il riposo della notte; tutto il resto
del tempo lo spendeva nel Tempio a pregare e a supplicare il suo Dio
di concedergli quel tanto che egli bramava.
Fece poi una promessa a Dio, che se egli fosse rimasto privo dei suoi genitori voleva andare ad abitare a Gerusalemme per avere la comodità di frequentare il Tempio, per il quale sentiva un affetto particolare. Dio gradì la promessa, e non mancò, con il tempo, di dargli la comodità di poterlo fare. Nel tempo che i suoi genitori si trattenevano a Gerusalemme, il nostro Giuseppe non fu mai visto vagare per la città a guardare cose curiose, come si fa solitamente a quell'età, né mai in compagnia di qualcuno. Riveriva i Ministri del Tempio mostrandosi tutto ossequioso, ed è per questo che era amato da tutti, avendone ognuno grande stima, sia per le larghe elemosine che faceva come anche per l'ottima indole che si scorgeva in lui; ma il nostro Giuseppe non fece mai conto di questo, era attento solo all'amore del suo Dio e a procurare di piacere a Lui solo e dargli gusto. Un giorno, fra gli altri, mentre pregava nel Tempio con più fervore del solito, udì la voce interiore del suo Dio che lo assicurò come le sue preghiere gli piacevano molto e che l'avrebbe esaudito in tutto quello che gli domandava. L'assicurò dell'amore grande che gli portava invitandolo ad un'amorosa corrispondenza. Fu tanta la gioia che Giuseppe provò nell'ascoltare questa voce che andò in estasi stando immobile ore intere godendo l'incomparabile dolcezza e soavità dello spirito del suo Dio. Ne rimase molto più infiammato ed acceso d'amore, e non voleva sentir parlare d'altro che di Dio e delle divine perfezioni e bramava con grande ardore di trovare una compagnia o un amico fedele con il quale potesse conversare delle divine grandezze e perfezioni, ma conoscendo che un amico simile non c'era, pregava il suo Dio di mandarglielo. Un giorno, mentre stava facendo questa supplica, udì di nuovo la voce interiore del suo Dio che gli disse come l'avrebbe consolato molto più di quello che egli desiderava. E questo era vero, perché sebbene allora non glielo avesse manifestato, gli fece la grazia di trattare con il Verbo Incarnato e con la sua purissima Madre; grazia assai maggiore di quello che egli bramava e domandava. Tutto consolato per la promessa, il nostro Giuseppe, aspettava l'esecuzione con desiderio e non lasciava di domandarla al suo Dio con grande insistenza, perché conosceva come Lui lo favoriva in tutto e gli si mostrava propizio. Aveva per Dio una somma gratitudine e lo ringraziava continuamente dei benefici, offrendosi tutto a lui senza alcuna riserva.
Fece poi una promessa a Dio, che se egli fosse rimasto privo dei suoi genitori voleva andare ad abitare a Gerusalemme per avere la comodità di frequentare il Tempio, per il quale sentiva un affetto particolare. Dio gradì la promessa, e non mancò, con il tempo, di dargli la comodità di poterlo fare. Nel tempo che i suoi genitori si trattenevano a Gerusalemme, il nostro Giuseppe non fu mai visto vagare per la città a guardare cose curiose, come si fa solitamente a quell'età, né mai in compagnia di qualcuno. Riveriva i Ministri del Tempio mostrandosi tutto ossequioso, ed è per questo che era amato da tutti, avendone ognuno grande stima, sia per le larghe elemosine che faceva come anche per l'ottima indole che si scorgeva in lui; ma il nostro Giuseppe non fece mai conto di questo, era attento solo all'amore del suo Dio e a procurare di piacere a Lui solo e dargli gusto. Un giorno, fra gli altri, mentre pregava nel Tempio con più fervore del solito, udì la voce interiore del suo Dio che lo assicurò come le sue preghiere gli piacevano molto e che l'avrebbe esaudito in tutto quello che gli domandava. L'assicurò dell'amore grande che gli portava invitandolo ad un'amorosa corrispondenza. Fu tanta la gioia che Giuseppe provò nell'ascoltare questa voce che andò in estasi stando immobile ore intere godendo l'incomparabile dolcezza e soavità dello spirito del suo Dio. Ne rimase molto più infiammato ed acceso d'amore, e non voleva sentir parlare d'altro che di Dio e delle divine perfezioni e bramava con grande ardore di trovare una compagnia o un amico fedele con il quale potesse conversare delle divine grandezze e perfezioni, ma conoscendo che un amico simile non c'era, pregava il suo Dio di mandarglielo. Un giorno, mentre stava facendo questa supplica, udì di nuovo la voce interiore del suo Dio che gli disse come l'avrebbe consolato molto più di quello che egli desiderava. E questo era vero, perché sebbene allora non glielo avesse manifestato, gli fece la grazia di trattare con il Verbo Incarnato e con la sua purissima Madre; grazia assai maggiore di quello che egli bramava e domandava. Tutto consolato per la promessa, il nostro Giuseppe, aspettava l'esecuzione con desiderio e non lasciava di domandarla al suo Dio con grande insistenza, perché conosceva come Lui lo favoriva in tutto e gli si mostrava propizio. Aveva per Dio una somma gratitudine e lo ringraziava continuamente dei benefici, offrendosi tutto a lui senza alcuna riserva.
Desiderio
del Messia - Tornato a Nazareth, sua patria, sembrava che non
sapesse parlare d'altro che della magnificenza del Tempio e della
fortuna di coloro che si trovavano lì e saliva più in alto con il
suo discorso parlando della celeste Gerusalemme, e diceva: «Se tanto
gusto si sperimenta nello stare nel Tempio di Gerusalemme, quale
gusto e consolazione si sentirà nell'andare ad abitare nella casa
propria dove il nostro Dio risiede, e quanto grande sarà la
magnificenza di quel luogo? Preghiamo il nostro Dio che ci mandi
presto il Messia promesso, affinché per suo mezzo siamo fatti degni
di andare anche noi ad abitarvi dopo la morte». Diceva questo ai
suoi genitori con tanto spirito e ardore che provavano anch'essi un
grande desiderio e i loro cuori si accendevano nella brama della
venuta del Messia, porgendone calde suppliche a Dio. Il nostro
Giuseppe faceva questi discorsi, non solo con i suoi genitori e con
quelli di casa, ma anche con tutti coloro che vi andavano, imprimendo
nel cuore di tutti un vivo desiderio della venuta del Messia e diceva
loro: «Pregate spesso il nostro Dio che si degni di abbreviare il
tempo delle sue promesse. Beati noi se potessimo ottenere questa
grazia, ed avere la sorte di vedere il Messia fra di noi! Quale
fortuna sarebbe la nostra! Quanto vorrei spendermi tutto per servirlo
ed onorarlo!».Alle volte la madre si prendeva gusto e gli diceva:
«Che faresti tu, figlio mio, se potessi avere la bella sorte di
vedere con i tuoi occhi il Messia?».Ed egli allora, alzando le mani
al cielo, esclamava: «Che farei! Mi donerei tutto a Lui, offrendomi
prontamente a servirlo sempre, e non lo lascerei mai».E la madre
soggiungeva: «E non sai tu che la servitù costa molta fatica?». Ed
egli allora diceva: «Non solo farei volentieri molte fatiche per
servirlo, ma ne sarei felice se mi dovesse costare la vita stessa».E
la madre soggiungeva: «Chi sa poi se gradirebbe la tua servitù, e
se ti ammetterebbe al suo servizio?». Ed egli rispondeva: «È vero
che io non sarei degno di questo, ma lo pregherei tanto fino a
quando, mosso a pietà, accetterebbe la mia servitù, perché, come
il nostro Dio è infinitamente buono, così anche il Messia sarà
infinitamente buono. E come il nostro Dio gradisce le nostre
suppliche ed orazioni, così il Messia gradirà la mia servitù».
Alla fine la madre lo consolava con questa risposta: «Orsù, figlio
mio, continua a supplicare il nostro Dio affinché si degni di
mandarlo presto, perché spero che gradirà i tuoi desideri ed
esaudirà le tue suppliche e tu resterai consolato nelle tue brame».
E allora alzando le mani al cielo esclamava:«Piacesse al mio Dio che
questo accadesse. Chi sarà più fortunato e contento di me!»
Capitolo VII - Travagli di S. Giuseppe per opera del demonio e sua pazienza nelle tribolazioni
Insidie
del demonio e sua pazienza - Il comune nemico fremeva di rabbia
nel vedere le virtù mirabili che risplendevano nel nostro Giuseppe,
e che con il suo esempio eccitava molti alla pratica delle virtù.
Perciò, acceso di furore contro il santo Giovane, e non sapendo come
fare per farlo cadere in atti di sdegno e d'impazienza, e per
distoglierlo dal suo fervore nel servizio e nell'amore al suo Dio, si
mise ad istigare alcuni malevoli mettendo nel loro cuore una grande
avversione ed odio verso il Santo, perchè le sue azioni virtuose
servivano loro di grande rimprovero e confusione. Si accordarono
perciò insieme che, quando si sarebbero incontrati con lui,
l'avrebbero preso in giro e deriso, dicendogli anche delle parole
ingiuriose, come infatti fecero. Il nostro Giuseppe si incontrò con
questi giovani immorali, che andavano appositamente sulle sue tracce,
e incominciarono a prenderlo in giro e a deriderlo. Essendo solo, il
Santo chinò la testa e rivolto col cuore a Dio incominciò a
supplicarlo perchè avesse dato a lui la grazia di soffrire, e agli
altri la luce per conoscere i loro errori. Questi, vedendo che
Giuseppe non teneva conto dei loro scherni, si misero a maltrattarlo
con le parole, chiamandolo sciocco, senza spirito, vile e pauroso, e
che neppure sapeva parlare. Giuseppe continuava il suo viaggio con
tutta tranquillità e quelli lo seguivano con grande spavalderia,
dicendogli sempre delle parole pungenti ed offensive. Il Santo
Giovane trovandosi nella perplessità se doveva rispondere perchè si
calmassero, oppure tacere e soffrire tutto con pazienza, si sentì
suggerire interiormente di soffrire e tacere perchè così avrebbe
dato molto gusto al suo Dio. Tanto bastò perchè si decidesse di
soffrire, anche con allegrezza, quella persecuzione, senza mai
parlare; di questo quei giovani restarono confusi ed il demonio
abbattuto. Non si quietarono perciò i cattivi giovani, ma
continuarono per molto tempo a maltrattarlo, finchè alla fine,
stanchi di continuare ad offenderlo, lo lasciarono. Questa
persecuzione, però, durò molto tempo, in modo tale che, quando
Giuseppe usciva di casa per qualche affare, che suo padre gli
ordinava, era sempre pronto a soffrire i cattivi incontri. Il Santo
di questo non si dolse mai con nessuno, nemmeno con i suoi genitori,
stando sempre con il volto sereno e gioviale. Suo padre fu però
avvisato della persecuzione che il figlio soffriva, e ricercò se
questo fosse vero, volendone fare il dovuto risentimento; Giuseppe
gli rispose con tutta serenità , che lui piuttosto godeva in queste
cose e lo pregava di tacere perchè era sicuro che, soffrendo questo
con pazienza, dava gusto al suo Dio, e poi soggiungeva: «Tu sai,
padre mio, come hanno sofferto volentieri le ingiurie i nostri
Patriarchi e Profeti; come il Re Davide soffrì di essere
perseguitato ed ingiuriato; e noi sappiamo che questi erano gli amici
e i favoriti del nostro Dio, dunque dobbiamo imitarli poichè Dio ce
ne manda l'occasione». Suo padre rimaneva molto edificato di questo,
e compiaceva il figlio lasciandogli soffrire i travagli senza farne
alcun risentimento.
Prova
penosa - Il demonio, vedendo come, non solo non poteva
acquistare nessuna cosa con il Santo Giovane, ma che ne restava
sempre confuso e svergognato, tentò altre vie per turbargli la pace
del cuore e per farlo cadere nell'impazienza. Istigò una donna che,
per la sua vita poco buona, vedeva malvolentieri il Santo e andava
spesso dalla madre di Giuseppe a parlare male del figlio, cioè che
era biasimato e deriso da tutti, che non era buono a niente, che con
il tempo avrebbe consumato tutto il suo avere, essendo molto facile
nel dare l'elemosina a chiunque gliela domandava, e che molti poveri,
essendosi accorti di questo, lo seguivano quando usciva di casa.
Sebbene la madre del Santo fosse molto saggia e prudente e conoscesse
bene di che tempra fosse il figlio, per il continuo parlare della
donna e per divina permissione, si turbò e molte volte fece delle
aspre riprensioni al figlio, che le soffriva con grande pazienza
senza scusarsi, e nonostante sapesse da dove veniva il tutto, non se
ne risentì mai; solo una volta disse alla madre con tutta
sottomissione, che si informasse bene di quello che le veniva
riferito, perchè avrebbe appurato che non era vero ma che erano
tutte opere del comune nemico per inquietarla e turbare la loro pace.
La madre si prevalse delle parole del figlio, ed avvedutasi della
frode del nemico, cacciò dalla sua casa quella donna, che in vari
modi tentava di introdurvi la guerra.
Tentazioni
e vittorie - Il demonio, vedendosi confuso, non desistette
dall'impresa, ma trovò un altro stratagemma per inquietare e turbare
il Santo, e, con il permesso di Dio, incominciò a tentarlo di
vanagloria con varie suggestioni circa la vita che conduceva, del
tutto irreprensibile, così agli occhi di Dio come a quelli degli
uomini. Il Santo inorridiva a queste suggestioni e si raccomandava a
Dio umiliandosi molto al suo cospetto, chiamandosi creatura
miserabile e peccatore. Mosse anche alcuni a lodarlo in sua presenza
e a magnificare le sue virtù, ma il nostro Giuseppe ne sentiva una
grande confusione, dicendo sempre: «Io sono una creatura miserabile:
lodiamo il nostro Dio, perchè Egli è degno di lode. Egli è
perfettissimo in tutte le sue opere divine. Egli solo è degno di
essere lodato ed esaltato». Fu tentato dal nemico in tutti i modi,
solo contro la purezza non gli fu mai permesso di poterlo fare e di
questo il demonio ne fremeva, e non mancava di trovare il modo perchè
il Santo avesse almeno inteso dire qualche parola contraria a questa
nobile virtù, ma siccome il Santo aveva una somma innocenza e
semplicità non fu mai da lui nè capita, nè appresa. Trovandosi il
santo Giovane in questi conflitti di tentazioni e suggestioni, si
raccomandava al suo Dio con più ferventi orazioni; e una volta fu
ammonito nel sonno dall'Angelo, perchè all'orazione aggiungesse
anche il digiuno, e lo fece con grande vigore digiunando spesso ed
affliggendo la carne, che non trovò mai ribelle allo spirito e con
questo fracassava la testa al nemico infernale, restando sempre, lui
vittorioso, ed il nemico scornato; ma nonostante per breve tempo
desistesse di travagliarlo, non lasciò però, di tanto in tanto, di
molestarlo con i suoi inganni.
Biasimi
e sua mansuetudine - La vita ritirata e solitaria che il Santo
conduceva era poi molto biasimata da alcuni, e molte volte andavano a
casa sua alcuni giovani come lui per condurlo a divertirsi, ma il
nostro Giuseppe si scusava sempre con belle maniere dicendo che il
suo divertimento era studiare e leggere la Sacra Scrittura e la vita
dei Patriarchi e dei Profeti per poterli poi imitare nelle loro
virtù,poichè essi erano stati graditi al suo Dio e da Lui molto
amati e favoriti, ed esortava anche loro a fare così. Non mancò chi
prendesse in considerazione le sue parole e procurasse di imitarlo,
perchè Giuseppe glielo suggeriva con tanto modo e grazia che le sue
parole penetravano i loro cuori e dopo che aveva dato questi salutari
consigli e queste buone esortazioni, si ritirava a supplicare e
pregare Dio affinchè essi non avessero mancato di fare quel tanto
che lui aveva loro suggerito, e lo pregava di dare loro all'istante i
suoi aiuti particolari e la grazia per poterlo fare. Dio non mancava
di esaudire le sue preghiere, e quando il Santo Giovane sentiva dire
che coloro per i quali pregava mettevano in pratica i suoi consigli,
si rallegrava molto e ne rendeva affettuose grazie al suo Dio. Non
mancò però chi lo biasimasse e prendesse i suoi consigli in malo
modo; si doleva di questo, incolpando se stesso, pensando che questo
avveniva perchè lui era un peccatore e che non meritava che altri si
prevalessero delle sue esortazioni. In tal caso si ritirava a
piangere e pregava il suo Dio di usare la sua misericordia verso chi
si faceva beffe dei suoi consigli e che non guardasse i suoi
demeriti, ma il merito grande che Egli aveva di essere lodato e
servito fedelmente. Lo pregava di illuminarli e far loro conoscere le
verità da Lui manifestate: Dio si compiaceva molto di questo e non
lasciava che le sue suppliche andassero a vuoto, mentre il più delle
volte costoro si ravvedevano e tornavano dal nostro Giuseppe per
ascoltare di nuovo le sue esortazioni che poi eseguivano fedelmente,
e Giuseppe ne rendeva affettuose grazie al suo Dio.
Capitolo VIII - Affetto e particolare compassione di S. Giuseppe verso i moribondi
Sua
compassione per i moribondi - Oltre ai molti doni che Dio si
compiacque di dare al nostro Giuseppe, uno singolare fu quello verso
i poveri moribondi. Era tanta la compassione che egli ne aveva, che
aveva quiete quando sapeva che qualcuno si trovava in questo stato,
perché il Santo capiva bene quanto grandi siano i pericoli che si
incontrano in quegli ultimi momenti di vita e come i demoni allora
fanno ogni sforzo per guadagnare e condurre le anime alle pene
eterne. Una volta fu avvisato nel sonno dal suo angelo, che gli
manifestò il pericolo grande in cui si trovano i moribondi, e la
necessità che hanno di essere aiutati in quell'ultimo conflitto; e
mentre l'Angelo gli manifestava tutto questo, Dio infuse nel suo
cuore una compassione ed una carità ben grande verso i moribondi.
Fece questo con somma provvidenza, perché, avendolo Dio destinato
come avvocato dei moribondi, volle che anche in vita si esercitasse
in quest'opera di tanta carità, e gli diede un grande amore e una
grande compassione verso gli agonizzanti, facendogli anche intendere
i grandi bisogni che essi hanno in quegli ultimi momenti, dai quali
dipende un'eternità, o di eterna beatitudine, o di eterna infelicità
e miseria. Per questo, il nostro Giuseppe, acceso di un vivo
desiderio di giovare ai moribondi, si struggeva tutto quando sapeva
che qualcuno si trovava in agonia, e stava ore intere in ginocchio a
supplicare il suo Dio per il felice passaggio di quell'anima, perché
andasse a riposarsi nel seno di Abramo.
Sua
assistenza - Quando sapeva questo, non c'era per lui né cibo,
né riposo, ma era tutto applicato a supplicare Dio per i bisogni del
moribondo, e quando aveva la fortuna di trovarsi presente, non lo
lasciava mai fin quando non era giunto al termine della vita,
animandolo a confidare nella divina misericordia e a superare gli
assalti dei nemici infernali. I moribondi provavano un grande
conforto per l'assistenza del Santo e i demoni restavano molto
abbattuti per le preghiere che faceva; e Dio gli concesse questa
grazia che tutti coloro a cui il Santo si trovava presente alla loro
morte non perissero, ma andassero, in parte al Limbo e in parte in
Purgatorio. Il Santo lo conosceva con grande chiarezza, e di questo
si consolava molto e ne rendeva grazie a Dio.
Sforzi
del demonio - Il demonio si infuriò molto per quest'ufficio di
grande carità che il Santo praticava, ed una notte, fra le altre,
che aveva perso un'anima per l'assistenza del Santo, gli apparve con
un aspetto spaventoso e orribile e lo minacciò di volerlo
precipitare, se non avesse desistito da un tale ufficio. Il Santo si
intimorì nel vedere quell'orribilissimo mostro e fece ricorso a Dio
domandandogli il suo aiuto; per questa preghiera il dragone infernale
scomparve e il nostro Giuseppe restò in orazione, dove udì la voce
del suo Dio che l'animava a non temere, ma a continuare a fare la
carità ai moribondi, di cui egli ne aveva un sommo compiacimento. Il
Santo, animato e tutto consolato dalla voce interiore, si infiammò
molto di più di carità verso i moribondi, e continuava ad aiutarli
con le sue ferventi orazioni, e si stimava felice colui che poteva
averlo presente alla sua morte. Infatti era felice non solo perché
era liberato dagli assalti furiosi dei nemici infernali, ma perché
la sua anima, per le preghiere del Santo, andava in un luogo di
salvezza.
Persecuzioni
dei malvagi - Anche per questa carità, che il nostro Giuseppe
esercitava, passò molti travagli e persecuzioni da parte di gente
malvagia e istigata dal demonio, ma non per questo desistette mai dal
fare quest'ufficio tanto gradito a Dio e tanto utile al prossimo, e
spesso il suo Angelo gli parlava per animarlo. Una volta, fra le
altre, quando il Santo Giovane era molto afflitto per le
persecuzioni,l'Angelo gli parlò nel sonno e gli disse da parte del
suo Dio che stesse di buon animo e che continuasse a fare quell'opera
di grande carità, perché Lui gli prometteva di fargli una grazia
grande e specialissima alla sua morte. Non gli manifestò che grazia
fosse, ma fu ben grande, perché ebbe la sorte di morire in mezzo a
Gesù e Maria, con la loro amorosa assistenza. Giuseppe, animato
dall'avviso dell'Angelo, continuò l'opera di carità, e non
desistette mai, per quanto gli fosse impedito o per una parte o per
l'altra, perché il demonio si affaticava molto per distoglierlo, ma
non gli riuscì mai poiché il Santo Giovane era animato e
fortificato dalla grazia divina e quando si trattava di fare qualcosa
che fosse gradita al suo Dio, si impegnava tutto e non c'era chi lo
potesse distogliere dall'opera intrapresa per gloria di Dio e
profitto del suo prossimo.
Preghiere
e lacrime per i moribondi - Alle volte veniva avvisato dal suo
Angelo della necessità che qualche moribondo aveva delle sue
orazioni, e il Santo si svegliava e si metteva subito in orazione,
pregando Dio perché si degnasse di assistere con la sua grazia quel
povero agonizzante, e non si levava dalla preghiera fino a quando Dio
non lo assicurava del suo aiuto. Molte volle gli veniva manifestato
dall'Angelo come fosse molto grande il numero di coloro che perivano
eternamente; di questo il Santo Giovane si rattristava tanto che
passava tutto quel giorno in amarissimo pianto e si addolorava che
non potesse trovarsi presente alla morte di tutti per poterli aiutare
a morire bene. Rivolto al suo Dio con caldi sospiri, lo pregava di
mandare presto il Messia promesso, perché liberasse le anime dalla
dura schiavitù di Lucifero e le riscattasse per mezzo della
Redenzione. Quando poi era così afflitto e piangente, e i suoi
genitori gli chiedevano qual era la causa del suo pianto, rispondeva
con tutta franchezza e con grande umiltà:«Piango la perdita
irreparabile di tante anime che il nostro Dio ha creato per condurle
all'eterno riposo, ma esse, per loro colpa, si perdono. Il demonio ha
un grande dominio sul genere umano e perciò preghiamo Dio perché si
degni di mandare presto il Messia, affinché gli tolga il dominio e
le forze, e le anime siano libere dalla tirannia di questo superbo
dragone». Diceva questo con grande sentimento e compassione in modo
tale che anche i suoi genitori piangevano in sua compagnia e si
applicavano a porgere calde suppliche a Dio perché si fosse degnato
di mandare presto il Messia promesso. Molte volte ancora impetrò da
Dio la salvezza dei peccatori ostinati, che erano in procinto di
perdersi, e il Santo si poneva in orazione supplicando Dio di
restituire loro la salute affinché si fossero ravveduti dai loro
errori e si fossero poi salvati. Per ottenere questa grazia impiegava
giorni interi nella preghiera, accompagnandola anche con il digiuno.
Perciò capitava rare volte che il Santo non ottenesse la grazia che
domandava, e tutto quello che faceva era nascosto agli occhi degli
uomini e manifesto solo al suo Dio.
Premiato
da Dio - Quanto poi fossero gradite a Dio le preghiere del
nostro Giuseppe e la carità che esercitava verso i moribondi, lui
stesso ne era testimone mentre Dio non tralasciava di esaudirlo e
molto spesso di consolarlo con le divine consolazioni, facendo godere
al suo spirito, molto spesso, la soavità e la sua dolcezza in modo
tale, che alle volte ne restava tutto assorto, e diceva con il santo
Re Davide: «Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia
del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre», (Salmo 72,
25). E ripieno della consolazione divina stava giorni interi senza
cibarsi, sentendo una sazietà mirabile, e tutto ripieno dello
spirito di Dio, non sapeva né parlare, né pensare ad altro che al
suo Dio, l'amore del quale tutto lo riempiva ed occupava.
Capitolo IX- Altre virtù di S. Giuseppe e suoi progressi nella sapienza e nell'amore verso il suo Dio
Sua
crescita - Il nostro Giuseppe mentre cresceva in età , cresceva
anche mirabilmente nella pratica delle virtù e avanzava molto
nell'amore verso Dio, così come anche nello studio delle Scritture e
soprattutto dei Salmi di Davide, che imparò quasi tutti a memoria
per il continuo ripeterli.
Sua
purezza e contemplazione - Il Santo continuò nel tenore di vita
che finora abbiamo detto per lo spazio di quindici anni, conservando
sempre intatto il suo candore e la sua innocenza, non avendo mai
disgustato il suo Dio, non solo con la colpa grave, ma neppure con
quella leggera volontaria, mettendo tutto il suo studio nel fuggire
anche ogni minima ombra di peccato, standogli sempre a cuore
l'ammonimento dello Spirito Santo che colui che disprezza le piccole
cose, cade nelle gravi. Perciò in questo il nostro Giuseppe fu
accuratissimo, tenendo in gran conto le cose leggere, custodendo con
grande rigore tutti i suoi sentimenti ed in particolare gli occhi,
con i quali non fissò mai in volto nessuno, soprattutto di sesso
diverso, sapendo come Davide ed altri erano caduti per essere stati
curiosi nel guardare quello che si deve fuggire; e quanto più egli
si mortificava nei suoi sentimenti, per essere fedele al suo Dio,
tanto più riceveva grazia da Dio, e tanto più cresceva in lui
l'amore verso il suo Dio, unico oggetto del suo amore e di tutti i
suoi desideri. Quando alle volte desiderava guardare qualche cosa che
apportava piacere alla vista, ma poi pena al cuore per la colpa che
facilmente si contrae, il nostro Giuseppe alzava subito gli occhi al
cielo e qui si dilettava entrando con la mente a contemplare le
bellezze increate del suo Dio e così restava tutto consolato.
Praticava spesso questo esercizio, ora contemplando un attributo
divino ed ora un altro, per mezzo del quale veniva a perdere tutto il
gusto delle cose create e si accendeva in lui sempre più l'amore di
Dio ed il gusto che sentiva nel dilettarsi e trattenersi con Lui
solo.
Suo
santo timore - Il Santo Giovane sapeva molto bene che i suoi
genitori lo amavano molto e perciò spesso se ne doleva con il suo
Dio perchè temeva che l'amore che portavano a lui, diminuisse in
loro l'amore di Dio. Non mancava di dire loro, quando gli si
presentava l'occasione, che stessero ben attenti, perchè l'amore si
doveva tutto a Dio; che egli gradiva il loro affetto, ma che temeva
che essendo troppo sensibile, potesse in qualche modo disgustare il
suo Dio, il quale si deve amare sopra tutte le cose ed al quale si
deve donare tutto l'amore. I suoi genitori restavano molto edificati
per queste parole, e procuravano di staccarsi dal troppo amore che
portavano al figlio, e consacrarlo tutto a Dio, così come il figlio
andava loro insinuando. Il nostro Giuseppe sentiva molta consolazione
per questo e ne rendeva grazie a Dio, il quale si degnava di fargli
la grazia che i consigli che egli dava ai suoi genitori fossero
appresi bene.
Sua
vita edificante - Fuggiva poi con ogni studio di apparire
virtuoso e sapiente, e non si mise mai a discutere con alcuno,
sebbene fosse molto dotto nella legge di Mosè e tutti lo stimavano
idiota e di poco intendimento; di questo ne godeva molto, amando di
essere disprezzato e non stimato da nessuno. Non voleva poi sentire
mai parlare di quello che si faceva per la città, nemico di storie,
e diceva che questo gli toglieva l'applicazione che doveva avere, sia
al suo Dio come anche allo studio, per cui in casa sua, quando egli
era presente, non si parlava mai di cose curiose, nè di quello che
si faceva per il paese. Infatti viveva mortificato in tutto, non
permettendo mai ai suoi sensi una minima soddisfazione, che avesse
potuto in qualche modo renderlo meno gradito al suo Dio. Giuseppe
andava praticando queste virtù per la luce che Dio gli comunicava
nella preghiera, facendogli conoscere chiaramente quel tanto che
doveva operare per dargli gusto, ed egli non tralasciò mai di fare
tutto quello che sapeva essere di gusto a Dio. Dio lo aveva poi
dotato di un modo mirabile per consolare gli afflitti; infatti si
esercitava in questo, e quando si incontrava a parlare con qualche
persona travagliata ed afflitta, la consolava con le sue parole in
modo tale che quella rimaneva, se non del tutto, almeno molto
alleggerita dalla sua afflizione. Giuseppe non mancava di porgere
calde suppliche al suo Dio, perchè consolasse coloro con i quali
aveva trattato. Si divulgò per il Paese la fama di come il Santo
Giovane aveva maniere tanto soavi per consolare coloro che si
trovavano nelle angustie, che spesso molti andavano a casa sua per
sentirlo parlare e per consolarsi; ed il Santo Giovane li consolava
con le sue dolci maniere e li animava a soffrire il travaglio,
dicendo a tutti che si raccomandassero a Dio, e che da Dio sperassero
ogni consolazione ed ogni bene, perchè Egli glielo poteva dare
cortesemente. Poi li esortava a pregare Dio che si degnasse di
accelerare il tempo delle sue misericordie col mandare al mondo il
Messia promesso nella Legge, perchè questo sarebbe stato di
consolazione a tutti. Quando poi c'era qualche persona afflitta per
la povertà, che non aveva di che vivere, ricorreva a lui con tutta
confidenza, sapendo quanto grande fosse la sua carità, ed egli con
grande sottomissione, supplicava i suoi genitori di soccorrere il
prossimo bisognoso, ed essi lo facevano prontamente, compiacendo in
tutto il figlio. Spesso suo padre gli dava dei soldi, affinchè
sovvenisse i poveri bisognosi con le sue proprie mani; il figlio lo
faceva con grande gusto, godendo nel soccorrere il suo prossimo e
diceva loro: :«Riconoscete questo bene da Dio, perchè Egli lo dà a
me perchè io ne faccia parte a voi, perciò tanto voi quanto io
dobbiamo ringraziare il nostro Dio che ci benefica!». E così nel
fare la carità fuggiva ogni stima, chiamandosi anch'egli povero e
beneficato da Dio, perchè beneficasse il suo prossimo. Così
procurava anche che tutti riconoscessero il bene da Dio, dando a Dio
tutta la gloria e i ringraziamenti. Il nostro Giuseppe era perciò
molto amato da coloro che egli beneficava ed essi lo lodavano per la
città; questo fu occasione di invidia per alcuni cattivi, che lo
perseguitavano e sparlavano molto del Santo Giovane, dicendo che egli
faceva di tutto per farsi lodare e stimare e il demonio si serviva di
loro per mettere in discredito la virtù del Santo Giovane. Questo fu
riferito a Giuseppe, che godette molto di essere screditato e che si
parlasse male di lui, solo gli dispiacevano le offese al suo Dio e
perciò lo pregava di illuminarli affinchè la sua bontànon fosse
offesa da quelle persone, e le raccomandava caldamente a Dio. Quando
il Santo si incontrava con coloro che lo biasimavano, si mostrava
loro molto cortese e affabile e, se gli capitava l'occasione di
entrarvi in discorso, diceva loro: «State attenti a non offendere
Dio, perchè se offendete me, poco importa!». E alcuni di quelli
che gli volevano male, restarono affezionati al Santo per la dolcezza
delle sue parole e per il modo con cui egli li trattava, quando si
umiliava e si sottometteva davanti a tutti, riconoscendo tutti
migliori di lui e di maggior virtù, parlando a tutti con grande
rispetto e sottomissione in modo che i cuori più duri restavano
inteneriti dalle sue parole e dalle sue dolci maniere, e si notava
bene come il Santo trattava con Dio nella preghiera, e che il suo
cuore era ripieno dello spirito di Dio.
Sua
fede - Il nostro Giuseppe fu dotato anche di una grande fede, in
modo che mai dubitò delle promesse che Dio gli aveva fatto per mezzo
dell'Angelo, che gli parlava nel sonno, e sebbene vedesse che le
promesse tardavano molto, non vacillò mai, ma rimase sempre costante
nel credere che tutto si sarebbe eseguito perfettamente, imitando il
Patriarca Abramo nella fede, e le parole che gli diceva l'Angelo
erano ritenute da lui certe, aspettando le promesse che gli aveva
fatto, e non tralasciando mai di supplicare il suo Dio perchè lo
consolasse nel dargli quello che l'Angelo gli aveva promesso.
Aridità
e pene - Il nostro Giuseppe camminava con tanta prosperità
nella via dei comandamenti divini e, sentiva nella sua anima la
consolazione divina, quando Dio volle provare la sua
fedeltà sottraendogli la sua luce divina e la sua consolazione
interiore, privandolo anche dell'aiuto speciale che aveva
dall'Angelo, non facendoglielo più sentire; il Santo Giovane,
quindi, si trovò in grandi afflizioni ed angustie. Non tralasciò
però i suoi soliti esercizi di pietà ed anzi, accrebbe le preghiere
e i digiuni con le continue suppliche al suo Dio, temendo molto di
averlo disgustato. Passava le notti intere in preghiera supplicando
il suo Dio di degnarsi di manifestargli, per mezzo dell'Angelo, la
causa dell'abbandono che provava e in che cosa lo avesse disgustato
per poterne fare la dovuta penitenza, poichè egli non era
consapevole del motivo per cui il suo Dio si fosse ritirato da lui.
Il Santo Giovane rimase per alcuni mesi in questo travaglio,
soffrendolo con grande fortezza e con la speranza certa che Dio non
avrebbe lasciato di consolarlo in tanta afflizione; e quanto più si
vedeva solo e abbandonato, tanto più crescevano in lui la fede e la
confidenza in Dio e più si stringeva a Lui con l'orazione e con
l'uniformità alla sua santa volontà. Diceva spesso a Dio, che
meritava quella privazione per la cattiva corrispondenza che gli
faceva e per le molte offese, umiliandosi sempre più e
riconoscendosi peccatore. Dio permise anche che il demonio, in questo
tempo, tormentasse molto il Santo con varie tentazioni, soprattutto
di diffidenza, ma in questo rimase sempre forte, confidando sempre di
più nella grande bontà del suo Dio.
Consolazioni -
Il nostro Giuseppe aveva sofferto con grande pazienza e rassegnazione
l'abbandono e aveva superato generosamente tutte le tentazioni e gli
assalti del nemico infernale, mostrandosi in tutto e per tutto
fedelissimo al suo Dio, che si compiacque di consolarlo e di
ricompensare la sua fedeltà. Una notte stando in orazione afflitto
più del solito, udì la voce interiore del suo amato Dio che lo
confortò, dicendogli che Lui lo amava molto e che non lo aveva mai
abbandonato, ma che era stato sempre in suo aiuto per mezzo della sua
grazia divina. Il Santo restò molto consolato nell'udire questa voce
che fu accompagnata anche da una mirabile dolcezza e soavità e la sua
mente fu anche illuminata; per cui colmo di giubilo pianse per la
dolcezza e si impiegò tutto nel lodare e ringraziare il suo Dio che
si era degnato di consolarlo in questo modo e ricondurlo allo stato
di prima. Passato un po' di tempo in atti di ringraziamento e in
dolci colloqui con Dio, prese un po' di riposo e l'Angelo gli parlò
nel sonno, assicurandolo che nel tempo della sua sofferenza aveva
dato molto gusto a Dio nel mostrarsi in tutto fedele, così come
nelle tentazioni; Dio aveva permesso questo per provare la sua
fedeltà ed il suo amore, e non perchè fosse stato da lui disgustato,
come temeva. Il Santo Giovane destatosi si trovò molto contento per
le parole dell'Angelo e, benchè non lo vedesse nè lo sentisse
quando era sveglio, tuttavia ogni volta che gli parlava lo supplicava
di fare i dovuti ringraziamenti a Dio da parte sua, perchè egli si
riconosceva insufficiente nel ringraziarlo come doveva e l'Angelo non
mancava di adempire quel tanto che gli veniva ordinato da Giuseppe.
Santi
fervori - Il Santo, tornato allo stato di consolazione e quiete
del suo spirito, perchè la luce divina era tornata nella sua anima,
non si saziava di lodare e magnificare la bontà del suo Dio e con chi
incontrava parlava delle divine grandezze e perfezioni, accendendosi
sempre più nel divino amore. La fiamma che gli ardeva nel cuore
traspariva anche nel volto, che appariva tutto acceso, con gli occhi
sfavillanti e apportava grande meraviglia a chi lo guardava e molto
più ai suoi genitori che ne sentivano una grande consolazione e
compunzione, e spesso discorrevano fra di loro della felice sorte che
gli era toccata, avendo Dio dato loro un tale figlio.
Nascita
di Maria - Il giorno che venne al mondo la Santissima Vergine
Maria, destinata ad essere Madre del Verbo divino e sposa di
Giuseppe, il suo Angelo gli parlò nel sonno e gli disse di
ringraziare Dio di un beneficio singolarissimo che aveva fatto a
tutto il mondo, ma specialmente a lui. Non gli manifestò però che
cosa fosse e il Santo non andò investigando, ma si destò subito e si
mise in orazione, ringraziando Dio del beneficio fatto al mondo e a
lui in particolare, come gli aveva imposto l'Angelo. Nel fare
quest'atto di ringraziamento provò un'insolita dolcezza ed
allegrezza mai provata prima; perciò andò in dolcissima estasi,
nella quale gli furono rivelati molti misteri circa la venuta del
Messia promesso e della sua divina Madre. Il Santo restò molto
consolato ed acceso ancora di più del desiderio che aveva della
venuta del Messia al mondo e perciò rinforzò le suppliche con
maggiore insistenza, e si struggeva tutto in questi desideri, dando
con questo molto gusto a Dio che voleva essere pregato con grande
insistenza perchè mandasse al mondo il Messia promesso nella Legge.
Infatti il nostro Dio richiede dagli uomini molte suppliche per
concedere grazie tanto grandi e sublimi; ed in questo il nostro
Giuseppe assecondava la volontà divina.
Capitolo X - Comportamento di S. Giuseppe alla morte dei suoi genitori
Assiste
la madre morente - Quando il nostro Giuseppe arrivò all'età di
diciotto anni, piacque al Signore, di togliere dal mondo i suoi
genitori. Prima sua madre, la quale ammalatasi gravemente, ebbe una
lunga e penosa infermità, volendo Dio, con questo, purificarla da
tutte le sue mancanze per poterla poi mandare al Limbo. Dio le fece
questa grazia per le suppliche che continuamente gli porgeva il
figlio, e cioè, che si degnasse di mandare i suoi genitori a
riposare nel seno di Abramo. Fu mirabile l'assistenza e la servitù
che il nostro Giuseppe fece a sua madre, consolandola e confortandola
nei suoi dolori, e porgendo continue suppliche a Dio affinché le
avesse dato pazienza nella sua penosa infermità. Il Santo Giovane
vegliava le notti intere, in parte assistendo la madre, e in parte
pregando per lei; e siccome le aveva sempre mostrato una somma
gratitudine per quello che aveva ricevuto da lei, in quest'ultimo
istante della sua vita gliela mostrò in un modo singolarissimo, non
abbandonandola mai, e non stancandosi mai di servirla ed assisterla
con amore veramente filiale e santo. L'assistenza del figlio era di
molta consolazione all'inferma, e continuamente lo benediceva e
pregava Dio di ricolmarlo delle sue benedizioni. Alla fine della sua
vita, Giuseppe si prostrò inginocchiato davanti a lei, e la supplicò
di benedirlo e di perdonargli tutto quello in cui l'avesse
disgustata. La buona madre lo benedisse, e lo esortò a non
tralasciare il modo in cui egli aveva vissuto fino ad allora, e a
crescere sempre più nell'amore e nel servizio del suo Dio; lo
ringraziò dell'assistenza e della servitù prestatale, e lo stesso
fece il figlio verso di lei. Le disse anche che morisse volentieri
perché egli sperava di certo che la sua anima sarebbe andata al
Limbo, fra i Santi Padri. La madre si consolò molto per le parole
che le disse il figlio, e supplicò Dio affinché lo benedicesse, e
confermasse con la sua benedizione, quella che lei gli aveva dato; e
Dio per mostrare che esaudiva la sua domanda, le fece vedere una
chiarissima luce risplendere sul volto di Giuseppe, della quale restò
molto consolata, e unita al figlio, rese grazie a Dio del favore
mostratole. Poi l'inferma si aggravò molto, e quando entrò in
agonia, il figlio non la lasciò mai, assistendola fino all'ultimo
respiro con grande generosità e fortezza d'animo; e non solo
assisteva la madre, ma confortava anche suo padre, che era molto
afflitto per la perdita di una così buona compagna.
Prega
e consola il padre - Morta la madre, il nostro Giuseppe si
trattenne a consolare un po' suo padre, e poi si ritirò nella sua
stanza a dare sfogo al dolore col solito tributo delle lacrime, poi
si mise in preghiera supplicando il suo Dio di volerlo consolare in
tanta sua afflizione. In questa preghiera Dio non mancò di
consolarlo, facendogli sentire la voce interiore che gli diceva che
erano stati adempiti i suoi desideri e le sue giuste domande circa
sua madre; per cui, tutto consolato il Santo Giovane, rese grazie a
Dio, poi uscito dalla sua stanza, andò di nuovo a consolare suo
padre, che si consolò e confortò molto per le parole che gli disse
il figlio.
Sua
conformità al volere di Dio - La notte seguente mentre Giuseppe
dormiva, l'Angelo gli parlò e gli disse che sua madre si trovava già
al Limbo, e che in breve sarebbe rimasto privo anche di suo padre,
perciò che si uniformasse alla volontà divina, e che non avesse
alcun timore, perché Dio lo avrebbe sempre protetto e difeso in
tutte le sue vie. Il Santo restò molto consolato per la notizia
avuta della sua buona madre, ma insieme afflitto per dover perdere
anche il padre. Si uniformò però alla volontà divina, e si animò
a soffrire i molti travagli che gli sovrastavano per la perdita del
padre, dando fede a quanto l'Angelo gli aveva detto, e cioè che Dio
l'avrebbe sempre protetto in tutte le sue vie. L'umanità, peraltro,
sentiva al vivo tutto quello che prevedeva dover soffrire, ma lo
spirito si mostrò prontissimo a soffrire tutto e a ricevere tutto
con pazienza ed allegrezza dalle mani di Dio. Essendo rimasto il
nostro Giuseppe privo della madre, e vedendo suo padre in grande
afflizione, l'andava confortando continuamente, e non l'abbandonò
mai in questa sua afflizione, facendo le parti di buon figlio verso
l'amato genitore.
Al
letto del padre morente - Non passò molto tempo, che il padre
di Giuseppe cadde malato di una malattia mortale, e siccome il nostro
Giuseppe era molto indebolito di forze corporali per i travagli e i
patimenti sofferti nella penosa infermità della madre, sentì molta
pena e si raccomandò molto a Dio affinché l'avesse assistito con la
sua grazia, e dato la forza e lo spirito per poter assistere suo
padre nella sua ultima infermità. Dio lo consolò accrescendogli le
forze, ed egli si impiegò tutto ad assistere suo padre; non
l'abbandonò mai giorno e notte, servendolo ed assistendolo con
grande carità ed amore, animandolo a soffrire con pazienza i dolori
e le angustie che suole apportare il male, che fu sofferto
dall'infermo con grande generosità e pazienza; e solo gli portava
afflizione il pensiero che aveva per il suo figliolo, e che rimanendo
solo e abbandonato, avrebbe dovuto soffrire grandi travagli. Ma il
figlio lo consolava, dicendogli che morisse pure tranquillo e che non
pensasse a lui, perché sperava che Dio l'avrebbe protetto e aiutato
in tutti i suoi bisogni; e cosi l'infermo si acquietava, e si
confidava tutto in Dio, sicurissimo che avrebbe avuto tutta la cura
del suo Giuseppe, perché conosceva che l'amava molto. Lasciò poi il
figlio erede di tutte le sue facoltà, affinché se ne fosse servito
come a lui fosse piaciuto, perché già sapeva che il figlio le
avrebbe bene impiegate; e come buon padre, gli ricordò molte cose,
raccomandandogli il timore e l'amore di Dio e l'amore verso il suo
prossimo. Giuseppe stava ad ascoltare le parole di suo padre con
grande umiltà e sottomissione, e dopo lo ringraziò di quanto gli
aveva detto, e gli promise di fare quel tanto che gli diceva per il
suo bene e per la gloria del suo Dio. Di questo il padre rimaneva
sempre più consolato, e diceva al figlio: «Figlio mio, io muoio
contento, perché vedo che tu sei bene impiegato nell'esercizio delle
virtù e che ami e temi Dio, ed anche perché ti lascio erede di
molti beni con i quali ti puoi mantenere nel tuo stato e puoi fare
delle elemosine secondo il vostro desiderio. Ti raccomando perciò la
mia anima; sia tua cura impetrarmi da Dio la remissione dei miei
peccati trascorsi e la grazia di andare in un luogo di salvezza; non
ti scordare mai di me e di tua madre, perché hai già conosciuto
quanto ti abbiamo amato, e la cura particolare che abbiamo avuto di
te. Ora, altro non mi resta, che darti la mia paterna benedizione e
supplicare il nostro Dio che la confermi con le sue benedizioni ti
ricolmi sempre più delle sue grazie». A queste parole, l'umile
Giuseppe si prostrò a terra, e domandando la benedizione a suo
padre, e molto più al suo Dio, ricevette la benedizione dal padre e
da Dio insieme; poi con le lacrime agli occhi ringraziò il padre di
tutto il bene che gli aveva fatto, della buona educazione, dei buoni
esempi che gli aveva dato, e gli domandò perdono di tutto quello che
aveva fatto contro il suo volere e di quanto l'avesse potuto
disgustare. Ma suo padre, non avendo ricevuto mai alcun disgusto dal
figlio, anzi avendone ricevuto piuttosto gusto e consolazione, gli
disse che non aveva di che perdonargli, perché mai l'aveva
disgustato; ma il santo Figliolo, non contento di questo, non si
volle alzare da terra se prima il padre non gli avesse assicurato il
perdono. Il padre per compiacerlo e per non privarlo di quella
soddisfazione, gli disse che lo perdonava di tutto di buon cuore; di
questo il figlio rimase molto contento e soddisfatto, e fece al padre
affettuosi ringraziamenti. Poi gli domandò il permesso di dare ai
poveri e al Tempio le facoltà che gli lasciava, e suo padre mise il
tutto in sua libertà, affinché ne disponesse come a lui fosse
piaciuto, e come fosse stato di volontà di Dio. Tutto contento di
ciò, Giuseppe ringraziò di nuovo il padre e l'assicurò che lui non
si sarebbe scordato né della madre, né del padre, che perciò
andasse pure sicuro e quieto.
Ultima
assistenza - L'infermo si andava aggravando, e Giuseppe
accresceva la servitù e l'assistenza, e molto più le preghiere e le
suppliche al suo Dio per la salvezza eterna del suo buon padre, e Dio
gliene diede una stabile sicurezza; rallegratosi di ciò, il Santo ne
rendeva continue grazie a Dio. Poi, il nostro Giuseppe si offrì a
Dio, e lo supplicò di volersi degnare di far soffrire alla sua
propria persona quel tanto che conveniva soffrire a suo padre, in
sconto di quei debiti che avesse contratto con la divina giustizia,
affinché l'anima di suo padre fosse andata addirittura al Limbo dei
Santi Padri. Dio l'esaudì, per cui il nostro Giuseppe soffrì per
più ore gravissimi dolori, con grande rassegnazione, godendo di
scontare con questo, le pene dovute a suo padre; perciò ne
ringraziava Dio affettuosamente, e rimanendo molto più sicuro, che
il suo genitore sarebbe andato a riposare, dopo la morte, con la sua
anima nel seno di Abramo, alzando le mani al cielo con giubilo di
cuore, lodava e ringraziava la divina bontà.
Morte
del padre - Arrivato agli ultimi estremi della vita, il padre fu
assistito dal figlio con grande carità ed amore, animandolo sempre
ed esortandolo a confidare nella bontà e misericordia del suo Dio e
ad andare allegro, mentre era certo che sarebbe andato in un luogo
sicuro. Il moribondo ebbe molta consolazione per l'assistenza del
figlio, e morì con grande rassegnazione e sicurezza della sua
salvezza eterna. Quando l'infermo spirò, il nostro Giuseppe si
ritirò a pagare alla natura il solito tributo delle lacrime, e ne
aveva ben ragione, mentre restava privo di un padre tanto a lui
benefico ed amorevole, e che gli aveva dato una così buona
educazione. Dato che ebbe qualche sfogo al dolore, si mise genuflesso
al cospetto del suo Dio, e qui con lacrime lo supplicò del suo aiuto
dicendogli: «Dio di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe! Dio mio! Ecco
che sono rimasto privo del padre e della madre, che a Te è già
piaciuto levare dalle miserie di questa fragile vita. Ora io ti
supplico di volerti degnare di ricevermi tutto sotto la tua
protezione, mentre io di nuovo tutto a Te mi dono e sacrifico. Io
sono sempre stato protetto e difeso da Te e sono sempre stato tuo
schiavo, ma ora di nuovo a Te mi dedico, e ti supplico di avere di me
tutta la cura e sopra di me tutto il dominio. Ora io non sono
soggetto ad altri che a Te. Dio mio! fammi dunque la grazia che
anch'io possa dirti col Real Profeta: "Mio padre e mia madre mi
hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto" (Salmo 26, 10).
Da ora innanzi Tu sarai mio Padre, il mio protettore, mia madre e
tutto il mio sostegno e rifugio; fa' di me e di ciò che mi
appartiene quello che ti piace, e si adempia in me la tua divina
volontà in tutte le cose; fammela intendere, perché io sono
prontissimo ad eseguirla in tutto e per tutto».Mentre Giuseppe
diceva questo al suo Dio, restò molto consolato, mentre Dio gli fece
udire la sua voce interiore, e gli disse che stesse pur sicuro perché
Lui aveva udito la sua preghiera, e che sarebbe stato sempre protetto
e rimirato da lui con paterno amore. Il nostro Giuseppe rese grazie a
Dio per il sublime favore che gli faceva e, tutto consolato, si levò
dall'orazione.
Prove
penose e sua pazienza - Il Santo Giovane passò poi molti
travagli perché, conoscendo tutti la sua bontà, ognuno si faceva
lecito di togliergli chi una cosa, chi un'altra, e specialmente le
persone di servizio di casa prendevano la roba e quello che a loro
piaceva. Giuseppe si accorgeva di tutto, e non faceva altro
risentimento, solo che ammonirli di non fare quelle offese a Dio, e a
non aggravare la propria anima, ma siccome il Santo era di sua natura
piacevole, benigno e caritatevole, non lo stimavano, e abusavano
della sua bontà. Giuseppe, vedendo che non desistevano dal
danneggiarlo, affinché non offendessero Dio, si decise di dare loro
licenza e di donare loro quel tanto che si erano usurpati, e così
fece. Da ciò presero motivo di oltraggiarlo con parole ingiuriose: e
siccome il demonio li istigava molto per sfogare la sua rabbia contro
il Santo, faceva sì che fosse maltrattato ed offeso da quelli stessi
che lui aveva tanto beneficato. Il Santo soffrì con grande pazienza
tutte le ingiurie senza affatto alterarsi. Gli furono anche tolti i
beni dai parenti del padre, con la condizione di volere Giuseppe in
casa loro, ma il Santo lasciò loro tutto in pace, e non volle mai
accordarsi di andare a stare con i parenti, perché aveva già
stabilito di andare ad abitare a Gerusalemme per poter frequentare il
Tempio; questi si adirarono molto contro il Santo Giovane, e non
potendolo rimuovere dal suo proposito con le lusinghe, lo fecero con
le minacce. Molte volte fu maltrattato e offeso da loro con fatti e
con parole, e il Santo soffriva tutto con ilarità di spirito, e non
si vide mai adirato o inquieto. Tanto si inoltrarono, che spogliarono
il Santo Giovane di tutte le sue molte facoltà; e trovandosi in
questa afflizione si rivolse al suo Dio domandandogli aiuto in tanta
sua necessità, e che si fosse degnato di manifestargli la sua
volontà e che cosa doveva fare. Dio non tardò a consolarlo, mentre
nella notte l'Angelo gli parlò nel sonno, e gli disse che avesse
venduto quello che gli era rimasto, e che ne avesse dato in parte ai
poveri, e in parte ne avesse portata ad offrire al Tempio; e che per
sé si fosse lasciata poca porzione, perché Dio lo voleva povero;
che fosse andato ad abitare a Gerusalemme e qui avesse imparato
l'arte del falegname per guadagnarsi il vitto quotidiano e che in tal
modo fosse vissuto fin tanto che Dio avesse voluto disporre altro di
lui; che si fosse conservato vergine come già aveva promesso prima a
Dio e che fosse vissuto lontano più che poteva dal commercio degli
uomini, affinché il suo candore e la sua innocenza non avessero
patito detrimento alcuno, e che stesse certo che Dio l'avrebbe sempre
protetto e difeso e ricolmato delle sue benedizioni. Tanto disse
l'Angelo a Giuseppe, e tanto bastò perché Giuseppe eseguisse il
tutto con prontezza. Vendette tutto quello che gli era rimasto, e nel
fare questo dovette soffrire grandi rimproveri e persecuzioni. Non
era padrone di uscire di casa, che chiunque lo vedeva, lo prendeva in
giro e lo maltrattava, dicendogli dissipatore delle paterne sostanze,
e che tutto sprecava; chiamandolo chi insensato e pazzo, chi uomo da
niente, e chi vagabondo ed ozioso; infatti ognuno si permetteva di
maltrattarlo. Il Santo Giovane soffriva il tutto con grande pazienza
senza mai rispondere ad alcuno; e nonostante si potesse giustamente
lamentare dei suoi congiunti che l'avevano spogliato delle sue
facoltà, non lo fece mai; ma soffrì tutto con silenzio e pazienza.
Avendo poi venduto quello che gli era rimasto, per eseguire quel
tanto che l'Angelo gli aveva detto, e saputosi questo dai suoi
congiunti, costoro presero il Santo Giovane, lo percossero malamente
e lo maltrattarono come dissipatore della roba a loro dovuta. Il
nostro Giuseppe soffrì le ingiurie e le percosse con grande
tolleranza, e non fece di questo risentimento alcuno, ma prostrato in
orazione davanti al suo Dio, lo supplicò di volersi degnare di
difenderlo e liberarlo dalle mani dei suoi avversari, così come
aveva liberato il santo Davide dalle mani dei suoi nemici e tanti
altri, che la sua bontà aveva protetto e difeso.
Consolato
da Dio - Stando così afflitto, Dio non tardò a consolare il
suo fedelissimo servo, e gli parlò interiormente assicurandolo della
sua protezione e del suo aiuto, ed animandolo a soffrire con pazienza
quel travaglio, perché gliene avrebbe data un'abbondante ricompensa.
Giuseppe rimase molto consolato per le promesse del suo Dio, e
animato a soffrire molto più quando gli fosse occorso; ma Dio non
permise che fosse più molestato e travagliato, avendo per allora
sperimentato abbastanza la sua fedeltà e la sua grande pazienza. Per
cui tutti lo lasciarono in pace, ed il santo Giovane. quando ebbe
venduto tutto e raccolto il denaro insieme, ne fece un'offerta a Dio
supplicandolo di ricevere quell'offerta, e che per se stesso non
voleva cosa alcuna se così a Lui fosse piaciuto. La notte l'Angelo
gli parlò di nuovo, e gli disse che partisse subito dalla sua patria
e se ne andasse a Gerusalemme, che qui giunto al Tempio gli avrebbe
detto di nuovo quello che doveva fare; e la mattina subito parti.
Capitolo XI - Partenza di S. Giuseppe da Nazareth
Lascia
Nazareth - Il nostro Giuseppe, alzatosi la mattina prima del
giorno, e fatto un piccolo fardello di pochi panni per suo servizio
si mise in preghiera supplicando il suo Dio di volerlo assistere in
quel viaggio. «Ecco, - disse il Santo Giovane, - o Dio mio, che
lascio la patria, e povero e mendicante me ne vengo a Gerusalemme per
adempire qui la tua divina volontà. Quanto più mi vedo povero,
tanto più sono contento, perché così piace a Te, e dato che qui
nella mia patria sono stato oltraggiato confatti e con parole, e sono
stato spogliato dei beni di fortuna, ti supplico di non castigarli,
ma perdona loro tutti gli affronti che mi hanno fatto, perché io di
buon cuore perdono a tutti, e per tutti desidero ogni bene. E se
nella città dove io ora vengo ad abitare, piacerà a Te che io sia
trattato come sono stato trattato dai miei concittadini e congiunti,
sono prontissimo a soffrire tutto per adempire la tua divina volontà.
Ti prego perciò, di non abbandonarmi, perché avendo Te in mio aiuto
e favore, non temo di cosa alcuna. Ti prego pertanto di darmi ora la
tua paterna benedizione; che questa mi difenda nel cammino: mi regga
la tua destra onnipotente, mentre io mi pongo tutto nelle tue braccia
paterne ed amorose». Detto questo, si levò dall'orazione tutto
allegro, avendolo Dio assicurato della sua benedizione, e preso il
suo piccolo fardello, partì da Nazareth prima del giorno e si mise
in cammino a piedi verso Gerusalemme, senza che alcuno lo vedesse. Il
Santo andava per il viaggio solo, lodando e benedicendo il suo Dio e
recitando vari salmi di Davide con grande allegrezza del suo spirito,
e spesso replicava: «Ecco, o mio Dio, che vengo ad adempire la tua
divina volontà ed il desiderio che ho sempre avuto di abitare a
Gerusalemme, per poter frequentare il Tempio». E a misura che si
inoltrava nel cammino, si accendeva nel suo cuore il desiderio di
arrivare presto, e lì nel Tempio, adorare il suo Dio e di nuovo
sacrificarsi a Lui. Si divulgò poi per Nazareth la notizia che
Giuseppe era partito; non ci fu alcuno che ne ricercasse o ne andasse
in traccia, anzi molti si rallegrarono di questo, perché pensavano
di godersi in pace quel tanto che gli avevano usurpato; e così,
dimenticato da tutti, non si fece più menzione di lui nella sua
patria, pagandolo tutti d'ingratitudine. Il Santo Giovane lo riseppe,
e ne godette molto, «perché, - diceva lui, - così mi lasciano
vivere in pace e stare con la mia quiete».
A
Gerusalemme - Arrivato a Gerusalemme il nostro Giuseppe se ne
andò addirittura al Tempio, e qui, adorato il suo Dio, gli si offrì
tutto di nuovo, lo ringraziò della cura e dell'assistenza che gli
aveva fatto nel viaggio e lo pregò di manifestargli la sua volontà.
Qui Dio gli parlò di nuovo interiormente, ordinandogli quel tanto
che doveva fare; e siccome il Santo era stanco per il viaggio fatto,
partì per andare a riposarsi un po'. Domandando la benedizione a
Dio, uscì tutto lieto dal Tempio, e andò in un albergo a riposarsi
e cibarsi secondo il bisogno. Nel sonno poi l'Angelo gli parlò di
nuovo, e gli confermò quel tanto che Dio gli aveva detto
interiormente, e gli ordinò che di quel denaro che aveva portato, ne
avesse dato due parti al Tempio, e della terza parte se ne fosse
servito, metà per sé in quei primi giorni, e l'altra metà l'avesse
dispensata ai poveri; e così fece. La mattina alzatosi per tempo, e
fatte le sue solite orazioni, se ne andò al Tempio, e diede il
denaro in elemosina al Tempio con suo grande gusto, e qui si mise a
pregare lodando e ringraziando il suo Dio del beneficio che gli aveva
fatto nel manifestargli la sua volontà, offrendosi di nuovo pronto
ad obbedire ad ogni minimo cenno che gli venisse manifestato
dall'Angelo. Trattenutosi un po' in orazione, partì dal Tempio, ed
incominciò a fare dell'elemosina ai poveri, ed in breve tempo
dispensò tutto quello che doveva, secondo l'ordine avuto.
Garzone
di un falegname - Poi si mise a cercare una persona che gli
facesse provvisione del vitto necessario e che facesse l'arte di
falegname, affinché gliela insegnasse. Non stentò molto a trovarlo,
disponendo Dio che il suo servo trovasse subito il modo di effettuare
l'ordine avuto; e si incontrò con una persona timorata. Si accordò
con questa di dargli la paga sufficiente, e il nostro Giuseppe si
mise ad imparare l'arte che gli riuscì molto facile, non sentendo la
fatica, perché l'amore con cui adempiva la divina volontà, gli
faceva sembrare tutto facile e gustoso; e quantunque stesse applicato
ad imparare l'arte, non tralasciò però mai i suoi soliti esercizi
di preghiera e recita dei salmi.
Sua
sottomissione - Il santo Giovane stava con grande umiltà e
sottomissione soggetto in tutto e per tutto al padrone, gli obbediva
con grande puntualità ed esattezza, per la quale e per le sue rare
virtù era molto amato dal padrone, ed il nostro Giuseppe lo rimirava
ed ossequiava come un suo superiore, e non parlò mai della sua
nascita, delle sue facoltà né di altra cosa. La sua lingua non
proferiva altre parole che quelle che erano veramente necessarie,
tutto attento ad imparare l'arte non divertendosi mai; e quando
voleva andare al Tempio, ne domandava il permesso al padrone, e se
egli glielo dava, vi andava, se no, obbediva prontamente privandosi
di quella pia soddisfazione.
Sue
eroiche virtù - Qui il nostro Giuseppe fece mostra delle sue
eroiche virtù, perché ne ebbe molte occasioni. Era spesso preso in
giro dalle persone oziose e vagabonde, che gli dicevano che tanto era
stato ad imparare l'arte e che fino ad allora aveva fatto il
vagabondo, e lo schernivano. Il Santo Giovane chinava la testa e non
rispondeva parola alcuna, e quando vi si trovava presente il padrone,
che li riprendeva e li scacciava dalla bottega, allora Giuseppe lo
pregava di lasciarli stare, perché a lui non davano né fastidio né
pena. Fu singolare poi la modestia di Giuseppe, non alzando mai gli
occhi per guardare cose nuove e curiose; stava a Gerusalemme, e non
sapeva quello che ci fosse di curioso in città, né che cosa si
facesse. Non fece altra strada, che dalla bottega al Tempio e dal
Tempio alla bottega, e nella bottega vi stava, non come un giovane
che pagava la sua dozzina, ma come un fattorino, servendo in tutto e
per tutto al padrone negli uffici più bassi. Il suo padrone si
accorse come il Santo Giovane faceva delle elemosine ai poveri, e un
giorno gli parlò esortandolo a tener da conto, perché anche lui era
povero e aveva bisogno; per cui il Santo gli rispose: «Lasciate che
faccia l'elemosina ai poveri, perché per me c'è Dio che ci penserà
e provvederà ai miei bisogni»;di questo il padrone restò molto
edificato. Il nostro Giuseppe provava poi un gusto inspiegabile
nell'esercitare l'arte e nello stare così soggetto, godendo di
essere povero, vile e abietto agli occhi degli uomini; e di questo ne
godeva perché l'Angelo gli diceva come queste virtù erano care a
Dio, e che chi le praticava era molto amato da Dio. Tanto bastò
perché il nostro Giuseppe se ne invaghisse sempre più e le
praticasse con tutto l'impegno. Il nostro Giuseppe era allora
dell'età di vent'anni, ed era cresciuto molto nelle virtù e
nell'amore verso il suo Dio. La sua mente non si allontanava mai da
Dio, unico oggetto del suo amore; e molto spesso, nell'atto stesso
che lavorava, restava estatico per la contemplazione delle divine
perfezioni, delle quali ne ebbe una grande intelligenza.
Erano poi frequenti i digiuni e le vigilie, stando spesso le notti in preghiera assorto in Dio. Continuò ancora ad usare la sua solita carità verso i moribondi, e poiché non poteva andare ad assisterli di persona, lo faceva con le continue orazioni, raccomandandoli caldamente a Dio. Il nostro Giuseppe passò qualche anno in questo tenore di vita, avendo già imparato l'arte. Aspettava che l'Angelo gli manifestasse la volontà divina, e se doveva ritirarsi a stare da solo, oppure continuare a stare nella bottega del padrone, quando il padrone si ammalò, e colpito da una malattia mortale, terminò la vita felicemente.
Erano poi frequenti i digiuni e le vigilie, stando spesso le notti in preghiera assorto in Dio. Continuò ancora ad usare la sua solita carità verso i moribondi, e poiché non poteva andare ad assisterli di persona, lo faceva con le continue orazioni, raccomandandoli caldamente a Dio. Il nostro Giuseppe passò qualche anno in questo tenore di vita, avendo già imparato l'arte. Aspettava che l'Angelo gli manifestasse la volontà divina, e se doveva ritirarsi a stare da solo, oppure continuare a stare nella bottega del padrone, quando il padrone si ammalò, e colpito da una malattia mortale, terminò la vita felicemente.
Morte
del padrone - Il nostro Giuseppe lo assistette con grande carità
ed amore come se fosse stato il suo proprio padre; fece molte
suppliche a Dio per la sua salvezza eterna, e Dio esaudì le
preghiere fervorose del suo Giuseppe. Rimasto in libertà, Giuseppe
se ne andò al Tempio a pregare e a supplicare il suo Dio affinché
gli avesse manifestato la sua volontà ed in che modo volesse essere
servito da lui. In questa orazione ebbe un grande lume e fu molto
confortato con una consolazione interiore. La notte seguente l'Angelo
gli parlò nel sonno, e gli manifestò quel tanto che doveva fare per
adempire la volontà divina; cioè che si fosse ritirato a vivere da
solo e che, comprando quel tanto che era necessario per esercitare la
sua arte, avesse continuato a vivere in povertà; e così fece,
rimanendo molto consolato per l'avviso datogli dall'Angelo, e
svegliatosi subito, si alzò e si prostrò a terra a lodare e
ringraziare Dio dell'avviso che gli aveva dato.
Capitolo XII - S. Giuseppe esercita l'arte del falegname e riceve grazie particolari da Dio
Nella
sua botteguccia - Appena ebbe inteso dall'Angelo la divina
volontà, il nostro Giuseppe la mise subito in esecuzione; e comprato
quel tanto che gli era necessario per esercitare l'arte del
falegname, si ritirò in una piccola bottega, che prese in affitto
vicino al Tempio. In questa piccola stanza lavorava, dormiva e
prendeva il suo parco cibo; da qui non usciva mai se non per andare
al Tempio e a fare quel tanto che gli era necessario per vivere. Rare
volte si faceva la minestra, e per lo più il suo cibo era pane e
frutta; beveva poco vino, e quello molto temperato con acqua. La sua
minestra più squisita era di verdure cotte ovvero legumi, e questi,
come dissi, molto di rado. Infatti il Santo Giovane condusse qui una
vita molto stentata e penitente, e soffriva tutto con grande
allegrezza e consolazione del suo spirito. Dio, però, non
tralasciava di riempirlo di consolazioni celesti; qui se ne stava
solitario, taciturno; in questa sua bottega non si vide mai gente che
si trattenesse a parlare, mentre il Santo non era amico di
trattenimenti inutili, e siccome era stimato da tutti povero,
semplice e idiota, non vi si accostavano e così lo lasciavano vivere
in pace con la sua quiete, da tutti derelitto e del tutto
sconosciuto. Intanto la gente andava ad ordinargli i lavori, in
quanto ci trovava il suo utile, perchè il Santo prendeva quello che
gli davano, rimettendosi sempre alla loro discrezione; e quando
riceveva la paga delle sue fatiche, la prendeva a titolo di
carità ringraziando affettuosamente chi gliela dava. Di quella paga
ne tratteneva tanta quanta gli era necessaria per i suoi bisogni, il
resto lo dispensava ai poveri. Così gli aveva ordinato di fare
l'Angelo, ed egli con puntualità l'eseguiva. Alle volte il Santo
Giovane si trovava in grande penuria e necessità, non avendo di che
cibarsi, ed in tale occorrenza se ne andava al Tempio a supplicare il
suo Dio di volerlo provvedere: e Dio non mancava di consolare il suo
servo, ispirando al cuore ora ad una, ora ad un'altra vicina di
fargli l'elemosina di verdura, frutta, minestra, pane, a seconda che
egli ne aveva necessità.
Il Santo gradiva molto questa elemosina e ne rendeva affettuose grazie, prima a Dio, poi a chi gliela inviava. Dio poi lo provvedeva mandandogli spesso da lavorare senza che egli lo andasse a cercare, perchè era tanto grande la modestia del nostro Giuseppe, che non si rischiava di andar cercando cosa alcuna; e poi confidava tanto nel suo Dio che avesse provveduto ai suoi bisogni, che se ne stava riposato, aspettando la divina Provvidenza, che non gli mancò mai.
Il Santo gradiva molto questa elemosina e ne rendeva affettuose grazie, prima a Dio, poi a chi gliela inviava. Dio poi lo provvedeva mandandogli spesso da lavorare senza che egli lo andasse a cercare, perchè era tanto grande la modestia del nostro Giuseppe, che non si rischiava di andar cercando cosa alcuna; e poi confidava tanto nel suo Dio che avesse provveduto ai suoi bisogni, che se ne stava riposato, aspettando la divina Provvidenza, che non gli mancò mai.
La
botteguccia santuario - Il nostro Giuseppe, standosene in quella
piccola officina, solo e abbandonato da tutti, si prostrava spesso a
terra e si offriva tutto al suo Dio, dicendogli spesso: «Ecco, o Dio
mio, io sono tutto tuo, non c'è cosa alcuna che possa separarmi da
Te. Io non ho altro che Te; Tu sei tutta la mia eredità, tutto il
mio sostegno; Tu la mia consolazione, Tu tutto il mio bene. Da Te
solo spero aiuto e conforto, e all'infuori di Te non voglio cosa
alcuna. Rinuncio a tutto ciò che può darmi il mondo, ed abbraccio
volentieri la povertà, l'umiliazione, i patimenti, perchè così
piacerò a Te, mio Dio, unico mio Signore e Padrone assoluto di tutto
me stesso». E in tal modo si andava trattenendo col suo Dio. Faceva
più frequenti le visite al Tempio e si tratteneva molto a pregare, e
Dio permetteva che non fosse osservato da alcuno, perchè non gli
fosse impedita questa consolazione.
Vita
di Maria nel Tempio - Si trovava, allora, nel Tempio la Santa
fanciulla Maria, destinata ad essere la Madre del Verbo divino, le
cui mirabili virtù erano ammirate da tutte le altre fanciulle del
Tempio, specialmente da chi ne aveva la cura, in modo che ne correva
la fama anche per la città. Ma il nostro Giuseppe non ne seppe mai
cosa alcuna, perchè non trattava nè conversava con alcuno. Una
notte, però, l'Angelo gli parlò nel sonno e gli manifestò come nel
Tempio si trovasse una fanciulla, che era tanto cara al suo Dio e da
Lui tanto amata e favorita sopra ogni credere, nella quale Dio tanto
si compiaceva e si dilettava per le sue rare virtù e la sua mirabile
purezza e santità; e che questa era Maria, figlia di Gioacchino ed
Anna, da lui ben conosciuti. Gli diceva questo, perchè lodasse e
ringraziasse Dio delle grazie e dei favori che compartiva a lei, e
perchè si rallegrasse che vi fosse al mondo una creatura così degna
e così cara a Dio.
Amore
vicendevole - Il Santo Giovane, svegliatosi, si alzò, e con
grande giubilo del suo cuore ringraziò e lodò il suo Dio, come
l'Angelo gli aveva ordinato. Si rallegrò molto della notizia avuta,
e sentì nascere nel suo cuore un santo amore verso la fanciulla, in
modo tale che andava più spesso al Tempio, attirato dall'affetto
verso di lei; e benchè mai la vide, tuttavia l'amava per le sue rare
virtù. Nel Tempio si tratteneva poi a pregare e a ringraziare Dio
che si fosse degnato di mandare al mondo una così santa fanciulla,
nella quale Egli trovava il suo compiacimento, e lo pregava di
ricolmarla sempre più delle sue grazie, e così come cresceva
nell'età, l'avesse fatta crescere nelle virtù. Dio gradiva molto le
preghiere del Santo, e di questo ne diede un chiaro lume anche alla
fanciulla Maria, facendole conoscere le virtù del suo servo e quanto
egli pregasse per lei: per cui anche lei, da allora in poi, pregava
Dio per il Santo e lo supplicava di riempirlo del suo amore e della
sua grazia. Dio esaudiva mirabilmente le suppliche di Maria,
cosicchè tanto San Giuseppe come la Santissima Vergine Maria si
tenevano sempre raccomandati a Dio, nonostante non si conoscessero di
vista nè mai si fossero parlati, ma sapessero tutto per rivelazione
divina. Maria Santissima amava il Santo Giovane, anche perchè aveva
una chiara intelligenza delle rare virtù di lui, e che Dio l'amava
molto; e per lo spazio di quasi dieci anni godettero l'uno e l'altra
il beneficio delle loro sante orazioni e si amarono santamente in Dio
senza però mai vedersi nè trattarsi, solo che l'Angelo alcune volte
ne parlava a Giuseppe nel sonno e lo assicurava che la Santa
Fanciulla pregava molto per lui, per cui ne sentiva una somma
consolazione.
Suo
voto di verginità - Una volta l'Angelo gli disse come la
fanciulla Maria si era dedicata tutta a Dio e aveva consacrato a Dio.
con un voto, la sua verginità, e che di questo il suo Dio ne aveva
goduto molto. Sentendo questo, il Santo si invaghì di imitarla e di
consacrare anche lui con un voto a Dio la sua purezza, ma siccome
questa era cosa nuova non più intesa, il Santo era perplesso se
doveva fare così e se a Dio fosse stato gradito che l'avesse fatto;
perciò se ne andò al Tempio per supplicare Dio di manifestargli la
sua volontà in questo particolare, e dopo molte suppliche, Dio si
degnò manifestargli la sua volontà parlandogli interiormente. Gli
disse che gli avrebbe fatto una cosa molto gradita se gli avesse
consacrato la sua verginità con un voto, e l'assicurò del suo aiuto
e della sua grazia particolare per poterlo osservare perfettamente.
Il nostro Giuseppe si consolò molto nel sentire la voce del suo Dio
che gli parlò al cuore e gli manifestò quel tanto di cui egli lo
pregava, e subito ancora egli fece voto di verginità perpetua, e nel
farlo il suo cuore fu riempito di un grande giubilo e di
un'allegrezza inesplicabile, che Dio gli fece sentire per assicurarlo
maggiormente del gradimento che aveva del voto da lui fatto. Fu anche
elevato in altissima contemplazione e poi in dolcissima estasi nella
quale Dio gli manifestò i molti pregi della nobile virtù della
purezza, per la quale il Santo ne restò sempre più invaghito, e
molto consolato per il voto fatto; e rese affettuose grazie a Dio che
gliel'aveva ispirato e che si fosse degnato di accettare il voto con
tanto gradimento. Così se ne tornò alla sua piccola bottega tutto
consolato ed allegro; e la notte l'Angelo gli parlò di nuovo e
l'assicurò di come Dio aveva sommamente gradito il voto da lui fatto
ad imitazione della Santa Fanciulla Maria.
Comune
desiderio del Messia - Gli disse anche come la Santa Fanciulla
si struggeva tutta del desiderio della venuta del Messia e che ne
porgeva continue e calde suppliche al suo Dio; che a Dio erano molto
gradite le sue suppliche e che senza dubbio si sarebbe accelerata la
venuta del Messia al mondo per le preghiere della santa fanciulla, e
che anche lui l'avesse imitata in questo, per rendersi sempre più
gradito al suo Dio. Il Santo, svegliatosi, si alzò subito e si mise
a supplicare il suo Dio con più fervore che non facesse prima,
affinchè si fosse degnato di inviare presto al mondo il Messia
promesso, e dopo se ne andò al Tempio e qui si mise di nuovo a
pregare Dio per la suddetta venuta. Dopo una lunga preghiera lo
spirito di Giuseppe fu elevato in altissima contemplazione, dove gli
furono manifestati molti segreti divini circa le qualità e le virtù
che avrebbe avuto il Messia quando avrebbe dimorato fra gli uomini;
così il Santo rimase molto più acceso del desiderio di questa
venuta, bramando ardentemente di conoscerlo e di trattare con lui. Si
riconosceva però indegno di questo favore per la sua grande umiltà,
ma confidava molto nella bontà di Dio, che già sperimentava tanto
propizia verso di sè.
Angelo
di Paradiso - Con queste grazie che Dio faceva al Santo, e per
le preghiere che la Santa Fanciulla Maria faceva per lui, arrivò ad
uno stato di vita, che non sembrava più una creatura terrena, ma un
Angelo di Paradiso. La sua mente sempre assorta in Dio, il suo amore
verso Dio, sempre più ardente, il desiderio di dare gusto a Dio in
tutte le sue operazioni era molto acceso, e per lo più stava
estatico e tutto assorto in Dio, passando i giorni interi in continua
elevazione di mente, e buona parte della notte, scordandosi di
prendere il cibo, mentre per lo più si sentiva sazio per il gusto
che aveva di trattare e di trattenersi col suo Dio; e spesso
replicava: «Oh, Dio mio! e come dispensi a me, creatura miserabile,
tante grazie e favori? Come è grande la tua bontà verso di me! Come
sei generoso! Quanto sei fedele nelle tue promesse! Che cosa farò io
per te, mio Dio? Come potrò esserti riconoscente per tante grazie?
Per ora non ti posso offrire altro che tutto me stesso e la mia
servitù,che di buon cuore tutto a te sacrifico, e fa' di me ciò che
a te piace, mentre io sono prontissimo a sacrificarmi e spendermi
tutto nel tuo servizio».
Zelo
della gloria di Dio - Il Santo Giovane ardeva anche di un vivo
desiderio di fare molto per la gloria del suo Dio, ma si riconosceva
insufficiente, e di questo ne sentiva pena, perchè gli sembrava di
non potere effettuare il suo desiderio. Ma una notte l'Angelo gli
parlò e gli disse come sarebbe venuto il tempo in cui egli avrebbe
appagato il suo buon desiderio, perchè avrebbe operato molto per il
suo Dio e si sarebbe molto affaticato. Inteso questo, Giuseppe diede
in eccessi per la consolazione, per cui aspettava con desiderio che
arrivasse quel tempo, che chiamava tempo per lui felice. E di fatto
così fu, mentre sostenne molte fatiche per conservare la vita al
Verbo Incarnato, che alimentò con il lavoro delle sue mani; e
nonostante allora non sapesse in che cosa si sarebbe impiegato per il
suo Dio, tuttavia ne godeva molto e lo chiamava tempo per lui felice;
tanto era grande il desiderio che il Santo aveva di spendersi tutto
per il servizio del suo Dio.
Abbandono
in Dio - Viveva poi con una semplicità più che grande, e non
ricercò mai cosa alcuna delle promesse che l'Angelo gli aveva fatto,
e che non gli dichiarava mai, ed il Santo non si curò mai di saperle
aspettandole con una santa indifferenza; solo si applicava a pregare
Dio di dargli quel tanto che gli aveva fatto promettere dall'Angelo,
e questo lo faceva perchè sapeva che Dio voleva essere pregato.
Infatti, il nostro Giuseppe, in tutto e per tutto, si rendeva gradito
e accetto al suo Dio, dandogli gusto in tutte le sue operazioni, non
discostandosi mai dal suo santo volere, riconoscendo con somma
gratitudine i benefici che riceveva da Dio, mostrandoglisi grato,
ringraziandolo continuamente e offrendogli tutto se stesso senza
alcuna riserva.
Capitolo XIII - S. Giuseppe è molto travagliato dal demonio e afflitto dall'aridità di spirito
La
prova - Il nostro Giuseppe godeva delle grazie e dei favori
particolari che riceveva dal suo Dio, e gustava la dolcezza e la
soavità del suo amore, quando Dio permise che il suo servo fosse
travagliato dalle creature per opera e per istigazione del demonio,
affinché il Santo facesse acquisto di maggior merito e mostrasse al
suo Dio la fedeltà e l'amore anche in mezzo alle persecuzioni e ai
travagli.
Insidie
del demonio: sua pazienza e mansuetudine - Il demonio odiava già
molto il Santo Giovane, non poteva soffrire tanta luce e tante virtù
che il Santo esercitava, per cui cercava sempre nuovi modi per
inquietarlo e travagliarlo e vedere di fargli perdere la virtù, a
lui tanto cara, della pazienza e della mansuetudine. Dio però lo
teneva sempre lontano, non permetteva che gli si avvicinasse per
inquietarlo; alle volte però gli dava la libertà di travagliarlo,
per maggior merito del Santo e per sua confusione. Avuto il permesso
di travagliare il Santo, il demonio, questo dragone infernale, istigò
alcuni vicini del Santo e mise loro nell'animo un'avversione ben
grande verso lo stesso, in modo tale che non potevano vederlo; e
quando il Santo Giovane usciva dalla bottega per andare al Tempio o
per fare altre faccende a lui necessarie per il suo lavoro, questi si
misero prima a deriderlo, e vedendo che il Santo non faceva caso a
questo, si infuriarono di più, in modo che l'ingiuriavano con
cattive parole senza causa alcuna, chiamandolo sciocco, ozioso e che
si era indotto a stare solo perché nessuno lo voleva attorno, e che
sotto la coperta delle virtù, era un triste e un finto. Il Santo non
rispose mai a queste parole, ma chinando la testa si stringeva le
spalle e se ne andava al Tempio a pregare e a supplicare il suo Dio
per coloro che lo maltrattavano. Si diede il caso che fu rubata certa
roba ad uno di questi suoi malevoli, e subito diedero la colpa al
Santo Giovane; così armati di sdegno se ne andarono alla sua piccola
bottega e gli misero tutto in scompiglio, dicendogli che tirasse
fuori quel tanto che egli aveva usurpato, ingiuriandolo e minacciando
di castigarlo e di accusarlo come un ladro. Il Santo stava con la sua
solita serenità, e non si discolpava; solo una volta disse loro che
avvertissero bene perché erano in errore, ma questi non volevano
cessare di importunare il Santo e lo tacciavano di essere un ladro, e
alla fine disse loro che Dio avrebbe difeso la sua causa. I maligni,
vedendo la costanza e la pazienza del Santo Giovane, si ritirarono
minacciandolo di volerlo accusare, se non si trovava chi avesse
usurpato la loro roba, tenendo di certo che era stato lui. Il Santo
Giovane era molto afflitto per vedersi così incolpato, e molto più
per le offese che si facevano a Dio; perciò se ne andò al Tempio a
supplicare il suo Dio di volersi degnare di difenderlo in quel
travaglio. Dio non tardò molto a scoprire l'inganno, perché si
trovò chi aveva usurpato la roba; così quelli che lo avevano
incolpato restarono molto confusi ed insieme ammirati e meravigliati
della virtù e della pazienza del Santo, e l'avversione si cambiò in
stima ed affetto verso di lui, così il demonio restò confuso, e il
Santo arricchito di merito presso Dio e di stima presso gli uomini.
Non per questo il nemico si abbatté, ma istigò alcuni giovani
licenziosi, che più volte avevano visto il Santo Giovane frequentare
il Tempio e di questo ne sentivano una passione ben grande, tanto più
che la sua modestia serviva a loro di una gran riprensione; così un
giorno, uniti insieme, si accordarono di voler andare alla bottega
del Santo, e qui prenderlo in giro ed ingiuriarlo, e di fatto lo
fecero con grande impertinenza. Trovarono il Santo Giovane che
lavorava e stava tutto assorto nella contemplazione delle divine
perfezioni, perché lui, anche lavorando, era assorto con la mente.
Essi gli domandarono alcune cose curiose e vane, ma il Santo non
diede loro risposta. Questi continuavano a fargli altre domande
impertinenti, e il Santo disse loro, che lo lasciassero stare in pace
e che se volevano quei vani trattenimenti, andassero altrove perché
egli era occupato nel suo mestiere. Questi incominciarono a
motteggiarlo ed ingiuriarlo, dicendogli degli improperi, ai quali il
Santo Giovane non rispose mai, attendendo al suo lavoro e alla
contemplazione in cui stava. Uno di loro, più ardito e insolente
degli altri, si avanzò a dare delle percosse al Santo, il quale
altro non gli disse che: «Dio ti perdoni, fratello, perché
nonostante io meriti questo per i miei peccati, tuttavia a te non ho
dato motivo di fare questo contro di me». E mentre quello lo
percuoteva, gli altri compagni facevano festa ed applaudivano il
giovane insolente. Dopo che l'ebbero saziato di ingiurie e di
percosse, se ne andarono, e il Santo rimase con la sua solita
serenità e pazienza, non facendo di questo risentimento alcuno. Si
rivolse però al suo Dio e lo supplicò del suo aiuto, come gli aveva
promesso tante volte, dicendogli: «Dio mio, tu mi hai assicurato di
assistermi e difendermi in tutte le occorrenze, e sai già che io non
ho altro che te; perciò a te ricorro, perché mi aiuti e mi difenda
dai miei nemici».
Consolato
da Dio - Dio consolò il suo servo, perché la notte seguente
gli apparve l'Angelo e l'assicurò che in quell'occorrenza egli aveva
acquistato grande merito e aveva dato molto gusto al suo Dio, e gli
disse che stesse pure pronto perché il demonio l'odiava molto e lo
voleva travagliare, ma che Dio l'avrebbe assistito e difeso, e che
gli permetteva questo per fargli acquistare merito e provare la sua
fedeltà. Il Santo restò tutto consolato per queste parole e animato
a soffrire tutto con pazienza ed allegrezza, perché così permetteva
il suo Dio che allora fosse travagliato.
Nuove
insidie e vittorie - Il nemico infernale, vedendo che anche in
questa occasione era rimasto confuso e svergognato, e che il Santo
faceva spiccare di più le sue rare virtù, non si abbatté affatto,
ma si infuriò di più ed andava istigando ora uno, ora un altro
contro il Santo, mettendosi anche con persone di autorità per
screditarlo maggiormente, ma per quanto si adoperasse con le sue
frodi, ne restava sempre confuso. Una volta, fra le altre, il Santo
aveva fatto un certo lavoro a una persona di credito, e quando gli
portò il lavoro fatto e aspettava la sua ricompensa, al posto di
ricevere la paga delle sue fatiche, ricevette cattive parole, con
dirgli che il lavoro non era fatto a dovere, né di suo gusto, e che
piuttosto della paga meritava un castigo; e preso il lavoro cacciò
via il Santo con cattivi termini e parole ingiuriose. Il nostro
Giuseppe se ne andò soffrendo con grande pazienza quei cattivi
termini senza ricevere ricompensa alcuna; e siccome si trovava in
grande necessità per il suo mantenimento, se ne andò addirittura al
Tempio a supplicare Dio, con la solita confidenza, di volerlo
provvedere in quella sua estrema necessità. Dio udì le suppliche
del suo servo fedele, e ispirò quello che aveva ricevuto il lavoro a
soddisfare il Santo delle sue fatiche, per il che rientrato in sé si
avvide del male che aveva fatto e subito andò a cercare il Santo e
lo soddisfece di quanto gli doveva, pregandolo inoltre di compatire
il suo trascorso. Il Santo ricevette la sua paga come per elemosina,
e ringraziò prima Dio che l'aveva provveduto in quel suo bisogno, e
poi ringraziò colui che gli dava il suo dovere; così Giuseppe
rimase arricchito di merito ed insieme provveduto nel suo bisogno, e
costui restò molto edificato della virtù del santo Giovane. Il
demonio, sempre più confuso e svergognato, gli fece molti di questi
tiri, e tutti servirono per arricchire il Santo di meriti e per
fargli acquistare stima presso gli uomini.
Gli
presentano una giovane - Il nemico trovò un altro modo di
travagliarlo, assai più penoso al Santo, e fu di mettere nel cuore
di alcuni, sotto il pretesto della carità e della compassione, di
volere accasare il Santo Giovane, affinché potesse vivere con più
comodità, e non patisse tanto nello stare lì solo e abbandonato da
tutti. E di fatto alcuni, con buon zelo, si misero a persuaderlo che
si accomodasse e si accasasse perché facilmente l'avrebbe trovato,
essendo egli un giovane attento e lavoratore. Il Santo inorridì a
queste proposte, perché aveva già consacrato a Dio, con un voto, il
suo illibato candore; e non solo non ebbe mai tale pensiero, ma
inorridiva al sentirne parlare e gli si ricopriva il volto di un
rossore verginale, e la risposta che diede a questi, fu che non gli
parlassero di accasamento, perché egli stava più che bene in quello
stato. Ma non per questo desistettero dal tormentarlo su questo
particolare, anzi lo forzavano con lusinghe e con preghi; perciò il
Santo ne sentiva una pena molto grande, e rivolto al suo Dio, lo
supplicò di volerlo aiutare e difendere da quel travaglio e
liberarlo dall'importunità di quelli che, con il pretesto del bene,
gli volevano far perdere il prezioso tesoro della verginità, e
sovente diceva al suo Dio: «Tu, mio Dio, sai bene che ho sacrificato
a te, con un voto, la mia verginità. Non permettere che io sia
travagliato su questo particolare!». Dio udiva le suppliche del suo
servo fedele, e differiva di esaudirlo per accrescergli maggiormente
il merito. Coloro che l'importunavano avevano già trovato di
accasarlo, ma trovando che il Santo Giovane era sempre più
renitente, non sapevano come fare per farlo cedere alle loro
persuasioni; così un giorno si accordarono di condurlo con loro a
prendere le misure per fare un certo lavoro, ed in tal congiuntura
fargli vedere la giovane destinata da loro per sua sposa e in
quell'occasione farlo cedere e piegarsi alle loro suppliche. Chiamato
dunque il Santo Giovane, con la scusa del lavoro, lo condussero in
casa e gli ordinarono il lavoro. Giuseppe prese le misure del lavoro
che doveva fare, e nell'andarsene lo fermarono e gli fecero vedere la
giovane da loro destinata per sua sposa, e gli dissero: «Sappi,
Giuseppe, che questa è la giovane che vogliamo darti per sposa; non
devi contraddire, perché è ornata di virtù e di bontà...». A
queste parole il Santo Giovane restò ferito dal dolore, e fuggì con
grande velocità, lasciando tutti attoniti per la meraviglia ed
insieme confusi, cosicché non lo molestarono più. Il Santo se ne
andò subito al Tempio e qui, piangendo, supplicò il suo Dio di
volerlo liberare da quella grave persecuzione, che gli si rendeva
insopportabile, e Dio lo consolò promettendogli che non sarebbe più
stato travagliato in questo. Il nostro afflitto Giuseppe asciugò le
lacrime, e si consolò tutto per la promessa il suo Dio gli aveva
fatto interiormente, e lo ringraziò del beneficio.
Consolato
dall'Angelo - La notte seguente l'Angelo gli apparve nel sonno e
gli ratificò quanto Dio gli aveva promesso, e l'assicurò che il suo
Dio aveva goduto molto nel vederlo così costante e fermo nella
promessa fattagli di conservarsi vergine. Così il nostro Giuseppe
rimase pienamente consolato, e il demonio rimase più confuso e
svergognato, ma sempre più infuriato verso il Santo Giovane; e cercò
altri modi per travagliarlo, ma ne restò sempre confuso.
Tentazioni
demoniache e nuove vittorie - Quando ebbe terminato di
travagliarlo con le creature, Dio gli diede il permesso di molestarlo
con le tentazioni per accrescere maggiormente di meriti il Santo; e
gli diede la libertà di tentarlo con ogni sorta di tentazione,
tranne quella contro la purezza, perché Dio non volle mai che il suo
purissimo servo fosse tentato in questo. Il nemico si accinse a
combattere con tentazioni il fortissimo ed invincibile petto del
nostro Giuseppe, e appena finiti i travagli che riceveva dalle
creature, incominciò a soffrire dei travagli per mezzo delle molte e
varie tentazioni. Prima il demonio si mise a tentarlo di vanagloria,
mettendogli davanti la sua grande virtù, la sua bontà, la fedeltà
che aveva al suo Dio, il molto che per Lui soffriva, le opere buone
che faceva e il molto che aveva lasciato, per cui poteva meritarsi un
gran premio e una grande ricompensa da Dio, e che al mondo non c'era
nessun altro simile a lui nella bontà e nella pratica delle virtù.
Il Santo fu atterrito da queste tentazioni perché, essendo
umilissimo, si stimava anche un grande peccatore; per cui fece subito
ricorso al suo Dio con la preghiera, perché ben conobbe che quella
era una tentazione diabolica; e facendo atti contrari alla
tentazione, vinse e superò il nemico, il quale incominciò a
tentarlo di gola, facendogli venire voglia di gustare cibi e vivande
squisite, e il Santo superò anche questa con più digiuni e
mortificazioni. Lo tentò di avversione e odio contro chi l'aveva
offeso e maltrattato, ma il Santo desiderava per costoro ogni bene, e
pregava il suo Dio di beneficarli. Lo tentò contro la fede,
persuadendolo che le cose che l'Angelo gli diceva erano tutte
velleità e pazzie, ma in questo il Santo stette sempre forte, come
aveva fatto in tutte le altre cose. Gli mise in mente il molto che
aveva lasciato e che poteva riacquistarsi tutto, dandogli il
desiderio della ricchezza. Il Santo disprezzava tutto, dicendo che
gli bastava solo la grazia del suo Dio, e che con quella era
pienamente contento. Il Santo fu molto battagliato, e in vari modi,
però superò tutto con grande generosità, mentre aveva la grazia e
l'assistenza del suo Dio. Il demonio restò abbattuto e, tutto
confuso, si ritirò giurandogli però di volergli fare sempre guerra.
Il Santo non temeva, perché aveva Dio dalla sua parte e diceva col
santo Davide:«Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò
paura? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò timore? Se
contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme...»
(Salmo 26, 1-3). «...non temerei alcun male, perché tu sei con me»
(Salmo 22, 4). E diceva questo con fiducia al suo Dio, che trovò
sempre in suo aiuto.
Aridità -
Terminate le tentazioni del nemico infernale, il nostro Giuseppe non
stette molto in pace, mentre Dio volle provarlo di nuovo Egli stesso,
sottraendogli i lumi, il fervore e la consolazione interiore, così
il Santo cadde in una grande aridità di spirito. Oh! Qui sì che il
nostro Giuseppe soffrì un grande travaglio, per il timore di avere
disgustato il suo Dio e per vedersi come derelitto e abbandonato dal
suo Dio, unico oggetto del suo amore. Come smaniava! Come si
raccomandava! Quante suppliche e sospiri inviava al cielo! Stava le
notti intere genuflesso in atto supplichevole, pregando il suo Dio di
manifestargli in quale modo fosse rimasto offeso da lui, perché,
riconosciuto l'errore, potesse fare la dovuta penitenza; ma il cielo,
fatto di bronzo alle sue suppliche, non gli recava conforto alcuno.
L'Angelo non gli parlava più nel sonno, e non avendo il Santo con
chi sfogare la sua pena si rivolgeva sovente al suo Dio dicendogli:«O
Dio di Abramo, d'Isacco, di Giacobbe! O Dio mio, dal quale tanto bene
ho ricevuto, che sei tutta la mia eredità, tutta la mia consolazione
e il mio conforto, muoviti a pietà del tuo indegno e vile servo! Tu
mi hai promesso il tuo aiuto, il tuo favore; ora è tempo che mi
mantenga le promesse e mi consoli in tanta mia afflizione. Quale male
ho fatto io, perché tu ti sei allontanato da me? Fammi la grazia di
poterlo conoscere! È vero che ti ho molto offeso, ma tu sei buono,
sei misericordioso, perciò ti supplico di perdono. È vero che io
non lo merito, ma tu, sei buono e perciò lo spero».Il nostro
Giuseppe faceva queste suppliche, delle quali Dio godeva molto, ma
pure tardava ad esaudirlo e a manifestarsi a lui. Il Santo soffriva
il suo travaglio con molta rassegnazione, ma non lasciava già di
continuare a pregare il suo Dio.
Intercessione
potente di Maria - Un giorno, più afflitto e angustiato del
solito per la lontananza del suo unico bene, gli sembrava di non
poter più vivere, e con una gran fede e confidenza se ne tornò al
Tempio, e rivolto di nuovo al suo Dio gli porse calde suppliche, e
poi gli disse che si degnasse consolarlo per il gusto grande che gli
dava la Fanciulla Maria che stava al Tempio, e per i meriti e le
virtù della stessa. Nello stesso tempo che Giuseppe faceva questa
supplica, la Santissima Fanciulla Maria stava pregando Dio per
Giuseppe, mentre in spirito Dio le fece vedere i bisogni e travagli
del Santo; così Dio accondiscese alle suppliche della Santa
Fanciulla e alle preghiere del suo servo fedele, e gli si manifestò
con grande chiarezza, riempiendo la sua mente di lumi, e infiammando
il suo cuore d'amore. Gli fece udire la sua voce nel più profondo
del cuore, che gli disse: «Giuseppe, mio fedele servo ed amico, non
temere perché io sono con te, non ti ho mai abbandonato. Sta' pur
sicuro dell'amore e della mia grazia!».
Estasi
sublime - A queste dolcissime parole, il Santo andò in estasi,
e rimase per un pezzo assorto godendo del suo Dio, che con tanta
generosità si manifestava alla sua anima. In questa estasi gli si
manifestarono molti segreti della divina sapienza, e come Dio
permetta che i suoi amici siano travagliati, per più arricchirli di
meriti. Conobbe anche il grande merito che la Fanciulla Maria aveva
presso Dio, e come questa aveva pregato molto per lui per impetrargli
la grazia dal suo Dio di manifestarsi alla sua anima, e dar fine ai
suoi travagli. Il Santo fece molti atti di ringraziamento al suo Dio,
e gli dedicò di nuovo tutto se stesso; lo supplicò di ricompensare
la Santa Fanciulla Maria della carità usata verso di lui, e le restò
molto più affezionato. Lodò il suo Dio e restò sempre più
ammirato della sua bontà e dell'amore che gli portava. Si concentrò
molto più nell'abisso del suo niente, umiliandosi al cospetto del
suo Creatore, riconoscendo il tutto dalla sua infinita bontà, e lo
pregò della sua continua assistenza e protezione. Quando ebbe fatto
tutti questi atti, il nostro Giuseppe partì dal Tempio tutto
consolato, e non sapeva dire altro, che col santo Davide: «Quanto è
buono Dio con i giusti, con gli uomini dal cuore puro!» (Salmo 72,
1), e quell'altro versetto: «Quand'ero oppresso dall'angoscia, il
tuo conforto mi ha consolato» (Salmo 93, 19), e vari altri versetti
di cui il Santo si serviva sempre, secondo il bisogno in cui si
trovava.
Consolato
dall'Angelo - La notte poi, l'Angelo tornò di nuovo a parlargli
nel sonno, e gli disse come il suo Dio avesse goduto molto di vederlo
costante e paziente in tutti i travagli, e che aveva arricchito e
ricolmato la sua anima di grazie e di meriti: e l'animò ad essere
sempre più costante e paziente nei travagli, perché Dio nel corso
della sua vita, gliene avrebbe mandati molti e molto gravi, che
perciò si facesse cuore e non temesse, perché Dio sarebbe stato
sempre in suo aiuto, e che avrebbe ricevuto molte consolazioni ancora
sopra ogni suo credere. Perciò il Santo, animato e consolato, si
offriva sempre pronto a soffrire tutto, purché il suo Dio non
l'avesse abbandonato.
Suo
merito speciale - Il nostro Giuseppe si rendeva molto gradito al
suo Dio nella pratica delle sue virtù, nella sofferenza, nel
soffrire, nel disprezzo di tutte le cose caduche e transitorie,
nell'abnegazione di se stesso, nel godere di essere disprezzato per
amore del suo Dio. Si è reso mirabile sopra ogni altro Santo, perché
quelli hanno avuto i consigli e l'esempio del Redentore, ma il nostro
Giuseppe non aveva ancora visto il suo Dio in carne mortale, né
aveva udito i suoi insegnamenti, tuttavia fu così eccellente nelle
virtù e si perfezionò in ogni sua operazione.
Capitolo XIV - S. Giuseppe riceve altre grazie da Dio
Contemplazioni
amorose - Dio si compiaceva molto dell'amore e della fedeltà di
Giuseppe, e non lasciava di ricolmarlo sempre più di grazie e di
meriti; e il Santo ne approfittava così bene, che si rendeva sempre
più capace di riceverne di maggiori con la corrispondenza e la
gratitudine verso il suo Dio, per cui spesso era favorito di estasi
sublimi, ed in quelle intendeva altissimi misteri della divina
essenza, nelle quali l'anima di Giuseppe si dilettava molto, e
rimaneva sempre più infiammato dell'amore del suo Dio. Capiva la
grandezza del merito che Dio aveva di essere amato e servito
fedelmente, e di questo si accendeva di un vivo desiderio e bramava
che tutte le creature l'avessero amato con tutto il loro amore. Dio
gli faceva conoscere come la maggior parte degli uomini si perdeva
nell'amore delle creature e delle cose caduche e transitorie, per cui
il nostro Giuseppe ne sentiva una pena insopportabile, ed avrebbe
voluto supplire egli stesso alle mancanze di tanti, ma conoscendosi
insufficiente, si annichiliva e diceva al suo Dio: «O Dio mio, e
perchè ho un solo cuore per amarti, bontà infinita? E perchè non
ho i cuori di tutti gli uomini, che li consacrerei tutti al tuo
amore? Tu sei il nostro Padre che ci hai creato con tanto amore, e ci
conservi la vita, affinchè vivendo amiamo la tua bontà ; e dove è
l'amore che come figli ti dobbiamo? Come possono scordarsi di Te le
creature, mentre sono frutto delle tue mani e hanno la tua
somiglianza? Ah, la mia mente non sa ancora capire perchè le
creature vivano dimentiche di Te, Padre amantissimo!». E in questi
discorsi che faceva al suo Dio, si struggeva d'amore e di desiderio
che il suo Dio fosse amato e servito da tutti. Dio godeva molto di
vedere e udire i desideri del suo servo fedele, e di quanto questo
gli fosse gradito, gliene dava spesso il segno facendosi, in tale
occasione, gustare alla sua anima, riempiendola di dolcezza, e
facendogli udire spesso la sua voce nel più intimo del cuore, per la
quale il Santo rimaneva tutto assorto nella dolcezza e nell'amabilità
del suo Dio.
Timore
e consolazione - Il Santo aveva anche un grande timore di
offendere il suo Dio e questo timore nasceva dall'amore che gli
portava, temendo di poterlo disgustare; perciò porgeva calde
suppliche a Dio, affinchè l'avesse fatto prima morire, piuttosto che
dare un minimo disgusto alla sua infinita bontà . Una volta che il
Santo era tormentato più del solito da questo timore, e portatosi al
Tempio per raccomandarsi a Dio, fece una lunga orazione supplicando
il suo Dio con calde lacrime e infuocati sospiri di non permettere
mai che egli lo disgustasse in cosa alcuna, e venisse a perdere la
sua grazia e la sua amicizia, Dio consolò il suo servo assicurandolo
che lui non avrebbe mai perduto la sua grazia e che si sarebbe
conservato innocente fino alla morte. A questo grande favore e a
questa promessa, fu così grande la consolazione che intese il Santo,
che non stava più in se stesso per la gioia, e non passò mai un
giorno della sua vita che non rendesse affettuose grazie al suo Dio
per la sicurezza avuta; ma tuttavia non lasciò nemmeno di stare ben
cautelato in ogni sua azione affinchè il suo Dio non venisse da lui
offeso, stando sempre con un timore, ma timore di se stesso, non già
che dubitasse affatto della grazia che Dio gli aveva promesso, perchè
ne era sicurissimo, avendo egli una gran fede in tutte le cose che il
suo Dio gli prometteva. Se tanto grande era la pena che il nostro
Giuseppe sentiva, che il suo Dio non fosse amato e servito fedelmente
da tutti, quanto maggiore era il dolore che sentiva, nel vedere come
Dio era gravemente offeso! Fu tanto il dolore che sentiva di questo,
che più volte svenne per il cordoglio; e piangeva amaramente quando
sentiva dire che il suo Dio era stato gravemente offeso.
Giuseppe
vittima - Una volta l'Angelo gli parlò nel sonno, e gli disse
che Dio era molto adirato per le molte e gravi offese che riceveva
continuamente dal mondo; e che perciò si fosse applicato a
supplicare Dio di placare lo sdegno, affinchè i peccatori non
venissero severamente castigati come meritavano. Gli disse anche che
questo ufficio lo faceva anche la santissima fanciulla Maria, e che
perciò si rendeva molto gradita a Dio, il quale, per le suppliche di
lei tratteneva i castighi. Tanto bastò al Santo, per fare che tutto
si applicasse a supplicare Dio per i peccatori e a non castigarli con
la morte eterna. Alle volte passava i giorni interi e buona parte
della notte piangendo le offese divine e supplicando Dio del perdono
e di dare luce ai peccatori, affinchè ravveduti dei loro errori, ne
facessero penitenza, e quando sapeva che nella città c'era qualche
peccatore e trasgressore della Legge, tanto pregava, tanto si
raccomandava a Dio finchè ne seguisse la conversione; e molte volte
il Santo ottenne queste grazie per le suppliche che porgeva a Dio e
per le lacrime che spargeva, e diceva al suo Dio: «O mio Dio, io
sono miserabile, non merito di essere esaudito, ma unisco queste mie
suppliche a quelle che ti porge la Fanciulla Maria, perchè so che le
sue ti son gradite ed accette; perciò sono certo che le mie
suppliche, unite alle sue, saranno a Te gradite, e che ti muoverai a
pietà di chi vive lontano da Te e cammina alla perdizione, dandogli
lume da conoscere i suoi errori, e grazia di convertirsi a Te di
tutto cuore!». Dio gradiva molto queste suppliche, e una volta
l'assicurò del gusto che ne aveva; mentre stava pregando per la
conversione e il ravvedimento di un ostinato peccatore, dopo molte
suppliche Giuseppe intese la voce del suo Dio che gli diceva: «Ti
sia concesso quanto tu domandi». E di fatto poi il peccatore si
convertì, e di questo Giuseppe ne intese una grande consolazione e
ne rese affettuose grazie a Dio. Egli si esibiva pronto a soffrire
tutti i mali purchè il suo Dio non restasse offeso da alcuno, e
diceva: «Mio Dio, manda su di me i castighi, i travagli, purchè tu
non sia offeso e disgustato da alcuno. Io sono pronto a soffrire
tutto, purchè non si trovi alcuno che ti offenda». E quando sentiva
dire che c'era qualche peccatore moribondo, si struggeva in lacrime e
stava in continua preghiera, affinchè Dio gli avesse dato un sommo
dolore delle sue colpe, e diceva: «Dio mio, non sia mai che si
perda alcuna anima che Tu hai creato a tua immagine e
somiglianza!».Dio spesso lo consolava col restituire la salute al
moribondo, e poi dargli spazio di penitenza, ma costavano molto al
Santo queste grazie, per le quali vegliava le notti intere pregando e
piangendo; ed oltre a questo vi aggiungeva anche delle mortificazioni
e delle penitenze, digiunando per più giorni, mangiando solo pane e
bevendo acqua. Sentendo poi come c'erano tanti pagani e nazioni che
non conoscevano nè adoravano il vero Dio, ma i demoni, si sentiva
trapassare l'anima dal dolore, e tutto lacrime pregava il suo Dio di
volersi degnare di mandare presto il Messia promesso, affinchè
avesse fatto conoscere a tutti il vero Dio, e avesse insegnato loro
la via della salvezza.
Lavoro
e preghiera - Benchè il Santo stesse occupato nel lavoro, non
perdeva la memoria di tutto ciò che finora ho detto, ma era continua
la sua domanda anche nel tempo del suo lavoro e in ogni altro tempo,
supplicando continuamente il suo Dio che aveva sempre presente alla
sua mente. Aveva poi imparato a mente tutte le suppliche che facevano
i Patriarchi e Profeti, affinchè Dio avesse mandato presto al mondo
il Messia promesso, e tutte le aspirazioni che facevano al Messia
affinchè venisse presto a redimere il popolo e tutto il mondo; e di
queste il nostro Giuseppe si serviva, ripetendole continuamente con
grande fervore e desiderio, e specialmente le ripeteva quando andava
al Tempio, e con calde lacrime ed infuocati sospiri supplicava il suo
Dio e poi diceva: «Beati gli occhi di quelli che vedranno il
Messia in carne! Beate le orecchie che udranno le Sue divine parole!
E più beato il cuore che l'amerà e a Lui si donerà!».
Capitolo XV - S. Giuseppe cresce nell'amore verso Dio e il prossimo
Suo
amore per Dio - Il nostro Giuseppe cresceva a meraviglia
nell'amore verso il suo Dio, in modo tale che si struggeva tutto al
solo nominarlo, e aveva sempre più acceso il desiderio di fare cose
grandi per gloria del suo Dio e aspettava con desiderio intenso che
arrivasse il tempo nel quale, secondo le promesse fattegli
dall'Angelo, egli si sarebbe impiegato tutto per il servizio di Dio,
e perciò diceva sovente al suo Dio: «O Dio di Abramo, d'Isacco e di
Giacobbe, o Dio mio, quando arriverà quel tempo felice in cui io
starò tutto impiegato per Te? Quando si adempirà la tua promessa?
Il mio cuore arde di desiderio di impiegarmi presto tutto per Te.
Ascolta le mie suppliche ed esaudisci i miei desideri».Un giorno il
Santo stava al Tempio, e supplicava in tal modo il suo Dio, quando
udì la voce del suo amato bene che nell'intimo del cuore gli disse:
«Giuseppe, mio servo ed amico, sta' di buon animo, perché in breve
resterai consolato e resterà adempito il tuo desiderio». Alla
dolcezza di queste parole, fu tanto il giubilo che provò il Santo,
che ne andò in estasi, dove gli fu rivelato da Dio, come in breve
avrebbe anche ottenuto la grazia di avere una compagnia, con la quale
egli avrebbe potuto trattare e parlare di Dio e dei misteri divini
che a lui erano stati più volte rivelati, secondo la promessa
fattagli dall'Angelo nel sonno, che il suo Dio gli avrebbe dato una
creatura con la quale egli avrebbe potuto trattare e narrare le
meraviglie dell'onnipotenza divina. Nello stesso tempo che Dio gli
rivelava questo, gli fece anche intendere le sublimi virtù di quella
persona che gli aveva destinato per trattare con sé, ma per allora,
non gli fu manifestato altro. Ritornato dall'estasi tutto consolato
nell'anima e tutto allegro per il favore avuto, Giuseppe si umiliò
davanti il suo Dio, l'adorò e lo ringraziò affettuosamente, e,
riconoscendo il suo nulla, diceva al suo Dio: «O Dio mio, immenso,
incomprensibile, e chi sono io che tanto mi favorisci? E come la tua
immensa grandezza si degna trattare con me, verme vilissimo, e fare a
me grazie così grandi? Che Tu ti sia inchinato a trattare con i
Profeti, con i Patriarchi, è cosa ben grande, ma con me poi,
vilissimo schiavo tuo, è una cosa da restare estatico per la
meraviglia. Oh! Dio mio, come corrisponderò a tanta tua bontà, a
tanta degnazione, a tanto amore? Mio Dio, eccomi tutto tuo, fa' di me
quello che a Te più piace. Io non ho altro da donarti che tutto me
stesso ed ogni momento della mia vita; io intendo donarmi di nuova a
Te, e se potessi avere in mia libertà i cuori di tutte le creature,
li donerei tutti a Te, e li sacrificherei tutti al tuo amore. Mio Dio
immenso, infinito, ineffabile, incomprensibile, ricevi la piccola
offerta del tuo vile servo e schiavo, Giuseppe, che di cuore tutto si
dona a Te». Così il nostro Giuseppe si umiliava nei favori che
riceveva, e si mostrava grato al suo Dio dei benefici, riconoscendo
il tutto dalla divina bontà e generosità, e niente per suo merito,
che si chiamava creatura vilissima e indegna. Uscito dal Tempio dopo
aver ricevuto un così grande favore dal suo Dio, se ne andò alla
sua bottega e qui di nuovo rese grazie a Dio; si mise a lavorare
tutto assorto, e per quel giorno non fu capace di prendere cibo. La
notte seguente poi, l'Angelo gli parlò nel sonno e si congratulò
con lui del favore ricevuto, assicurandolo anche che in breve avrebbe
avuto quel tanto che lui molti anni prima, gli aveva promesso da
parte di Dio. L'esortò a continuare a rendere grazie a Dio del
grande beneficio che gli avrebbe fatto. Svegliatosi, il santo Giovane
rese nuovamente grazie a Dio, invitando tutte le creature a lodare il
suo Dio col Santo Davide, e a benedirlo con i tre fanciulli
Babilonesi; e faceva questo, non solo quando riceveva qualche favore
particolare, ma quotidianamente, mentre il suo spirito godeva molto
nel recitarle, e poi ringraziava il suo Dio che avesse dato alle sue
creature il modo di benedirlo e lodarlo così bene. li Santo Giovane
stava poi aspettando le grazie promesse con tutta quiete, e tutto
rimesso alla divina disposizione, le bramava, ma la sua brama non era
impaziente, né mai andò investigando cosa alcuna, né si poneva mai
a pensare quale cosa sarebbe stata, quella che da Dio gli sarebbe
stata data quale compagnia e in che cosa si sarebbe dovuto applicare
per servizio del suo Dio. Il nostro Giuseppe non ricercò mai niente
di tutto questo, ma tutto quieto e tranquillo aspettava le promesse
divine, sicurissimo che il suo Dio avrebbe fatto tutto con somma
provvidenza e con infinito amore. Questo sì che andava spesso
replicando: «Oh! Che bella sorte sarà la mia, di trattare con una
creatura che mi sarà data da Dio per discorrere delle sue grandezze,
della sua bontà, del suo infinito amore, delle sue divine
perfezioni; e questa creatura si degnerà di trattare con me, non
sdegnerà la mia viltà, la mia povertà, la mia bassezza, la mia
indegnità! Quanto sei buono, mio Dio! Quanto bene assecondi i
desideri di chi si fida di Te, e tutto in te si confida!». Il Santo
diceva questo lodando e ringraziando sempre il suo Dio, e ricevendo
tutto il bene dalle sue divine mani e riconoscendo il tutto da Dio.
Suo
amore per il prossimo - A misura che in San Giuseppe cresceva
l'amore verso il suo Dio, andava anche crescendo l'amore verso il suo
prossimo; e si struggeva tutto quando sapeva che c'era qualche povero
bisognoso e non lo poteva soccorrere, perciò lo raccomandava
caldamente a Dio perché l'avesse provveduto. Molte volte si privava
anche del necessario, per sovvenire i poveri; e quando gli veniva
dato il denaro del lavoro che aveva fatto, subito ne dava la maggior
parte ai poveri bisognosi. Le persone afflitte poi, le compativa
tanto, che supplicava Dio per loro con tanta premura affinché le
consolasse, e perseverava nella preghiera fin tanto che sapeva che
Dio le aveva esaudite. Avrebbe voluto provvedere ai bisogni di tutti,
tanto spirituali quanto temporali, e diceva al suo Dio: «Dio mio, Tu
già vedi la mia povertà e la mia insufficienza, e che non posso
fare al mio prossimo quel bene che vorrei; perciò Tu che sei ricco
di misericordia e sei tutta carità e tutto amore, soccorri ai
bisogni di tutti, consola gli afflitti, sovvieni i bisognosi perché
tu puoi tutto. Godo, mio Dio, di essere io povero e insufficiente,
perché tu sei sommamente ricco e puoi tutto; per cui io ti domando
ciò che io non so né posso fare». Dio godeva molto di queste
espressioni del suo servo fedele e non lasciava di esaudirlo nelle
sue premurose domande; e Giuseppe gli si mostrava grato nel
ringraziarlo continuamente anche da parte di quelli che ricevevano il
beneficio. Lo stesso faceva verso gli infermi, supplicando
continuamente per la loro salute corporale e molto più per la salute
spirituale. Li visitava, li consolava, li animava a soffrire con
pazienza l'infermità che Dio inviava loro, e questo ufficio lo
faceva con i poveri; ma con quelli di qualche riguardo e che
possedevano ricchezze, non si accostava, perché diceva che lui era
povero e non si arrischiava trattare altro che con i poveri suoi
pari; e per quelli pregava e caldamente li raccomandava, cosicché
non lasciava di beneficarli, benché non ci trattasse, usando con
tutti la sua perfettissima carità.
Sua
santa vita - Il nostro Giuseppe continuò in questo tenore di
vita per più anni, crescendo a meraviglia nell'amore verso il suo
Dio e il prossimo, e nella pratica di tutte le virtù, in modo tale
che si rendeva mirabile, non solo agli occhi degli uomini, ma degli
Angeli stessi. Tanta era la sua purezza ed innocenza, la sua umiltà,
la carità, il disprezzo di tutte le cose caduche e terrene, e il
disprezzo e il basso sentimento che aveva di se stesso, umiliandosi
non solo al cospetto del suo Dio, ma anche al cospetto di tutte le
creature, le quali per vili e abiette che fossero, considerava tutte
maggiori di sé e guardava tutte con grande carità ed amore.
Compativa tutti e pregava per tutti, desiderando per tutti ogni vero
bene e lo domandava di cuore al suo Dio con grande insistenza. Per le
solennità poi che si celebravano nel Tempio, il nostro Giuseppe, si
vedeva assistere a tutte le funzioni tutto giulivo, e con tanta
devozione; non si tratteneva già a rimirare cose curiose come
facevano tutti gli altri, ma con gli occhi fissi a terra ed il cuore
a Dio, stava tutto assorto; e in questo tempo Dio si degnava di
illuminare la sua mente, facendogli capire misteri altissimi,
deliziandosi l'anima sua nel suo Dio e godendo dei divini favori
perché Dio con larga mano ricompensava il suo servo fedele che per
amore suo si privava di tutte le soddisfazioni che in tal congiuntura
gli altri si solevano prendere, e così si andava rendendo sempre più
gradito al suo Dio, e capace dei divini favori.
Capitolo XVI - S. Giuseppe prima del suo sposalizio con la Santissima Vergine
Dio
lo prepara alle nozze con Maria - San Giuseppe aveva già
compiuto trent'anni, e conservato illibato il suo verginale candore
ed innocenza, arricchito di grandi meriti e ornato di tutte le virtù;
ed essendo arrivato il tempo in cui Dio aveva decretato di dargli per
sua sposa e fedele compagna la Santissima Vergine Maria, avendo
anch'ella compiuto quattordici anni di età, Dio volle che Giuseppe
si preparasse al nobile e sublime verginale sposalizio, e nonostante
la vita del Santo fosse stata tutta una continua preparazione al
ricevimento di un così sublime favore, tuttavia in questi ultimi
giorni volle da lui una preparazione più singolare. La notte gli
fece dire dall'Angelo, mentre dormiva, che si preparasse al
ricevimento di una delle più sublimi grazie che l'Altissimo voleva
fargli, e questo per un mese continuo, e che avesse raddoppiato le
suppliche e accresciuto i desideri ardenti del suo cuore. Destatosi
dal sonno, Giuseppe si trovò tutto infiammato dal desiderio di
ricevere presto la grazia promessa, e tutto amore verso il suo Dio,
esclamò:
«Oh, quanto sei buono, Dio d'Israele! Come sei fedele nelle tue promesse! La mia anima desidera la grazia promessa, ma desidera molto di più l'aumento del tuo amore e di glorificarti in tutte le mie azioni». E così tutto infiammato d'amore, se ne andò al Tempio, e qui, adorato il suo Dio, lodò la sua infinita bontà. Si trattenne molto a pregare e a supplicare Dio della grazia a lui promessa, e nonostante non sapesse che cosa fosse, tuttavia la chiamava grazia grande e dono sublime, sia perché gliel'aveva detto l'Angelo, sia perché già era certo che Dio sa fare grandi cose e che fa grazie e doni al suo pari. In questa orazione, il nostro Giuseppe si sentì accendere nel cuore un amore più intenso e tenero verso la Santissima Fanciulla Maria, e in questo sentimento Dio gli manifestò come lei stessa pregava molto per lui, e le sue preghiere erano molto accette e gradite a Dio. E Santo si rallegrò molto di questo, e crebbe di più in lui l'amore purissimo verso di lei, in modo che piangeva per la dolcezza che sentiva nel pensare a lei e alle sue singolari virtù e santità, e spesso diceva anche fra sé: «O Fanciulla Maria, santissima e perfettissima in ogni virtù, tu preghi tanto per me, indegnissimo, ed io che cosa farò per te? Non posso fare altro che raccomandarti caldamente al nostro Dio, affinché ti arricchisca di più dei suoi doni e ti ricolmi sempre di più delle sue grazie». E nel dire questo si andava accendendo anche nel suo cuore un vivo desiderio di arrivare una volta a parlarle, ma siccome se ne stimava indegno, reprimeva questo desiderio affinché non crescesse in lui la brama, perché stimava difficile che questo potesse riuscirgli. Dopo essere stato per più ore così al Tempio, se ne andò tutto consolato e ricolmo di giubilo, ma al Santo sembrava di non potersi allontanare dal Tempio, e perciò in quel mese fece quasi continuamente qui la sua dimora. Si preparò con digiuni, soffrendo fame, sete ed ogni altra scomodità, con tanta allegrezza e giubilo del suo cuore, che ogni patimento gli sapeva di delizia. In questo tempo attese poco al lavoro, impiegandosi tutto nella preghiera, in suppliche premurose, crescendo in lui a meraviglia il desiderio di conseguire presto la grazia promessagli. Per quel mese il Santo Giovane non parlò mai, ma nel profondo del silenzio con le creature, parlò sempre col suo Dio, facendo continui atti di offerte, di suppliche, di ringraziamenti, lodando e benedicendo l'infinita bontà di Dio al quale caldamente raccomandava la santa fanciulla Maria. Non cadde mai nella mente del Santo alcun pensiero che potesse essergli data per sposa, benché ella fosse già in stato di accasarsi, e di questo già si trattasse da chi ne aveva la cura; perché già sapeva che lei aveva consacrato a Dio, con un voto, la sua verginità, ed anch'egli l'aveva fatto ad imitazione di lei.
«Oh, quanto sei buono, Dio d'Israele! Come sei fedele nelle tue promesse! La mia anima desidera la grazia promessa, ma desidera molto di più l'aumento del tuo amore e di glorificarti in tutte le mie azioni». E così tutto infiammato d'amore, se ne andò al Tempio, e qui, adorato il suo Dio, lodò la sua infinita bontà. Si trattenne molto a pregare e a supplicare Dio della grazia a lui promessa, e nonostante non sapesse che cosa fosse, tuttavia la chiamava grazia grande e dono sublime, sia perché gliel'aveva detto l'Angelo, sia perché già era certo che Dio sa fare grandi cose e che fa grazie e doni al suo pari. In questa orazione, il nostro Giuseppe si sentì accendere nel cuore un amore più intenso e tenero verso la Santissima Fanciulla Maria, e in questo sentimento Dio gli manifestò come lei stessa pregava molto per lui, e le sue preghiere erano molto accette e gradite a Dio. E Santo si rallegrò molto di questo, e crebbe di più in lui l'amore purissimo verso di lei, in modo che piangeva per la dolcezza che sentiva nel pensare a lei e alle sue singolari virtù e santità, e spesso diceva anche fra sé: «O Fanciulla Maria, santissima e perfettissima in ogni virtù, tu preghi tanto per me, indegnissimo, ed io che cosa farò per te? Non posso fare altro che raccomandarti caldamente al nostro Dio, affinché ti arricchisca di più dei suoi doni e ti ricolmi sempre di più delle sue grazie». E nel dire questo si andava accendendo anche nel suo cuore un vivo desiderio di arrivare una volta a parlarle, ma siccome se ne stimava indegno, reprimeva questo desiderio affinché non crescesse in lui la brama, perché stimava difficile che questo potesse riuscirgli. Dopo essere stato per più ore così al Tempio, se ne andò tutto consolato e ricolmo di giubilo, ma al Santo sembrava di non potersi allontanare dal Tempio, e perciò in quel mese fece quasi continuamente qui la sua dimora. Si preparò con digiuni, soffrendo fame, sete ed ogni altra scomodità, con tanta allegrezza e giubilo del suo cuore, che ogni patimento gli sapeva di delizia. In questo tempo attese poco al lavoro, impiegandosi tutto nella preghiera, in suppliche premurose, crescendo in lui a meraviglia il desiderio di conseguire presto la grazia promessagli. Per quel mese il Santo Giovane non parlò mai, ma nel profondo del silenzio con le creature, parlò sempre col suo Dio, facendo continui atti di offerte, di suppliche, di ringraziamenti, lodando e benedicendo l'infinita bontà di Dio al quale caldamente raccomandava la santa fanciulla Maria. Non cadde mai nella mente del Santo alcun pensiero che potesse essergli data per sposa, benché ella fosse già in stato di accasarsi, e di questo già si trattasse da chi ne aveva la cura; perché già sapeva che lei aveva consacrato a Dio, con un voto, la sua verginità, ed anch'egli l'aveva fatto ad imitazione di lei.
Il
Concorso - Il nostro Giuseppe sentì dire che la Santa Fanciulla
si doveva sposare, perché si fece conoscere a tutti quelli della
stirpe di Davide che sarebbero andati al Tempio che, colui al quale
Dio avesse manifestato essere sua volontà, l'avrebbero data per
sposa. Egli ne restò ammirato, e diceva: «Beato quello a cui
toccherà così bella sorte!».Anche lui doveva concorrere come
discendente della stirpe di Davide? Stette in gran perplessità, ma
per obbedire all'ordine, si dispose anch'egli al concorso pensando
che una così bella sorte non sarebbe toccata a lui, tanto più che
aveva già consacrato a Dio la sua verginità; tuttavia si
raccomandava molto a Dio, e lo pregava del suo favore ed aiuto in
quell'affare di tanto rilievo.
Ambasciata
dell'Angelo - Finito il mese della preparazione che il Santo
aveva già fatto, stava tutto ansioso di ricevere la grazia promessa.
Arrivato poi il giorno nel quale si doveva scegliere lo sposo alla
Santa Fanciulla Maria, la notte precedente gli apparve di nuovo
l'Angelo nel sonno e gli disse: «Sappi, Giuseppe, che Dio ha gradito
molto la tua preparazione e i tuoi desideri infuocati».E gli mise in
mano una candida colomba, dicendogli: «Prendi questo dono che Dio ti
fa, e tu sarai custode della sua purezza. Tienila pur cara, perché
questa è la delizia del cuore di Dio, è la creatura a Lui più
diletta ed accetta che ci sia mai stata e ci sarà al mondo».
L'Angelo non gli disse altro. Giuseppe ricevette la purissima colomba
nelle sue mani, e tutto festoso per la grazia ricevuta si svegliò, e
si trovò tutto infiammato d'amore verso il suo Dio; ma il Santo non
poteva penetrare il significato di quel sogno. Si sentiva
particolarmente allegro e contento e non stava in se stesso per la
gioia, ma non sapeva quello che sarebbe seguito di lui. Poi ebbe
qualche lume che quella colomba potesse significargli come gli
sarebbe toccata in sorte la Fanciulla Maria per sposa, ma siccome era
umilissimo, e si reputava indegno di questo, non ci fece troppa
riflessione. Si preparò peraltro, la mattina, per andare al Tempio
al concorso con gli altri discendenti di Davide, dove seguì quello
che si dirà.
Capitolo XVII - Purissimo sposalizio di S. Giuseppe con la Santissima Fanciulla Maria
Umile
supplica -Arrivata la mattina, il nostro Giuseppe si preparò
per andare al Tempio, e genuflesso nella sua povera bottega, adorò
il suo Dio dicendogli: «O Dio di Abramo, d'Isacco, e di Giacobbe,
Dio mio e tutto il mio bene, confesso di essere stato sempre protetto
da Te in tutte le mie azioni, assistito e consolato in tutti i miei
travagli, difeso dai miei avversari, e consolato nelle mie angustie;
non ho mai diffidato della tua protezione, avendoti sperimentato in
tutto fedelissimo e misericordioso. Ora ti supplico del tuo favore,
aiuto e consiglio nella presente occasione. Io mi conosco
indegnissimo del favore sublime che possa toccarmi la sorte di avere
per sposa e compagna la Santa Fanciulla Maria, e perciò non ho di
ciò pretesa alcuna, ed intanto vi concorro, in quanto così viene
ordinato, essendo piaciuto alla tua bontà, farmi nascere dalla
stirpe di Davide, alla discendenza del quale promettesti di far
nascere il Messia; perciò ti supplico di dare alla Santa Fanciulla
uno sposo che sia degno di lei e secondo il tuo cuore, e a me, di
volere accrescere la tua grazia e il tuo amore. Io mi metto tutto
nelle tue mani divine, e si faccia di me tutto quello che a Te
piacerà, dichiarandomi che altro non bramo, che si esegua in me la
tua divina volontà». Fatta questa preghiera, il Santo si sentì
tutto acceso di un più ardente amore verso il suo Dio e di un santo
amore verso la Santissima Fanciulla Maria, in modo che non vedeva
l'ora di poter vedere e conoscere colei che per più anni aveva
sperimentato favorevole delle sue preghiere e per mezzo della quale
aveva ottenuto molte grazie; desiderava vedere e conoscere colei che
era tanto cara al suo Dio e tanto ricca di meriti e colma di virtù,
e diceva: «Saranno pur fatti degni i miei occhi di vedere questa
Santa Fanciulla, questo prodigio della grazia? Oh, che fortuna è la
mia! Beato a chi toccherà una sorte così felice di averla per sposa
e fedele compagna! Non bramo io già di averla per mia compagna,
essendo troppo vile ed indegno, ma quanto mi stimerei felice, se
potessi avere la sorte di essere suo servo!». Questi erano i
pensieri di Giuseppe, che se ne andò al Tempio a pregare, dove
raddoppiò le suppliche a Dio.
Al
concorso - Quando furono radunati anche gli altri discendenti di
Davide, con molti altri ancora che desideravano vedere la Santa
Fanciulla, per la fama grande che ne correva per la città, il
sacerdote che doveva sposarla a quelli della stirpe di Davide propose
che per intendere la volontà divina e conoscere quale da Dio fosse
stato destinato per sposo di una così degna fanciulla, ognuno di
loro avrebbe dovuto tenere in mano una verga secca, e porgere
suppliche a Dio affinché facesse fiorire la verga di colui che aveva
destinato per suo sposo. Fu accettato di comune accordo, e così fu
fatto. La Santissima Vergine Maria, intanto, nel suo ritiro, stava
supplicando Dio del suo aiuto e della sua grazia, affinché le avesse
assegnato uno sposo vergine e che avrebbe dovuto essere il custode
della sua purezza, e già vide in spirito come le sarebbe stato
assegnato il castissimo e santissimo Giuseppe; perciò tutta allegra
ne rendeva grazie al suo Dio.
La
verga fiorita - Mentre il Sacerdote intanto pregava con tutti
gli altri, e il nostro Giuseppe stava nel luogo più basso e
ritirato, perché si conosceva indegno, si vide in un subito fiorire
la sua verga e ricoprirsi di candidissimi fiori; il prodigio fu
subito ammirato da tutti, perciò tutti i ministri del Tempio ed il
Sacerdote dissero che lui era destinato da Dio come sposo della Santa
Fanciulla. Poi Dio volle dare anche un altro segno manifesto del
castissimo sposalizio, mentre da tutti fu vista una candida colomba
scendere dal cielo e posarsi sul capo di Giuseppe, facendo restare
tutti ammirati e certi che Dio lo aveva scelto fra tutti per sposo
della Santissima Fanciulla; perciò tutti si rallegrarono, solo
quelli che restarono delusi si dolevano della loro poco buona sorte.
Quale fosse poi il sentimento dell'umilissimo Giuseppe, ognuno se lo
può immaginare.
Gioia
di Giuseppe - Il suo cuore si riempì di gioia ed insieme di
confusione, perché si stimava indegnissimo di questo, e in mezzo
alla confusione della sua indegnità esultava e giubilava per la
felice sorte in modo che andò in estasi, dicendo sempre: «E dove a
me, mio Dio, un favore così grande? E quando mai ho meritato una
grazia così speciale? Oh, che con ragione l'Angelo mi disse che Tu
mi avresti fatto una grazia molto grande, e che io mi sarei dovuto
preparare a ciò! Ora capisco qual'era la purissima colomba che mi fu
data in mano, affinché io fossi il custode della sua purezza. E lo
sarò, mio Dio, con l'aiuto della tua grazia e col favore della mia
cara colomba e sposa, Maria».
Sposalizio
verginale - Intanto si fece venire la Santissima Fanciulla
Maria, affinché il Sacerdote l'avesse sposata con S. Giuseppe, e
tutti si trattennero per vedere. La Santissima Fanciulla comparve con
gli occhi fissi a terra, ricoperta di un mirabile e verginale
rossore, e alla sua vista ognuno restò stupito ed ammirato per la
sua rara bellezza e grazia, e per la modestia singolare, invidiando
tutti la felice sorte di Giuseppe. Quando Giuseppe la vide restò
estatico per lo stupore e pianse per il giubilo del suo cuore. Il
Santo vide un grande splendore nel volto verginale della sua
purissima sposa, ed intese nel suo cuore la voce del suo Dio, che gli
diceva: « Giuseppe, mio fedele servo, ecco io ti faccio il dono
promesso, e ti dò per sposa la più cara creatura che io abbia sopra
la terra. Consegno a te questo tesoro, perché tu sia il suo custode.
Questa purissima colomba sarà la tua fedelissima compagna, ed
ambedue vi conserverete vergini, essendo appunto la verginità il
nodo strettissimo del vostro sposalizio. L'amore di voi due, ora si
unirà in uno, il quale sarà a me consacrato, essendo io la sua
sfera e lo scopo di tutti i vostri affetti e desideri». La gioia
nell'animo di Giuseppe si inondò molto di più, e il suo cuore si
riempì di consolazione e giubilo. Il Santo non ardiva di guardare la
sua purissima sposa, ma pure si sentiva attirare da un vero e
cordiale amore, e da una tenera devozione a rimirare e venerare la
bellezza e la maestà del suo volto; ed ogni volta che alzava gli
occhi per vederla, restava estatico, e ben conosceva con lume
superiore, come la sua sposa era colma di grazia e si umiliava,
riconoscendosi indegnissimo di trattare con lei e spesso replicava:
«E come, o Signore e Dio mio, Tu hai fatto a me un così grande
favore?». Intanto il Sacerdote fece la funzione che si praticava in
quei tempi, e li sposò insieme, e nell'atto dello sposalizio i santi
sposi videro uscire dai loro cuori una fiamma che si unì insieme
facendosi una sola e volò verso il cielo, confermando Dio, con
questo segno visibile, quello che aveva detto a Giuseppe
interiormente, e cioè che il loro amore si sarebbe unito in uno solo
e che Lui sarebbe stato l'oggetto amato, volando la fiamma alla sua
sfera.
Lasciano
il Tempio - Terminata la funzione e consegnata la Santa
Fanciulla dal Sacerdote a Giuseppe, e a lui caldamente raccomandata,
se ne andarono tutti dal Tempio, restando qui i due santi sposi a
pregare per più ore rapiti in estasi, dove furono rivelati da Dio
altissimi misteri; Giuseppe più che mai restò informato delle rare
virtù della sua purissima sposa, così come anche la Santissima
Sposa conobbe chiaramente le virtù e i meriti del suo santo sposo, e
fecero ambedue gli atti di ringraziamento alla divina beneficenza che
tanto li aveva favoriti e così bene accompagnati ed uniti in
perfettissimo e castissimo amore. Terminata la loro preghiera e
ottenuta ambedue la benedizione di Dio, se ne andarono dal Tempio,
conducendo con sé, il nostro fortunato Giuseppe, la sua purissima
sposa come un tesoro incomparabile datogli da Dio. Il Santo rimirava
i passi di lei, e in tutto la riconosceva colma di grazia, di
modestia e di prudenza.
Offre
a Maria la sua povera dimora - Usciti dal Tempio S. Giuseppe
parlò alla Santissima sposa Maria con grande riverenza ed amore, e
brevemente le disse come lui non aveva una casa capace per dimorarvi,
ma solo una piccola stanza dove egli lavorava, e che perciò se si
accontentava che l'avesse condotta qui per allora, perché poi
avrebbero deciso quello che dovevano fare. L'umilissima sposa gli
rispose che la conducesse pure dove lui dimorava, perché qui
avrebbero conferito insieme, e avrebbero fatto quello che Dio avesse
voluto, mentre l'avrebbero pregato di manifestare loro la sua divina
volontà. Contentissimo della risposta, il Santo la condusse al
piccolo albergo, essendo già l'ora tarda. Entrati nella stanza
diedero insieme lode a Dio, ringraziandolo di nuovo del beneficio che
aveva fatto loro di unirli insieme. Il Santo piangeva nel vedersi
tanto sprovvisto, non potendo dare alla sua sposa un luogo capace per
il quale lei potesse stare ritirata, ma la sua santa Sposa gli fece
animo e lo consolò. Dopo si rifocillarono con poco pane, acqua e
alcuni frutti che il Santo aveva qui e dopo incominciarono a
discorrere della bontà e della grandezza di Dio.
Santi
colloqui - Il Santo stava tutto assorto nell'udire le parole
della Santissima Sposa, piangendo per la dolcezza e mentre il suo
cuore giubilava per la consolazione. Le riferì tutto quello che, la
notte prima che avesse la sorte di sposarla, l'Angelo gli aveva detto
nel sonno, e benché la sua Sposa sapesse tutto ne mostrò gran
contento. Le manifestò poi come a lui era già noto il voto di
verginità che lei aveva fatto, e che ad imitazione sua l'aveva fatto
anche lui; di questo la Santa Sposa si rallegrò, e incominciarono a
parlare della sublimità di questa così rara virtù. Passarono
infatti tutta la notte in queste conversazioni che parvero, al Santo,
brevissimi momenti, tanta era la consolazione che sentiva nel
ragionare con la sua purissima e Santissima Sposa, e nell'udire le
sue parole tutte infiammate d'amore di Dio e tutte accese di carità
perfetta, restando sempre più ammirato della grazia e della virtù
della sua Sposa Santissima. Il Santo Sposo la chiamava spesso colomba
mia; e le disse che non ne prendesse ammirazione di questo, perché
avendogli dato l'Angelo una colomba quando gli parlò nel sonno, che
significava essere lei stessa, così con ragione la poteva chiamare
colomba sua, avendola, sotto tale figura, a lui consegnata. La
Santissima Sposa chinava la testa, quando il suo Santo Sposo le
diceva questo, dicendogli che lei stava in tutto soggetta a lui e che
la chiamasse come a lui piaceva. Ogni volta che la Santa Sposa gli
parlava, le sue parole erano come dardi infuocati che andavano a
vibrarsi nel cuore del castissimo Sposo e l'accendevano sempre più
di un amore ardente verso Dio, e di un amore puro e santo verso di
lei.
Umile
dipendenza di Maria - Arrivata la mattina, avendo passato tutta
la notte in sacri colloqui, la Vergine disse al suo sposo Giuseppe,
che lei si ritrovava una piccola casetta a Nazareth, loro patria, che
avrebbe appunto fatto per loro, bastando alla loro povertà ogni
piccolo ricovero; e se a lui avesse fatto piacere di andare a stare
lì, e se fosse stata la volontà dell'Altissimo, lei era prontissima
ad andarvi, per vivere lì con la loro quiete. Il Santo Sposo
Giuseppe gradì molto quanto la sua Sposa gli disse, e rimasero
d'accordo di andare al Tempio a pregare e supplicare Dio, affinché
si fosse degnato di manifestare loro, in questo, la sua divina
volontà, così come anche in tutte le altre loro operazioni; e
benché la sua Santissima Sposa sapesse benissimo quello che Dio
voleva, tuttavia teneva celato il segreto, aspettando che Dio
l'avesse manifestato al suo Sposo Giuseppe, perché lei voleva in
tutto e per tutto dipendere dai suoi comandi e dai suoi ordini.
La
volontà di Dio - La mattina andarono per tempo al Tempio, e qui
si trattennero molto a pregare, e Dio manifestò a Giuseppe la sua
volontà, che era che andassero ad abitare a Nazareth, loro patria;
lo stesso disse di nuovo alla Santissima Vergine. Quando ebbero
terminato la loro orazione se ne tornarono al piccolo albergo, e qui
Giuseppe chiese alla sua Sposa quello che doveva fare per adempire la
volontà divina, e lei lo supplicò di dire lui quel tanto che aveva
udito. Il Santo narrò tutto alla sua Sposa, dicendole inoltre che
lui era anche pronto a fare quello che Dio avesse manifestato a lei,
e lei gli confermò quello che lui le aveva detto e che credeva
essere quella la volontà dell'Altissimo, cioè che si fossero
ritirati a Nazareth loro patria; e dando lode a Dio, perché aveva
manifestato loro la Sua volontà, stabilirono di partire subito;
perciò il Santo trovò un vile giumento e lo caricò di tutte le
cose che erano necessarie per il suo lavoro e di quel poco che aveva,
e si risolvette di partire da Gerusalemme, tanto più che era libero
da ogni lavoro, e non aveva da fare qui cosa alcuna.
Partenza
da Gerusalemme - Decisi già di partire la mattina seguente, si
portarono prima al Tempio a pregare e dopo parlarono di nuovo al
Sacerdote che li aveva sposati, domandandogli la benedizione. La
Santa Sposa si licenziò anche da quelli con cui aveva dimorato al
Tempio, e in particolare da chi aveva avuto cura di lei, e con la sua
benedizione partì. I due Santi Sposi uscirono dal Tempio, dopo avere
qui pregato, adorato e lodato il loro Dio.
Somma
gioia di Giuseppe - Benché il Santo Sposo avesse avuto sempre
il desiderio di fare la sua dimora a Gerusalemme, per poter
frequentare il Tempio, tuttavia partì molto contento, bastandogli,
diceva lui, di avere la bella sorte della compagnia della Santissima
e purissima sua Sposa, non avendo più che bramare nel mondo, essendo
pienamente contento, e diceva sovente al suo Dio:«Dio mio, Tu mi hai
fatto una grazia così grande nel darmi in custodia la tua diletta ed
amata fanciulla Maria, che io ora non ho più che desiderare, mentre
in lei il mio spirito trova tutto ciò che sa bramare, e le sue
parole mi consolano abbastanza. Ella è un tesoro che da me sarà
sempre più stimato, così come vado sempre più conoscendo il suo
merito e le sublimi virtù di cui l'hai ricolmata». Poi, rivolto
alla sua Sposa, le diceva:«Credi, mia Sposa, che Dio mi ha fatto una
grazia così grande nel darti a me per compagna, che io ora non so
più che bramare, solo che l'adempimento della volontà divina e di
impiegarmi tutto al servizio del nostro Dio. E non sarà poca fortuna
la mia, di poterti mantenere con il lavoro che farò se a Dio e a te
così piacerà, che io mi impieghi nell'arte che ho imparato per
sostentarmi. Quando poi Dio voglia che mi impieghi in altro, e a te
non sia in piacere, eccomi pronto a fare tutto». La Santissima Sposa
rispondeva a queste parole con grande umiltà e con grande prudenza,
rimettendosi sempre al volere dell'Altissimo e a quello del suo Sposo
Giuseppe, e con queste umili risposte il suo Sposo Giuseppe si
affezionava sempre più, e ammirava sempre più le sue virtù, in
modo tale, che diceva spesso fra di sé: «Se non sapessi chi fosse
la mia sposa, e se non la conoscessi per figlia di Gioacchino ed
Anna, direi certo che fosse scesa dal cielo, parendo a me, che una
creatura umana non sia capace di tanta virtù e tanta grazia». Poi
ringraziava il suo Dio che si era degnato di arricchirla tanto e
privilegiarla sopra ogni altra creatura.
Capitolo XVIII - Viaggio di S. Giuseppe con la sua Santissima Sposa Maria da Gerusalemme a Nazareth
Umiltà
vicendevole - I due Santi Sposi avevano già preparato tutto per
la partenza, e prima di mettersi in cammino la Santissima Vergine
volle anche la benedizione del suo Sposo, praticando in tutte le sue
azioni la bella virtù dell'umiltà tanto a lei cara e da lei tanto
stimata. Nasceva però, fra i due sposi, una santa contesa, perché
Giuseppe, essendo anch'egli umilissimo, e conoscendo il merito
impareggiabile della sua Santa Sposa, ricusava di fare questo, ma le
umili suppliche della sua Santissima Sposa non potevano non essere da
lui assecondate; così il Santo accondiscendeva a benedirla e
supplicava il suo Dio di accompagnare con la sua, anche la divina
benedizione.
Lasciano
Gerusalemme - Infine partirono con molto loro gusto, perché
sapevano che adempivano la volontà divina. I Santi Sposi andavano a
piedi con un solo vile giumento, che portava il loro povero arnese.
Il cuore di San Giuseppe si struggeva per vedersi tanto povero, che
non poteva dare alla sua Sposa alcun sollievo e comodità nel
viaggio, e con lei se ne doleva; ma la Santa Fanciulla Maria
l'animava e gli diceva che lei era contentissima di questo, e che
godeva molto nel vedersi povera, e che bramava solo la ricchezza
della grazia del suo Dio; e diceva al suo sposo Giuseppe: «Sappi che
quanto più grande sarà la nostra povertà temporale, tanto più il
nostro Dio ci arricchirà di beni spirituali e tanto più saremo
graditi a Lui». Il nostro Santo si consolava molto nel sentire le
parole della sua purissima ed amata Sposa.
Pene
e consolazioni - Con questa povertà e scomodità, viaggiarono i
due più grandi personaggi del mondo, benché sconosciuti al mondo.
Erano soli, senza compagno alcuno, ma a loro facevano la corte una
grande moltitudine di Angeli, che con la melodia accompagnavano la
Santissima Fanciulla Maria, già destinata da Dio come Madre del
Verbo divino; lei sola però udiva le armonie Angeliche. In questo
viaggio Dio permise, per consolazione di San Giuseppe, che più
volte, nel posarsi che facevano, gli uccelli cantassero a schiere
dolcemente intorno alla Santa Sposa Maria; di questo il nostro
Giuseppe ne restava ammirato e insieme consolato e da qui poi
prendevano motivo di lodare e benedire la bontà del loro Dio, che li
favoriva anche con questi segni.
Il
canto di Maria - Dopo avere viaggiato un po', ed essendo
stanchi, si fermarono per qualche tempo, e S. Giuseppe supplicò la
sua Sposa di voler cantare qualche lode al suo Dio, dato che pareva
che gli uccelli stessi l'invitassero. La purissima sposa obbedì, e
cantò un cantico di lode al suo Creatore, nel quale narrava la
meraviglie della potenza divina. Perfino gli Spiriti Angelici
restavano stupiti; quanto più poi il nostro Giuseppe, che andò in
estasi per la dolcezza e stette alquanto assorto, mentre nel
frattempo la divina Sposa fece molti atti di adorazione al suo Dio.
Tornato dell'estasi, il Santo disse rivolto alla sua Sposa: «O sposa
e colomba mia, quanto diletto mi apportano le tue canzoni, e le lodi,
che con tanta grazia dai al nostro Dio! Come devo ammirare sempre più
i tesori di grazie che il nostro Dio ha collocato in te! Corrispondi
pure con altrettanto amore alla generosità divina, mentre anch'io ti
farò compagnia e sempre loderò e benedirò il nostro Dio, che si è
degnato di arricchirti di tanta grazia e di tanti doni; e tu fallo
per me, che mi ha scelto fra tanti, a godere la tua amabile e
desiderabile compagnia».
Umiltà
di Maria - La Santa Fanciulla si umiliava a queste parole, e
rivolgeva tutta la lode al suo Dio, chiamando se stessa vilissima
ancella; e diceva al suo Sposo che quanto in lei ammirava e conosceva
di bene, era tutto dono di Dio, dato a lei per sua sola bontà senza
che lei ne avesse alcun merito, che perciò ogni volta che in lei
scorgeva qualche grazia, ne desse subito lode al Datore di ogni bene,
Dio, immenso ed infinito, che si mostrava così generoso con le sue
creature e specialmente con lei, creatura vilissima e del tutto
immeritevole. Il Santo Sposo ammirava le umili parole della sua sposa
e ne dava lode a Dio, godendo che avendola tanto arricchita di doni
celesti, le desse anche un così basso sentimento di se stessa, e
fosse tanto fondata nella bella virtù dell'umiltà.
Gratitudine
e gioia di Giuseppe - Proseguirono il loro viaggio, sempre
lodando e benedicendo Dio; e il cuore del nostro Giuseppe si riempiva
sempre più di giubilo e d'amore verso il suo Dio, e spesso diceva
alla sua Santa Sposa che ringraziasse lei Dio da parte sua, perché
lui non sapeva farlo come doveva, per la grazia grande e
impareggiabile che gli aveva fatto di eleggerlo per suo sposo e
custode. Al Santo sembrava che questa fosse una grazia
impareggiabile, e così la chiamava come infatti era, ma Dio aveva
già destinato di fargli una grazia assai maggiore che egli non
sapeva né poteva penetrare, ed era che gli avrebbe dato in custodia
il Verbo Incarnato, e che questo sarebbe stato soggetto a lui,
grazia, questa, impareggiabile e sopra ogni intendimento umano.
Eppure il nostro Giuseppe arrivò a conseguire una così gran sorte
di essere Padre putativo del Verbo Incarnato. Al Santo sembrava che
non gli restasse altro da ottenere di grande e di sublime, solo che
di arrivare a vedere con i propri occhi il Messia promesso e di
impiegarsi tuttoal suo servizio, ma questo solo lo desiderava, non
pensava di potervi arrivare. Si consolava tanto di aver conseguito
una compagna tanto degna e tanto santa, con la quale poteva trattare
delle grandezze del suo Dio, ed essere aiutato da lei alla pratica
delle virtù e all'acquisto dell'amore verso Dio, poiché il Santo ne
viveva molto bramoso.
Nella
casetta di Nazareth - Arrivati i Santi Sposi a Nazareth, non
trovarono qui cosa alcuna per ristorarsi. Subito il nostro Giuseppe
procurò di andare nella piccola casa della sua Sposa Maria, e
facilmente gli riuscì; ed essendo l'ora tarda, entrarono nella loro
casa, dove non c'era comodità alcuna, e per quella sera se ne
stettero lì con la loro povertà, cibandosi solo di poco pane che
portavano con sé e trovando dell'acqua per bere. La sua Santa Sposa
Maria godeva di questo, perché era amante della povertà, ma
compativa molto l'afflizione che sentiva il suo sposo nel vedersi
tanto povero, e gli faceva animo e lo consolava con le sue parole; di
questo il Santo provava assai più gusto che di qualsiasi e squisita
vivanda, e diceva alla sua Sposa che le sue parole erano sufficienti
a consolarlo e a ristorarlo. Arrivati qui, la prima cosa che fecero
fu di lodare e ringraziare Dio che li avesse fatti giungere in quel
luogo e che li avesse assistiti nel viaggio. Dopo si rifocillarono un
po', come dissi, e dopo avere lodato di nuovo il loro Dio, disposero
il luogo dove dovevano stare. Giuseppe disse alla sua sposa, che si
scegliesse lei la stanza dove voleva stare ritirata a pregare e a
riposarsi, ma la Santa Vergine, umilissima, non volle fare questo di
sua elezione, benché la casa fosse sua, ma supplicò il suo Sposo di
volersi degnare di assegnargliela lui, toccando a lui di comandare ed
ordinare tutte le cose come suo superiore. Il Santo lo fece,
assegnando alla sua Sposa una stanza per il suo ritiro, un'altra per
sé ed una dove egli poteva esercitare la sua arte, che era una
stanza inferiore e più in basso delle altre ed una piccola stanza
dove potesse cucinare. Quando il Santo ebbe ordinato questo, la Santa
Sposa Maria si mostrò contenta e pienamente soddisfatta, e dopo
avere fatto un lungo ragionamento col suo sposo Giuseppe a lode del
suo Dio, gli domandò il permesso di ritirarsi nella sua piccola
stanzina, rimanendo d'accordo che il giorno seguente poi, avrebbero
destinato il modo di vivere che qui dovevano fare. Il Santo diede il
permesso alla sua sposa di ritirarsi ed anch'egli si ritirò per
prendere un po' riposo. Il riposo di quella notte fu sulla nuda
terra, non avendo altro per allora, solo che quel poco di arnesi che
avevano portato da Gerusalemme. La Santissima Sposa passò quasi
tutta la notte in preghiera; ed il nostro Giuseppe, essendo stanco,
si riposò, e l'Angelo gli parlò nel sonno e l'assicurò che era
volontà di Dio che vivessero in povertà, e che perciò non si
affliggesse e che procurasse di tenere quel tanto che era necessario
e niente più, e che si mantenesse col suo lavoro e che si mostrasse
sempre più grato a Dio per il dono che gli aveva fatto di una sposa
così santa e così degna.
Desideri
di Giuseppe - Arrivato il giorno, Giuseppe si svegliò dal sonno
e, avendo prima fatto la sua solita preghiera a Dio, si sentiva
attirare dall'amore di andare a vedere la sua purissima Sposa, e ne
stava impaziente perché lei non usciva dal suo ritiro, e lui non
ardiva chiamarla. Si mise pertanto ad aggiustare la sua bottega con
quei pochi ferrami che aveva portato, e posto il tutto in assetto,
tornò di nuovo a trovare la sua sposa, e vedendo che tardava, si
mise alla porta ad osservare quello che era della sua Sposa con il
desiderio di vederla presto e di parlarle, e dalle fessure della
porta si avvide che la stanza era piena di splendore celeste, ed
intese un soavissimo profumo ed insieme una consolazione interiore
molto grande; da questo capì chiaramente che la sua santa Sposa
stava trattando con Dio, per cui il Santo si ritirò, e nell'avvenire
non si accostò mai più alla sua stanza per molestarla, ma la
lasciava in sua libertà, e quando bramava vederla o parlarle, se lei
si trovava nel suo ritiro non ardiva mai molestarla, ma l'aspettava
con pazienza. Godeva del suo bene e delle delizie che lei si prendeva
nel trattenersi a trattare con Dio da solo a solo ed aveva una santa
invidia della sua fortunata Sposa, e diceva fra sé: «Beata lei, che
veramente si rende degna delle visite del nostro Dio, perché infatti
è del tutto santa e perfettissima in tutte le virtù».
Primi
provvedimenti - Terminata la sua preghiera, la Santissima
Vergine uscì dalla sua stanza, dove trovò il suo Sposo Giuseppe che
l'aspettava. Il Santo la vide più che mai bella e graziosa, e ne
restava sempre più ammirato, in modo che ardiva appena parlarle. La
Santa Sposa si mostrò tutta umile, cortese ed affabile, salutandolo
con molta grazia. Lodarono di nuovo insieme il loro Dio e poi si
consigliarono su quello che dovevano fare circa il mantenimento del
vitto necessario, perché erano sprovvisti di tutto. Il nostro
Giuseppe aveva qualche denaro del lavoro che aveva fatto prima a
Gerusalemme, e andò a comperare quello che era necessario per il
loro mantenimento. I vicini andarono anche a rallegrarsi con la Santa
Sposa Maria, e trovandola tanto povera, non mancarono delle persone
amorevoli che le portarono quello che era necessario per il suo
servizio. La Santa Sposa gradiva e riceveva il tutto a titolo di
elemosina, praticando in tutto una somma umiltà e gratitudine verso
di chi la beneficava, alle quali poi, corrispose al beneficio
ricevuto con il lavoro delle sue mani. Nelle visite però, si
mostrava grata e cortese, ma con poche parole, e quelle tutte
ordinate e prudenti, per cui ognuno ammirava la sua modestia e la sua
grazia, restandole tutte affezionate e desiderose di trattarci. Ma la
Santa Sposa gradì dapprima la visita, ma poi si mostrò restia dal
ricevere visite, benché facesse tutto con modo e grazia singolari;
ammetteva però la visita di quelle vergini che temevano ed amavano
Dio e con quelle si tratteneva in sacri discorsi. Quando il suo Santo
Sposo Giuseppe ebbe già provveduto alquanto di quello che era loro
necessario, tornò subito a ritrovare la sua Santa Sposa Maria, non
potendo stare lungo tempo lontano da lei, mentre la sola presenza di
lei gli apportava una consolazione molto grande. Quando il Santo
tornò dalla sua Sposa e le consegnò quel tanto che aveva portato
per il loro bisogno, lodarono e ringraziarono di nuovo il loro Dio
che tanto bene li aveva provveduti. Giuseppe trovò anche da
lavorare, cosi si poteva sostentare con le sue fatiche, e anche la
Santissima Sposa Maria si impiegava a lavorare per acquistarsi il
vitto necessario con il lavoro delle sue mani, disponendo Dio con
somma provvidenza che le capitasse subito l'occasione di potersi
acquistare il vitto necessario. I Santi Sposi ammirarono la divina
provvidenza, e non cessarono di lodare e benedire il loro Dio che si
mostrava loro tanto generoso e li provvedeva con tanto amore, e si
animavano sempre più a corrispondere ai benefici che Dio faceva
loro, crescendo a meraviglia nel suo amore.
Capitolo XIX - Maria e Giuseppe prima dell'Incarnazione del Verbo Divino
Ordine
quotidiano -Essendo già provveduti alquanto di quello che era
necessario, i Santi Sposi destinarono il tempo nel quale dovevano
trattare insieme e trattenersi in sacri colloqui, il tempo in cui si
dovevano trattenere nelle orazioni, e quello del lavoro, e tutto con
somma sapienza e bell'ordinanza, perchè la Santa Sposa faceva tutto
col consiglio di Dio, con il quale trattava familiarmente, e in tutte
le sue operazioni procurava di intendere prima quale fosse la volontà
del suo Dio. Perciò la mattina di buon'ora si trattenevano a
recitare parte dei Salmi di Davide, e dopo il nostro Giuseppe se ne
andava a lavorare, e la Santissima Vergine preparava il pranzo, nel
quale spendeva poco tempo, essendo il loro vitto molto parco: per lo
più si trattava di poca minestra con qualche frutto o qualche
pesciolino, ma raramente anche la santa Sposa Maria si cibava di
questo. Alle volte però cucinava qualche cosa di più per il suo
sposo Giuseppe e questo lo faceva per sollievo del suo Sposo, che si
affaticava molto nel lavorare; lei però non gustò mai altro di
quello che abbiamo detto e, affinchè non la costringesse a mangiare
carne, diceva al suo Sposo che lei si affaticava poco, e che perciò
ogni poco di cibo le era più che sufficiente; ed il Santo non la
molestava in questo, conoscendo che la sua Sposa faceva tutto con
grande prudenza e sapienza.
Modesta
refezione - Giuseppe, quando aveva terminato il suo lavoro e si
era trattenuto tutto il tempo destinato per lavorare, se ne andava
subito a cercare la sua Santa Sposa, e di nuovo recitavano le divine
lodi, dopo le quali prendevano il cibo necessario, e nel frattempo
dicevano qualche parola a lode del loro Dio, ed alle volte il Santo
restava tanto consolato per le parole della sua Sposa, che lasciava
anche di cibarsi. Dopo il cibo rendevano le dovute grazie a Dio e poi
si trattenevano in sacri colloqui, essendo anche per questo destinata
l'ora propria che era tanto desiderata dal Santo Sposo, per poter
sentire parlare la sua Sposa Maria, e per lo più andava in estasi
per la gioia che ne sentiva.
Santi
colloqui - In questo discorso che facevano fra di loro, il Santo
Sposo le andava raccontando spesso quel tanto che gli era capitato
nella sua vita passata, le grazie che aveva ricevuto da Dio e quel
tanto che l'Angelo gli diceva nel sonno. Però, dopo che Giuseppe si
sposò con la Santissima Vergine, l'Angelo si fece sentire molto di
rado, perchè gli bastava già la santa compagnia che aveva
conseguito. La Santa Sposa sentiva con gusto quel tanto che il suo
Sposo Giuseppe le raccontava, e da questo ne prendeva occasione per
lodare maggiormente Dio; e il nostro Giuseppe diceva alla sua Sposa:
«Sappi, mia Sposa, che adesso l'Angelo non mi parla più nel sonno
come prima, ma molto di rado. Io però sono contento di quanto il
nostro Dio dispone, bastandomi di aver la sorte di trattare con te,
avendo io tanto desiderato una creatura con la quale potessi
ragionare delle grandezze del nostro Dio, e mi fu promesso
dall'Angelo che io l'avrei ottenuta; ma non credevo mai che mi fosse
toccata una così felice sorte di trattare con te e di sentire i tuoi
discorsi tanto colmi di sapienza celeste».
Esortazioni
di Maria - La santa Sposa rispondeva con umili e prudenti
parole, e narrava al suo Giuseppe quanto il loro Dio fosse fedele
nelle sue promesse, e che perciò anch'essi gli dovevano esserere
fedeli nell'amore e nella servitù.Il Santo Sposo le chiedeva con
grande premura che cosa doveva fare per il suo Dio; e lei gli
rispondeva umilmente che Dio gradiva di essere servito con amore, con
fedeltà, e che in tutte le operazioni si procurasse di adempire la
sua divina volontà. E incominciava a discorrere su tutte le virtù
con le quali l'anima si rende capace di ricevere le grazie di Dio e
si rende a Lui gradita ed accetta, restando il Santo Sposo tutto
infiammato di amore di Dio per quello che udiva dalla sua Sposa. Le
parole della santa Sposa avevano una forza così grande che
infiammavano i cuori di chi l'udiva; molto più restava infiammato il
cuore del nostro Giuseppe che era già tutto acceso d'amore verso il
suo Dio, e godeva tanto nel sentire le parole della sua sposa Maria,
che se fosse stato in sua elezione, sarebbe stato ad udirla sempre,
di giorno e di notte senza curarsi di cibo nè di riposo.
Consolazioni
di Maria - Molte volte, mentre il Santo lavorava, quando si
ritrovava stanco ed afflitto, se ne andava subito a ritrovare la sua
Sposa per sollevarsi, ed alla sola vista di lei restava tutto
consolato. La santa Sposa lo consolava con molta grazia e l'animava
alla sofferenza nel travaglio e gli diceva: «Se si sperimenta tanta
consolazione solo nel parlare del nostro Dio, quale consolazione
saràil trattare con Lui, e il godere nel suo Regno la beata visione?
Preghiamo dunque con grande insistenza il nostro Dio affinchè si
degni inviarci presto il Messia promesso, perchè per suo mezzo noi
siamo fatti degni di entrare in Cielo, per goderlo qui eternamente».
E così entravano in discorso sulla venuta del Messia, e la Santa
Sposa si mostrava tanto ardente nel desiderio di questa venuta, che
ne accendeva il desiderio anche nel suo Sposo e gli diceva:
«Domandiamolo con grande insistenza, con viva fede, perchè il
nostro Dio vuole essere pregato con ardore». Ed il Santo le diceva
che lui fin dalla sua fanciullezza ne aveva avuto un vivo desiderio e
che sempre aveva pregato Dio con grande insistenza, e che dall'Angelo
gli era stato manifestato che Dio gradiva le sue suppliche e che
voleva esserne pregato, e la santa Sposa, benchè sapesse tutto
questo, si mostrava desiderosa sentire questo e ne godeva molto, e
diceva al suo Giuseppe: «Dunque animiamoci a domandare la grazia con
premura, tanto più che il nostro Dio lo gradisce e lo vuole». Si
univano insieme a fare la domanda e Dio gradiva molto le loro
suppliche e i desideri ardenti dei loro cuori.
Pazienza
di S. Giuseppe negli insulti - Mentre il nostro Giuseppe stava
in tanta felicità e consolazione del suo spirito, per la sorte
felice che aveva di trattare con la sua Santa Sposa, non gli
mancavano le afflizioni; e mentre stava nella sua piccola bottega a
lavorare, vi andavano alcuni a rimproverarlo perchè si fosse ridotto
in stato di tanta povertà, e perchè avesse dissipato tutte le
facoltà che il suo genitore gli aveva lasciato, e gli dicevano delle
parole pungenti e di scherno. Il Santo non rispondeva cosa alcuna,
soffrendo il tutto con grande pazienza e serenità; e da quelli era
trattato come un uomo di poco senno e gli dicevano che lui non
rispondeva, perchè conosceva il male che aveva fatto. Tuttavia il
Santo taceva, e offriva tutto al suo Dio, per amore del quale si era
ridotto in quello stato di povero, ed anche per suo amore tutto
soffriva. Andava poi dalla sua Sposa, e a lei raccontava tutto; e lei
l'animava alla sofferenza, e gli diceva che si rallegrasse di questo,
perchè dava gusto a Dio. A lei poi raccontava tutto quello che gli
era capitato alla morte dei suoi genitori, e come si era ridotto in
quello stato di tanta povertà, e la santa Sposa ne sentiva piacere e
lo consolava di nuovo. Alle volte poi il Santo si trovava sprovvisto,
e provava pena nei riguardi della sua Sposa perchè non le poteva
somministrare il vitto necessario, ma lei gli faceva tant'animo, e
con tanto modo l'esortava piuttosto a goderne che affliggersi, che il
Santo rimaneva tutto consolato ed ammirato dell'eroica virtù della
sua amata Sposa, e rivolto al suo Dio lo ringraziava affettuosamente
della grazia che gli aveva fatto nel dargli una sposa tanto santa e
tanto perfetta in ogni virtù.
Divini
soccorsi straordinari - Quando i Santi Sposi erano sprovvisti di
cibo, e non sapevano come poterlo trovare, la Santissima Sposa diceva
al suo Giuseppe di mettersi a tavola, e anche lei vi si metteva e
supplicava Dio di volersi degnare di consolare il suo Sposo Giuseppe,
che stava afflitto per la povertà e si trovava bisognoso di cibo. Poi
incominciavano a discorrere delle grandezze di Dio, e la Santa Sposa
ne parlava con tanto ardore, che il suo Giuseppe andava in estasi per
la gioia, e anche lei restava rapita in estasi e stavano in tal modo
per molto tempo, dove Dio faceva loro gustare la sua dolcezza e la
sua soavità in modo che, tornati dall'estasi, si trovavano sazi come
se si fossero cibati di vivande squisite e delicate; perciò la Santa
Sposa prendeva motivo da fare animo al suo Sposo e di rallegrarsi
quando si trovavano sprovvisti di tutto, perchè Dio stesso li avrebbe
saziati con la sua grazia. Il nostro Giuseppe restava sempre più
ammirato della bontà e della generosità del suo Dio e della
santità della sua Sposa, ed era certo che Dio per riguardo della sua
Sposa lo favoriva tanto, e gli si mostrava tanto e tanto generoso.
Altre volte poi, Dio li provvedeva per mezzo delle creature,
ispirando il cuore di qualche amorevole, a fare loro qualche
elemosina di quello che era loro necessario. Altre volte trovavano la
tavola apparecchiata con pane e frutta; tutto ciò veniva
somministrato loro per mano di Angeli. Tutto questo, però ,
succedeva quando, stando in estrema necessità, non avevano modo
alcuno per provvedersi; e quando succedeva loro questo, passavano poi
tutto il resto del giorno in continue lodi e ringraziamenti al loro
Dio.
Vita
paradisiaca - I Santi Sposi andavano così crescendo nella
pratica delle virtù, soffrendo con allegrezza la povertà,
umiliandosi sempre più al cospetto del loro Dio, e prestandosi fra
di loro un'esatta obbedienza. La Santa Sposa però si mostrava in
tutto singolarissima, in modo che era ammirata perfino dagli Angeli
stessi che le facevano corte. Crescevano altresì nell'amore verso il
loro Dio, e nei frequenti discorsi che facevano si andava accendendo
sempre il loro cuore, in modo che il soggetto e l'oggetto dei loro
pensieri, delle loro parole ed opere, altro non era che il loro
Creatore, da loro unicamente ed intensamente amato.
Progresso
di San Giuseppe - Quanto crebbe a meraviglia, il nostro
Giuseppe, nell'amore di Dio e nelle virtù, per la conversazione
della sua Santa Sposa, non è facile spiegarsi da lingua umana. Il
Santo riconosceva i grandi benefici che il suo Dio gli faceva e di
tutto gli si mostrava grato, ringraziandolo continuamente; e Dio lo
colmava sempre più di grazie e di celesti benedizioni.
Soccorso
dei poveri - Benchè poi fossero tanto poveri, non lasciavano di
fare l'elemosina; quando capitava loro il denaro per il lavoro che
facevano, ne davano sempre una parte ai poveri con loro molto gusto.
La Santa Sposa, però ,non volle mai prendere denaro alcuno del
lavoro che faceva, ma faceva prendere tutto al suo Sposo, affinchè
lui ne avesse disposto a suo piacere, e gli raccomandava solo
l'elemosina ai poveri; ed il Santo Sposo, che di questo ne aveva un
genio particolare, non lasciava di assecondare il desiderio della sua
Sposa e faceva larghe elemosine quando gli capitava il denaro,
servendosi solo di quel tanto che era necessario per il loro
mantenimento e niente più. Facevano l'elemosina con l'intenzione di
piacere di più a Dio e di muoverlo a volersi degnare di mandare
presto il Messia promesso, facendo per quest'effetto preghiere,
digiuni ed elemosine, sapendo che questo era gradito a Dio e che per
questo mezzo si muoveva facilmente a far grazie. Infatti i Santi
Sposi si mostravano in tutto e per tutto perfettissimi e molto
graditi a Dio, servendolo fedelmente e cercando, in tutte le loro
operazioni, il suo divino beneplacito, il suo gusto e la sua maggior
gloria, e Dio dava loro chiari segni e testimonianze di quanto gli
fossero gradite le loro operazioni, e quanto gustava della loro
fedele servitù.
Tentativi
del demonio - Il comune nemico fremeva, e tutto sdegno contro il
nostro Giuseppe e la sua Santissima Sposa, non potendo soffrire tanta
luce nel mondo, si trovava molto debilitato di forze per le virtù
mirabili dei due Santi Sposi, specie per l'ardente amore di Dio che
regnava nei loro cuori, come anche la loro umiltà, la loro purezza e
la loro astinenza. Non ardiva appressarsi con le tentazioni, perchè
era tenuto lontano da una forza superiore, perciò anche per questo
ne fremeva di rabbia. L'astuto malizioso procurò di trovare il modo
per mettere guerra fra i due Santi Sposi perchè, diceva il maligno,
come si rompe la carità fra di loro, facilmente avrò il mio intento
in tutto il resto; perciò istigò alcuni vicini dei Santi Sposi.
Mossi da invidia dell'unione e della carità che regnava fra di loro,
questi andarono più volte dal santo Sposo a parlargli della sua
Sposa e a mettergliela contro, e gli dicevano perchè stesse tanto
ritirata, perchè lavorasse così poco e non avesse più cura di lui
e lo servisse con più esattezza. Infatti gli dicevano varie cose,
tutte frivole, che però sembravano grandi per un cuore appassionato,
come era quello di questi istigati, e dicevano il tutto con tanta
premura che sembrava che il tutto fosse, non solo vero, ma anche
sufficiente a muovere a sdegno l'animo di Giuseppe verso la sua Santa
Sposa. La risposta, però ,che il Santo dava a questi, era tale che
restavano confusi e il demonio scornato, perchè lodava al sommo la
sua santa Sposa con brevi parole, per cui non ardivano più parlargli
di questo. Non mancarono altri che si misero a parlare male con la
Santissima Sposa e procurare di metterle in disgrazia il Santo, ma
siccome lei era illuminata e penetrava tutto, con le sue parole non
solo faceva restare confuso chi le parlava di questo, ma li faceva
ravvedere del loro errore, e se ne tornavano alle loro case tutti
cambiati, restando molto ammirati delle virtù, della prudenza e
della santitàdella Santissima Sposa. Così il nemico restava più
che mai confuso e infuriato, e la sua rabbia e il suo furore erano
assai più grandi verso la Santissima Vergine, mentre per le virtù
della medesima il nemico si trovava molto debilitato, e cercava ora
un modo ora un altro per disturbarla, ma non gli riuscì mai,
restando sempre più confuso. Non poteva capire da dove procedesse
tanta potenza sopra di lui nella santa Sposa, mentre la considerava
una creatura pura come le altre, non sapeva la virtù divina e la
pienezza della grazia che si trovavano nella sua anima. Lei poi,
quando si avvedeva che il nemico si infuriava più che mai contro di
lei, e contro il suo Sposo Giuseppe, l'avvisava con grande umiltà,
affinchè il suo Sposo fosse stato ben attento a guardarsi dalle
frodi del nemico, e insieme accrescevano le preghiere, i digiuni e
gli atti di umiltà per debilitare il nemico infernale, che rimaneva
sempre più abbattuto e scornato; e con questa pratica di virtù e di
orazioni si accrescevano per se stessi i meriti, e per i nemici
infernali le confusioni. Ogni volta, però , che il nostro Giuseppe
si trovava travagliato per mezzo di qualche creatura di cui il
demonio si serviva per disturbarlo, andava dalla sua Sposa e le
manifestava il tutto, ed era consolato e animato da lei a soffrire
con pazienza ogni travaglio, perchè così avrebbe dato gusto al suo
Dio. E il Santo rimaneva non solo consolato, ma molto animato a
soffrire tutto con pazienza e con allegrezza, crescendo sempre più
in lui l'amore e la stima verso la sua Santa Sposa.
Maria
lo consola - Alle volte il nostro Giuseppe era molto stanco per
la fatica che durava nella sua arte, perciò , dopo essersi molto
affaticato, se ne andava dalla sua Sposa e la pregava di dare qualche
sollievo alla sua stanchezza e di fargli la grazia di cantare qualche
lode al suo Dio. E la Santa Sposa lo compiaceva dolcemente cantando
le lodi divine, per cui il Santo andava in estasi per la dolcezza che
sentiva e dopo le diceva: «Mia sposa, tu sei sufficiente, solo col
tuo canto, a consolare qualsiasi cuore afflitto. Quanta consolazione
mi apporti! Quanto sollievo sento nella mia stanchezza! Che fortuna è
stata mai la mia di poterti parlare, di poterti sentire! E se la sola
vista di te mi apporta consolazione, puoi credere quanto sia
consolato nel sentirti. Ma che farò mai io per il nostro Dio che si
è degnato di farmà tanta grazia?». E la Santa Sposa
prendeva motivo, da queste parole, di dare lode a Dio, datore di ogni
bene, ed esortava il suo Sposo ad accendersi sempre di più
nell'amore di Dio e ad essergli grato, perchè - diceva lei, -
infonde in me queste grazie perchè tu resti consolato nelle tue
afflizioni e sollevato nei tuoi travagli; così il Santo si andava
sempre più accendendo nell'amore e nella gratitudine verso Dio, e
restava sempre più ammirato della virtù della sua Santissima Sposa.
Capitolo XX - S. Giuseppe desidera la venuta del Messia
Desidera
il Messia - Nel cuore della Santissima Vergine si andava
accendendo il desiderio della venuta del Messia, in modo tale che
stava tutta impiegata a porgere calde suppliche al suo Dio, affinché
lo inviasse presto, e con il suo Sposo Giuseppe ne parlava
continuamente, narrandogli la sua brama ardente; perciò il nostro
Giuseppe, nel sentirla tanto bramosa, si andava anch'egli accendendo
sempre più in questo desiderio, e, rivolto al suo Dio, gli diceva
spesso con grande confidenza: «O mio Dio, è ormai tempo che si
adempia la tua promessa e che mandi al mondo il desiderato e
aspettato Messia, affinché redima il tuo popolo e tutto il mondo,
che vive in schiavitù. Tu vedi quanto pochi sono quelli che ti
conoscono e che ti amano, per cui è ben dovere che ci mandi quello
che farà conoscere al mondo il tuo nome e la tua potenza, la tua
bontà, la tua misericordia con tutte le tue divine perfezioni: e
solo il tuo Unigenito sarà capace di far questo e di insegnare a
tutti la vera strada che conduce alla salvezza». Poi, rivolto alla
sua Sposa, le diceva: «Tu, mia sposa e colomba, supplica con
insistenza il nostro Dio, perché Egli ti ama molto, e non è
possibile che non ascolti le tue suppliche».Allora la Santa Sposa si
umiliava, e narrava con grande ardore il suo desiderio e gli diceva:
«Stiamo uniti in questa domanda, non cessiamo mai fin tanto che non
sono adempite le nostre suppliche; il nostro Dio è buono, non
mancherà di esaudirci». Giuseppe incominciava a narrarle quel tanto
che l'Angelo gli aveva detto più volte nel sonno circa il Messia
promesso, e delle virtù che il detto Messia avrebbe avuto e
praticato. La Santa Sposa stava a sentirle con molto gusto, e diceva
al suo Giuseppe che gliene parlasse spesso, perché lei sentiva molta
consolazione nell'udirlo ragionare di questo. Con i continui discorsi
che facevano di questo vi accompagnarono più frequenti le orazioni,
i digiuni e le elemosine, e fra di loro dicevano: «Se mai avremo la
sorte di sapere che il Messia sia venuto al mondo, noi certo andremo
subito ad adorarlo e ad esibirgli la nostra servitù, supplicandolo
di volerei ammettere nel numero dei suoi schiavi e servi, benché
minimi, e sarà nostra fortuna se ci accetterà; ed in qual parte del
mondo Egli verrà, noi subito andremo a ritrovarlo senza dimora. Oh!
Noi felici e beati, se saremo fatti degni di tale sorte, che i nostri
occhi abbiano a vederlo, e le nostre orecchie udire le Sue parole!».
Suppliche
esaudite - Dio si mosse alle continue suppliche della Santissima
Vergine, che erano tanti dardi che giungevano al trono della
Divinità, ed accelerò il tempo della venuta. Erano anche molto
gradite a Dio le suppliche del nostro avventurato Giuseppe; perciò
Dio, mosso dalle replicate né mai interrotte istanze, determinò di
inviare il Messia promesso. Non cadde mai nel pensiero né alla
Santissima Vergine, né a S. Giuseppe, che una così grande grazia
fosse riservata per loro, cioè che il Messia sarebbe nato da loro e
avrebbe preso carne umana nel seno della Santissima e purissima
Fanciulla Maria, perché, siccome erano umilissimi, si riconoscevano
appena degni di essere suoi servi. Arrivato pertanto il tempo
destinato a fare un così grande beneficio al mondo, ed essendo
arrivate le brame ardenti della Santissima Vergine al sommo, il Verbo
Divino si incarnò e prese carne umana nel grembo di Maria Vergine,
come è già ben noto a tutto il mondo.
Incarnazione
del Verbo - Quello che seguisse nell'Incarnazione circa la
Santissima Vergine, non è necessario narrarlo in questa storia,
perché è già scritto in molti luoghi, e in particolare nella vita
di Maria Santissima; dirò solo quello che capitò al nostro
Giuseppe, il quale, avendo passato quasi tutto il giorno precedente
in sacri colloqui con la sua Santissima Sposa e in ardenti brame di
questa venuta del Messia al mondo, si ritirò la notte tutto acceso
di questo desiderio, ed avendo riposato alquanto, l'Angelo gli parlò
nel sonno e gli disse: «Giuseppe, presto alzati e supplica Dio con
ardore, perché ha destinato di fare un gran bene a tutto il mondo»,
-ma non gli disse che cosa. Subito il Santo si destò, ed alzatosi si
mise in preghiera, non potendo fare altra supplica, che supplicare
Dio affinché si fosse degnato di mandare al mondo il Messia
promesso. E quando il Verbo Eterno si incarnò, il nostro Giuseppe
stava in orazione, pregando per questo, come vi stava anche la sua
Santissima Sposa, che per tutta quella notte aveva pregato e
supplicato.
Estasi
di Giuseppe - Nell'Incarnazione che si fece del Verbo divino, il
nostro Giuseppe fu elevato in estasi, per l'insolita consolazione di
spirito che intese in quell'istante, ed in questa estasi conobbe
grandi misteri circa la detta Incarnazione, ma non gli fu mai
manifestato che la sua Sposa era la fortunata destinata madre del
Verbo Divino. Gli fu bensì manifestato quanto Lei fosse cara e
gradita al suo Dio, e come le suppliche di lei erano giunte a
penetrare nel cuore di Dio e compiegatolo ad esaudirla nelle sue
domande circa l'acceleramento dell'Incarnazione. Il nostro Giuseppe,
tornato pertanto dall'estasi, rese affettuose grazie al suo Dio, e
non vedeva l'ora di andare a darne ragguaglio alla sua amata Sposa
Maria affinché lei si rallegrasse della grazia che Dio gli aveva
fatto nell'estasi avuta, e che lei lo ringraziasse a suo nome.
Attende
la Sposa - Quella mattina la Santissima Sposa tardò alquanto ad
uscire dal suo ritiro, mentre stava tutta immersa nel gaudio del suo
Dio ed applicata alle adorazioni e ai ringraziamenti del beneficio
ricevuto; così il Santo Sposo, che non sapeva niente di questo, si
immaginava che Lei si tratteneva in preghiera, e non ardiva
disturbarla. Perciò aspettò con grande pazienza ed anche con molta
rassegnazione che la sua Santa Sposa uscisse dal suo ritiro, ed in
quel tempo la raccomandava al Signore affinché l'avesse sempre più
ricolmata delle sue grazie e dei suoi favori, conoscendola già
meritevole di grazie e di doni celesti, sia perché già vedeva le
sue rare virtù, come anche perché gli era chiaramente manifestato
da Dio il suo gran merito e la sua sublime santità.
Prudenza
di Maria - Mentre il nostro Giuseppe stava aspettando la sua
Santa Sposa per narrarle quel tanto che gli era occorso, la purissima
Vergine uscì già fatta Madre del Verbo Divino, avendolo concepito
per opera dello Spirito Santo; uscì dal suo ritiro, come era solita,
non dando al suo Sposo dimostrazione alcuna di quanto in lei era
seguito, ed essendo prudentissima, tenne sempre celato il segreto del
Re, aspettando che Dio l'avesse manifestato al suo Giuseppe quando
fosse stato necessario che egli lo sapesse.
Stupore
di Giuseppe - Al suo primo aspetto, il Santo Sposo la vide più
bella e graziosa del solito, col volto ricoperto di chiarore e ne
restò ammirato, sentendo in se stesso una venerazione molto grande
verso la sua Sposa, ma credette che lei avesse avuto qualche estasi
ed avesse trattato con Dio nella preghiera. Il suo pensiero non si
inoltrò più di tanto, e siccome aveva un gran desiderio di parlare,
non avvertì più di tanto quegli effetti mirabili che scorgeva in
lei. Fu lei la prima a salutarlo, come era solita, e benché fosse
già eletta a un posto così degno e sublime, non lasciò di
umiliarsi, anzi si mostrava umile più che mai. Per la gioia che la
santa Sposa teneva racchiusa nel suo seno verginale, ne traspariva
anche nell'esterno; per cui i suoi occhi sfavillavano, ma
l'accortissima Sposa li teneva modestamente socchiusi, affinché il
suo Giuseppe non ne prendesse ammirazione, e tratteneva l'impeto
dell'amore per non dimostrare nell'esterno la letizia e il giubilo
del suo cuore e del suo spirito. Il nostro Giuseppe le rese il saluto
con più ossequio del solito, perché ammirava in lei la grandezza
della grazia divina, e subito le narrò quel tanto che l'Angelo gli
aveva detto nel sonno e quello che nella preghiera aveva gustato e
udito, dicendole anche: «Io credo, mia Sposa, che anche tu sia stata
molto favorita dalle solite grazie del nostro Dio, perché ne scorgo
in te chiari segni. E se sono stato tanto favorito io, che sono un
miserabile, quanto sarai stata favorita tu, che sei tanto amata dal
nostro Dio e che ti ha arricchito di tante grazie?».
Comune
ringraziamento - A queste parole la Santissima Sposa chinò la
testa, e supplicò il suo Giuseppe di volersi accontentare di dar
lode a Dio insieme a lei e ringraziarlo di tutte le grazie che faceva
ad ambedue. Il Santo fu contentissimo di questo invito, e si unirono
a cantare le divine lodi e a fare atti di ringraziamento, e la santa
Sposa gli disse: «Poiché l'Angelo ti ha detto che il nostro Dio ha
fatto un beneficio grande al mondo, noi dobbiamo ringraziarlo per
questo in particolare e farlo anche in nome di tutto il mondo, perché
chissà se ci sia al mondo alcuno che lo ringrazia e gli si mostri
grato, tanto più se questo beneficio sia nascosto al mondo; e mentre
l'Angelo non te l'ha manifestato, senza dubbio sarà nascosto al
mondo. Ringraziamolo dunque insieme a nome di tutto il genere umano».
Per queste parole il Santo restò molto consolato, e la divina Sposa
compose i cantici di lode, e li diceva con il suo sposo Giuseppe
insieme ai cantici di ringraziamento e così si trattennero per un
pezzo, restando il nostro Giuseppe molto ammirato della virtù e
della grazia della sua divina Sposa, e dentro di sé ne dava lode a
Dio e lo ringraziava di tutto quello che compartiva alla sua Sposa.
Quando ebbero terminato le divine lodi e i ringraziamenti, il nostro
Giuseppe se ne andò a lavorare e la Santissima Vergine rimase a fare
i soliti uffici di casa, e benché avesse nel suo seno verginale il
divin Verbo Incarnato, non tralasciò di fare quel tanto che faceva
prima, servendo il suo Sposo Giuseppe con tutta esattezza, e nel
considerarsi vera madre del Verbo Incarnato, non lasciava di
riconoscersi umile ancella.
Attrazioni
di Giuseppe - Il nostro Giuseppe stava applicato al suo lavoro e
si sentiva attirare da un insolito affetto e desiderio di andare a
trovare la sua Sposa. Sentiva verso di Lei un amore più potente, più
ossequioso e sempre più santo, per cui non poteva starne lontano, se
non col farsi molta violenza, mentre quel Dio incarnato nelle viscere
della sua Santa Sposa attirava a sé il suo spirito, e benché a lui
fosse celato il mistero, tanto l'amore faceva il suo ufficio di
volere che gli oggetti amati stessero presenti, godendo uno della
visione dell'altro. Giuseppe godeva molto nel trattenersi con la sua
Santa Sposa, di un insolito e dolce godimento. Il Verbo Divino
gradiva di avere ossequioso avanti a sé il suo amato Giuseppe, che
andava sempre più ricolmando delle sue grazie. La divina Madre
capiva tutto questo, e anch'ella ne godeva molto. Il nostro Giuseppe
manifestò alla sua Sposa quel tanto che sentiva e le disse che lo
perdonasse se le era molesto con le continue visite che le faceva e
se disturbava la sua quiete, perché lui non poteva farne a meno,
sentendosi attirare con violenza ad andarla spesso a vedere, e che
quando stava alla sua presenza sentiva un'insolita consolazione, che
non aveva mai inteso nel passato. La sua Sposa si mostrò molto
cortese, e gli disse che fosse pure andato senza timore di apportarle
pena, perché ogni volta avrebbero detto qualche inno di lode alloro
Dio, affinché essendo da essi lodato, venissero a meritarsi la Sua
grazia e il Suo favore. Il Santo, animato per le parole della
purissima Sposa, vi andava senza timore e con sua molta consolazione,
e ogni volta che l'andava a trovare gli sembrava più bella e più
colma di grazia e gli apportava più venerazione.
Pena
e sottomissione di Giuseppe - Questa consolazione durò breve
tempo per il nostro Giuseppe, perché avendo detto l'Angelo alla
Santissima Vergine quando l'annunciò, che la sua parente Elisabetta
era gravida da sei mesi, la Vergine volle andarla a visitare,
conoscendo essere questa la volontà del Verbo Incarnato che voleva
andare di persona a santificare il suo Precursore Giovanni; così
l'Angelo parlò al nostro Giuseppe nel sonno, e gli manifestò come
la loro parente fosse gravida e come doveva condurre da lei la sua
Sposa affinché l'avesse assistita per quei tre mesi che rimanevano.
Questo avviso fu una spada al cuore del nostro Giuseppe, al pensiero
di dovere per quel tempo rimanere privo della sua sposa Maria. Però
chinò la testa agli ordini divini e si uniformò alla volontà del
suo Dio. Manifestò alla sua Sposa quel tanto che l'Angelo gli aveva
detto, e la sua Sposa lo pregò di condurla presto dalla parente
Elisabetta, perché anche lei conosceva essere quella la volontà
divina, e vedendo il suo Giuseppe tanto afflitto, l'animò e gli
disse: «Non temere, perché io terrò continua memoria di te, non
lascerò di raccomandarti a Dio; e poi, terminati i tre mesi,
torneremo di nuovo a trattare insieme e a lodare e servire insieme il
nostro Dio. Intanto non si dividerà né si scompagnerà il nostro
spirito e il nostro amore verso l'oggetto da noi amato che è il
nostro Dio, degnissimo di ogni lode, amore e fedele servitù. Ora con
questa lontananza ci vuoI far provare se noi siamo fedeli a Lui, se
ci uniformiamo alla sua volontà; e noi siamo in obbligo di mostrarci
fedelissimi, perché lo merita e perché godiamo dei suoi favori e
delle sue grazie molto più di ogni altra creatura». Il nostro
Giuseppe rimase molto confortato per le parole della Santissima
Sposa, e contento di adempire la volontà divina, privandosi
volentieri della compagnia della sua Sposa a lui tanto cara e di sua
tanta consolazione, preferendo al suo gusto quello di Dio e
assoggettandosi subito al volere divino. La Santissima Vergine
godette molto nel vedere il suo sposo Giuseppe tanto uniformato alla
volontà divina e ne rese affettuose grazie all'Altissimo
Capitolo XXI - S. Giuseppe e la Santissima Vergine visitano Santa Elisabetta
Accondiscendenza
di San Giuseppe - Accordati già i Santi Sposi, Maria e
Giuseppe, di partire da Nazareth per andare a visitare la parente
Elisabetta, e stabilita l'ora della partenza, prima di partire si
raccomandarono molto a Dio, supplicandolo del suo aiuto in quel
viaggio. Il Santo Sposo sentiva rincrescimento nel condurre la sua
Sposa per quelle strade tanto disastrose, perché, essendo tanto
gentile, temeva che potesse patire nel viaggio, e non mancò di
manifestare alla sua Sposa la pena che sentiva di questo. Lei però
gli fece animo e lo assicurò che il viaggio sarebbe stato
felicissimo, perché essi adempivano in quello la volontà divina e
che perciò Dio non avrebbe mancato di assisterli e provvederli. Così
Giuseppe si consolò per le parole della sua Santa Sposa. La
Santissima Vergine si mostrava desiderosa di partire, perché ben
sapeva la causa per la quale andava dalla parente, e che il Verbo
Incarnato nel suo purissimo grembo voleva andare di persona a
santificare il Precursore Giovanni Battista; per cui era bramosa che
si eseguisse presto la volontà divina e che il Precursore restasse
santificato. Il nostro Giuseppe conobbe il desiderio della sua Sposa,
e le chiese perché si volesse portare con tanta allegrezza in un
luogo tanto disastroso. «Forse per soffrire gli incomodi che sono
soliti soffrirsi nel viaggiare, - le disse il Santo Sposo, - perché
sei bramosa di soffrire per amore del nostro Dio?»; al che la
Santissima Vergine rispose che bramava di partire presto per adempire
con tutta sollecitudine la volontà divina. E di fatto questa era la
causa primaria del suo desiderio, tacque però il resto, perché i
segreti che il Verbo Incarnato le manifestava, li conservava tutti
nel suo cuore, e non li scopriva mai.
In
viaggio - li nostro Giuseppe, sentendo il motivo delle brame
della sua Sposa, si accese anche lui di questa brama, e con grande
allegrezza e sollecitudine se ne partì, col motivo di adempire la
volontà divina; perciò, domandata la benedizione a Dio prima
insieme, la Santa Sposa volle umiliarsi e domandare la benedizione al
suo Sposo Giuseppe, che gliela diede con grande affetto e tenerezza
di cuore. Il Santo non poteva negarle cosa alcuna, perché domandava
tutto con tanta grazia, con tanto modo, e con tanta umiltà, e
piangeva per la tenerezza nel vedersi genuflessa ai suoi piedi quella
vaga, nobile ed umile Fanciulla. Quando il nostro Giuseppe ebbe dato
la benedizione alla sua Santa Sposa, partirono con sollecitudine. La
divina Sposa affrettava i passi, perché era portata con velocità
dallo spirito di quel Dio che abitava nel suo seno. Anche il nostro
Giuseppe si affrettava nel cammino senza sentire noia o stanchezza
alcuna, anzi sentiva una grande allegrezza di cuore. Andava
discorrendo con la sua Santa Sposa dei divini misteri, delle divine
perfezioni, e con questi sacri discorsi faceva tanto cammino senza
neppure accorgersi; per cui il Santo Sposo ne restava stupito, e lo
diceva sovente alla sua Sposa, che ne prendeva motivo di lodare e
benedire Dio; e diceva al suo Giuseppe: «Vedi com'è buono il nostro
Dio, come benedice le nostre opere, come ci dà la forza e la grazia
di fare quel tanto che Lui vuole da noi? Lodiamolo dunque insieme!».E
qui si mettevano a recitare le lodi divine. Poi il nostro Giuseppe
pregava la sua Sposa di voler cantare qualche lode al suo Dio, mentre
in quella solitudine non era udita da nessuno. La Santa Sposa
obbediva, e cantava dolcemente le lodi al Verbo Divino che
racchiudeva nel seno. Il fortunato Giuseppe se ne andava in estasi
per la dolcezza, e camminava molte miglia del tutto astratto e rapito
in estasi; e allora la divina Madre cantava altre lodi al Verbo
Incarnato in ringraziamento del beneficio fatto a lei e a tutto il
mondo insieme; queste però, il santo Sposo non le sentiva. I nostri
viandanti erano accompagnati da una moltitudine di Spiriti Angelici,
che facevano corte alloro Re e alla loro Regina, e anche questi
cantavano inni di lode, che la divina Madre sentiva. Uscivano a
schiere anche gli uccellini e facevano canti armoniosi alloro
Creatore; questi però erano uditi anche dal nostro Giuseppe, il
quale si meravigliava e rivolto alla sua Sposa diceva:«Vedi, mia
Sposa, come questi animaletti ci invitano con il loro canto a lodare
il nostro Dio? ». Il nostro Giuseppe credeva che Dio operasse quei
prodigi per amore della sua Santa Sposa, ed era certo di questo,
benché a lei non lo manifestasse. Restava sempre più consolato
della felice sorte che gli era toccata e della grazia che Dio gli
aveva fatto di dargliela per compagna e gliene rendeva affettuose
grazie. Così fecero questo viaggio con grande letizia. Nella notte
poi, si posavano nei luoghi che trovavano capaci, si rifocillavano
con poco pane ed acqua, e solo il nostro Giuseppe prendeva qualche
cosa di più secondo la necessità che ne aveva; e la sua Santa
Sposa, che era tutta carità, lo pregava di rifocillarsi con qualche
cosa di più per potersi mantenere le forze corporali, ed il Santo la
compiaceva quando ne sentiva il bisogno. Il loro riposo della notte
era per un pezzo il recitare le lodi divine, poi si stavano a sedere,
e così in quella posizione il nostro Giuseppe si addormentava per
poche ore e la Santissima Vergine si tratteneva in sacri colloqui col
suo Dio. Anche lei prendeva qualche quiete di sonno, ma molto breve,
benché nel sonno stesso amasse il suo Dio e trattasse con Lui.
In
casa di Giovanni - Terminato il viaggio, i Santi Sposi se ne
andarono addirittura a casa di Zaccaria. Il Santo Sposo Giuseppe
entrò con la sua Sposa Maria Santissima. Giuseppe si fermò a
salutare Zaccaria, e S. Elisabetta, presa da un impeto d'amore
comunicatole dallo Spirito Santo corse ad abbracciare la divina
Madre, e nel vederla fu illuminata e conobbe essere quella vergine
sua parente la vera Madre del Verbo divino fatto Uomo. La Santissima
Vergine salutò prima la sua parente Elisabetta, col titolo madre del
grande Profeta e Precursore, e S. Elisabetta rese il saluto alla
Santissima Vergine chiamandola Madre del Verbo Divino ed esclamò: «A
che debbo che la madre del mio Signore venga a me?». Tutto questo
non fu udito da alcuno, perché tutti quelli di casa si trattenevano
con S. Giuseppe e Zaccaria che, essendo muto, non si capiva che a
cenni; per cui stavano tutti intorno a lui perché Giuseppe capisse
quello che Zaccaria gli manifestava. Qui la Santissima Vergine
compose quel famoso cantico, e mentre occorse tutto ciò, si
manifestò il Verbo Divino che stava nel seno della Santissima
Vergine, si manifestò a Giovanni, avendo prima, il Verbo divino,
impetrato dal divin Padre questa grazia al suo Precursore, cioè di
rimanere santificato nel seno materno ed accelerato l'uso della
ragione e conoscere il suo Dio incarnato prima di venire alla luce.
Ottenuta dal Divin Padre questa grazia, il Verbo Incarnato la fece
subito al suo Precursore, facendoglisi conoscere con chiarezza e
santificandolo nel medesimo istante. Giovanni esultò e adorò dal
seno materno il suo Redentore; giubilò e fece gran festa sentendolo
anche la madre. Fece atti di ringraziamento per il beneficio così
singolare e si offrì tutto al suo Divin Redentore e Santificatore; e
il Verbo Incarnato rese grazie al Divin Padre, da parte del
Precursore già santificato dal beneficio ricevuto. Fatti i
complimenti accennati, S. Elisabetta si ritirò con la Santissima
Vergine e si trattennero in sacri colloqui. Anche il nostro Giuseppe
fu ricevuto con dimostrazioni di affetto singolare, tanto da Zaccaria
come da Elisabetta e da tutte le persone di quella casa, perché
nell'entrare dei due santi Sposi vi entrarono un'allegrezza e un
giubilo incomparabile. La Madre del Verbo Divino restò qui per tre
mesi, per la consolazione della sua parente e di tutta quella casa,
che rimase santificata per le virtù mirabili che la Santissima
Vergine operò qui, e che sono narrate nella sua Vita.
Partenza
di Giuseppe - Il nostro Giuseppe doveva già tornarsene a
Nazareth per ritornare poi a prendere la sua divina Sposa e condurla
di nuovo a casa sua. Stabilita l'ora della sua partenza, fu di sommo
dispiacere di tutta quella casa, perché desideravano che si fosse
trattenuto qui con la sua Santa Sposa, ma il nostro Giuseppe volle
partire per adempire la volontà divina. Raccomandò caldamente la
sua Santa Sposa ad Elisabetta e a tutte le persone di quellacasa,
dicendo loro che quello era il suo tesoro, e che lasciandola qui vi
restava anche il suo cuore, perciò li pregava di averne tutta la
cura. Parlò poi con la sua Santa Sposa e la supplicò di non
dimenticarsi di lui, dicendole che partiva molto triste senza di lei
e che avrebbe passato quel tempo in grande tristezza, mentre era
privo di tutta la sua consolazione. Il Santo fu animato e confortato
molto dalla sua Santa Sposa, e fu assicurato del ricordo che avrebbe
tenuto di lui. Il Santo partì con il corpo, ma rimase lì con il
cuore.
In
cammino - Si mise in cammino assistito dalla grazia del suo Dio
e dalle orazioni della sua Santa Sposa, che non tralasciava di
raccomandarlo con premura affinché Dio l'avesse assistito e gli
avesse dato lo spirito per soffrire la lontananza della sua persona.
Dio, però, non mancò di esaudire le suppliche della Santissima
Vergine, ed il nostro Giuseppe sperimentò un'assistenza particolare,
così nel viaggio, come nel resto del tempo. Fin tanto che il nostro
Giuseppe poteva vedere la casa di Zaccaria, non tralasciava di
rivolgersi a guardarla per la consolazione che ne sentiva stando lì
la sua amata Sposa Maria Santissima. Il Santo, nel viaggio, andava
considerando ad una ad una in particolare, le virtù della sua Santa
Sposa, e la benediceva e rendeva grazie al suo Dio perché l'aveva
ricolmata di tante e così sublimi virtù ed ornata di tanta grazia,
e così si andava consolando. Anche il pensiero che aveva di dovere
presto ricondurla a Nazareth, gli faceva mitigare la pena che aveva
sentito nel restarne privo. Nel pensare poi alle sue virtù, sentiva
tanta consolazione e tanta dolcezza di spirito, che si rallegrava
tutto, perciò fece quel viaggio con molta consolazione benché fosse
solo, sembrandogli che il pensare alla sua Sposa fosse lo stesso,
quasi che averla presente, e questa grazia gliela impetrò la sua
Santa Sposa.
A
Nazareth - Arrivato a Nazareth, il nostro Giuseppe non tralasciò
affatto di operare quel tanto che era solito fare quando c'era la sua
Sposa Maria Santissima. Spendeva il tempo in preghiera, nel recitare
le lodi divine. Supplicava per la venuta del Messia, si impiegava già
nel lavorare e faceva delle elemosine, secondo la possibilità che
aveva. Il nostro Giuseppe era assistito da un'amorevole vicina in
quello che gli era necessario per il vitto, benché il Santo facesse
frequenti digiuni. Mentre lavorava si trovava afflitto dalla
stanchezza o da qualche tedio, e non avendo la consolazione di poter
trattare con la sua Santa Sposa, se ne andava nella piccola stanza
dove lei dimorava quando c'era, e qui si metteva genuflesso e pensava
come in quella stanza la sua Santa Sposa si tratteneva in continue
orazioni e colloqui col suo Dio; per cui tutto piangente si
raccomandava a Dio e lo pregava del suo aiuto. Qui il nostro Giuseppe
trovava tutte le sue delizie, perché bene spesso fosse rapito in
estasi e ne sperimentava molta consolazione, perché già in quella
stanza si era operato il grande mistero dell'Incarnazione, e Dio
favoriva molto quel luogo spargendovi le sue grazie e le sue celesti
benedizioni. Avvedutosi di questo, Giuseppe, ogni volta che si
trovava afflitto o travagliato, se ne andava in quella stanza e
restava consolato, e credeva che così fosse perché qui aveva
dimorato la sua Santa Sposa, e che perciò quel luogo fosse rimasto
santificato, come di fatto lo era.
È
deriso - Al nostro Giuseppe, in assenza della sua Sposa, non
mancarono dei travagli perché, saputosi per la città che lei era
partita e rimasta dalla parente, molte persone, istigate dal demonio,
andavano alla bottega del nostro Giuseppe e qui lo deridevano e lo
motteggiavano perché aveva lasciato la sua Sposa in casa d'altri. Il
Santo soffriva con pazienza, non rispondeva, né si risentiva dei
motti pungenti. Altri col pretesto di compassione e di benevolenza
l'andavano a trovare e biasimavano la sua Sposa perché l'aveva
lasciato solo, perché avrebbe patito molto. Queste parole contro la
sua Sposa gli ferivano il cuore, il Santo non voleva sentirle, però
con bel modo li licenziava e li riprendeva affinché andassero
riguardati nel parlare e perché non offendessero Dio. Il nostro
Giuseppe passò molti di questi travagli per quei tre mesi che dimorò
senza la sua Santa Sposa, che già vedeva tutto quello che il suo
Sposo soffriva e lo teneva molto raccomandato a Dio, impetrandogli la
fortezza e la sofferenza.
Come
viene consolato - Il suo Angelo, poi, gli parlava molto spesso
nel sonno e gli dava notizie della sua Sposa, l'assicurava
dell'assistenza delle sue orazioni e gli diceva come sempre più
andasse crescendo nelle virtù, nell'amore e nella grazia del suo
Dio, per cui il nostro Giuseppe procurava di imitarla, benché
lontano da lei e si accendeva in lui il desiderio di rivederla presto
per trattarci, così spesso sospirava l'ora bramata del suo ritorno.
La divina Madre non mancava di inviare spesso anche gli angeli che le
facevano corte, affinché con le loro ispirazioni avessero consolato
il suo Giuseppe, specie quando si trovava in afflizioni, così il
nostro Santo ebbe molti aiuti per mezzo della sua Sposa e in varie
occasioni fu consolato e confortato; ma la consolazione maggiore che
il nostro Giuseppe sperimentò fu il trattenersi a pregare nella
stanza della sua divina Sposa, mentre qui, come dissi, il suo spirito
rimaneva colmo di consolazione, e per i continui rapimenti che gli ci
accorrevano veniva anche illuminato a capire molti misteri divini.
Restava anche molto sollevato e contento quando l'Angelo gli parlava
nel sonno e gli dava notizie della sua Sposa e l'assicurava del
ricordo che teneva di lui e che pregava molto per lui. Il Santo
conosceva le molte grazie che Dio gli compartiva, e gli si mostrava
grato nel ringraziarlo affettuosamente, riconoscendo il tutto dalla
bontà del suo Dio e dai meriti della sua santa Sposa, per cui si
applicava anche lui a supplicare Dio per lei, affinché venisse
sempre ricolmata di doni e di grazie e che in lei si accrescesse
sempre più l'amore verso il suo Dio.
Parla
di Maria e si intrattiene con lei - La divina Madre vedeva tutto
questo e si mostrava grata al suo Giuseppe impetrandogli nuove
grazie. A volte poi, si tratteneva con quell'amorevole che lo
assisteva, a discorrere delle virtù della sua sposa Maria, e poiché
quella era una persona molto timorata di Dio ed affezionata ai santi
Sposi, conosceva la loro virtù e la loro santità in qualche parte e
perciò lodava molto la Santissima Vergine, quando ne discorreva col
nostro Giuseppe; ed egli ne sentiva somma consolazione e piangeva per
la gioia, e si accendeva di desiderio di ricondurla presto nella sua
casa per avere la sorte di trattare con Lei, e spesso, sospirando fra
sé, diceva: «O mia amata Sposa, quando sarò fatto degno di
rivederti in casa, e trattenermi con te in sacri colloqui? Oh,
castissima e purissima colomba! Tu sei lontana da me, ma il mio cuore
sta con te, e ti amo tanto perché sei veramente santa e perché il
nostro Dio ha depositato in te il tesoro di tante grazie. Credo che
questo mio amore che non dispiacerà al nostro Dio, perché appunto
per questo io ti amo tanto, perché in te scorgo l'abbondanza della
grazia divina, e come il nostro Dio abita in te per amore, cosicché
nella tua persona io intendo amare il nostro Dio, amando la sua
grazia, il suo amore; e desidero il tuo ritorno per potermi sempre
più accendere nell'amore del nostro Dio, mentre le tue parole sono
tanti dardi che accendono nel Suo amore; le tue mirabili virtù sono
tanti stimoli al mio cuore per farmi avanzare nella perfezione e
nella pratica di quelle virtù di cui tu sei tanto ripiena». Così
parlava il nostro Giuseppe, fra sé, con la sua Santa Sposa, alla
quale, benché da lontano, tutto era noto, e indirizzava al suo Dio
tutte le lodi che le dava il suo Sposo, confessandosi davanti a Dio
umile ancella mentre il suo Dio era degno di ogni lode: e a Lui dava
lode, onore e grazie. Lo pregava per il suo Sposo Giuseppe e gli
impetrava sempre più nuove grazie e favori, ed il nostro Giuseppe lo
sapeva e perciò ne rendeva grazie a Dio. Corrispondeva alle grazie
che la sua Sposa gli impetrava pregando continuamente per Lei.
Sua
vita caritatevole - Il nostro Giuseppe non tralasciò poi mai di
fare quel tanto che era solito fare prima che si sposasse con la
Santissima Vergine, anzi, dopo lo praticò con più perfezione;
questo era di assistere con le sue ferventi preghiere i poveri
moribondi e domandare con grande insistenza a Dio la loro salvezza
eterna e la liberazione dagli assalti dei nemici infernali e la
fortezza per vincerli. Pregava anche con grande insistenza per i
peccatori, affinché si convertissero alla penitenza e lasciassero la
colpa. Alle suppliche aggiungeva le vigilie della notte, il digiuno,
le elemosine, e non cessava di supplicare con caldi sospiri e
abbondanti lacrime per la salvezza di tante anime che stavano sepolte
nelle tenebre dell'idolatria, desiderando sempre più la venuta del
Messia promesso, affinché con la sua divina luce e sapienza
illuminasse tutti quelli che si trovavano sepolti nelle tenebre e
nelle ombre della morte. Il nostro Dio gradiva molto le suppliche del
suo fedele servo, che perciò lo ricompensava tanto con grazie
particolari e sublimi favori e tanto l'andava arricchendo di meriti
accrescendo sempre in lui questi desideri per farlo degno di meritare
sempre più e di essere ricolmo di grazie.
Capitolo XXII - Dopo tre mesi S. Giuseppe va a riprendere la sua Santissima Sposa Maria
Parte
da Nazareth - Essendo vicino il termine di tre mesi destinati
alla dimora di Maria Santissima in casa della parente Elisabetta, la
notte l'Angelo parlò al nostro Giuseppe e gli ordinò di andare a
prendere la sua Sposa e di condurla a Nazareth, perché così
ordinava Dio. Il Santo stava già in pensiero di andare, ma aspettava
appunto l'ordine dall'Angelo, così come l'aveva avuto di condurvela.
Il nostro Giuseppe si rallegrò molto a quest'avviso e il suo cuore
giubilò per vedersi giunto il tempo della bramata consolazione di
ricondurre a casa la sua amata purissima Sposa, perciò non si
trattenne affatto, ma subito, alzato il giorno, quando ebbe fatto le
sue solite orazioni, si mise in cammino con grande allegrezza,
pensando già che la sua Sposa gli avrebbe impetrato la grazia dal
suo Dio di arrivare felicemente. Non sbagliò in questo, perché di
fatto la divina Madre, che vedeva tutto in spirito, non lasciò di
pregare per il suo fedelissimo Sposo Giuseppe affinché in quel
viaggio fosse assistito e protetto dalla grazia divina. Non furono
vane le sue suppliche, perché il nostro Giuseppe ebbe un'assistenza
particolare in quel viaggio e fu anche favorito di molte grazie. Il
Santo Sposo affrettava i passi ma era più portato dall'amore e dal
desiderio che aveva di rivedere presto la sua amata Sposa. Teneva
fisso il pensiero in Dio, che era l'oggetto primario del suo amore;
spesso lo rivolgeva nella sua Sposa, che amava in Dio, e la
considerava come una creatura molto amata da Dio e favorita di grazie
singolari.
Contempla
il creato - Guardava spesso il cielo dove abitava il suo tesoro,
e molte volte si fermava a contemplare le opere della divina potenza
e sapienza, che con un solo fiat aveva creato i cieli e tutte le
altre creature, e fisso con gli occhi in cielo restava estatico alla
detta contemplazione. Altre volte si fermava a rimirare le piante,
gli alberi, le pianure, i prati, e contemplando qui la sapienza del
suo Dio nel creare tutte le cose con così bella ordinanza, ne
restava stupito per la meraviglia ed esclamava: «O Dio mio,
onnipotente, sapientissimo, incomprensibile, immenso, inenarrabile;
quanto sei degno di essere amato! Oh! come le creature tutte non
ardono del tuo amore? Come non amano tanta bontà? Ed è possibile,
che si trovi un cuore così infelice che non ami la tua bontà,
mentre tu tanto ci ami, e tante cose hai creato per il nostro
servizio e per la nostra consolazione? E la creatura ragionevole, che
hai creato perché ami Te, è possibile che questa ti neghi il suo
amore? Mio Dio, ed è pur vero che si trovano tanti che non ti
amano?».E qui si metteva a piangere per il dolore che sentiva,
perché il suo Dio non fosse amato. Fino dalla sua più tenera età,
il nostro Giuseppe era molto attirato dall'affetto verso il suo Dio,
a rimirare il cielo nel quale ritrovava molta consolazione, e quando
viaggiava nella campagna scoperta saziava la sua brama e stava per
molto tempo con gli occhi fissi al cielo vagheggiando al di fuori,
quella patria di cui egli doveva, a suo tempo, essere uno dei primi
cittadini di quella nobile città, benché il maggior pensiero del
nostro Giuseppe fosse il contemplare il suo Dio in quel beato Regno.
Sospirava anche di andare ad abitarvi e perciò domandava che si
affrettasse la venuta del Messia. Con infuocati sospiri ripeteva le
suppliche dei Patriarchi e dei Profeti, e si scioglieva tutto in
amore quando diceva questo, e il nostro Dio lo riempiva di
consolazione e gli illuminava l'intelletto per il quale intendeva
molti misteri e aveva una grande sicurezza della venuta del Messia in
breve, e diceva: «Non è possibile che Tu, mio Dio, non esaudisca le
premurose suppliche che ti porge di continuo la mia sposa Maria,
perché so che ti è molto cara e gradita e che Tu l'ami molto. Sì,
che lo spero che presto l'esaudirai!». Questi ed altri simili erano
gli affetti e i colloqui che il nostro Giuseppe andava facendo con il
suo Dio in questo viaggio, del quale si trovò presto al termine
senza neppure avvedersene, tanto era l'amore verso il suo Dio e il
gusto che sentiva nel trattenersi a contemplare le sue opere e a
narrargli i desideri del suo cuore. Un giorno, dopo aver fatto un
lungo cammino, si mise a rimirare il cielo e la terra per quanto si
stendeva la vista, e poi, rivolto al suo Dio, esclamò: «Tu, mio
Dio, sei il padrone assoluto di quanto io ora rimiro. Tuoi sono i
cieli, tua la terra, il mare, i fiumi; e tutti sono soggetti al tuo
impero; eppure Tu, essendo un Signore così grande, non disdegnerai
di venire ad abitare fra gli uomini! Eppure ci sarà chi avrà la
sorte di trattare con Te familiarmente! Oh, gran Signore! Oh, gran
Signore!» - esclamò; e fu rapito in estasi dove gli fu rivelato
come il Messia, non solo avrebbe abitato sulla terra fra gli uomini,
ma che si sarebbe molto umiliato e che avrebbe conversato con persone
vili, semplici e povere. Il nostro Giuseppe si riempì di
consolazione, e diceva: «Dunque, se verrà ai tempi nostri, non
disdegnerà di trattare con noi, benché poveri e vili. Felici noi!
Beati noi, se saremo fatti degni di tale sorte!».E da allora in poi,
non solo desiderò con più ardore la venuta del Messia, ma stette
con una contentezza di cuore, sperando che non avrebbe sdegnato di
trattare con lui.
In
casa di Zaccaria - Terminato il suo viaggio, il nostro fortunato
Giuseppe, si portò addirittura in casa di Zaccaria, dove era atteso
dalla sua Santa Sposa e da tutte le persone di quella casa, secondo
l'accordo che doveva ritornare in capo di tre mesi a prendere la sua
sposa Maria Santissima. Fu accolto e ricevuto con dimostrazioni di
singolare affetto, specie dalla sua Santissima Sposa, la quale diede
subito il bentornato al suo Giuseppe, e quando questi la vide, il suo
cuore incominciò ad esultare e giubilare, l'ammirò sempre più
bella e graziosa e sempre più ricca ed ornata di grazie divine. Il
Santo Sposo, preso dall'amore e dalla venerazione, la salutò con un
profondo inchino e le disse: «Mia Sposa, quanto ho bramato di
rivederti e con quanto desiderio ho fatto questo viaggio! Ora solo
nel guardarti, i miei desideri restano consolati, ed avendoti Dio
datami per fedele compagna, non posso vivere lontano da te se non con
grande pena». La sua Santa Sposa l'invitò a lodare il suo Dio per
la grazia che gli aveva fatto, cosa che il Santo Sposo gradì molto,
ed insieme lodarono e ringraziarono Dio della consolazione che dava
loro, e di averlo tanto assistito e favorito nel viaggio. Trovò nato
il Precursore Giovanni Battista, e quando il nostro Giuseppe lo vide,
conobbe nel fanciullo come era stato prevenuto con le dolcezze delle
benedizioni divine e vi conobbe la grazia di Dio che già ricolmava
la sua anima. Fu anche conosciuto dal Precursore che, alla vista di
Giuseppe, chinò la testa in atto di salutarlo, mostrando anche
esteriormente la consolazione che sentiva nel vederlo. Il nostro
Giuseppe si rallegrò con i suoi genitori, che Dio li avesse favoriti
di tale prole, e disse loro che scorgeva nel fanciullo cose grandi e
che credeva che sarebbe stato un grande Profeta e molto grande al
cospetto del suo Dio e anche degli uomini. Furono molte le
congratulazioni che il nostro Giuseppe fece ai genitori di Giovanni,
e insieme lodarono e ringraziarono Dio.
Saluti
prima della partenza - Poi, i Santi Sposi Maria e Giuseppe si
disposero alla partenza. La parente Elisabetta e Zaccaria
desideravano che avessero dimorato lì in casa loro, sentendo un
sommo dispiacere di dover restare privi di una così cara compagnia,
ma i Santi Sposi si mostrarono reticenti in questo, volendo adempire
la volontà divina, perché sapevano già che dovevano fare la loro
dimora a Nazareth, perciò si scusarono con gentili maniere. Volevano
fare anche grandi doni ai Santi Sposi, in segno di gratitudine, ma
questi non furono accettati da loro, perché volevano vivere in
povertà e accettarono soltanto quanto era loro necessario e niente
di più. Arrivato il giorno destinato alla partenza, furono molte le
lacrime che si sparsero da tutta quella famiglia, perché ognuno che
abitava in quella casa aveva ricevuto consolazione e sollievo dalla
divina Madre. Più di tutti, però, che ne sentiva il dispiacere era
S. Elisabetta, che ben sapeva chi fosse la sua parente e il tesoro
nascosto che portava nel suo purissimo grembo, e perciò rivolta a
San Giuseppe, lo chiamò più volte beato per la sorte che gli era
toccata di avere per compagna e sposa la Santissima Fanciulla Maria,
e invidiava santamente la sua fortuna. Il nostro Giuseppe la pregò
di voler rendere affettuose grazie a Dio in suo nome per il beneficio
che gli aveva fatto.
In
viaggio - Passati tutti i soliti atti che si fanno nelle
partenze, i nostri Santi partirono con grande allegrezza, restando
tutte le persone di quella casa molto consolate per i benefici
ricevuti dalla divina Madre, ma insieme molto afflitti per restarne
privi, e non cessavano mai di benedire la Santissima sposa Maria e
narrare continuamente fra di loro le sue rare virtù. I Santi Sposi
partirono alla volta di Nazareth lieti e contenti, perché già
sapevano che adempivano la volontà divina; il nostro Giuseppe, però,
più d'ogni altro, era contento ed allegro perché conduceva con sé
la sua amata Sposa, e gli sembrava di avere con sé un grande tesoro.
E di fatto ce l'aveva, avendo con sé il Re e la Regina del cielo e
della terra. Quanto giubilava il suo cuore! Come esultava il suo
spirito! Chi mai potrà narrarlo? Solo il nostro Giuseppe che lo
sperimentò. In questo viaggio il Santo andava narrando alla sua
Sposa quel tanto che gli era capitato nell'andarla a prendere e come
Dio l'avesse favorito molto in quel cammino. Le disse quello che
aveva inteso del Messia promesso, e come si sarebbe degnato di
trattare con gente umile, semplice e povera, e le diceva:«Noi, mia
Sposa, siamo poveri; dunque se avremo la sorte di vederlo e che venga
al mondo ai tempi nostri, non sdegnerà di trattare anche con noi.
Che fortuna sarà la nostra!». La divina Sposa e Madre del Verbo
Incarnato godeva al sommo, nel sentire le parole fervorose del suo
Giuseppe, e di questo ne prendeva motivo di lodare e magnificare la
bontà del suo Dio e con le sue parole accendeva sempre l'amore nel
cuore di Giuseppe; dopo poi lodavano insieme il loro Creatore. Il
Santo invitava la sua Sposa a cantare qualche lode al suo Dio e la
sua Sposa lo compiaceva. Cantava con molta grazia inni di lode, che
Lei componeva a lode del suo Creatore e a lode del divin Verbo
Incarnato che portava nel suo seno. Era tanta la dolcezza e la
soavità del suo canto che il nostro Giuseppe andava in estasi per la
consolazione che sentiva. Una grande moltitudine di uccelli accorreva
a udire le lodi della Regina Santissima, e dopo che lei aveva
terminato il suo canto, incominciavano loro a cantare in coro facendo
dolci canti, quasi che avessero avuto l'uso della ragione e volessero
anch'essi lodare il loro Creatore ad imitazione della Santissima
Vergine. Il nostro Giuseppe restava ammirato di quanto udiva e godeva
molto nel vedere il merito della sua Santa Sposa, perché già
attribuiva il tutto al suo merito e alle sue virtù e lì apprendeva
come favori di Dio fatti alla sua Santissima Sposa. Quando essi
avevano terminato i loro canti, rivolto alla sua Sposa, diceva:
«Vedi, mia Sposa, quanto ti ama il nostro Dio, e quanto ti
favorisce? Anche con segni esterni ti manifesta quanto tu gli sei
gradita, mentre fa tutto ciò in tua lode. È vero che questi
animaletti lodano il loro Creatore, ma lodano anche te, perché a te
sola fanno queste accoglienze».E di fatto quegli animaletti si
mostravano tutti lieti e festosi, assistendo tutti dal lato della
divina Madre. L'umilissima Vergine, però, si umiliava e diceva al
suo Giuseppe che quelli lodavano il loro Creatore e che Dio
permetteva questo per dare loro sollievo nel cammino e per invitarli
sempre più a lodarlo anch'essi, e che ammirassero sempre più grande
la divina bontà verso di loro, ed anche in segno che Dio l'amava
molto e gli diceva: «Se il nostro Dio ci ama tanto e ci dà così
chiari segni del suo amore, quanto dobbiamo amarlo noi e dargli
chiari segni del nostro amore verso di Lui?». E la divina Madre
incominciava a discorrere dell'amore che dovevano al loro Dio e si
accendeva tutta in quest'amore, divampando le fiamme anche nel suo
volto, che era osservata dal santo Sposo, perché tra il vermiglio
del volto verginale si faceva vedere una chiarissima luce, che
apportava al Santo Sposo venerazione e consolazione insieme e restava
anch'egli tutto infiammato d'amore divino, tanto più che le parole
della sua Santa Sposa erano come dardi infuocati che penetravano il
cuore del Santo, e l'accendevano sempre più nell'amore divino. In
questo viaggio non sentivano stanchezza alcuna, perché spendevano il
tempo come già si è narrato, e perciò il cammino si rese loro
molto facile, anzi gustoso e non pareva vero al nostro Giuseppe di
avere in sua compagnia la sua amata Sposa. Nel viaggio, poi, si
incontrarono con varie persone e la Santissima Vergine serviva a
tutti di sollievo e di consolazione, facendo a chi una grazia e a chi
un'altra, secondo la necessità dei viandanti, servendosi il Verbo
Divino della sua Santissima Madre come di uno strumento per
dispensare grazie agli uomini, che Lui era già venuto a redimere.
Anche dal seno materno faceva molte grazie, su richiesta della sua
Santissima Madre, a tutti quelli che si trovavano in necessità e
specialmente a quelli che stavano in peccato, che la divina Madre ben
conosceva e supplicava il suo Figliolo Dio Incarnato per la salvezza
degli uomini affinché li illuminasse, e desse loro un vero dolore
delle loro colpe e li perdonasse. Il Verbo Incarnato accondiscendeva
alle suppliche della sua amatissima Madre, e non ci fu grazia che Lei
gli chiedesse, che Lui non la compiacesse. Spesso poi gli domandava
l'aumento della sua grazia divina nell'anima del suo Sposo Giuseppe
ed era sempre compiaciuta, per cui il nostro Giuseppe veniva sempre
più a crescere nella grazia e nell'amore del suo Dio. Il Santo
conosceva come Dio tanto lo favoriva e capiva come andava in lui
crescendo il beato incendio, e diceva alla sua Sposa che ben capiva
come Lei gli meritava le grazie dal suo Dio e le diceva: «Io conosco
ciò, perché da quando ho la fortuna di trattare con te e Dio ti ha
dato a me per fedele compagna, il mio cuore si strugge d'amore verso
il mio Dio, il mio spirito non è capace di altra consolazione che di
dilettarsi nel nostro Dio, né di altro si cura, né altro brama, e
vorrei tutto consumarmi nel Suo amore. Sento anche come nella mia
anima c'è un non so che, che non so, né posso narrarti, e come il
nostro Dio mi fa gustare la sua dolcezza e la sua soavità in un modo
assai più sublime ed eccellente di prima. Tutto ciò io tengo di
certo mi venga partecipato per la tua intercessione, perché il
nostro Dio ti ama molto». L'umilissima Vergine sentiva queste
parole, e si umiliava di più, ed esaltava la bontà del suo Dio e
diceva al suo Sposo Giuseppe:«Tu sai già quanto è buono il nostro
Dio, quanto generoso ed amorevole verso chi l'ama. Tu desideri amarlo
infinitamente se fosse possibile, desideri spenderti tutto nel suo
servizio. Tu procuri di adempire in tutto la sua divina volontà; non
ti meravigliare dunque se il nostro Dio si mostra tanto generoso e
cortese verso di te. E non sai che è un gran Signore, e che può
dare assai molto di più di quello che noi possiamo ricevere?». A
queste parole, il nostro Giuseppe esclamava: «Oh, Dio grande! Oh,
Dio buono! Oh, Dio infinito! E quando sarà che il tuo servo arriverà
ad amarti tanto, quanto deve? E quando sarà che tutto sarò
impiegato nel tuo servizio?». E nel dire questo restava rapito in
estasi. La sua Santa Sposa lo rimirava con grande allegrezza, e
godeva nel vederlo crescere sempre più nell'amore del suo Dio che
lodava e ringraziava in suo nome. Il Santo non mancava di supplicarla
spesso di fare per lui gli atti di gratitudine e di lode al suo Dio,
perché lui diceva: «Io sono del tutto insufficiente, perciò fai tu
per me, mentre tu saprai lodarlo e ringraziarlo assai meglio di me,
perché tu sei arricchita di sapienza e di grazia». La divina Madre
si umiliava, nell'udire queste parole, ed esaltava la bontà e la
grandezza del suo Creatore, la generosità che usava verso di lei e
diceva al suo Giuseppe: «Lodiamo e ringraziamo insieme il nostro
generosissimo Dio, perché più di ogni altro gli siamo obbligati; e
se finora si è mostrato tanto generoso con le sue creature, che è
cosa da ammirarsi, molto più generoso si è dimostrato e si va
dimostrando verso di noi, distinguendoci fra tanti ed eleggendoci per
suoi». Qui si univano a lodare e ringraziare la divina generosità e
beneficenza. Questi erano i discorsi che i Santi Sposi facevano in
quel viaggio, trattando sempre di Dio, lodandolo e narrando le sue
grandezze, la sua infinita bontà, il suo amore, procurando di
mostrarsi in tutto graditi a un Signore così generoso.
Dio gradiva molto questi loro discorsi, e l'onore e la gloria che davano alla sua divina maestà; e il Verbo Eterno, che stava rinchiuso nel seno verginale, manifestava alla divina Madre quanto gli fossero graditi i desideri ardenti del fedelissimo Giuseppe, e le faceva vedere quanto fosse arricchita l'anima di lui di grazia e di meriti, e come era pronto ad arricchirla sempre più. La divina Madre lo ringraziava da parte di Giuseppe e poi rivolta a lui gli diceva che procurasse di crescere nell'amore e nel desiderio ardente, perché il suo Dio era sempre pronto a compartirgli maggiori grazie e gli diceva: «Non stanchiamoci mai nel domandare, perché spero che noi riceveremo molte grazie; e continuiamo a lodare e ringraziare il nostro generosissimo Signore perché lo merita e perché gode molto della gratitudine. Noi non possiamo fare altro che essergli fedeli in tutto, e lodarlo e ringraziarlo continuamente perché anche le sue grazie sono continue verso di noi, e nel ringraziarlo ed essendogli grati ci disponiamo a ricevere nuove grazie e favori».Il nostro Giuseppe stava tutto attento ad ascoltare le parole della sua santa Sposa, che restavano tutte impresse nel suo cuore e l'accendevano sempre più nell'amore e nella gratitudine verso il suo Dio.
Dio gradiva molto questi loro discorsi, e l'onore e la gloria che davano alla sua divina maestà; e il Verbo Eterno, che stava rinchiuso nel seno verginale, manifestava alla divina Madre quanto gli fossero graditi i desideri ardenti del fedelissimo Giuseppe, e le faceva vedere quanto fosse arricchita l'anima di lui di grazia e di meriti, e come era pronto ad arricchirla sempre più. La divina Madre lo ringraziava da parte di Giuseppe e poi rivolta a lui gli diceva che procurasse di crescere nell'amore e nel desiderio ardente, perché il suo Dio era sempre pronto a compartirgli maggiori grazie e gli diceva: «Non stanchiamoci mai nel domandare, perché spero che noi riceveremo molte grazie; e continuiamo a lodare e ringraziare il nostro generosissimo Signore perché lo merita e perché gode molto della gratitudine. Noi non possiamo fare altro che essergli fedeli in tutto, e lodarlo e ringraziarlo continuamente perché anche le sue grazie sono continue verso di noi, e nel ringraziarlo ed essendogli grati ci disponiamo a ricevere nuove grazie e favori».Il nostro Giuseppe stava tutto attento ad ascoltare le parole della sua santa Sposa, che restavano tutte impresse nel suo cuore e l'accendevano sempre più nell'amore e nella gratitudine verso il suo Dio.
Loro
arrivo - I Santi Sposi terminarono questo viaggio con tanta
felicità e consolazione del loro spirito, che si avvidero appena del
cammino che facevano e capivano tutto, perciò non lasciarono di
rendere grazie a Dio anche di questo beneficio, come facevano di
tutte le altre grazie che ricevevano dalla generosità di Dio.
Libro
II
Capitolo I - S. Giuseppe arriva a Nazareth con la Santissima
Vergine
Nella
stanza dell'Incarnazione - I Santi Sposi arrivarono a Nazareth,
loro patria, e fu grande la consolazione che entrambi sentirono
nell'entrare nella loro piccola casetta; la Santissima Vergine per la
devozione che aveva per quella stanza, dove si era operato il grande
Mistero dell'Incarnazione del Verbo Divino, ed il nostro Giuseppe,
perché in quel luogo aveva sperimentato grazie particolari e favori
sublimi dalla generosità del suo Dio; e benché egli non sapesse
cosa alcuna di quanto qui si era operato, tuttavia ne aveva un grande
affetto e una particolare devozione, per cui appena arrivati, pregò
la sua santa Sposa di volerlo compiacere di condurlo con lei nella
sua stanza, per lì lodare e ringraziare Dio della grazia fatta loro
di arrivare felicemente nella loro patria. La santa Sposa lo
compiacque e qui insieme genuflessi a terra adorarono e ringraziarono
Dio.
Estasi
di Giuseppe e Maria - Dio consolò il nostro Giuseppe con una
sublime estasi nella quale gustò la soavità dello spirito del suo
Dio e capì grandi cose circa la santità della sua Sposa, perché
Dio in quell'estasi gli rivelò quanto gli fosse cara e gradita. La
divina Madre fu anche favorita di molte grazie. Passato un po' di
tempo in tali consolazioni, il fortunato Giuseppe tornò dall'estasi
e vide la sua sposa Maria tutta circondata di luce, per cui si
trattenne qualche tempo nel rimirarla e contemplare in lei le grazie
del Signore.
La divina Madre era ancora sollevata in altissima contemplazione, e Giuseppe godeva nel vederla tanto favorita dal suo Dio, che ringraziava affettuosamente per averlo tanto aggraziato nel dargli una sposa così degna. Piangeva per la dolcezza, e diceva a se stesso: «O mia cara ed amata sposa, e dove mai ho meritato di stare con te e di godere la tua compagnia tanto desiderabile? Che grazia da me mai meritata, ma dispensatami solo dalla bontà immensa del nostro Dio, generosissimo verso di me, suo vile servo!». Mentre Giuseppe diceva così, la divina Madre tornò ai propri sensi e incominciò a trattare col suo Giuseppe della bontà e della generosità del loro Creatore, e ne compose un sublime cantico.
La divina Madre era ancora sollevata in altissima contemplazione, e Giuseppe godeva nel vederla tanto favorita dal suo Dio, che ringraziava affettuosamente per averlo tanto aggraziato nel dargli una sposa così degna. Piangeva per la dolcezza, e diceva a se stesso: «O mia cara ed amata sposa, e dove mai ho meritato di stare con te e di godere la tua compagnia tanto desiderabile? Che grazia da me mai meritata, ma dispensatami solo dalla bontà immensa del nostro Dio, generosissimo verso di me, suo vile servo!». Mentre Giuseppe diceva così, la divina Madre tornò ai propri sensi e incominciò a trattare col suo Giuseppe della bontà e della generosità del loro Creatore, e ne compose un sublime cantico.
Amore
e discorsi di Giuseppe - L'animo di Giuseppe inondava in un mare
di gioia e si liquefaceva tutto in amore verso il suo buon Dio, e
crescevano sempre di più in lui la venerazione e l'amore verso la
sua santa Sposa. Dopo poi le narrò quel tanto che gli era successo
in quella stanza quando lei non c'era, e che lui andava lì a
pregare, e le molte grazie che in quel luogo Dio gli aveva
partecipato, e la molta consolazione che vi aveva sperimentato nei
suoi travagli. La divina Madre sapeva già tutto; tuttavia si
mostrava indifferente e gradiva quanto il suo Giuseppe le narrava, ed
essendo lei umilissima, gli diceva che riconoscesse tutto dalla sola
generosità del suo Dio, e che Dio in alcuni luoghi comparte più
abbondanti le sue grazie, e che potevano pensare che si fosse scelto
quella stanza per fare qui mostra della sua generosità, perché
anche a lei in quel luogo compartiva delle grazie. Il nostro Giuseppe
rimaneva persuaso di tutto, e pregò la sua Sposa di volersi
accontentare di farlo andare lì qualche volta a pregare,
specialmente quando egli fosse stato in travaglio, affinché avesse
potuto ricevere le solite grazie dalla divina generosità, e le
disse:«Benché tu, mia sposa, sia sufficiente a consolarmi nelle mie
afflizioni, tuttavia desidero anche questa consolazione, di venire in
questa stanza a pregare, quando però non sia di fastidio a te, cioè
quando tu sei occupata nell'acconciare la casa e nel preparare il
cibo a noi necessario, che così non ti sarà di disturbo».
L'umilissima Sposa chinò la testa, e si mostrò prontissima a quanto
egli desiderava, perciò il nostro Giuseppe rimase consolato, ed
osservava la sua Sposa quando era occupata in qualche cosa; e allora
se ne andava per breve tempo nella suddetta stanza, dove Dio gli
compartiva molti favori, facendosi gustare molto abbondantemente alla
sua anima.
Alla
porta della stanza in preghiera - Molte volte poi, il Santo si
sentiva attirare interiormente quando c'era la divina Madre in
preghiera, ed egli si metteva al di fuori per non disturbare la sua
Sposa, e qui genuflesso adorava il suo Dio e lo supplicava, che
poiché non poteva entrare per non disturbare le preghiere della sua
Sposa, si fosse degnato di compartirgli, in quel luogo, qualche lume
e qualche buon sentimento, e gli domandava questo per l'amore che
egli portava alla Santissima fanciulla Maria che gli aveva dato per
compagna.
Dio non tardava a consolarlo comunicandosi abbondantemente alla sua anima. Il nostro Giuseppe si umiliava molto, e di tutto si riconosceva indegnissimo, e perciò domandava spesso le grazie al suo Dio per i meriti della sua Santa Sposa, perché già sapeva quanto fosse cara ed accetta a Dio e quanto da Dio fosse amata e favorita.
Dio non tardava a consolarlo comunicandosi abbondantemente alla sua anima. Il nostro Giuseppe si umiliava molto, e di tutto si riconosceva indegnissimo, e perciò domandava spesso le grazie al suo Dio per i meriti della sua Santa Sposa, perché già sapeva quanto fosse cara ed accetta a Dio e quanto da Dio fosse amata e favorita.
Attrazione
e riflesso del Verbo - Nel Santo crescevano sempre di più la
stima e la venerazione verso la sua Sposa Maria, in modo tale che,
quando lei stava in preghiera o in qualche posizione che da lei non
fosse visto, le faceva degli inchini, e faceva questo per un impulso
interiore. Egli credeva che questo procedesse per la santità che
scorgeva in lei, benché per altro era un motivo assai più sublime,
che il santo Sposo non intendeva, ed era che il Verbo divino, che
abitava in lei, attirava a sé lo spirito di Giuseppe a venerarlo e
adorarlo nel seno verginale. Scorgeva poi nella sua Sposa sempre
maggiore grazia e bellezza e la conosceva ornata di virtù più
sublimi, in modo tale che restava preso dalla meraviglia, e non
poteva penetrare da dove questo provenisse. Si andava persuadendo
che, essendo lei tanto santa, Dio le comunicasse sempre nuovi favori
e grazie, come infatti era; ma il Verbo divino che abitava in lei,
era quello che faceva traspirare, anche nel suo aspetto esteriore, la
sua divina sua luce, per il conforto del suo amato Giuseppe.
Assorti
nel Verbo divino - I Santi Sposi vivevano poi nel modo che già
si è narrato nel primo libro di questa storia, in parte pregando, in
parte recitando le lodi divine, in parte lavorando per acquistarsi il
vitto con le loro fatiche, e in parte spendevano il tempo in sacri
colloqui. Parlavano spesso di quanto avevano detto i Profeti circa la
venuta del Messia e di quello che era scritto nelle Sacre Scritture;
e molte cose che il nostro Giuseppe non intendeva, se le faceva
spiegare dalla sua Sposa Maria, perché già scorgeva come lei fosse
molto istruita in tutto e sapientissima. La divina Madre lo
compiaceva in tutto, mostrandosi obbedientissima e narrando fra di
loro quanto era stato profetizzato del Messia. Piangevano per la
dolcezza nel sentire le qualità mirabili che il Messia avrebbe
avuto; la divina Madre però piangeva, perché aveva una chiara
cognizione di quanto il suo Figlio divino avrebbe sofferto per
riscattare il genere umano, e teneva nascosti nel suo cuore i dolori
che le trafiggevano l'anima. Non li narrava al suo Giuseppe per non
affliggerlo ulteriormente, e lei sola soffriva l'aspro cordoglio
senza manifestarlo e cercare compatimento al suo dolore. Il nostro
Giuseppe osservò che quando parlava con la sua Sposa circa la venuta
del Messia, lei spesso piangeva, e lui credeva che questo provenisse
dal desiderio che lei ne aveva e per vederne la dilazione, benché la
divina Madre spasimava per il dolore al riflesso di quanto il suo
Figliolo doveva patire. Osservò anche come la sua Sposa non
l'esortava più a supplicare il divin Padre di volersi degnare di
mandare presto il Messia promesso, ma il Santo non ardiva domandarle
cosa alcuna, e si andava immaginando che lei fosse già stata
assicurata da Dio della detta venuta, che fossero state esaudite le
sue suppliche e che il Messia stesse per venire presto al mondo. Il
nostro Giuseppe osservava poi, come parlando fra di loro delle virtù
mirabili che il Messia avrebbe avuto, splendeva una mirabile
chiarezza nel volto della divina Sposa, e il nostro Giuseppe non
sapeva capire dadove questo provenisse. Spesso aveva il desiderio di
saperne la causa, ma il Santo si umiliava, riconoscendosi indegno di
saperlo, e di questo ancora se la passava in silenzio con la sua
Sposa. Pensava però che Dio si compiacesse molto di quei discorsi e
che in segno del compiacimento gli desse quei chiari segni con
comunicarsi alla sua Sposa e partecipare anche nel suo aspetto
esteriore quella chiarezza. Il Santo godeva di tutto e si reputava
sempre più indegno di tanta grazia. Il nostro Giuseppe osservava,
poi, come la sua Santa Sposa stava quasi sempre assorta e passava i
giorni interi senza neppure cibarsi, perciò il Santo credeva che
facesse questo per muovere Dio a mandare presto il Messia promesso, e
anche lui procurava di astenersi dal cibo, prendendo molto
scarsamente il necessario. Però era esortato dalla sua Sposa a
cibarsi per non perdere le forze corporali, ma il Santo si metteva a
rimirare la sua Sposa e nello stesso tempo si trovava sazio, e con
umili maniere diceva alla sua Sposa che si accontentasse di lasciarlo
stare digiuno, perché quello che saziava lei nella sua astinenza,
saziava anche lui. Da qui poi la divina Madre prendeva nuovi motivi
per lodare il suo Dio e i Santi Sposi si univano a cantare le lodi
divine e narrare fra di loro la beneficenza divina.
Beatitudine
di Giuseppe - Il nostro Giuseppe si trovava poi con un
rinnovamento di spirito molto grande ed eccellente, con una piena
contentezza di cuore non più sperimentata nel passato. Gli sembrava
di avere in casa sua un grande tesoro, e non sapeva più invidiare la
felicità dei cieli, che sono l'abitazione degli Spiriti Beati e
dello stesso Dio. Non si curava più di mettersi a guardare il cielo
e gli bastava solo di dare un'occhiata alla sua Sposa, perché il suo
cuore restava pienamente consolato, e non aveva più che desiderare.
Il Santo non sapeva da dove provenisse, e questo lo pose in qualche
timore, dicendo a se stesso: «Forse, mio Dio, non ti amo con
quell'ardore con cui prima ti amavo, per cui non mi curo più di
guardare il cielo dove Tu abiti, per saziare qui le brame del mio
cuore?». Ed esaminandosi attentamente, capiva come il suo Dio fosse
l'unico oggetto del suo amore, e, rivolto a Lui, esclamava:«Mio Dio!
Tu sei l'unico mio amore, il mio bene, il mio tesoro, il mio tutto.
Il mio cuore non brama altro che Te, ed intanto io amo la mia Sposa,
in quanto la riconosco colma della tua grazia e del tuo amore, ed
intendo amare Te in lei mentre ben conosco che tu in lei fai la tua
gioconda abitazione; e poi Tu stesso l'hai data a me per fedele
compagna e mi comandi che io l'ami, e ben merita di essere amata,
essendo tanto santa e tanto colma di virtù e di grazia».E così il
santo Sposo si quietava e si godeva le grazie che il suo Dio gli
dispensava.
Pene
e travagli - Stando il nostro Giuseppe fra tante consolazioni
del suo spirito, non gli mancavano dei travagli da parte delle
creature, e mentre egli si tratteneva nella sua piccola bottega a
lavorare, andavano lì alcuni oziosi per discorrere e passare il
tempo, ma siccome il Santo stava per lo più estatico, contemplando
le grandezze del suo Dio, non dava ad essi risposta alcuna, per cui
veniva da loro deriso e motteggiato. Lo chiamavano stolto, insensato,
uomo da niente. Il nostro Giuseppe si umiliava, e soffriva il tutto
con pazienza e generosità. Alle volte gli chiedevano che ne era
della sua Sposa e come lei sopportasse di trattare con lui, tanto
stolto, e incominciavano a dire delle parole impertinenti, perché
questi erano molto istigati dal demonio, che cercava tutti i mezzi
per far cadere il Santo in atti di impazienza e di sdegno. Ma il
Santo si serviva di tutto per arricchirsi maggiormente di meriti e
praticare le virtù, e perciò con belle maniere li licenziava e li
riprendeva, secondo quello che lui conosceva che era offesa di Dio.
Sua
mansuetudine - Quando quelle persone se ne erano andate, il
Santo si ritirava ad orare e pregare per loro, affinché il Signore
si fosse degnato di illuminarli ed insieme perdonare i loro errori,
ed in queste occorrenze praticava gli atti di umiltà, di carità e
di pazienza. Il nemico infernale fremeva sempre di più e ruggiva
contro il nostro Giuseppe e molto più contro la sua Santa Sposa, e
non sapeva come fare per inquietarli e mettere discordia fra di loro.
Però era tenuto molto abbattuto e lontano da loro dalla divina
potenza e anche dalla forza delle loro sublimi virtù, e specialmente
dalla loro profondissima umiltà, purezza ed astinenza, e
dall'ardente amore di Dio che regnava nei loro cuori. Il nostro
Giuseppe manifestava poi il tutto alla sua santa Sposa ed era animato
da lei a soffrire con pazienza, perché così dava molto gusto al suo
Dio, e si univano insieme a pregare per coloro che li perseguitavano.
Una
prova - I Santi Sposi passarono qualche tempo in questo modo di
vivere, nuotando l'anima del nostro Giuseppe in un mare di gioia e di
consolazioni divine. Perciò Dio volle provare di nuovo il suo servo
con un travaglio assai grande, mai sofferto nel tempo della sua vita
passata, come si dirà nel seguente capitolo, avendolo Dio, però,
prima fortificato con la sua Grazia.
Capitolo II - S. Giuseppe soffre nel vedere nella sua Sposa Maria i segni della gravidanza
Tormento
di Giuseppe - Il nostro Giuseppe stava tanto contento e
consolato in compagnia della sua Sposa, anche per i molti favori che
riceveva da Dio, e un giorno si mise ad osservare con più attenzione
la sua Sposa e riconobbe in lei i chiarissimi segni di una
gravidanza, perciò il Santo restò attonito, molto turbato e ferito
nel cuore da un acuto dolore. Si andava persuadendo che quei segni
potessero provenire da qualche malattia, ma vedendo la sua Sposa con
il suo solito vigore e spirito, diceva fra sé: «Se fosse infermità
vi sarebbero altri segni, ma si vede che la mia Sposa è in perfetta
salute». E diceva fra sé: «O mio Dio, cos'è questo che io scorgo
nella mia Sposa? Sogno, oppure son desto? Forse i miei occhi vedono
una cosa per un'altra? Mio Dio, cos'è questo, che ora vedo nella mia
Sposa? Io non oso chiedere a lei cosa alcuna, perché essendo tanto
santa, non devo parlarle di ciò. Ma pure si vede chiaro che lei è
incinta. Soccorri Tu, mio Dio, il tuo servo e dammi luce per capire
questo fatto, perché ora io non so altro, tranne che quello che con
chiarezza appare ai miei occhi». La divina Madre si avvide del
travaglio del suo Giuseppe, e pregava molto Dio perché l'avesse
assistito con la sua grazia.
Ansia
di Giuseppe - Per quella sera il nostro Giuseppe si ritirò
tutto sopraffatto, pensando a che cosa mai poteva essere quello che
appariva ai suoi occhi. Quella notte il suo riposo fu molto breve, e
appena svegliato non vedeva l'ora di rivedere la sua Sposa e vedere
se veramente lui era in errore; perciò, tutto ansioso, si mise per
tempo ad aspettare che uscisse dal suo ritiro. La divina Madre uscì,
e salutò il suo Giuseppe con il solito cordiale saluto. Il Santo la
vide, e la considerò sempre più bella e graziosa, ma peraltro con
quei segni che egli aveva già scorto il giorno prima. Il suo cuore
restò ferito di nuovo dal dolore, vedendo che egli non era in
errore, ma che quel tanto che aveva visto lei era verissimo, e
diceva: «O Dio, come mi consola la bellezza, la modestia e la grazia
della mia amata Sposa! ma come resta ferito il mio cuore nel vedere
in lei questi chiari segni di gravidanza! Mio Dio! Soccorri il tuo
servo in questo grande travaglio, che sarà sufficiente a darmi la
morte, se Tu non mi dai forza e non mi reggi col tuo braccio
potente».
Sua
prudenza e abbandono in Dio - La divina Madre pregava molto per
il suo Giuseppe, e di fatto il Santo sentì qualche sollievo al suo
grande dolore, e pensava fra sé di stare un poco a vedere che cosa
sarebbe successo col passare del tempo, e di non volersi tanto
angustiare per allora, sicurissimo che il suo Dio non avrebbe
lasciato di manifestargli qualche cosa e di provvedere a questo fatto
e diceva: «Io sono certo che la mia cara ed amata Sposa è
santissima e amata sommamente da Dio, e non posso dubitare cosa
alcuna di lei. E' meglio che per ora mi calmi e stia un poco a vedere
la fine». Così per allora si calmò alquanto, benché non del
tutto, perché ogni volta che la guardava scorgeva quei chiarissimi
segni, e il suo cuore restava sempre ferito. Il nostro Giuseppe
ottenne qualche sollievo al suo grande dolore per le preghiere della
divina Madre, e lei stessa gli si mostrava più che mai affabile e
caritatevole, compatendo molto il suo Giuseppe nell'angustia in cui
si trovava.
Prega
e si lamenta - Ogni mattina il santo Sposo si metteva ad
aspettarla con gran desiderio che uscisse dal suo ritiro per vedere
se si scorgevano ancora in lei quei segni di gravidanza, e vedendo
che si manifestavano sempre più chiari, si angustiava molto in modo
che incominciò a consumarsi come se fosse gravato e afflitto da una
malattia. E di fatto, la passione che provava, era per lui molto più
grave di qualsiasi altro male che potesse avere, perché gli feriva
il cuore e lo teneva in un'angustia penosa. Furono molte le orazioni
e le preghiere che il nostro Giuseppe porgeva al suo Dio; faceva
tutti i digiuni e le elemosine per questa causa, perché Dio si fosse
degnato di consolarlo e illuminarlo in quel grande travaglio.
Rimirava la sua Sposa con grande amore e compassione, e spesso diceva
fra sé: «Mia Sposa, tu che sei la causa di tanta mia consolazione,
sei anche la causa di tanto mio dolore. Se tu capissi in quali
angustie io mi trovo, certo non lasceresti di consolarmi col
manifestarmi la causa della tua gravidanza». La divina Madre
penetrava quel tanto che il suo afflitto Giuseppe diceva nel suo
intimo, e anche lei sentiva molta pena, ma taceva e soffriva con
pazienza aspettando che Dio si muovesse a compassione e consolasse il
suo servo in una così grave angustia, perciò lo pregava con calde
suppliche. Ma Dio volle provare la fedeltà del suo fedelissimo
Giuseppe e dargli occasione di meritare.
Sua
decisione - Infine l'afflitto Giuseppe si decise di domandare
alla sua Sposa la causa di quei segni che apparivano in lei, e più
volte fece questo proposito ma non gli riuscì mai, perché quando si
decideva di farle la richiesta, si trovava pieno di confusione e di
un timore riverenziale, che gli era di maggiore afflizione e diceva:
«Che cos'è questo che provo, mio Dio? Vedo chiaramente che la mia
Sposa è incinta, e lei si mostra tanto caritatevole ed amorosa verso
di me, tratta con tanta affabilità, perciò io potrei domandarle da
dove proviene quello che appare chiaramente e sono sicuro che non me
lo terrebbe celato. Eppure non posso farle questa domanda per
liberarmi del mio dolore. Cosa mai sia questo, io non so capirlo. Tu
solo, mio Dio, puoi consolarmi e perciò a Te ricorro, e a Te espongo
il mio grande dolore». Ma Dio taceva a queste suppliche, e lasciava
che il suo servo restasse nelle sue angustie.
Attenzioni
di Maria e maggior pena del Santo - La divina Madre procurava di
sollevare il suo Giuseppe con varie cortesie che gli faceva nel
servirlo attentamente, lo supplicava di volersi cibare, gli chiedeva
in che cosa l'avesse potuto sollevare, e spesso cantava qualche
cantico a lode del suo Dio per il sollievo del suo afflitto Sposo, e
lui non poteva dirle altro, solo che il suo cuore era in grande
afflizione, e le diceva: «Tu, mia sposa, mi dai grande sollievo
nelle mie afflizioni, non lo nego, ma il dolore e la pena non si
levano dal mio cuore. Prega il nostro Dio perché si muova a pietà
di me». L'afflitto Giuseppe avrebbe detto di più e avrebbe
chiaramente manifestato la sua pena alla santa Sposa, ma non poteva e
diceva fra sé: «È possibile che lei non capisca quale sia la causa
del mio grande travaglio? La capirà anche troppo, ma forse nemmeno
lei potrà manifestarla». L'afflitto Giuseppe si umiliava molto, e
spesso piangeva al cospetto del suo Dio, e diceva che lui meritava
quei travagli, perché era ingrato ai molti benefici che il suo Dio
gli concedeva; e poiché già si riconosceva l'uomo più fortunato
del mondo per avere conseguito una Sposa tanto santa e tanto ornata
di virtù, così si stimava, nel suo travaglio, il più afflitto ed
angustiato che ci fosse al mondo. Più andava avanti e più cresceva
il suo dolore, perché con più chiari segni, vedeva che la sua Sposa
era incinta, e che il bambino che portava nel suo grembo non poteva
tardare molto a venire alla luce; perciò il Santo smaniava e non
trovava quiete al suo dolore. Alle volte sfogava il suo dolore
lamentandosi fra sé della sua Sposa, e spesso diceva: «Mia sposa! E
come hai tanto cuore di tenermi in così grave angustia? In che cosa
mai io ti ho offeso e disgustato, perché tu usi verso di me tanta
crudeltà? Tu hai mutato natura con me, e da tanto dolce,
caritatevole ed amabile che sei, ora con me sei crudele e senza
pietà, perché sapendo la causa del mio dolore, mi tieni tutto
celato». La divina Madre sentiva i lamenti del suo angustiato Sposo,
e lo compativa e si affliggeva, ma pur taceva né poteva liberarlo
dall'angustia perché non poteva svelargli il mistero, non avendo
ordine da Dio di manifestarlo, ma non lasciava di pregare molto per
il suo Giuseppe.
Viene
meno per la tribolazione - Il Santo andava poi a lavorare, ma
siccome aveva già incominciato a perdere le forze perché aveva
spesso dei deliqui, se ne tornava nella sua piccola stanza e diceva:
«Mio Dio, dove andrò a consolarmi, se la mia Sposa, che prima era
tutta la mia consolazione, adesso è la causa di tutto il mio dolore,
perché al solo vederla in tale stato mi sento trapassare l'anima dal
dolore, e intanto mi sento attirare con violenza ad andarla a trovare
e trattenermi con lei in sacri colloqui». E di fatto il Santo se ne
andava dalla sua Sposa, ma con gli occhi chini a terra per non
vederla, ma solo per sentirla parlare. La Santa Sposa gli parlava con
tanta dolcezza, con tanto modo e con tanta grazia che l'afflitto
Giuseppe si sentiva tutto consolato, e il suo spirito provava un
grande sollievo, ma alzando inavvertitamente gli occhi, la vedeva in
quello stato, e così veniva di nuovo ferito dal dolore. Il Santo si
decise di mostrarsi alla sua Sposa con il volto serio e di starne
lontano più che avesse potuto, ma non poté mai fare questo, perché
quando udiva le sue parole si sentiva tutto rapito dal suo amore
perciò, benché afflitto, le si mostrava molto affabile e sereno.
Furono molte le risoluzioni che faceva l'afflitto Giuseppe, ma non
poteva poi metterle in esecuzione, perché la passione gli faceva
risolvere di fare molte cose, ma la grazia divina, che abitava nella
sua anima, gli faceva operare diversamente.
Trovandosi il nostro Giuseppe in un così grande travaglio, e vedendosi come abbandonato da Dio e che l'Angelo non gli si faceva più sentire nel sonno, avendo anche sempre presente la causa del suo dolore, esercitò le più rare virtù che si possa dire: di pazienza, di sofferenza, di rassegnazione, di carità, di modestia, non dicendo mai cosa alcuna alla sua Sposa, benché la vedesse manifestamente incinta; non sospettò mai male, non fece giudizi, non diede in disperazioni, ma tutto rassegnato aspettava che il suo Dio lo consolasse manifestandogli la causa della gravidanza della sua Sposa, perciò in questa occasione il Santo praticò molte virtù ed acquistò grandi meriti e si dispose a ricevere la grazia sublime che dall'Angelo gli fosse manifestato il grande mistero dell'Incarnazione del Verbo Eterno nel seno purissimo della sua Santissima Sposa.
Trovandosi il nostro Giuseppe in un così grande travaglio, e vedendosi come abbandonato da Dio e che l'Angelo non gli si faceva più sentire nel sonno, avendo anche sempre presente la causa del suo dolore, esercitò le più rare virtù che si possa dire: di pazienza, di sofferenza, di rassegnazione, di carità, di modestia, non dicendo mai cosa alcuna alla sua Sposa, benché la vedesse manifestamente incinta; non sospettò mai male, non fece giudizi, non diede in disperazioni, ma tutto rassegnato aspettava che il suo Dio lo consolasse manifestandogli la causa della gravidanza della sua Sposa, perciò in questa occasione il Santo praticò molte virtù ed acquistò grandi meriti e si dispose a ricevere la grazia sublime che dall'Angelo gli fosse manifestato il grande mistero dell'Incarnazione del Verbo Eterno nel seno purissimo della sua Santissima Sposa.
Sua
giustizia e prudenza - Vivendo il nostro Giuseppe in così grave
afflizione e conoscendo benissimo come la sua santa Sposa fosse
vicina al parto, si raccomandò più che mai a Dio perché
l'illuminasse per quello che doveva fare e diceva fra sé: «Si vede
chiaramente che la mia Sposa non può tardare gran tempo a sgravare
dal parto. Cosa mai potrò fare io? Accusarla, come comanda la Legge,
io non devo farlo, perché sono certo che la mia Sposa è santissima,
né posso pensare alcun male di lei; ma intanto a ritrovarmi in
questo fatto senza saperne cosa alcuna, non ho tanto cuore, che io
abbia a riconoscere per mia quella prole alla quale non ho parte
alcuna. Meglio sarà che io parta e me ne vada ramingo e così
finisca i miei giorni in amarezza e dolore, perché sarà impossibile
che io possa vivere lontano dalla mia amata Sposa. Ma come avrò
cuore di lasciarla, essendo lei tanto santa e ornata di così rare
virtù? Eppure mi converrà lasciarla per liberarmi da una così
grave angustia.» Il Santo diceva tutto questo, e decise infatti di
lasciare la sua Sposa. Il suo cuore era immerso in un mare di dolore
e di amarezza senza alcuna consolazione, e l'afflitto Giuseppe
piangeva inconsolabilmente, e non trovava conforto al suo grave
affanno.
Sua
fervente preghiera - Risoluto di lasciare la sua Sposa, la sera
si ritirò nella sua piccola stanza e qui in ginocchio pregò il suo
Dio, lo supplicò del suo aiuto in quella così grave occorrenza,
dicendogli: «O Dio d'Abramo, d'isacco e di Giacobbe, o Dio mio! che
fin dalla mia infanzia mi hai custodito e promesso di assistermi e
custodirmi in tutte le mie vie, ti supplico, per la tua infinita
bontà, per la tua grandezza, per la tua potenza, la tua sapienza, e
per l'amore che sempre hai dimostrato a me, tuo vilissimo servo, e
per l'amore che hai portato e che porti alla mia sposa Maria, a
volerti degnare di mantenere le promesse che una volta mi facesti, di
aiutarmi e custodirmi sempre. Non mi abbandonare in questo grande
bisogno! Io mi getto tutto nelle tue braccia paterne; fa di me ciò
che più piace alla tua divina maestà. Ti raccomando la mia sposa,
che Tu mi desti affinché io fossi il suo custode. Finora ho
procurato di fare quel tanto che il mio dovere richiedeva, ma ora la
lascio alla tua paterna cura, mentre io mi allontano da lei, per
quella ragione che tu già sai, essendo tutto noto alla tua maestà.
Questo castigo è da me ben meritato, perché non ho saputo
approfittare dei suoi santi esempi e consigli perciò ora,
allontanandomi da lei, farò penitenza di quelle colpe che purtroppo
io avrò commesso; e benché sembri a me di non saperle conoscere
saranno ben note alla tua maestà, perciò ti supplico di perdonarmi
e di farmi la grazia di soffrire questo grande travaglio. Non ho
cuore da licenziarmi dalla mia Sposa, per cui prego la tua bontà di
volerla consolare in una così grande angustia e difenderla in ogni
occorrenza. Intanto ti prego di benedire i miei passi, perché io mi
porterò prima al Tempio di Gerusalemme per adorare la tua maestà e
capire la tua volontà, se ti piacerà di manifestarmela. Guarda ti
prego, l'angustia del mio spirito e l'afflizione del mio cuore, e
abbi pietà di me».
Lamento
affettuoso - Quando il nostro afflitto Giuseppe ebbe sfogato per
un pò la pena del suo cuore con il suo Dio, si rivolse col pensiero
verso la sua Sposa, e amorosamente si lamentava con lei: «Sposa mia!
- diceva nel suo cuore, - colomba mia innocentissima! Ecco che da te
mi allontano. Che cuore hai di vedermi in così grave angustia, e non
impetrarmi dal nostro Dio una stilla di conforto? Perché non mi
narri la causa della tua gravidanza? Eppure hai dimostrato sempre
tanta carità e tanto amore verso di me, e in questa cosa sembra che
ti sia scordata di me. Come farò io lontano da te che sei tutta la
mia consolazione? O mia cara e amata Sposa, ecco che io ti lascio, e
chissà se avrò la sorte di rivederti. Ti lascio sola, mia amata
Sposa; il mio cuore si strugge per la pena che soffre
nell'abbandonarti, ma pur così bisogna che faccia in questa
circostanza, non sapendo trovare altro modo per liberare te dal
castigo minacciato dalla legge, e me dal travaglio».
Si
dispone a lasciare Maria - Così tutto in lacrime Giuseppe si
alzò dalla preghiera, e prese quel tanto che riteneva necessario per
il suo viaggio. Preparò un piccolo fagotto e poi si mise a riposare
un poco per aspettare che si avvicinasse lo spuntare del giorno,
avendo già determinato di partire per tempo perché la sua Sposa non
l'avesse visto, e anche perché non fosse visto da alcuna delle
vicine e da altri, per non avere l'occasione di manifestare ad alcuno
la sua partenza. Intanto la sua divina Sposa si tratteneva a porgere
calde suppliche a Dio perché si degnasse di consolare
l'afflittissimo Giuseppe, trovandosi anche lei in grande afflizione.
Tratto da: http://www.reginamundi.info/San-Giuseppe/VitaSanGiuseppeBaij.asp
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