martedì 19 marzo 2019

La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B.


Introduzione


Cecilia Baij nacque a Montefiascone il 4 gennaio 1694. Entrò nel Monastero delle Benedettine di Montefiascone il 12 aprile 1713. Dopo essere stata Maestra delle Novizie e Vicaria, fu eletta Abbadessa il 10 luglio 1743, e tenne la carica quasi ininterrottamente per un ventennio. Attraversò, come tutti i mistici, ogni sorta di prove intime ed esterne, e venne sempre fuori con una umiltà e un distacco di sé che sono da soli una buona raccomandazione nei confronti della sincerità delle sue opere. Moriva a 71 anni, il 6 gennaio 1766. Il Cristo sofferente, durante la sua vita, volle associarla alla Sua Passione e a questo scopo, ne purificò il cuore con dure prove, rendendola degna di ricevere grazie e favori eccezionali.
Gli importanti scritti che la serva di Dio ci ha lasciati, e ricevuti per illuminazione divina, fanno di lei un’apostola e una messaggera dell’amore di Dio, nonché una grande mistica del secolo XVIII. Scrisse in particolare tre opere considerate pietre miliari della storia della mistica di tutti i tempi: “Vita interna di Gesú Cristo”, “Vita interna di S. Giuseppe” e la “Vita interna di S. Giovanni Battista” che sono il frutto di locuzioni interiori che la pia monaca riceveva e fedelmente scriveva in obbedienza al confessore. La prima edizione della “ Vita di S. Giuseppe” uscì nel 1921, trascritta e presentata da Mons.Bergamaschi, allora direttore del Seminario Regionale di Montefiascone e attento studioso delle opere della serva di Dio. Incoraggiato da eminenti personalità del tempo- da Bendedetto XV che gli fornì i mezzi per la pubblicazione e a cui dedicò il volume, all’Abate ordinario di San Paolo, il futuro Card.Schuster, elevato in seguito agli onori degli altari.

Capitolo I - La patria di S. Giuseppe e dei suoi genitori


Fondamento teologico - Avendo Dio destinato il glorioso S. Giuseppe per Sposo della Madre del suo Unigenito, volle anche che egli le assomigliasse molto, sia nelle origini, come nella patria e molto di più nelle sue virtù, impegnandosi l'Altissimo a formarlo tale e quale si conveniva per renderlo degno sposo della divina Madre.
I suoi genitori - I genitori del nostro Giuseppe erano, il padre nativo di Nazareth e la madre di Betlemme, e uniti in matrimonio dimorarono a Nazareth fino a che vissero. Il padre si chiamava Giacobbe e la madre Rachele, persone di santissima vita e simili sia nella nobiltà , come nelle virtù. Il padre era della stirpe e della progenie di Davide, come anche la madre era della medesima discendenza.
Frutto dell'orazione dei genitori - Dio permise che fossero per qualche tempo sterili, perchè voleva che il nostro Giuseppe fosse figlio di orazione, e perciò i suoi genitori facevano larghe elemosine ai poveri, come anche al Tempio di Gerusalemme, dove andavano spesso a pregare per impetrare da Dio la sospirata prole, e Dio non tardò molto a consolarli. Un giorno erano stati al Tempio ad offrire larghe elemosine, quando la madre ebbe una grande fede che Dio l'avrebbe esaudita e consolata. Tornando a Nazareth concepì il nostro Giuseppe, ed in quel tempo si videro sopra la loro casa tre lucidissime stelle, una di maggiore sublimità e splendore dell'altra, manifestando Dio con questi segni, come il nostro Giuseppe doveva formare la Trinità in terra ed essere il capo della Sacra Famiglia. Dio, però, permise che questo prodigio non fosse molto notato, affinchè il mistero e la fortuna del Santo rimanessero celati. La madre, essendo già incinta del nostro Giuseppe, sperimentava una grande consolazione e si andava esercitando sempre più in atti di virtù. Il nostro Giuseppe con l'alimento che riceveva dalla madre, si imbeveva anche delle virtù e devozioni che lei praticava, cosicchè nel seno materno contrasse, con il nutrimento, anche le nobili virtù della sua buona madre.
Un sogno profetico - La virtù, la devozione e l'allegrezza dei suoi genitori crebbero molto quando Dio rivelò loro l'occulto segreto per mezzo di un angelo che parlò ad entrambi in sogno, cioè¨, manifestò alla madre, come il fanciullo che lei portava nel suo grembo, avrebbe avuto la sorte di vedere il Messia promesso e trattare con Lui; che lei, però, avrebbe dovuto allevarlo con grande cautela ed accuratezza, e porgli il nome di Giuseppe, e che sarebbe stato grande al cospetto di Dio. Lo stesso disse in sogno a suo padre, ordinando però ad entrambi di tenere nascosto il segreto del Re e di non manifestarlo nemmeno al loro figliolo, ma che ne parlassero solo fra di loro per consolazione del loro spirito e per unirsi entrambi a ringraziare Dio e ad allevare bene il fanciullo, come anche a farlo istruire nella Sacra Scrittura. Ricolmi di giubilo per il sogno misterioso, i genitori del nostro Giuseppe conferirono insieme su quanto era loro accaduto, e scoprendo di essere stati fatti degni dello stesso sogno, ne resero affettuose grazie a Dio e si animarono alla pratica delle più eroiche virtù; e poichè erano saggi e prudentissimi, conservarono il segreto dentro di loro, non manifestandolo mai ad alcuno, obbedendo a quanto l'Angelo aveva loro ordinato.
Santa e felice gravidanza - Nel tempo della sua gravidanza, la madre si esercitava in digiuni, orazioni e larghe elemosine, ringraziando Dio del dono che le aveva fatto della sospirata prole e supplicandolo dell'aiuto divino, affinchè avesse dato felicemente alla luce il fanciullo. La madre portò con grande felicità la sua gravidanza, non essendo disturbata eccessivamente dai soliti travagli e patimenti; di tutto rendeva grazie a Dio, riconoscendo con molta gratitudine i benefici divini. Lo stesso faceva il padre di Giuseppe, che godeva molto della grazia che Dio faceva alla sua consorte di portare il fanciullo con tanta facilità e consolazione, ed entrambi rendevano grazie a Dio.




Capitolo II - La nascita di S. Giuseppe e la sua circoncisione

Nascita di Giuseppe - Arrivato il tempo della nascita del nostro Giuseppe, sua madre si preparò con più calde orazioni, cosicché arrivato il giorno fortunato lo diede alla luce con grande facilità, restando molto consolati, sia i genitori, come chi li assisteva. Il nostro Giuseppe aveva un'aria angelica, grave e serena e nonostante a quell'età si possano appena distinguere negli altri fanciulli le fattezze, tuttavia si distinguevano bene nel nostro Giuseppe che, al solo guardarlo, apportò a tutti una grande consolazione e specialmente ai suoi genitori, che, nel vederlo tale, si confermarono nella verità di quanto l'Angelo aveva detto loro in sogno. Terminate le funzioni che si fanno in tali occorrenze, la madre si applicò con la sua mente a rendere grazie a Dio del felice parto, e fattasi portare il fanciullo l'offrì a Dio col desiderio di dedicarlo al servizio del sacro Tempio di Gerusalemme. Ma Dio aveva già destinato di farlo custode del Tempio vivo e animato dello Spirito Santo, cioè della Madre del Verbo divino. L'Altissimo, però, gradì il desiderio e l'offerta della madre di Giuseppe e, se non accettò ed esaudì i suoi desideri, fu per sublimarlo ad un posto assai maggiore.
Comune esultanza - Per tutta Nazareth si sparse la fama della nascita del fanciullo e delle sue rare fattezze, e di come sembrava un angelo del Paradiso. Tutti si rallegrarono e fecero festa per la nascita dei fanciullo, che apportava a tutti un'insolita allegrezza e giubilo di cuore. Alla nascita di Giuseppe sfolgorarono poi a meraviglia le tre stelle splendenti sopra la casa dei suoi genitori, e si fecero vedere di nuovo, benché di passaggio. Il nostro Giuseppe aprì gli occhi e li fissò verso il cielo, tenendoli per qualche tempo così fissi, come stupito a rimirare la grandezza dei segno che Dio dava al mondo nel suo natale. Chiusi gli occhi, poi, non li aprì più fino al tempo debito, e questo fu ammirato da tutti con grande stupore e meraviglia.
Singolare modestia del fanciullo - Il fanciullo stava poi con grande quiete e tranquillità, apportando in tutto molta consolazione ai suoi genitori, e specialmente alla madre, che lo allattò con giubilo ed allegrezza e con molta riservatezza. Sebbene fosse in quella tenera età non permise mai che alcuno gli si avvicinasse a fargli le solite carezze che si fanno ai bambini, ritirando sempre il suo volto in atto di sdegnarle, mostrando anche in quella tenera età come doveva custodire illibato il candore della sua purezza ed innocenza, e permetteva solo ai genitori qualche dimostrazione di cordiale amore, benché essi fossero molto riservati, vedendo come il fanciullo schivava quei vezzi e quelle dimostrazioni di affetto.
Sua circoncisione - Arrivato l'ottavo giorno, i suoi genitori fecero circoncidere il fanciullo secondo l'uso degli Ebrei e i comandamenti della Legge e gli imposero il nome di Giuseppe, poiché erano comunemente d'accordo. Nel circonciderlo, il fanciullo pianse, ma asciugò presto le lacrime perché, nell'atto della circoncisione, Dio gli accelerò l'uso della ragione. Essendosi levata la macchia che aveva contratto dal peccato originale, stando in grazia ed amicizia di Dio, senza quella macchia che glielo rendesse in qualche modo disgustoso, Giuseppe fu ornato da Dio di molti doni e anche dell'uso della ragione, per la quale conobbe il suo Dio, e l'adorò con profonda adorazione, chinando la sua piccola testa e rasserenandosi tutto nel volto. Con atto ridente e grave esultò, mostrando anche esteriormente il godimento del suo spirito. Conobbe il beneficio che Dio gli aveva fatto e ne rese grazie affettuose e tutto si offrì a Lui. A Giuseppe, fu dato poi da Dio, oltre al suo angelo custode, anche un altro angelo, che molto spesso gli parlava nel sonno e lo ammaestrava in tutto quello che doveva fare per piacere maggiormente al suo Dio.
Pietà e zelo di Giuseppe - Il nostro Giuseppe, in quella tenera età aveva l'uso della ragione, della quale si serviva per conoscere, lodare e ringraziare il suo Dio che tanto lo aveva favorito, soffrendo l'incomodità di quella tenera età con grande pazienza. L'Angelo molto spesso lo avvisava di offrire a Dio quei patimenti che soffriva stando stretto tra le fasce; il fanciullo lo faceva in ringraziamento dei favori che Dio gli compartiva, e le sue offerte erano molto gradite a Dio. Il fanciullo comprendeva poi come il suo Dio fosse molto offeso dagli uomini, perciò spesso lacrimava, benché senza strepito, per non recare pena ai suoi genitori, e offriva a Dio quelle lacrime innocenti, ammaestrato così dal suo Angelo. Quando poi faceva questo, riceveva da Dio maggiori lumi e grazie, ed egli non mancava di rendere grazie a chi tanto lo beneficava.
Sua modestia e gratitudine - Quando poi la madre lo fasciava, il nostro Giuseppe si vedeva con il volto ricoperto di un vermiglio rossore e con gli occhi chiusi, in atto di mostrare dispiacere di essere sfasciato e visto. La madre era molto riservata in questo, ed usava grande cautela per non recare pena a suo figlio, poiché conosceva bene come la grazia divina facesse in lui mirabili prodigi, essendo anche lei un'anima molto illuminata e ornata di grandi virtù. Il nostro Giuseppe, succhiando il latte di sua madre, si imbeveva sempre di più delle sue virtù, e si mostrava con lei, più che con gli altri, molto affezionato e gradevole per l'alimento che gli dava. Le si mostrava molto allegro e gioviale, perché scorgeva in lei le rare virtù e capiva come, con il latte che prendeva da lei, gli si comunicavano anche le sue virtù.
Sua crescita - Il nostro Giuseppe aveva un ottimo temperamento ed era arricchito di doni naturali e molto più di doni soprannaturali. Cresceva a meraviglia sia nel corpo che nello spirito. Nel corpo per il buon nutrimento che riceveva da sua madre, anche lei di ottima salute; nell'anima, per i continui doni che riceveva dalla grazia divina e dalla generosità del suo Dio, che lo andava formando tutto a suo genio e secondo il suo Cuore, per renderlo poi degno sposo della Madre del Verbo divino. Il fanciullo conosceva le grazie che continuamente riceveva da Dio, e gli si mostrava grato con i soliti atti di ringraziamento. Il nostro Giuseppe aveva appena il cuore capace di amare, che tutto lo impiegò nell'amore verso il suo Dio e sommo benefattore, al quale ben riconosceva quanto doveva per i doni che gli aveva fatto.




Capitolo III - Purificazione della madre e presentazione di S. Giuseppe al Tempio

Al Tempio - Passati i giorni stabiliti dalla legge per le donne che si dovevano purificare, i genitori del nostro Giuseppe andarono a Gerusalemme; la madre per purificarsi e per offrire il loro fanciullo e poi riscattarlo, così come era ordinato nella legge. Essi portarono grandi doni al Tempio: non solo quello che erano soliti portare gli altri, ma molto di più, in atto di gratitudine per il beneficio ricevuto da Dio della sospirata prole. Il nostro Giuseppe in questo viaggio si fece vedere con un'insolita allegrezza e giovialità di volto, che fu ben avvertita dai suoi genitori, tanto che anche loro si riempirono di consolazione nel vedere il loro piccolo bambino tanto allegro e festoso. Capivano molto bene come la grazia divina si andava diffondendo nell'anima del loro figliolo, e che se tanto operava in quella tenera età, tanto maggiormente avrebbe fatto dei progressi nel crescere. Di questo ne rendevano grazie all'Altissimo e ne traevano motivo per crescere anche loro nell'amore e nella gratitudine verso Dio, ed applicarsi sempre più nella pratica delle virtù.
Purificazione e presentazione - Arrivati al Tempio, la madre di S. Giuseppe si purificò, e in quell'atto ricevette grandi lumi da Dio, per mezzo dei quali conobbe più chiaramente come Dio avesse arricchito suo figlio di doni. Lo presentò al sacerdote, e il sacerdote, nel riceverlo nelle sue braccia e presentarlo ed offrirlo a Dio, sperimentò un'insolita allegrezza e consolazione del suo spirito; fu illuminato interiormente da Dio e capì quanto fosse caro a Dio quel fanciullo che egli presentava. Il nostro Giuseppe accompagnò l'offerta di se stesso a Dio con il donarsi tutto a Lui e di buon cuore. In quest'atto apri gli occhi verso il cielo e stette per tutto il tempo in una posizione come astratto ed assorto in Dio. Ricevette allora da Dio la grazia santificante con un chiarissimo lume da riconoscere il nobile e sublime dono che Dio gratuitamente gli faceva, nell'atto in cui egli si era donato tutto a Lui. Conosciuto il grande dono si mostrò grato al suo Dio e lo ringraziò affettuosamente.
Il riscatto - I suoi genitori riscattarono il figliolo con le solite monete che per questo si davano, ed il sacerdote, nel rendere il figlio alla madre disse che lo allevasse pure allegramente e ne avesse una cura particolare, perché aveva capito che quel fanciullo era molto caro a Dio e che sarebbe stato un grande uomo, e che avrebbe apportato una consolazione a chi avesse trattato con lui, per la nobile indole che in lui si scorgeva. E questo si avverò perché, non solo apportava consolazione a chi trattava con lui, ma l'apporta anche a tutti i fedeli suoi devoti, avendolo Dio destinato come avvocato dei moribondi, come si dirà a suo tempo, e serve a tutti questi di grande consolazione e conforto nelle loro agonie.
Progresso di Giuseppe nelle virtù - I suoi genitori, ricevuto il fanciullo, resero grazie a Dio, lacrimando per la tenerezza di affetto e il giubilo dei loro cuori, e lo condussero alla loro patria come un tesoro e un dono sublime dato loro da Dio. Il nostro Giuseppe se ne stava tutto tranquillo, come assorto, facendo atti di ringraziamento al suo Dio, godendo e giubilando per la grazia ricevuta, per mezzo della quale andava facendo grandi progressi nell'amore verso il suo Dio, crescendo sempre a passi da gigante nella virtù. E nonostante a quella tenera età non gli fosse permesso di praticare quelle virtù che già tanto amava, tuttavia le andava praticando col desiderio, finché fatto poi adulto le praticò con le opere, operando sempre con tutta la perfezione, come si dirà in seguito.




Capitolo IV - L'infanzia di S. Giuseppe: il suo rapporto con Dio

Amore di Giuseppe per Dio e per il prossimo - La madre di Giuseppe, continuando ad allattare suo figlio con la solita consolazione, stava tutta attenta ad osservarlo. Il nostro Giuseppe spesso si faceva vedere tutto mesto ed afflitto, spargendo lacrime in un profondo silenzio. La madre si stupiva per vedere cose tanto insolite nel suo figlio, ma poiché era prudentissima, taceva, né manifestava ad alcuno le meraviglie che osservava nel figlio, pensando già che la grazia l'avesse prevenuto. Questa posizione in cui il nostro Giuseppe si faceva vedere, apportava alla madre una grande compunzione, quasi vedesse il suo innocente figlio in figura di penitente, e in questo non si sbagliava, perché il nostro Giuseppe, avendo già l'uso della ragione ed essendo arricchito della grazia santificante, conosceva più di ogni altro il suo Dio e capiva quanto era offeso e disgustato dagli uomini; ed egli, tutto mesto e dolente, spargeva lacrime in abbondanza, che poi offriva a Dio, supplicandolo di avere pietà dei peccatori, illuminandoli e facendogli conoscere i loro gravi errori. Oltre a questa conoscenza che il nostro Giuseppe aveva, spesso gli era suggerito dall'Angelo di fare questi atti verso il suo Dio, al quale sarebbero stati graditi, e con questo avrebbe anche usato la carità verso il prossimo errante. Il nostro Giuseppe lo faceva con grande desiderio di dare gusto a Dio e di beneficare il prossimo, tanto che, appena nato, si può dire che già adempiva i due precetti della legge, cioè, di amare il suo Dio sopra ogni cosa, con tutte le sue potenze e forze, ed il prossimo suo. E quello che non poteva fare per se stesso, perché non aveva colpa, lo faceva per il suo prossimo, piangendo ed affliggendosi per le colpe altrui. Quanto fossero gradite a Dio le lacrime dell'innocente Giuseppe, ce lo dimostreranno le grazie che Dio gli fece, una delle quali fu l'accelerare il tempo della nascita della Madre del Verbo divino, perché egli fosse il suo custode e fedelissimo sposo.
Sue prime estasi - Il santo fanciullo si faceva poi vedere molto spesso, come astratto ed assorto in Dio, stando in questo modo giorni interi, senza prendere il solito alimento, accontentandosi di quel cibo soavissimo che tanto riempiva il suo spirito, che era la divina consolazione; e quanto questa fosse grande si poteva capire da quello che anche esternamente appariva, cioè: un volto del tutto angelico, rubicondo, e ridente, con gli occhi sfavillanti come due stelle. La madre, che lo osservava, quando lo vedeva in tale posizione lo lasciava in libertà, né lo importunava; nel guardarlo anche lei si riempiva di un'insolita consolazione e si espandeva tutta in lodi e ringraziamenti a Dio per i doni che si degnava di fare a suo figlio. Molte volte anche suo padre osservò questo e, unito alla madre, si scioglieva in lacrime di consolazione.
Giuseppe e il Vicerè d'Egitto - Quanto furono consolati i genitori del nostro Giuseppe, nell'allevare il loro fanciullo, e quanto teneramente lo amarono! Ben altro che i genitori di Giuseppe patriarca, che fu poi Vicerè dell'Egitto, che fu una figura del nostro Giuseppe. Quello fu amato da suo padre sopra tutti gli altri figli, e il nostro Giuseppe fu amato e favorito da Dio sopra ogni altra creatura, destinandolo Padre putativo del divin Verbo Incarnato e sposo di sua Madre. Quello fu vestito dal padre con una veste preziosa, e il nostro Giuseppe fu vestito e ornato della grazia santificante. Quello fu odiato dai suoi fratelli e venduto come uno schiavo, e al nostro Giuseppe, alla morte dei suoi genitori, furono usurpate tutte le facoltà e fu costretto ad andare ramingo a Gerusalemme per imparare l'arte del falegname e per acquistarsi il vitto. Quello fu interprete dei sogni, e il nostro Giuseppe ebbe un angelo che nel sonno lo ammaestrava e gli insegnava quel tanto che doveva fare per piacere al suo Dio e per adempire la sua volontà. Quello fu Vicerè dell'Egitto, e il nostro Giuseppe fu Vice-Dio nell'Egitto di questo mondo. Quello conservò la fede al suo principe lasciando intatta la sua consorte, e il nostro Giuseppe conservò la fede allo Spirito Santo, lasciando non solo intatta la Sua divina sposa, ma essendo egli stesso il custode della sua purezza. Quello conservò il frumento per il beneficio di tutto il popolo, e il nostro Giuseppe mise in salvo la vita al Frumento degli eletti, cibo e conforto dei fedeli. Quello fu di consolazione ai suoi parenti e a tutto l'Egitto, e il nostro Giuseppe fu di consolazione al Verbo Incarnato alimentandolo con le sue fatiche e con i suoi sudori, e a Sua Madre, servendole di conforto nei suoi viaggi, ed è di consolazione a tutte le anime fedeli nelle loro necessità e nelle estreme agonie. Quello fu amato oltremodo dal suo principe, ed il nostro Giuseppe, quanto fu più amato e favorito dal suo Dio, facendo le sue veci sulla terra! Per cui non c'è stato nessuno sulla terra che si sia potuto paragonare al nostro Giuseppe, tanto favorito e sublimato dal suo Dio. Solo la sua santissima e purissima sposa fu senza paragone a lui sublime, perché Vergine e Madre del Verbo divino. Ora, essendo il nostro Giuseppe arricchito di tanti doni, apportò non solo una grande consolazione ai suoi genitori nell'allevarlo, ma essi furono anche arricchiti di molte grazie per amore del loro figlio che si mostrava loro molto grato; e se pregava in quella tenera età per i peccatori, molto più si applicava a pregare Dio per i suoi genitori. Dio esaudiva le sue preghiere, e perciò essi crebbero a meraviglia nelle virtù e nell'amore di Dio e del prossimo.
Suo sguardo al cielo - Quando poi il nostro Giuseppe era condotto da sua madre in un luogo dove poteva vedere il cielo, allora sì che si mostrava tanto contento! E, fissando gli occhi al cielo, li teneva immobili a guardarlo esultando e facendo festa, dando così a vedere come qui fosse il suo tesoro e tutto il suo bene. La madre, che si accorse di questo, spesso ve lo conduceva e quando vedeva il figlio afflitto, per sollevarlo, lo portava nei luoghi dove potesse vedere il cielo, e allora si rasserenava tutto, e per un pezzo era costretta a tenervelo per non privarlo della sua consolazione. Anche lei in tali occorrenze godeva molto e il suo spirito si rallegrava, contemplando le grandezze di Dio e le sue opere mirabili.
Tentazioni e vittorie - Il nemico infernale si accorse della luce che splendeva in Giuseppe e che i suoi genitori facevano grandi progressi nelle virtù, per cui temette molto che questo fanciullo potesse fargli guerra, e che con il suo esempio molti si applicassero all'esercizio delle virtù. Tentò più volte di togliergli la vita, ma i suoi attentati riuscirono sempre vani, perché il nostro Giuseppe era difeso dal braccio onnipotente di Dio e custodito dai due angeli che Dio gli aveva assegnato. Quindi il nemico fremeva di rabbia per non poter effettuare i suoi disegni, e si appigliò ad un altro partito, ingegnandosi di mettere guerra e confusione fra i genitori di Giuseppe. Anche questo gli riuscì vano, perché, essendo questi ornati di grandi virtù e timore di Dio, capivano bene le insidie del comune nemico, e con la preghiera lo facevano fuggire confuso. Tentò anche con le persone di servizio della casa, ma anche questo gli riuscì vano, perché il nostro Giuseppe pregava per tutti e Dio non tardava ad esaudirlo. Molte volte si asteneva dal prendere il solito alimento per accompagnare con l'orazione anche il digiuno: per cui trovandosi il nemico abbattuto di forze, desisteva per qualche tempo e si ritirava con il pensiero di fargli nuova guerra, aspettandone l'occasione: ma restò sempre vinto ed abbattuto, perché le preghiere di Giuseppe avevano una grande forza, ed erano molto efficaci presso Dio. L'Angelo poi destinato a parlargli nel sonno, ammoniva il nostro Giuseppe di tutto ciò che doveva fare per abbattere il nemico infernale, e lo avvisava quando questo si apprestava a fargli guerra e a disturbare la sua casa; ed il nostro Giuseppe non mancava di fare tutto ciò che l'Angelo gli diceva nel sonno.
Orazione e contemplazione - Essendo arrivato il fanciullo ad un'età conveniente, e crescendo a meraviglia, la madre lo tolse dalle fasce e lo vesti. Il nostro Giuseppe mostrò in questo grande gaudio, e alzando le mani verso il cielo, tutto anelante, pareva che volesse volare dove stava il suo Tesoro e spesso si faceva vedere in tale posizione. Altre volte la madre lo trovava con le mani incrociate molto strette sul petto, in segno che si abbracciava con il suo Dio, che abitava nella sua anima per mezzo della grazia e dimorava nel suo cuore. Altre volte lo trovava con le mani giunte, in atto di pregare e tanto assorto che sembrava non avesse sentimenti, perché tutto immerso nella contemplazione. La madre, in tali occorrenze, lo lasciava stare, ed egli vi dimorava giorni interi, trattenendosi nel contemplare le perfezioni divine, istruito ed ammaestrato nella preghiera dal suo angelo, e molto più dal suo Dio, che con tanta generosità si comunicava alla sua anima infondendogli il suo spirito.




Capitolo V - L'infanzia di S. Giuseppe

I primi passi - Il nostro Giuseppe, crescendo ogni giorno di più nell'amore verso il suo Dio e nella cognizione delle divine perfezioni, bramava di arrivare ad essere perfetto e santo per potere in qualche modo assomigliare al suo Dio nella santità e corrispondere al suo infinito amore. Perciò desiderava di arrivare presto a camminare per poter impiegare anche il suo corpo in ossequio al suo Dio e fargli, anche esternamente, quelle dimostrazioni d'amore e di sottomissione. Dio gradiva molto i desideri del nostro Giuseppe e li esaudiva, e così arrivò in breve a camminare.
Le prime parole - Il nostro Giuseppe incominciò molto presto a parlare e a camminare e le prime parole che proferì furono il nominare il suo Dio, ammonito così dall'Angelo nel sonno. La mattina che parlò, appena svegliato, disse: «Dio mio!». Fu inteso dai suoi genitori che, stupiti ed attoniti, si riempirono di giubilo, godendo che il loro figliolo incominciasse a parlare e godendo molto di più che le sue prime parole fossero dirette a Dio, come invocandolo in suo aiuto e chiamandolo "suo". Il nostro Giuseppe proferiva spesso questa parola e con ragione, perché essendosi egli donato tutto a Dio, Dio era tutto suo; e quando sentiva dire dai suoi genitori, che Dio si era chiamato il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, egli soggiungeva: «E di Giuseppe» - e lo diceva con tanta grazia, in quella così tenera età, che i suoi genitori ne godevano molto, e per ascoltarlo, gli dicevano spesso queste parole; ed era tanto il sentimento con cui il fanciullo le diceva, che sembrava, come infatti era, che Dio fosse tutto il suo bene e lo scopo di tutti i suoi affetti e desideri, e che non avesse altro pensiero ed amore che per il suo Dio. Perciò si vedeva esultare e giubilare quando lo sentiva nominare, e i suoi genitori spesso glielo nominavano con grande affetto e riverenza, per apportare al loro figliolo questa consolazione.
Offerte e suppliche - I primi passi che il nostro Giuseppe formò furono da lui stesso offerti a Dio, supplicandolo della grazia che in tutti i suoi passi Egli rimanesse glorificato e mai offeso, come fece anche delle sue parole, ammaestrato così dall'Angelo. Dio ascoltò le sue suppliche e le esaudì perché, tanto nelle parole come nei passi e in tutte le sue opere, restò sempre glorificato e mai offeso o disgustato. In tutte le sue azioni ebbe poi il nobile esercizio di guardare sempre il cielo ed invocare il suo Dio, supplicandolo del suo aiuto e della sua santa grazia nell'azione che faceva, affinché fosse secondo il suo divino beneplacito; e questo era nel cibarsi, nell'andare a riposare, nel parlare e nel camminare. E poiché in quella tenera età non gli era permesso di fare quelle azioni virtuose che lui bramava, gli offriva il suo desiderio e quelle azioni indifferenti che sono comuni a tutti per conservare la vita, come il mangiare, il bere, il dormire, il ricrearsi. Il nostro Giuseppe impreziosiva tutte queste azioni con la retta intenzione, facendo tutto per amore del suo Dio, e per amore dello stesso, si privava spesso di quello che più gli piaceva, ammaestrato così dal suo angelo in quella tenera età, perché altro non poteva fare per il suo Dio, che tanto amava; e spesso gli si offriva tutto in dono, rinnovando quegli atti che già fece quando fu presentato al Tempio. Sua madre, poi, vedendo come il figlio avesse molte capacità, lo andava istruendo insegnandogli vari atti di affetto verso Dio, come praticavano gli Ebrei, ed il nostro Giuseppe mostrava molto gusto nell'ascoltarli e li praticava mirabilmente con ammirazione della madre e di chi lo udiva.
Spirito dì preghiera - Quando poi camminava speditamente, spesso si nascondeva a pregare con le mani sollevate al cielo, facendo atti di ringraziamento a Dio, perché tanto lo beneficava, e stava ore intere inginocchiato a terra. Era meraviglioso vedere quel piccolo fanciullo in tale posizione, ma faceva più meraviglia vedere come il suo spirito si deliziasse nella contemplazione delle perfezioni divine e ben si notava anche esternamente mentre il suo volto appariva tutto rubicondo e gli occhi sfavillanti, dimostrando con questo che si deliziava con il suo Creatore, e che gli influssi della grazia ricolmavano la sua anima. La madre, che con destrezza si metteva in un luogo dove il figlio non la potesse vedere, lo sentiva spesso esclamare:«O Dio di bontà infinita, quanto mi hai beneficato e perciò quanto ti devo!». E diceva tutto questo balbettando, ma con il cuore infiammato d'amore verso il suo Dio. La madre che lo udiva, accompagnava il figlio con atti d'amore e di ringraziamento, e si scioglieva in lacrime di tenerezza per vedere il suo figliolo tanto favorito da Dio e arricchito di tanti doni.
Sospira il Messia - Gli fu poi manifestato dai suoi genitori come Dio aveva promesso di mandare al mondo il Messia, che si aspettava con desiderio, e che gli antichi Patriarchi bramavano tanto; questo gli fu anche insinuato dall'Angelo nel sonno, così il nostro Giuseppe si accese di un vivo e ardente desiderio di questa venuta e ne porgeva calde suppliche a Dio, perché si fosse degnato di accelerarne i tempi. Da questo momento tutte le sue preghiere tendevano a questo fine e Dio udiva con gusto le suppliche dell'innocente Giuseppe compiacendosene molto, e di questo gliene dava una chiara testimonianza perché, quando egli gli porgeva queste suppliche, Dio gli riempiva il cuore di giubilo e di consolazione, per cui il nostro Giuseppe si animava ancora di più nel fare la richiesta, e così avanzava nell'amore verso il suo Dio e nelle suppliche premurose.
Pena per le offese a Dio - Quando in casa accadeva qualche cosa per la quale Dio potesse restare disgustato - e questo capitava fra le persone di servizio per la loro fragilità - allora sì che il nostro Giuseppe si faceva vedere tutto afflitto e mesto, e piangeva amaramente; e poiché a quella tenera età non poteva riprenderli, dimostrava però con il pianto quanto fosse grande il suo dolore. La madre, che si accorgeva di questo, gli domandò un giorno perché piangesse tanto e si affliggesse, ed egli rispose con gran sentimento:«Tu mi hai più volte insegnato quello che devo fare per piacere a Dio e quello che si deve fuggire per non disgustarlo. Ora vedendo che nella nostra casa si disgusta, non vuoi che io mi affligga e pianga?». Questo disse alla madre, perché da lei era già stato più volte istruito a fuggire le offese divine, ed anche perché lei non arrivasse a comprendere i doni che Dio gli aveva partecipato, come l'uso della ragione e la chiara cognizione delle divine offese per le quali egli molto si affliggeva, mentre capiva come Dio meritava di essere amato, onorato e non offeso, e che le colpe disgustavano molto il suo Dio, che egli tanto amava. Inteso questo, la madre procurava di stare molto vigilante, affinché Dio non fosse offeso da nessuno della sua casa e riprendeva aspramente i trasgressori, tanto che il nostro Giuseppe, con il suo comportamento, fu occasione perché la casa dei suoi genitori si potesse chiamare piuttosto "scuola di virtù", vivendo tutti con un'esatta osservanza della legge divina.
Prudenza della madre - La madre, poi, era molto accorta, e prudente nel tenere nascosto quanto il figlio le diceva, e quanto in lui scorgeva di doni e di grazie soprannaturali; né si dimenticò mai di quanto le disse l'Angelo del Signore in sogno, e cioè che suo figlio avrebbe visto il Messia e avrebbe conversato con lui; perciò non si faceva grande meraviglia nel vederlo tanto favorito da Dio, e si impiegava tutta nel lodare e ringraziare la generosità di Dio, tanto grande verso il suo Giuseppe. A volte lo guardava con grande tenerezza di affetto, lacrimando per la consolazione che sentiva nel pensare che suo figlio avrebbe avuto la bella sorte, che non avevano potuto avere tanti Patriarchi e Profeti, di vedere venuto al mondo il Messia promesso; e spesso diceva al figlio: «Figlio mio, beato te!», - invidiando santamente la sua felice sorte. Il nostro Giuseppe le domandò una volta perché gli dicesse questo. La saggia madre gli rispose: «Ti dico questo, perché so che il nostro Dio ti ama molto», - celandogli il mistero. Giuseppe nel sentire queste parole, alzava le mani al cielo, esclamando: «Oh, sì, sì, che mi ama il mio Dio!». E qui si infiammava tutto nel volto, esultando per la gioia e lacrimando per la dolcezza. Poi aggiungeva: «Ed io lo amo? Poco lo amo! Ma lo voglio amare molto più di quello che lo amo; e nel crescere che farò negli anni e nelle forze, crescerò anche nell'amore del mio Dio».E fu così perché, a misura che andava crescendo nell'età, cresceva anche nell'amore.
Istruzione patema - I suoi genitori, vedendo poi che il figliolo era tanto capace, incominciarono ad istruirlo nelle lettere, e questo lo fece il proprio padre perché egli era molto dotto nella Legge, e non volle consegnare ad altri il figlio perché fosse istruito, perché frequentando gli altri non venisse a perdere quello spirito che Dio gli aveva comunicato. Così il nostro Giuseppe incominciò ad imparare a leggere e gli riusciva mirabilmente, in modo che suo padre non ebbe mai occasione di riprenderlo. Aveva appena tre anni che già incominciava a leggere con molta consolazione dei suoi genitori e a suo profitto. Si esercitava nella lettura della Sacra Scrittura e nei Salmi di Davide, che il Padre poi gli spiegava. Era molta la consolazione che il nostro Giuseppe sperimentava nel leggere e nel sentirsi spiegare dal padre quel tanto che leggeva, ed in questo esercizio ci mise tutto il suo studio, non tralasciando però mai i soliti esercizi di orazione e preghiere a Dio, e spendeva tutto il suo tempo in questo esercizio, cioè nel pregare, studiare e leggere, avendo per ogni cosa il suo tempo assegnato.
Sua ammirabile pazienza - Non fu mai visto, benché fanciullo, né adirato, né impaziente, ma conservava sempre una serenità di volto ed una somma quiete, nonostante molte volte Dio permettesse che gliene capitasse l'occasione, essendo maltrattato dalle persone di casa in assenza dei suoi genitori; e il nostro Giuseppe soffriva tutto con pazienza ed allegrezza. Il demonio spesso si ingegnava ad istigare le persone di servizio in casa, perché lo maltrattassero per vederlo perdere la bella virtù della sofferenza; ma questo non gli riuscì mai, perché il nostro Giuseppe era tanto immerso con il pensiero nell'amore del suo Dio e tanto godeva della sua presenza nella sua anima, che non c'era cosa, per grande che fosse, che turbasse la pace del suo cuore e la serenità del suo spirito. Il demonio fremeva molto nel vedere tanta virtù in Giuseppe, e fremeva molto di più perché non si poteva accostare a lui con le tentazioni, tenendolo Dio lontano; ma tanto fece che un giorno lo precipitò per una scala della casa, permettendolo Dio per esercizio di virtù al nostro Giuseppe e per maggior confusione del nemico infernale. Vedendosi il fanciullo così precipitato, chiamò Dio in suo aiuto, e Dio non tardò a soccorrerlo liberandolo da ogni male. Da questo Giuseppe ebbe occasione di riconoscere la grazia del suo Dio e ringraziarlo, e il demonio partì confuso.
Sua vita raccolta - Non fu poi mai visto, nonostante quella tenera età, fare cose fanciullesche, né mai si curò di trattare con altri fanciulli suoi pari, stando sempre ritirato in casa, applicato allo studio e all'orazione, non perdendo mai tempo. Prestava poi un'esatta obbedienza ai suoi genitori, non tralasciando mai di fare quel tanto che da loro gli era ordinato. Tutto il suo divertimento stava nel trattenersi spesso a guardare il cielo, perché sapeva che lì abitava il suo Dio; e gli inviava caldi sospiri supplicandolo di mandare presto nel mondo il Messia promesso.
Imitazione dei Patriarchi - Portava poi un grande affetto al Patriarca Abramo, Isacco e Giacobbe e al Profeta Davide, e spesso supplicava suo padre di narrargli la vita che essi avevano condotto, con il desiderio di imitarli; poiché sapeva che erano stati tanto amati e favoriti dal suo Dio e il padre lo compiaceva e gli narrava la vita, ora di uno, ora dell'altro. Il nostro Giuseppe lo stava ad ascoltare con molta attenzione e poi diceva: «Questi sono stati amici e favoriti del nostro Dio e questi dobbiamo imitare nelle loro virtù». E sentendo come il Padre Abramo camminava sempre alla presenza di Dio, come lo stesso gli aveva ordinato se voleva essere perfetto, procurò di imitarlo perfettamente. Il nostro Giuseppe era appena giunto all'età di sette anni, che era già capace di tutte le virtù che questi Patriarchi avevano esercitato, e per quanto si estendevano le sue forze, si applicava ad imitarli nella fede e nella confidenza ed amore verso il suo Dio; così il nostro Giuseppe cresceva nelle virtù e si rendeva sempre più gradito a Dio.
Lode a Dio - Sentendo poi come il santo Davide lodava il suo Dio sette volte al giorno in modo speciale, anch'egli lo volle praticare, e supplicò il suo angelo perché lo avesse svegliato per tempo, per potere lodare il suo Creatore anche nelle ore notturne. Sapeva già varie cose a mente, a lode del suo Dio, e le ripeteva spesso, sia di giorno che di notte con molto gusto del suo spirito e Dio non mancava di illuminarlo sempre di più ed accrescere in lui i suoi doni. Nel tempo stesso che lo stava lodando, era così acceso d'amore verso il suo Dio che, molte volte, nonostante fosse notte, apriva la finestra della sua stanza e si metteva a guardare il cielo, e qui dava adito al suo cuore perché divampasse le fiamme verso la sua sfera e diceva: «Beato colui che avrà la sorte di vedere con i propri occhi il Messia promesso! Beato chi avrà la fortuna di servirlo e di trattare con lui! Che sorte sarà la sua!».E diceva questo con tanto ardore che restava estatico per molto tempo, acceso da un vivo desiderio di poterlo servire e prestargli tutto l'onore e il servizio.
Amore per i poveri - Nel petto di Giuseppe ardeva poi un grande amore verso il prossimo e bramava di giovare a tutti, perciò diceva spesso ai suoi genitori che distribuissero delle elemosine ai poveri bisognosi e che non avessero riguardo di conservarle per lui, perché si accontentava di essere povero, purché gli altri non avessero patito; e i suoi genitori non mancavano di assecondare il suo desiderio, facendo larghe elemosine ai poveri, essendo già anche loro inclini nell'usare grande carità verso i bisognosi.
Sua purezza verginale - Il nostro Giuseppe era già arrivato all'età di sette anni con questo tenore di vita che abbiamo detto, avendo conservato sempre un illibato candore ed innocenza in modo tale che, non solo non diede mai un minimo disgusto ai suoi genitori, ma nemmeno fece mai alcuna azione che non fosse stata di sommo gusto e compiacimento del suo Dio; anzi, quanto più cresceva negli anni, tanto più gli si rendeva gradito operando sempre con maggiore perfezione. Oltre all'amore che aveva per la purezza, che Dio gli aveva infuso in modo mirabile, questa virtù gli fu anche molto raccomandata dal suo angelo, quando una volta nel sonno gli fece un grande elogio, soggiungendogli che questa virtù era molto cara al suo Dio ed il nostro Giuseppe se ne invaghì molto di più e propose di conservarla per tutto il tempo della sua vita; e perché potesse eseguire questo, supplicava il suo Dio perché gli avesse dato la grazia di poterlo fare. Propose anche di fuggire tutte le occasioni pericolose, perché il suo ammirabile candore non avesse mai patito alcun danno e infatti l'eseguì con tutto lo studio immaginabile, custodendo tutti i suoi sentimenti con grande rigore e specialmente gli occhi che teneva per lo più fissi a terra o rivolti al cielo. Dal suo aspetto si conosceva bene quanto fosse grande la purezza della sua anima e anche del suo corpo, tanto che pareva un angelo vestito di carne mortale. La madre più volte osservò lo splendore nel suo volto, ed anche suo padre; da questo conoscevano bene quanto grande fosse la purezza e l'innocenza del loro figliolo e come Dio si compiaceva di abitare nella sua purissima anima per mezzo della sua grazia; questo si notava quando il nostro Giuseppe terminava la preghiera, e che da solo a solo aveva trattato con il suo Dio.
Cura dei suoi genitori - In queste occasioni i suoi genitori si sentivano riempire l'anima di un'insolita consolazione e di un amore riverenziale verso il loro figlio, guardandolo sempre più come un tesoro e un dono del Cielo. Non tralasciavano però di esercitare su di lui quell'autorità propria dei genitori verso i loro figli, e spesso provavano come fosse obbediente ai loro cenni, ed egli si mostrava obbedientissimo in tutto.
Sua mortificazione - Il nostro Giuseppe era molto incline al digiuno e alle asprezze, ma quando i suoi genitori glielo proibivano, egli si sottometteva alla loro volontà con tutta la rassegnazione, e non replicava mai in alcuna cosa. Quando desiderava fare digiuni e veglie domandava a loro il permesso con tanta sottomissione, che sembrava non glielo sapessero negare, tanto era il modo che aveva per accattivarseli; e quando gli negavano il permesso, lo facevano con pena, perché non potevano contraddirlo.
Carità ai poveri - Molte volte ancora, il padre gli dava dei soldi perché desse l'elemosina ai poveri che gliela domandavano; ed allora la prendeva con tanta sottomissione ed umiltà, come se quella elemosina l'avessero fatta a lui stesso, e ben presto la dispensava ai poveri non trattenendo mai presso di sé alcuna cosa. Quando vedeva qualche povero venire a casa sua a domandare la carità, egli andava dalla madre e gliela domandava come per sé, con tanta sottomissione; la madre si meravigliava della virtù di suo figlio e gliela faceva largamente. Era poi tanto grande il gusto che il nostro Giuseppe aveva nel dare l'elemosina ai poveri, che si capiva bene nel suo volto, poiché se vedeva un povero si affliggeva tutto e subito si rallegrava quando gli dava l'elemosina.
Invaghito delle virtù - Era già molto incline alla pratica di tutte le virtù, ma se ne era molto più invaghito perché l'Angelo gli parlava nel sonno e gli manifestava il pregio e valore delle virtù, e come queste fossero molto care e di gusto al suo Dio. Non ci voleva altro perché il nostro Giuseppe si innamorasse della virtù. Il solo sentire che erano gradite al suo Dio, era sufficiente perché egli si mettesse a praticarle con tutto l'impegno.




Capitolo VI - Progresso di S. Giuseppe nelle virtù e favori che riceve da Dio

Consigliere umile e prudente - Il nostro Giuseppe aveva già compiuto sette anni e a questa età mostrava grande senno, più di un uomo di età matura. Le sue parole gravi e le sue opere tutte perfette erano tali che suo padre, dovendo prendere consiglio circa le cose importanti e di rilievo, non trovava miglior consigliere che il proprio figlio, e tutto gli riusciva bene con il consiglio che lui gli dava, perché era molto illuminato da Dio, e non sbagliava mai nel suo parere, perché trattava tutto con Dio nella preghiera. I suoi genitori non facevano nessuna cosa, se prima non avevano chiesto il parere del figlio, sapendo per esperienza che quello che lui diceva riusciva a puntino; ma il nostro Giuseppe si comportava in questo con tanta umiltà e sottomissione, che i suoi genitori stessi rimanevano meravigliati. Egli diceva loro il suo parere e poi aggiungeva:«Io vi dico questo, secondo quello che so essere giusto e che si deve fare; voi considerate bene il tutto e fate quello che conoscerete essere meglio e piùgradito al nostro Dio». Poi, rientrando di nuovo nell'orazione, pregava Dio di illuminare i suoi genitori, affinché avessero operato tutto quello che era di suo maggior gusto, non fidandosi mai di se stesso e giudicandosi una creatura vilissima e miserabile. Si umiliava molto al cospetto del suo Dio e quando i suoi genitori gli chiedevano il suo parere e qualche consiglio, ne sentiva una grande confusione, e parlava solo per obbedire e perché Dio rimanesse glorificato in tutte le cose. E Dio non mancava di prevenirlo sempre più con le sue grazie e di illuminarlo chiaramente, sia nell'orazione sia per mezzo dell'Angelo che gli parlava nel sonno, benché questo, a misura che egli andava crescendo, gli parlava più di rado, perché, oltre i lumi che Dio gli comunicava con più pienezza, veniva anche istruito con la lettura della Sacra Scrittura.
Cintura celeste - Una notte, però, mentre il nostro Giuseppe dormiva, l'Angelo gli apparve nel sonno e gli disse che Dio aveva gradito molto il suo proposito di conservarsi vergine per tutto il tempo della sua vita e che gli prometteva il suo favore ed aiuto particolare; e mostrandogli una cintura di incomparabile valore e bellezza, gli disse: «Questa cintura te la manda il nostro Dio in segno del gradimento che ha avuto del tuo proposito e della grazia che tifa di poter conservare sempre illibato il candore della tua purezza, ordinandomi che io te la cinga».Ed avvicinandosi a lui gli cinse i fianchi con quella cintura, ordinandogli di ringraziare Dio del favore e della grazia che gli concedeva. Quando si svegliò, il nostro Giuseppe si alzò subito e inginocchiato a terra adorò il suo Dio e lo ringraziò affettuosamente per il beneficio che gli aveva fatto e per il dono che gli aveva inviato, per mezzo del quale non ebbe mai alcuna cosa che lo molestasse in questo particolare. Benché il demonio lo assalisse con varie tentazioni, come si dirà a suo tempo, su di questo però non poté mai molestarlo in nessun modo, non permettendo Dio che il nemico lo assalisse con tentazioni contro la purezza, conservando in lui una purezza mirabile in modo che fu ben degno di trattare e di avere in custodia la Regina delle Vergini.
Grande grazia promessa - Un'altra volta l'Angelo gli parlò nel sonno e gli disse che Dio aveva destinato di fargli un dono molto grande e sublime non sapendo però che cosa fosse, ma che intanto gli manifestava la grazia che gli voleva fare, affinché lui si fosse impegnato a supplicarlo e se ne fosse reso degno con la pratica delle virtù e con le suppliche, perché il suo Dio godeva molto di essere pregato, e che alle grazie e favori grandi vuole che precedano grandi orazioni e preghiere. Sentito questo il nostro Giuseppe non fu curioso di investigare quale fosse questo favore e questa grazia sublime, ma si mise con tutto lo spirito a supplicare il suo Dio; e da quel momento in poi, lo supplicava con grande premura di due grazie: una era che accelerasse la venuta del Messia, e l'altra era che gli facesse la grazia che gli aveva fatto promettere dall'Angelo. Domandava a Dio molte altre grazie, ma queste due gli stavano molto a cuore. Questa grazia e dono sublime era il dargli per sposa la Madre del Verbo divino; non lo seppe mai fino a quando non la ottenne, benché nemmeno allora gli fu manifestata la Maternità divina. Mentre il nostro Giuseppe continuava a domandare le suddette grazie, sperimentava una grande consolazione.
Estasi sublime - Una volta, fra le altre, fu rapito in un'estasi sublime, nella quale gli furono manifestate le virtù che il Messia avrebbe praticato quando sarebbe venuto al mondo per vivere fra gli uomini, tra le quali l'umiltà e la mansuetudine che avrebbero spiccato a meraviglia, come anche tutte le altre e Giuseppe se ne invaghì tanto e pose tanto affetto a queste virtù che bramava praticarle ed arrivare a possederle, e perciò non mancò di porre tutto lo studio e la diligenza per acquistarle. Ed era mirabile il profitto che faceva in queste virtù, ed esortava anche le persone di casa dicendo loro che praticassero quelle virtù, perché piacevano molto al suo Dio.
Al Tempio per la Pasqua - Il nostro Giuseppe andava poi con i suoi genitori al Tempio di Gerusalemme nella solennità della Pasqua e, quando arrivava quel tempo, si faceva vedere allegro più del solito, mostrando di avere tutta la consolazione. Si preparava però a questa solennità con digiuni e preghiere, ammaestrato così dal suo Angelo. Quando era arrivato al Tempio, si metteva in ginocchio a pregare, stando immobile ore intere con ammirazione di chi lo osservava, specialmente perché era molto giovane. Qui riceveva grandi illuminazioni da Dio, e contemplando il gaudio della celeste Gerusalemme, pregava il suo Dio di mandare presto il Messia promesso, affinché per mezzo della Redenzione le anime potessero andare a godere quell'eterna beatitudine; e Dio si compiaceva molto delle sue suppliche. Suo padre portava poi larghe elemosine al Tempio che dava in mano al figlio, perché lui le offrisse e faceva questo perché conosceva il grande desiderio che il figlio aveva di fare l'elemosina, ed il nostro Giuseppe la faceva con tanto cuore ed allegrezza, che non c'è mai stato chi abbia tanto goduto nel ricevere quanto godeva Giuseppe nel dare e lo faceva con un'intenzione rettissima, donando di nuovo tutto se stesso a Dio. Aveva poi un grande desiderio di trattenersi a Gerusalemme per potere avere la comodità di andare spesso al Tempio; ed i suoi genitori, per compiacerlo, vi si trattenevano più del solito, ed in quel tempo il nostro Giuseppe non se ne andava mai dal Tempio se non per prendere il cibo ordinario e il riposo della notte; tutto il resto del tempo lo spendeva nel Tempio a pregare e a supplicare il suo Dio di concedergli quel tanto che egli bramava.
Fece poi una promessa a Dio, che se egli fosse rimasto privo dei suoi genitori voleva andare ad abitare a Gerusalemme per avere la comodità di frequentare il Tempio, per il quale sentiva un affetto particolare. Dio gradì la promessa, e non mancò, con il tempo, di dargli la comodità di poterlo fare. Nel tempo che i suoi genitori si trattenevano a Gerusalemme, il nostro Giuseppe non fu mai visto vagare per la città a guardare cose curiose, come si fa solitamente a quell'età, né mai in compagnia di qualcuno. Riveriva i Ministri del Tempio mostrandosi tutto ossequioso, ed è per questo che era amato da tutti, avendone ognuno grande stima, sia per le larghe elemosine che faceva come anche per l'ottima indole che si scorgeva in lui; ma il nostro Giuseppe non fece mai conto di questo, era attento solo all'amore del suo Dio e a procurare di piacere a Lui solo e dargli gusto. Un giorno, fra gli altri, mentre pregava nel Tempio con più fervore del solito, udì la voce interiore del suo Dio che lo assicurò come le sue preghiere gli piacevano molto e che l'avrebbe esaudito in tutto quello che gli domandava. L'assicurò dell'amore grande che gli portava invitandolo ad un'amorosa corrispondenza. Fu tanta la gioia che Giuseppe provò nell'ascoltare questa voce che andò in estasi stando immobile ore intere godendo l'incomparabile dolcezza e soavità dello spirito del suo Dio. Ne rimase molto più infiammato ed acceso d'amore, e non voleva sentir parlare d'altro che di Dio e delle divine perfezioni e bramava con grande ardore di trovare una compagnia o un amico fedele con il quale potesse conversare delle divine grandezze e perfezioni, ma conoscendo che un amico simile non c'era, pregava il suo Dio di mandarglielo. Un giorno, mentre stava facendo questa supplica, udì di nuovo la voce interiore del suo Dio che gli disse come l'avrebbe consolato molto più di quello che egli desiderava. E questo era vero, perché sebbene allora non glielo avesse manifestato, gli fece la grazia di trattare con il Verbo Incarnato e con la sua purissima Madre; grazia assai maggiore di quello che egli bramava e domandava. Tutto consolato per la promessa, il nostro Giuseppe, aspettava l'esecuzione con desiderio e non lasciava di domandarla al suo Dio con grande insistenza, perché conosceva come Lui lo favoriva in tutto e gli si mostrava propizio. Aveva per Dio una somma gratitudine e lo ringraziava continuamente dei benefici, offrendosi tutto a lui senza alcuna riserva.
Desiderio del Messia - Tornato a Nazareth, sua patria, sembrava che non sapesse parlare d'altro che della magnificenza del Tempio e della fortuna di coloro che si trovavano lì e saliva più in alto con il suo discorso parlando della celeste Gerusalemme, e diceva: «Se tanto gusto si sperimenta nello stare nel Tempio di Gerusalemme, quale gusto e consolazione si sentirà nell'andare ad abitare nella casa propria dove il nostro Dio risiede, e quanto grande sarà la magnificenza di quel luogo? Preghiamo il nostro Dio che ci mandi presto il Messia promesso, affinché per suo mezzo siamo fatti degni di andare anche noi ad abitarvi dopo la morte». Diceva questo ai suoi genitori con tanto spirito e ardore che provavano anch'essi un grande desiderio e i loro cuori si accendevano nella brama della venuta del Messia, porgendone calde suppliche a Dio. Il nostro Giuseppe faceva questi discorsi, non solo con i suoi genitori e con quelli di casa, ma anche con tutti coloro che vi andavano, imprimendo nel cuore di tutti un vivo desiderio della venuta del Messia e diceva loro: «Pregate spesso il nostro Dio che si degni di abbreviare il tempo delle sue promesse. Beati noi se potessimo ottenere questa grazia, ed avere la sorte di vedere il Messia fra di noi! Quale fortuna sarebbe la nostra! Quanto vorrei spendermi tutto per servirlo ed onorarlo!».Alle volte la madre si prendeva gusto e gli diceva: «Che faresti tu, figlio mio, se potessi avere la bella sorte di vedere con i tuoi occhi il Messia?».Ed egli allora, alzando le mani al cielo, esclamava: «Che farei! Mi donerei tutto a Lui, offrendomi prontamente a servirlo sempre, e non lo lascerei mai».E la madre soggiungeva: «E non sai tu che la servitù costa molta fatica?». Ed egli allora diceva: «Non solo farei volentieri molte fatiche per servirlo, ma ne sarei felice se mi dovesse costare la vita stessa».E la madre soggiungeva: «Chi sa poi se gradirebbe la tua servitù, e se ti ammetterebbe al suo servizio?». Ed egli rispondeva: «È vero che io non sarei degno di questo, ma lo pregherei tanto fino a quando, mosso a pietà, accetterebbe la mia servitù, perché, come il nostro Dio è infinitamente buono, così anche il Messia sarà infinitamente buono. E come il nostro Dio gradisce le nostre suppliche ed orazioni, così il Messia gradirà la mia servitù». Alla fine la madre lo consolava con questa risposta: «Orsù, figlio mio, continua a supplicare il nostro Dio affinché si degni di mandarlo presto, perché spero che gradirà i tuoi desideri ed esaudirà le tue suppliche e tu resterai consolato nelle tue brame». E allora alzando le mani al cielo esclamava:«Piacesse al mio Dio che questo accadesse. Chi sarà più fortunato e contento di me!»




Capitolo VII - Travagli di S. Giuseppe per opera del demonio e sua pazienza nelle tribolazioni

Insidie del demonio e sua pazienza - Il comune nemico fremeva di rabbia nel vedere le virtù mirabili che risplendevano nel nostro Giuseppe, e che con il suo esempio eccitava molti alla pratica delle virtù. Perciò, acceso di furore contro il santo Giovane, e non sapendo come fare per farlo cadere in atti di sdegno e d'impazienza, e per distoglierlo dal suo fervore nel servizio e nell'amore al suo Dio, si mise ad istigare alcuni malevoli mettendo nel loro cuore una grande avversione ed odio verso il Santo, perchè le sue azioni virtuose servivano loro di grande rimprovero e confusione. Si accordarono perciò insieme che, quando si sarebbero incontrati con lui, l'avrebbero preso in giro e deriso, dicendogli anche delle parole ingiuriose, come infatti fecero. Il nostro Giuseppe si incontrò con questi giovani immorali, che andavano appositamente sulle sue tracce, e incominciarono a prenderlo in giro e a deriderlo. Essendo solo, il Santo chinò la testa e rivolto col cuore a Dio incominciò a supplicarlo perchè avesse dato a lui la grazia di soffrire, e agli altri la luce per conoscere i loro errori. Questi, vedendo che Giuseppe non teneva conto dei loro scherni, si misero a maltrattarlo con le parole, chiamandolo sciocco, senza spirito, vile e pauroso, e che neppure sapeva parlare. Giuseppe continuava il suo viaggio con tutta tranquillità e quelli lo seguivano con grande spavalderia, dicendogli sempre delle parole pungenti ed offensive. Il Santo Giovane trovandosi nella perplessità se doveva rispondere perchè si calmassero, oppure tacere e soffrire tutto con pazienza, si sentì suggerire interiormente di soffrire e tacere perchè così avrebbe dato molto gusto al suo Dio. Tanto bastò perchè si decidesse di soffrire, anche con allegrezza, quella persecuzione, senza mai parlare; di questo quei giovani restarono confusi ed il demonio abbattuto. Non si quietarono perciò i cattivi giovani, ma continuarono per molto tempo a maltrattarlo, finchè alla fine, stanchi di continuare ad offenderlo, lo lasciarono. Questa persecuzione, però, durò molto tempo, in modo tale che, quando Giuseppe usciva di casa per qualche affare, che suo padre gli ordinava, era sempre pronto a soffrire i cattivi incontri. Il Santo di questo non si dolse mai con nessuno, nemmeno con i suoi genitori, stando sempre con il volto sereno e gioviale. Suo padre fu però avvisato della persecuzione che il figlio soffriva, e ricercò se questo fosse vero, volendone fare il dovuto risentimento; Giuseppe gli rispose con tutta serenità , che lui piuttosto godeva in queste cose e lo pregava di tacere perchè era sicuro che, soffrendo questo con pazienza, dava gusto al suo Dio, e poi soggiungeva: «Tu sai, padre mio, come hanno sofferto volentieri le ingiurie i nostri Patriarchi e Profeti; come il Re Davide soffrì di essere perseguitato ed ingiuriato; e noi sappiamo che questi erano gli amici e i favoriti del nostro Dio, dunque dobbiamo imitarli poichè Dio ce ne manda l'occasione». Suo padre rimaneva molto edificato di questo, e compiaceva il figlio lasciandogli soffrire i travagli senza farne alcun risentimento.
Prova penosa - Il demonio, vedendo come, non solo non poteva acquistare nessuna cosa con il Santo Giovane, ma che ne restava sempre confuso e svergognato, tentò altre vie per turbargli la pace del cuore e per farlo cadere nell'impazienza. Istigò una donna che, per la sua vita poco buona, vedeva malvolentieri il Santo e andava spesso dalla madre di Giuseppe a parlare male del figlio, cioè che era biasimato e deriso da tutti, che non era buono a niente, che con il tempo avrebbe consumato tutto il suo avere, essendo molto facile nel dare l'elemosina a chiunque gliela domandava, e che molti poveri, essendosi accorti di questo, lo seguivano quando usciva di casa. Sebbene la madre del Santo fosse molto saggia e prudente e conoscesse bene di che tempra fosse il figlio, per il continuo parlare della donna e per divina permissione, si turbò e molte volte fece delle aspre riprensioni al figlio, che le soffriva con grande pazienza senza scusarsi, e nonostante sapesse da dove veniva il tutto, non se ne risentì mai; solo una volta disse alla madre con tutta sottomissione, che si informasse bene di quello che le veniva riferito, perchè avrebbe appurato che non era vero ma che erano tutte opere del comune nemico per inquietarla e turbare la loro pace. La madre si prevalse delle parole del figlio, ed avvedutasi della frode del nemico, cacciò dalla sua casa quella donna, che in vari modi tentava di introdurvi la guerra.
Tentazioni e vittorie - Il demonio, vedendosi confuso, non desistette dall'impresa, ma trovò un altro stratagemma per inquietare e turbare il Santo, e, con il permesso di Dio, incominciò a tentarlo di vanagloria con varie suggestioni circa la vita che conduceva, del tutto irreprensibile, così agli occhi di Dio come a quelli degli uomini. Il Santo inorridiva a queste suggestioni e si raccomandava a Dio umiliandosi molto al suo cospetto, chiamandosi creatura miserabile e peccatore. Mosse anche alcuni a lodarlo in sua presenza e a magnificare le sue virtù, ma il nostro Giuseppe ne sentiva una grande confusione, dicendo sempre: «Io sono una creatura miserabile: lodiamo il nostro Dio, perchè Egli è degno di lode. Egli è perfettissimo in tutte le sue opere divine. Egli solo è degno di essere lodato ed esaltato». Fu tentato dal nemico in tutti i modi, solo contro la purezza non gli fu mai permesso di poterlo fare e di questo il demonio ne fremeva, e non mancava di trovare il modo perchè il Santo avesse almeno inteso dire qualche parola contraria a questa nobile virtù, ma siccome il Santo aveva una somma innocenza e semplicità non fu mai da lui nè capita, nè appresa. Trovandosi il santo Giovane in questi conflitti di tentazioni e suggestioni, si raccomandava al suo Dio con più ferventi orazioni; e una volta fu ammonito nel sonno dall'Angelo, perchè all'orazione aggiungesse anche il digiuno, e lo fece con grande vigore digiunando spesso ed affliggendo la carne, che non trovò mai ribelle allo spirito e con questo fracassava la testa al nemico infernale, restando sempre, lui vittorioso, ed il nemico scornato; ma nonostante per breve tempo desistesse di travagliarlo, non lasciò però, di tanto in tanto, di molestarlo con i suoi inganni.
Biasimi e sua mansuetudine - La vita ritirata e solitaria che il Santo conduceva era poi molto biasimata da alcuni, e molte volte andavano a casa sua alcuni giovani come lui per condurlo a divertirsi, ma il nostro Giuseppe si scusava sempre con belle maniere dicendo che il suo divertimento era studiare e leggere la Sacra Scrittura e la vita dei Patriarchi e dei Profeti per poterli poi imitare nelle loro virtù,poichè essi erano stati graditi al suo Dio e da Lui molto amati e favoriti, ed esortava anche loro a fare così. Non mancò chi prendesse in considerazione le sue parole e procurasse di imitarlo, perchè Giuseppe glielo suggeriva con tanto modo e grazia che le sue parole penetravano i loro cuori e dopo che aveva dato questi salutari consigli e queste buone esortazioni, si ritirava a supplicare e pregare Dio affinchè essi non avessero mancato di fare quel tanto che lui aveva loro suggerito, e lo pregava di dare loro all'istante i suoi aiuti particolari e la grazia per poterlo fare. Dio non mancava di esaudire le sue preghiere, e quando il Santo Giovane sentiva dire che coloro per i quali pregava mettevano in pratica i suoi consigli, si rallegrava molto e ne rendeva affettuose grazie al suo Dio. Non mancò però chi lo biasimasse e prendesse i suoi consigli in malo modo; si doleva di questo, incolpando se stesso, pensando che questo avveniva perchè lui era un peccatore e che non meritava che altri si prevalessero delle sue esortazioni. In tal caso si ritirava a piangere e pregava il suo Dio di usare la sua misericordia verso chi si faceva beffe dei suoi consigli e che non guardasse i suoi demeriti, ma il merito grande che Egli aveva di essere lodato e servito fedelmente. Lo pregava di illuminarli e far loro conoscere le verità da Lui manifestate: Dio si compiaceva molto di questo e non lasciava che le sue suppliche andassero a vuoto, mentre il più delle volte costoro si ravvedevano e tornavano dal nostro Giuseppe per ascoltare di nuovo le sue esortazioni che poi eseguivano fedelmente, e Giuseppe ne rendeva affettuose grazie al suo Dio.




Capitolo VIII - Affetto e particolare compassione di S. Giuseppe verso i moribondi

Sua compassione per i moribondi - Oltre ai molti doni che Dio si compiacque di dare al nostro Giuseppe, uno singolare fu quello verso i poveri moribondi. Era tanta la compassione che egli ne aveva, che aveva quiete quando sapeva che qualcuno si trovava in questo stato, perché il Santo capiva bene quanto grandi siano i pericoli che si incontrano in quegli ultimi momenti di vita e come i demoni allora fanno ogni sforzo per guadagnare e condurre le anime alle pene eterne. Una volta fu avvisato nel sonno dal suo angelo, che gli manifestò il pericolo grande in cui si trovano i moribondi, e la necessità che hanno di essere aiutati in quell'ultimo conflitto; e mentre l'Angelo gli manifestava tutto questo, Dio infuse nel suo cuore una compassione ed una carità ben grande verso i moribondi. Fece questo con somma provvidenza, perché, avendolo Dio destinato come avvocato dei moribondi, volle che anche in vita si esercitasse in quest'opera di tanta carità, e gli diede un grande amore e una grande compassione verso gli agonizzanti, facendogli anche intendere i grandi bisogni che essi hanno in quegli ultimi momenti, dai quali dipende un'eternità, o di eterna beatitudine, o di eterna infelicità e miseria. Per questo, il nostro Giuseppe, acceso di un vivo desiderio di giovare ai moribondi, si struggeva tutto quando sapeva che qualcuno si trovava in agonia, e stava ore intere in ginocchio a supplicare il suo Dio per il felice passaggio di quell'anima, perché andasse a riposarsi nel seno di Abramo.
Sua assistenza - Quando sapeva questo, non c'era per lui né cibo, né riposo, ma era tutto applicato a supplicare Dio per i bisogni del moribondo, e quando aveva la fortuna di trovarsi presente, non lo lasciava mai fin quando non era giunto al termine della vita, animandolo a confidare nella divina misericordia e a superare gli assalti dei nemici infernali. I moribondi provavano un grande conforto per l'assistenza del Santo e i demoni restavano molto abbattuti per le preghiere che faceva; e Dio gli concesse questa grazia che tutti coloro a cui il Santo si trovava presente alla loro morte non perissero, ma andassero, in parte al Limbo e in parte in Purgatorio. Il Santo lo conosceva con grande chiarezza, e di questo si consolava molto e ne rendeva grazie a Dio.
Sforzi del demonio - Il demonio si infuriò molto per quest'ufficio di grande carità che il Santo praticava, ed una notte, fra le altre, che aveva perso un'anima per l'assistenza del Santo, gli apparve con un aspetto spaventoso e orribile e lo minacciò di volerlo precipitare, se non avesse desistito da un tale ufficio. Il Santo si intimorì nel vedere quell'orribilissimo mostro e fece ricorso a Dio domandandogli il suo aiuto; per questa preghiera il dragone infernale scomparve e il nostro Giuseppe restò in orazione, dove udì la voce del suo Dio che l'animava a non temere, ma a continuare a fare la carità ai moribondi, di cui egli ne aveva un sommo compiacimento. Il Santo, animato e tutto consolato dalla voce interiore, si infiammò molto di più di carità verso i moribondi, e continuava ad aiutarli con le sue ferventi orazioni, e si stimava felice colui che poteva averlo presente alla sua morte. Infatti era felice non solo perché era liberato dagli assalti furiosi dei nemici infernali, ma perché la sua anima, per le preghiere del Santo, andava in un luogo di salvezza.
Persecuzioni dei malvagi - Anche per questa carità, che il nostro Giuseppe esercitava, passò molti travagli e persecuzioni da parte di gente malvagia e istigata dal demonio, ma non per questo desistette mai dal fare quest'ufficio tanto gradito a Dio e tanto utile al prossimo, e spesso il suo Angelo gli parlava per animarlo. Una volta, fra le altre, quando il Santo Giovane era molto afflitto per le persecuzioni,l'Angelo gli parlò nel sonno e gli disse da parte del suo Dio che stesse di buon animo e che continuasse a fare quell'opera di grande carità, perché Lui gli prometteva di fargli una grazia grande e specialissima alla sua morte. Non gli manifestò che grazia fosse, ma fu ben grande, perché ebbe la sorte di morire in mezzo a Gesù e Maria, con la loro amorosa assistenza. Giuseppe, animato dall'avviso dell'Angelo, continuò l'opera di carità, e non desistette mai, per quanto gli fosse impedito o per una parte o per l'altra, perché il demonio si affaticava molto per distoglierlo, ma non gli riuscì mai poiché il Santo Giovane era animato e fortificato dalla grazia divina e quando si trattava di fare qualcosa che fosse gradita al suo Dio, si impegnava tutto e non c'era chi lo potesse distogliere dall'opera intrapresa per gloria di Dio e profitto del suo prossimo.
Preghiere e lacrime per i moribondi - Alle volte veniva avvisato dal suo Angelo della necessità che qualche moribondo aveva delle sue orazioni, e il Santo si svegliava e si metteva subito in orazione, pregando Dio perché si degnasse di assistere con la sua grazia quel povero agonizzante, e non si levava dalla preghiera fino a quando Dio non lo assicurava del suo aiuto. Molte volle gli veniva manifestato dall'Angelo come fosse molto grande il numero di coloro che perivano eternamente; di questo il Santo Giovane si rattristava tanto che passava tutto quel giorno in amarissimo pianto e si addolorava che non potesse trovarsi presente alla morte di tutti per poterli aiutare a morire bene. Rivolto al suo Dio con caldi sospiri, lo pregava di mandare presto il Messia promesso, perché liberasse le anime dalla dura schiavitù di Lucifero e le riscattasse per mezzo della Redenzione. Quando poi era così afflitto e piangente, e i suoi genitori gli chiedevano qual era la causa del suo pianto, rispondeva con tutta franchezza e con grande umiltà:«Piango la perdita irreparabile di tante anime che il nostro Dio ha creato per condurle all'eterno riposo, ma esse, per loro colpa, si perdono. Il demonio ha un grande dominio sul genere umano e perciò preghiamo Dio perché si degni di mandare presto il Messia, affinché gli tolga il dominio e le forze, e le anime siano libere dalla tirannia di questo superbo dragone». Diceva questo con grande sentimento e compassione in modo tale che anche i suoi genitori piangevano in sua compagnia e si applicavano a porgere calde suppliche a Dio perché si fosse degnato di mandare presto il Messia promesso. Molte volte ancora impetrò da Dio la salvezza dei peccatori ostinati, che erano in procinto di perdersi, e il Santo si poneva in orazione supplicando Dio di restituire loro la salute affinché si fossero ravveduti dai loro errori e si fossero poi salvati. Per ottenere questa grazia impiegava giorni interi nella preghiera, accompagnandola anche con il digiuno. Perciò capitava rare volte che il Santo non ottenesse la grazia che domandava, e tutto quello che faceva era nascosto agli occhi degli uomini e manifesto solo al suo Dio.
Premiato da Dio - Quanto poi fossero gradite a Dio le preghiere del nostro Giuseppe e la carità che esercitava verso i moribondi, lui stesso ne era testimone mentre Dio non tralasciava di esaudirlo e molto spesso di consolarlo con le divine consolazioni, facendo godere al suo spirito, molto spesso, la soavità e la sua dolcezza in modo tale, che alle volte ne restava tutto assorto, e diceva con il santo Re Davide: «Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre», (Salmo 72, 25). E ripieno della consolazione divina stava giorni interi senza cibarsi, sentendo una sazietà mirabile, e tutto ripieno dello spirito di Dio, non sapeva né parlare, né pensare ad altro che al suo Dio, l'amore del quale tutto lo riempiva ed occupava.




Capitolo IX- Altre virtù di S. Giuseppe e suoi progressi nella sapienza e nell'amore verso il suo Dio

Sua crescita - Il nostro Giuseppe mentre cresceva in età , cresceva anche mirabilmente nella pratica delle virtù e avanzava molto nell'amore verso Dio, così come anche nello studio delle Scritture e soprattutto dei Salmi di Davide, che imparò quasi tutti a memoria per il continuo ripeterli.
Sua purezza e contemplazione - Il Santo continuò nel tenore di vita che finora abbiamo detto per lo spazio di quindici anni, conservando sempre intatto il suo candore e la sua innocenza, non avendo mai disgustato il suo Dio, non solo con la colpa grave, ma neppure con quella leggera volontaria, mettendo tutto il suo studio nel fuggire anche ogni minima ombra di peccato, standogli sempre a cuore l'ammonimento dello Spirito Santo che colui che disprezza le piccole cose, cade nelle gravi. Perciò in questo il nostro Giuseppe fu accuratissimo, tenendo in gran conto le cose leggere, custodendo con grande rigore tutti i suoi sentimenti ed in particolare gli occhi, con i quali non fissò mai in volto nessuno, soprattutto di sesso diverso, sapendo come Davide ed altri erano caduti per essere stati curiosi nel guardare quello che si deve fuggire; e quanto più egli si mortificava nei suoi sentimenti, per essere fedele al suo Dio, tanto più riceveva grazia da Dio, e tanto più cresceva in lui l'amore verso il suo Dio, unico oggetto del suo amore e di tutti i suoi desideri. Quando alle volte desiderava guardare qualche cosa che apportava piacere alla vista, ma poi pena al cuore per la colpa che facilmente si contrae, il nostro Giuseppe alzava subito gli occhi al cielo e qui si dilettava entrando con la mente a contemplare le bellezze increate del suo Dio e così restava tutto consolato. Praticava spesso questo esercizio, ora contemplando un attributo divino ed ora un altro, per mezzo del quale veniva a perdere tutto il gusto delle cose create e si accendeva in lui sempre più l'amore di Dio ed il gusto che sentiva nel dilettarsi e trattenersi con Lui solo.
Suo santo timore - Il Santo Giovane sapeva molto bene che i suoi genitori lo amavano molto e perciò spesso se ne doleva con il suo Dio perchè temeva che l'amore che portavano a lui, diminuisse in loro l'amore di Dio. Non mancava di dire loro, quando gli si presentava l'occasione, che stessero ben attenti, perchè l'amore si doveva tutto a Dio; che egli gradiva il loro affetto, ma che temeva che essendo troppo sensibile, potesse in qualche modo disgustare il suo Dio, il quale si deve amare sopra tutte le cose ed al quale si deve donare tutto l'amore. I suoi genitori restavano molto edificati per queste parole, e procuravano di staccarsi dal troppo amore che portavano al figlio, e consacrarlo tutto a Dio, così come il figlio andava loro insinuando. Il nostro Giuseppe sentiva molta consolazione per questo e ne rendeva grazie a Dio, il quale si degnava di fargli la grazia che i consigli che egli dava ai suoi genitori fossero appresi bene.
Sua vita edificante - Fuggiva poi con ogni studio di apparire virtuoso e sapiente, e non si mise mai a discutere con alcuno, sebbene fosse molto dotto nella legge di Mosè e tutti lo stimavano idiota e di poco intendimento; di questo ne godeva molto, amando di essere disprezzato e non stimato da nessuno. Non voleva poi sentire mai parlare di quello che si faceva per la città, nemico di storie, e diceva che questo gli toglieva l'applicazione che doveva avere, sia al suo Dio come anche allo studio, per cui in casa sua, quando egli era presente, non si parlava mai di cose curiose, nè di quello che si faceva per il paese. Infatti viveva mortificato in tutto, non permettendo mai ai suoi sensi una minima soddisfazione, che avesse potuto in qualche modo renderlo meno gradito al suo Dio. Giuseppe andava praticando queste virtù per la luce che Dio gli comunicava nella preghiera, facendogli conoscere chiaramente quel tanto che doveva operare per dargli gusto, ed egli non tralasciò mai di fare tutto quello che sapeva essere di gusto a Dio. Dio lo aveva poi dotato di un modo mirabile per consolare gli afflitti; infatti si esercitava in questo, e quando si incontrava a parlare con qualche persona travagliata ed afflitta, la consolava con le sue parole in modo tale che quella rimaneva, se non del tutto, almeno molto alleggerita dalla sua afflizione. Giuseppe non mancava di porgere calde suppliche al suo Dio, perchè consolasse coloro con i quali aveva trattato. Si divulgò per il Paese la fama di come il Santo Giovane aveva maniere tanto soavi per consolare coloro che si trovavano nelle angustie, che spesso molti andavano a casa sua per sentirlo parlare e per consolarsi; ed il Santo Giovane li consolava con le sue dolci maniere e li animava a soffrire il travaglio, dicendo a tutti che si raccomandassero a Dio, e che da Dio sperassero ogni consolazione ed ogni bene, perchè Egli glielo poteva dare cortesemente. Poi li esortava a pregare Dio che si degnasse di accelerare il tempo delle sue misericordie col mandare al mondo il Messia promesso nella Legge, perchè questo sarebbe stato di consolazione a tutti. Quando poi c'era qualche persona afflitta per la povertà, che non aveva di che vivere, ricorreva a lui con tutta confidenza, sapendo quanto grande fosse la sua carità, ed egli con grande sottomissione, supplicava i suoi genitori di soccorrere il prossimo bisognoso, ed essi lo facevano prontamente, compiacendo in tutto il figlio. Spesso suo padre gli dava dei soldi, affinchè sovvenisse i poveri bisognosi con le sue proprie mani; il figlio lo faceva con grande gusto, godendo nel soccorrere il suo prossimo e diceva loro: :«Riconoscete questo bene da Dio, perchè Egli lo dà a me perchè io ne faccia parte a voi, perciò tanto voi quanto io dobbiamo ringraziare il nostro Dio che ci benefica!». E così nel fare la carità fuggiva ogni stima, chiamandosi anch'egli povero e beneficato da Dio, perchè beneficasse il suo prossimo. Così procurava anche che tutti riconoscessero il bene da Dio, dando a Dio tutta la gloria e i ringraziamenti. Il nostro Giuseppe era perciò molto amato da coloro che egli beneficava ed essi lo lodavano per la città; questo fu occasione di invidia per alcuni cattivi, che lo perseguitavano e sparlavano molto del Santo Giovane, dicendo che egli faceva di tutto per farsi lodare e stimare e il demonio si serviva di loro per mettere in discredito la virtù del Santo Giovane. Questo fu riferito a Giuseppe, che godette molto di essere screditato e che si parlasse male di lui, solo gli dispiacevano le offese al suo Dio e perciò lo pregava di illuminarli affinchè la sua bontànon fosse offesa da quelle persone, e le raccomandava caldamente a Dio. Quando il Santo si incontrava con coloro che lo biasimavano, si mostrava loro molto cortese e affabile e, se gli capitava l'occasione di entrarvi in discorso, diceva loro: «State attenti a non offendere Dio, perchè se offendete me, poco importa!». E alcuni di quelli che gli volevano male, restarono affezionati al Santo per la dolcezza delle sue parole e per il modo con cui egli li trattava, quando si umiliava e si sottometteva davanti a tutti, riconoscendo tutti migliori di lui e di maggior virtù, parlando a tutti con grande rispetto e sottomissione in modo che i cuori più duri restavano inteneriti dalle sue parole e dalle sue dolci maniere, e si notava bene come il Santo trattava con Dio nella preghiera, e che il suo cuore era ripieno dello spirito di Dio.
Sua fede - Il nostro Giuseppe fu dotato anche di una grande fede, in modo che mai dubitò delle promesse che Dio gli aveva fatto per mezzo dell'Angelo, che gli parlava nel sonno, e sebbene vedesse che le promesse tardavano molto, non vacillò mai, ma rimase sempre costante nel credere che tutto si sarebbe eseguito perfettamente, imitando il Patriarca Abramo nella fede, e le parole che gli diceva l'Angelo erano ritenute da lui certe, aspettando le promesse che gli aveva fatto, e non tralasciando mai di supplicare il suo Dio perchè lo consolasse nel dargli quello che l'Angelo gli aveva promesso.
Aridità e pene - Il nostro Giuseppe camminava con tanta prosperità nella via dei comandamenti divini e, sentiva nella sua anima la consolazione divina, quando Dio volle provare la sua fedeltà sottraendogli la sua luce divina e la sua consolazione interiore, privandolo anche dell'aiuto speciale che aveva dall'Angelo, non facendoglielo più sentire; il Santo Giovane, quindi, si trovò in grandi afflizioni ed angustie. Non tralasciò però i suoi soliti esercizi di pietà ed anzi, accrebbe le preghiere e i digiuni con le continue suppliche al suo Dio, temendo molto di averlo disgustato. Passava le notti intere in preghiera supplicando il suo Dio di degnarsi di manifestargli, per mezzo dell'Angelo, la causa dell'abbandono che provava e in che cosa lo avesse disgustato per poterne fare la dovuta penitenza, poichè egli non era consapevole del motivo per cui il suo Dio si fosse ritirato da lui. Il Santo Giovane rimase per alcuni mesi in questo travaglio, soffrendolo con grande fortezza e con la speranza certa che Dio non avrebbe lasciato di consolarlo in tanta afflizione; e quanto più si vedeva solo e abbandonato, tanto più crescevano in lui la fede e la confidenza in Dio e più si stringeva a Lui con l'orazione e con l'uniformità alla sua santa volontà. Diceva spesso a Dio, che meritava quella privazione per la cattiva corrispondenza che gli faceva e per le molte offese, umiliandosi sempre più e riconoscendosi peccatore. Dio permise anche che il demonio, in questo tempo, tormentasse molto il Santo con varie tentazioni, soprattutto di diffidenza, ma in questo rimase sempre forte, confidando sempre di più nella grande bontà del suo Dio.
Consolazioni - Il nostro Giuseppe aveva sofferto con grande pazienza e rassegnazione l'abbandono e aveva superato generosamente tutte le tentazioni e gli assalti del nemico infernale, mostrandosi in tutto e per tutto fedelissimo al suo Dio, che si compiacque di consolarlo e di ricompensare la sua fedeltà. Una notte stando in orazione afflitto più del solito, udì la voce interiore del suo amato Dio che lo confortò, dicendogli che Lui lo amava molto e che non lo aveva mai abbandonato, ma che era stato sempre in suo aiuto per mezzo della sua grazia divina. Il Santo restò molto consolato nell'udire questa voce che fu accompagnata anche da una mirabile dolcezza e soavità e la sua mente fu anche illuminata; per cui colmo di giubilo pianse per la dolcezza e si impiegò tutto nel lodare e ringraziare il suo Dio che si era degnato di consolarlo in questo modo e ricondurlo allo stato di prima. Passato un po' di tempo in atti di ringraziamento e in dolci colloqui con Dio, prese un po' di riposo e l'Angelo gli parlò nel sonno, assicurandolo che nel tempo della sua sofferenza aveva dato molto gusto a Dio nel mostrarsi in tutto fedele, così come nelle tentazioni; Dio aveva permesso questo per provare la sua fedeltà ed il suo amore, e non perchè fosse stato da lui disgustato, come temeva. Il Santo Giovane destatosi si trovò molto contento per le parole dell'Angelo e, benchè non lo vedesse nè lo sentisse quando era sveglio, tuttavia ogni volta che gli parlava lo supplicava di fare i dovuti ringraziamenti a Dio da parte sua, perchè egli si riconosceva insufficiente nel ringraziarlo come doveva e l'Angelo non mancava di adempire quel tanto che gli veniva ordinato da Giuseppe.
Santi fervori - Il Santo, tornato allo stato di consolazione e quiete del suo spirito, perchè la luce divina era tornata nella sua anima, non si saziava di lodare e magnificare la bontà del suo Dio e con chi incontrava parlava delle divine grandezze e perfezioni, accendendosi sempre più nel divino amore. La fiamma che gli ardeva nel cuore traspariva anche nel volto, che appariva tutto acceso, con gli occhi sfavillanti e apportava grande meraviglia a chi lo guardava e molto più ai suoi genitori che ne sentivano una grande consolazione e compunzione, e spesso discorrevano fra di loro della felice sorte che gli era toccata, avendo Dio dato loro un tale figlio.
Nascita di Maria - Il giorno che venne al mondo la Santissima Vergine Maria, destinata ad essere Madre del Verbo divino e sposa di Giuseppe, il suo Angelo gli parlò nel sonno e gli disse di ringraziare Dio di un beneficio singolarissimo che aveva fatto a tutto il mondo, ma specialmente a lui. Non gli manifestò però che cosa fosse e il Santo non andò investigando, ma si destò subito e si mise in orazione, ringraziando Dio del beneficio fatto al mondo e a lui in particolare, come gli aveva imposto l'Angelo. Nel fare quest'atto di ringraziamento provò un'insolita dolcezza ed allegrezza mai provata prima; perciò andò in dolcissima estasi, nella quale gli furono rivelati molti misteri circa la venuta del Messia promesso e della sua divina Madre. Il Santo restò molto consolato ed acceso ancora di più del desiderio che aveva della venuta del Messia al mondo e perciò rinforzò le suppliche con maggiore insistenza, e si struggeva tutto in questi desideri, dando con questo molto gusto a Dio che voleva essere pregato con grande insistenza perchè mandasse al mondo il Messia promesso nella Legge. Infatti il nostro Dio richiede dagli uomini molte suppliche per concedere grazie tanto grandi e sublimi; ed in questo il nostro Giuseppe assecondava la volontà divina.




Capitolo X - Comportamento di S. Giuseppe alla morte dei suoi genitori

Assiste la madre morente - Quando il nostro Giuseppe arrivò all'età di diciotto anni, piacque al Signore, di togliere dal mondo i suoi genitori. Prima sua madre, la quale ammalatasi gravemente, ebbe una lunga e penosa infermità, volendo Dio, con questo, purificarla da tutte le sue mancanze per poterla poi mandare al Limbo. Dio le fece questa grazia per le suppliche che continuamente gli porgeva il figlio, e cioè, che si degnasse di mandare i suoi genitori a riposare nel seno di Abramo. Fu mirabile l'assistenza e la servitù che il nostro Giuseppe fece a sua madre, consolandola e confortandola nei suoi dolori, e porgendo continue suppliche a Dio affinché le avesse dato pazienza nella sua penosa infermità. Il Santo Giovane vegliava le notti intere, in parte assistendo la madre, e in parte pregando per lei; e siccome le aveva sempre mostrato una somma gratitudine per quello che aveva ricevuto da lei, in quest'ultimo istante della sua vita gliela mostrò in un modo singolarissimo, non abbandonandola mai, e non stancandosi mai di servirla ed assisterla con amore veramente filiale e santo. L'assistenza del figlio era di molta consolazione all'inferma, e continuamente lo benediceva e pregava Dio di ricolmarlo delle sue benedizioni. Alla fine della sua vita, Giuseppe si prostrò inginocchiato davanti a lei, e la supplicò di benedirlo e di perdonargli tutto quello in cui l'avesse disgustata. La buona madre lo benedisse, e lo esortò a non tralasciare il modo in cui egli aveva vissuto fino ad allora, e a crescere sempre più nell'amore e nel servizio del suo Dio; lo ringraziò dell'assistenza e della servitù prestatale, e lo stesso fece il figlio verso di lei. Le disse anche che morisse volentieri perché egli sperava di certo che la sua anima sarebbe andata al Limbo, fra i Santi Padri. La madre si consolò molto per le parole che le disse il figlio, e supplicò Dio affinché lo benedicesse, e confermasse con la sua benedizione, quella che lei gli aveva dato; e Dio per mostrare che esaudiva la sua domanda, le fece vedere una chiarissima luce risplendere sul volto di Giuseppe, della quale restò molto consolata, e unita al figlio, rese grazie a Dio del favore mostratole. Poi l'inferma si aggravò molto, e quando entrò in agonia, il figlio non la lasciò mai, assistendola fino all'ultimo respiro con grande generosità e fortezza d'animo; e non solo assisteva la madre, ma confortava anche suo padre, che era molto afflitto per la perdita di una così buona compagna.
Prega e consola il padre - Morta la madre, il nostro Giuseppe si trattenne a consolare un po' suo padre, e poi si ritirò nella sua stanza a dare sfogo al dolore col solito tributo delle lacrime, poi si mise in preghiera supplicando il suo Dio di volerlo consolare in tanta sua afflizione. In questa preghiera Dio non mancò di consolarlo, facendogli sentire la voce interiore che gli diceva che erano stati adempiti i suoi desideri e le sue giuste domande circa sua madre; per cui, tutto consolato il Santo Giovane, rese grazie a Dio, poi uscito dalla sua stanza, andò di nuovo a consolare suo padre, che si consolò e confortò molto per le parole che gli disse il figlio.
Sua conformità al volere di Dio - La notte seguente mentre Giuseppe dormiva, l'Angelo gli parlò e gli disse che sua madre si trovava già al Limbo, e che in breve sarebbe rimasto privo anche di suo padre, perciò che si uniformasse alla volontà divina, e che non avesse alcun timore, perché Dio lo avrebbe sempre protetto e difeso in tutte le sue vie. Il Santo restò molto consolato per la notizia avuta della sua buona madre, ma insieme afflitto per dover perdere anche il padre. Si uniformò però alla volontà divina, e si animò a soffrire i molti travagli che gli sovrastavano per la perdita del padre, dando fede a quanto l'Angelo gli aveva detto, e cioè che Dio l'avrebbe sempre protetto in tutte le sue vie. L'umanità, peraltro, sentiva al vivo tutto quello che prevedeva dover soffrire, ma lo spirito si mostrò prontissimo a soffrire tutto e a ricevere tutto con pazienza ed allegrezza dalle mani di Dio. Essendo rimasto il nostro Giuseppe privo della madre, e vedendo suo padre in grande afflizione, l'andava confortando continuamente, e non l'abbandonò mai in questa sua afflizione, facendo le parti di buon figlio verso l'amato genitore.
Al letto del padre morente - Non passò molto tempo, che il padre di Giuseppe cadde malato di una malattia mortale, e siccome il nostro Giuseppe era molto indebolito di forze corporali per i travagli e i patimenti sofferti nella penosa infermità della madre, sentì molta pena e si raccomandò molto a Dio affinché l'avesse assistito con la sua grazia, e dato la forza e lo spirito per poter assistere suo padre nella sua ultima infermità. Dio lo consolò accrescendogli le forze, ed egli si impiegò tutto ad assistere suo padre; non l'abbandonò mai giorno e notte, servendolo ed assistendolo con grande carità ed amore, animandolo a soffrire con pazienza i dolori e le angustie che suole apportare il male, che fu sofferto dall'infermo con grande generosità e pazienza; e solo gli portava afflizione il pensiero che aveva per il suo figliolo, e che rimanendo solo e abbandonato, avrebbe dovuto soffrire grandi travagli. Ma il figlio lo consolava, dicendogli che morisse pure tranquillo e che non pensasse a lui, perché sperava che Dio l'avrebbe protetto e aiutato in tutti i suoi bisogni; e cosi l'infermo si acquietava, e si confidava tutto in Dio, sicurissimo che avrebbe avuto tutta la cura del suo Giuseppe, perché conosceva che l'amava molto. Lasciò poi il figlio erede di tutte le sue facoltà, affinché se ne fosse servito come a lui fosse piaciuto, perché già sapeva che il figlio le avrebbe bene impiegate; e come buon padre, gli ricordò molte cose, raccomandandogli il timore e l'amore di Dio e l'amore verso il suo prossimo. Giuseppe stava ad ascoltare le parole di suo padre con grande umiltà e sottomissione, e dopo lo ringraziò di quanto gli aveva detto, e gli promise di fare quel tanto che gli diceva per il suo bene e per la gloria del suo Dio. Di questo il padre rimaneva sempre più consolato, e diceva al figlio: «Figlio mio, io muoio contento, perché vedo che tu sei bene impiegato nell'esercizio delle virtù e che ami e temi Dio, ed anche perché ti lascio erede di molti beni con i quali ti puoi mantenere nel tuo stato e puoi fare delle elemosine secondo il vostro desiderio. Ti raccomando perciò la mia anima; sia tua cura impetrarmi da Dio la remissione dei miei peccati trascorsi e la grazia di andare in un luogo di salvezza; non ti scordare mai di me e di tua madre, perché hai già conosciuto quanto ti abbiamo amato, e la cura particolare che abbiamo avuto di te. Ora, altro non mi resta, che darti la mia paterna benedizione e supplicare il nostro Dio che la confermi con le sue benedizioni ti ricolmi sempre più delle sue grazie». A queste parole, l'umile Giuseppe si prostrò a terra, e domandando la benedizione a suo padre, e molto più al suo Dio, ricevette la benedizione dal padre e da Dio insieme; poi con le lacrime agli occhi ringraziò il padre di tutto il bene che gli aveva fatto, della buona educazione, dei buoni esempi che gli aveva dato, e gli domandò perdono di tutto quello che aveva fatto contro il suo volere e di quanto l'avesse potuto disgustare. Ma suo padre, non avendo ricevuto mai alcun disgusto dal figlio, anzi avendone ricevuto piuttosto gusto e consolazione, gli disse che non aveva di che perdonargli, perché mai l'aveva disgustato; ma il santo Figliolo, non contento di questo, non si volle alzare da terra se prima il padre non gli avesse assicurato il perdono. Il padre per compiacerlo e per non privarlo di quella soddisfazione, gli disse che lo perdonava di tutto di buon cuore; di questo il figlio rimase molto contento e soddisfatto, e fece al padre affettuosi ringraziamenti. Poi gli domandò il permesso di dare ai poveri e al Tempio le facoltà che gli lasciava, e suo padre mise il tutto in sua libertà, affinché ne disponesse come a lui fosse piaciuto, e come fosse stato di volontà di Dio. Tutto contento di ciò, Giuseppe ringraziò di nuovo il padre e l'assicurò che lui non si sarebbe scordato né della madre, né del padre, che perciò andasse pure sicuro e quieto.
Ultima assistenza - L'infermo si andava aggravando, e Giuseppe accresceva la servitù e l'assistenza, e molto più le preghiere e le suppliche al suo Dio per la salvezza eterna del suo buon padre, e Dio gliene diede una stabile sicurezza; rallegratosi di ciò, il Santo ne rendeva continue grazie a Dio. Poi, il nostro Giuseppe si offrì a Dio, e lo supplicò di volersi degnare di far soffrire alla sua propria persona quel tanto che conveniva soffrire a suo padre, in sconto di quei debiti che avesse contratto con la divina giustizia, affinché l'anima di suo padre fosse andata addirittura al Limbo dei Santi Padri. Dio l'esaudì, per cui il nostro Giuseppe soffrì per più ore gravissimi dolori, con grande rassegnazione, godendo di scontare con questo, le pene dovute a suo padre; perciò ne ringraziava Dio affettuosamente, e rimanendo molto più sicuro, che il suo genitore sarebbe andato a riposare, dopo la morte, con la sua anima nel seno di Abramo, alzando le mani al cielo con giubilo di cuore, lodava e ringraziava la divina bontà.
Morte del padre - Arrivato agli ultimi estremi della vita, il padre fu assistito dal figlio con grande carità ed amore, animandolo sempre ed esortandolo a confidare nella bontà e misericordia del suo Dio e ad andare allegro, mentre era certo che sarebbe andato in un luogo sicuro. Il moribondo ebbe molta consolazione per l'assistenza del figlio, e morì con grande rassegnazione e sicurezza della sua salvezza eterna. Quando l'infermo spirò, il nostro Giuseppe si ritirò a pagare alla natura il solito tributo delle lacrime, e ne aveva ben ragione, mentre restava privo di un padre tanto a lui benefico ed amorevole, e che gli aveva dato una così buona educazione. Dato che ebbe qualche sfogo al dolore, si mise genuflesso al cospetto del suo Dio, e qui con lacrime lo supplicò del suo aiuto dicendogli: «Dio di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe! Dio mio! Ecco che sono rimasto privo del padre e della madre, che a Te è già piaciuto levare dalle miserie di questa fragile vita. Ora io ti supplico di volerti degnare di ricevermi tutto sotto la tua protezione, mentre io di nuovo tutto a Te mi dono e sacrifico. Io sono sempre stato protetto e difeso da Te e sono sempre stato tuo schiavo, ma ora di nuovo a Te mi dedico, e ti supplico di avere di me tutta la cura e sopra di me tutto il dominio. Ora io non sono soggetto ad altri che a Te. Dio mio! fammi dunque la grazia che anch'io possa dirti col Real Profeta: "Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto" (Salmo 26, 10). Da ora innanzi Tu sarai mio Padre, il mio protettore, mia madre e tutto il mio sostegno e rifugio; fa' di me e di ciò che mi appartiene quello che ti piace, e si adempia in me la tua divina volontà in tutte le cose; fammela intendere, perché io sono prontissimo ad eseguirla in tutto e per tutto».Mentre Giuseppe diceva questo al suo Dio, restò molto consolato, mentre Dio gli fece udire la sua voce interiore, e gli disse che stesse pur sicuro perché Lui aveva udito la sua preghiera, e che sarebbe stato sempre protetto e rimirato da lui con paterno amore. Il nostro Giuseppe rese grazie a Dio per il sublime favore che gli faceva e, tutto consolato, si levò dall'orazione.
Prove penose e sua pazienza - Il Santo Giovane passò poi molti travagli perché, conoscendo tutti la sua bontà, ognuno si faceva lecito di togliergli chi una cosa, chi un'altra, e specialmente le persone di servizio di casa prendevano la roba e quello che a loro piaceva. Giuseppe si accorgeva di tutto, e non faceva altro risentimento, solo che ammonirli di non fare quelle offese a Dio, e a non aggravare la propria anima, ma siccome il Santo era di sua natura piacevole, benigno e caritatevole, non lo stimavano, e abusavano della sua bontà. Giuseppe, vedendo che non desistevano dal danneggiarlo, affinché non offendessero Dio, si decise di dare loro licenza e di donare loro quel tanto che si erano usurpati, e così fece. Da ciò presero motivo di oltraggiarlo con parole ingiuriose: e siccome il demonio li istigava molto per sfogare la sua rabbia contro il Santo, faceva sì che fosse maltrattato ed offeso da quelli stessi che lui aveva tanto beneficato. Il Santo soffrì con grande pazienza tutte le ingiurie senza affatto alterarsi. Gli furono anche tolti i beni dai parenti del padre, con la condizione di volere Giuseppe in casa loro, ma il Santo lasciò loro tutto in pace, e non volle mai accordarsi di andare a stare con i parenti, perché aveva già stabilito di andare ad abitare a Gerusalemme per poter frequentare il Tempio; questi si adirarono molto contro il Santo Giovane, e non potendolo rimuovere dal suo proposito con le lusinghe, lo fecero con le minacce. Molte volte fu maltrattato e offeso da loro con fatti e con parole, e il Santo soffriva tutto con ilarità di spirito, e non si vide mai adirato o inquieto. Tanto si inoltrarono, che spogliarono il Santo Giovane di tutte le sue molte facoltà; e trovandosi in questa afflizione si rivolse al suo Dio domandandogli aiuto in tanta sua necessità, e che si fosse degnato di manifestargli la sua volontà e che cosa doveva fare. Dio non tardò a consolarlo, mentre nella notte l'Angelo gli parlò nel sonno, e gli disse che avesse venduto quello che gli era rimasto, e che ne avesse dato in parte ai poveri, e in parte ne avesse portata ad offrire al Tempio; e che per sé si fosse lasciata poca porzione, perché Dio lo voleva povero; che fosse andato ad abitare a Gerusalemme e qui avesse imparato l'arte del falegname per guadagnarsi il vitto quotidiano e che in tal modo fosse vissuto fin tanto che Dio avesse voluto disporre altro di lui; che si fosse conservato vergine come già aveva promesso prima a Dio e che fosse vissuto lontano più che poteva dal commercio degli uomini, affinché il suo candore e la sua innocenza non avessero patito detrimento alcuno, e che stesse certo che Dio l'avrebbe sempre protetto e difeso e ricolmato delle sue benedizioni. Tanto disse l'Angelo a Giuseppe, e tanto bastò perché Giuseppe eseguisse il tutto con prontezza. Vendette tutto quello che gli era rimasto, e nel fare questo dovette soffrire grandi rimproveri e persecuzioni. Non era padrone di uscire di casa, che chiunque lo vedeva, lo prendeva in giro e lo maltrattava, dicendogli dissipatore delle paterne sostanze, e che tutto sprecava; chiamandolo chi insensato e pazzo, chi uomo da niente, e chi vagabondo ed ozioso; infatti ognuno si permetteva di maltrattarlo. Il Santo Giovane soffriva il tutto con grande pazienza senza mai rispondere ad alcuno; e nonostante si potesse giustamente lamentare dei suoi congiunti che l'avevano spogliato delle sue facoltà, non lo fece mai; ma soffrì tutto con silenzio e pazienza. Avendo poi venduto quello che gli era rimasto, per eseguire quel tanto che l'Angelo gli aveva detto, e saputosi questo dai suoi congiunti, costoro presero il Santo Giovane, lo percossero malamente e lo maltrattarono come dissipatore della roba a loro dovuta. Il nostro Giuseppe soffrì le ingiurie e le percosse con grande tolleranza, e non fece di questo risentimento alcuno, ma prostrato in orazione davanti al suo Dio, lo supplicò di volersi degnare di difenderlo e liberarlo dalle mani dei suoi avversari, così come aveva liberato il santo Davide dalle mani dei suoi nemici e tanti altri, che la sua bontà aveva protetto e difeso.
Consolato da Dio - Stando così afflitto, Dio non tardò a consolare il suo fedelissimo servo, e gli parlò interiormente assicurandolo della sua protezione e del suo aiuto, ed animandolo a soffrire con pazienza quel travaglio, perché gliene avrebbe data un'abbondante ricompensa. Giuseppe rimase molto consolato per le promesse del suo Dio, e animato a soffrire molto più quando gli fosse occorso; ma Dio non permise che fosse più molestato e travagliato, avendo per allora sperimentato abbastanza la sua fedeltà e la sua grande pazienza. Per cui tutti lo lasciarono in pace, ed il santo Giovane. quando ebbe venduto tutto e raccolto il denaro insieme, ne fece un'offerta a Dio supplicandolo di ricevere quell'offerta, e che per se stesso non voleva cosa alcuna se così a Lui fosse piaciuto. La notte l'Angelo gli parlò di nuovo, e gli disse che partisse subito dalla sua patria e se ne andasse a Gerusalemme, che qui giunto al Tempio gli avrebbe detto di nuovo quello che doveva fare; e la mattina subito parti.




Capitolo XI - Partenza di S. Giuseppe da Nazareth

Lascia Nazareth - Il nostro Giuseppe, alzatosi la mattina prima del giorno, e fatto un piccolo fardello di pochi panni per suo servizio si mise in preghiera supplicando il suo Dio di volerlo assistere in quel viaggio. «Ecco, - disse il Santo Giovane, - o Dio mio, che lascio la patria, e povero e mendicante me ne vengo a Gerusalemme per adempire qui la tua divina volontà. Quanto più mi vedo povero, tanto più sono contento, perché così piace a Te, e dato che qui nella mia patria sono stato oltraggiato confatti e con parole, e sono stato spogliato dei beni di fortuna, ti supplico di non castigarli, ma perdona loro tutti gli affronti che mi hanno fatto, perché io di buon cuore perdono a tutti, e per tutti desidero ogni bene. E se nella città dove io ora vengo ad abitare, piacerà a Te che io sia trattato come sono stato trattato dai miei concittadini e congiunti, sono prontissimo a soffrire tutto per adempire la tua divina volontà. Ti prego perciò, di non abbandonarmi, perché avendo Te in mio aiuto e favore, non temo di cosa alcuna. Ti prego pertanto di darmi ora la tua paterna benedizione; che questa mi difenda nel cammino: mi regga la tua destra onnipotente, mentre io mi pongo tutto nelle tue braccia paterne ed amorose». Detto questo, si levò dall'orazione tutto allegro, avendolo Dio assicurato della sua benedizione, e preso il suo piccolo fardello, partì da Nazareth prima del giorno e si mise in cammino a piedi verso Gerusalemme, senza che alcuno lo vedesse. Il Santo andava per il viaggio solo, lodando e benedicendo il suo Dio e recitando vari salmi di Davide con grande allegrezza del suo spirito, e spesso replicava: «Ecco, o mio Dio, che vengo ad adempire la tua divina volontà ed il desiderio che ho sempre avuto di abitare a Gerusalemme, per poter frequentare il Tempio». E a misura che si inoltrava nel cammino, si accendeva nel suo cuore il desiderio di arrivare presto, e lì nel Tempio, adorare il suo Dio e di nuovo sacrificarsi a Lui. Si divulgò poi per Nazareth la notizia che Giuseppe era partito; non ci fu alcuno che ne ricercasse o ne andasse in traccia, anzi molti si rallegrarono di questo, perché pensavano di godersi in pace quel tanto che gli avevano usurpato; e così, dimenticato da tutti, non si fece più menzione di lui nella sua patria, pagandolo tutti d'ingratitudine. Il Santo Giovane lo riseppe, e ne godette molto, «perché, - diceva lui, - così mi lasciano vivere in pace e stare con la mia quiete».
A Gerusalemme - Arrivato a Gerusalemme il nostro Giuseppe se ne andò addirittura al Tempio, e qui, adorato il suo Dio, gli si offrì tutto di nuovo, lo ringraziò della cura e dell'assistenza che gli aveva fatto nel viaggio e lo pregò di manifestargli la sua volontà. Qui Dio gli parlò di nuovo interiormente, ordinandogli quel tanto che doveva fare; e siccome il Santo era stanco per il viaggio fatto, partì per andare a riposarsi un po'. Domandando la benedizione a Dio, uscì tutto lieto dal Tempio, e andò in un albergo a riposarsi e cibarsi secondo il bisogno. Nel sonno poi l'Angelo gli parlò di nuovo, e gli confermò quel tanto che Dio gli aveva detto interiormente, e gli ordinò che di quel denaro che aveva portato, ne avesse dato due parti al Tempio, e della terza parte se ne fosse servito, metà per sé in quei primi giorni, e l'altra metà l'avesse dispensata ai poveri; e così fece. La mattina alzatosi per tempo, e fatte le sue solite orazioni, se ne andò al Tempio, e diede il denaro in elemosina al Tempio con suo grande gusto, e qui si mise a pregare lodando e ringraziando il suo Dio del beneficio che gli aveva fatto nel manifestargli la sua volontà, offrendosi di nuovo pronto ad obbedire ad ogni minimo cenno che gli venisse manifestato dall'Angelo. Trattenutosi un po' in orazione, partì dal Tempio, ed incominciò a fare dell'elemosina ai poveri, ed in breve tempo dispensò tutto quello che doveva, secondo l'ordine avuto.
Garzone di un falegname - Poi si mise a cercare una persona che gli facesse provvisione del vitto necessario e che facesse l'arte di falegname, affinché gliela insegnasse. Non stentò molto a trovarlo, disponendo Dio che il suo servo trovasse subito il modo di effettuare l'ordine avuto; e si incontrò con una persona timorata. Si accordò con questa di dargli la paga sufficiente, e il nostro Giuseppe si mise ad imparare l'arte che gli riuscì molto facile, non sentendo la fatica, perché l'amore con cui adempiva la divina volontà, gli faceva sembrare tutto facile e gustoso; e quantunque stesse applicato ad imparare l'arte, non tralasciò però mai i suoi soliti esercizi di preghiera e recita dei salmi.
Sua sottomissione - Il santo Giovane stava con grande umiltà e sottomissione soggetto in tutto e per tutto al padrone, gli obbediva con grande puntualità ed esattezza, per la quale e per le sue rare virtù era molto amato dal padrone, ed il nostro Giuseppe lo rimirava ed ossequiava come un suo superiore, e non parlò mai della sua nascita, delle sue facoltà né di altra cosa. La sua lingua non proferiva altre parole che quelle che erano veramente necessarie, tutto attento ad imparare l'arte non divertendosi mai; e quando voleva andare al Tempio, ne domandava il permesso al padrone, e se egli glielo dava, vi andava, se no, obbediva prontamente privandosi di quella pia soddisfazione.
Sue eroiche virtù - Qui il nostro Giuseppe fece mostra delle sue eroiche virtù, perché ne ebbe molte occasioni. Era spesso preso in giro dalle persone oziose e vagabonde, che gli dicevano che tanto era stato ad imparare l'arte e che fino ad allora aveva fatto il vagabondo, e lo schernivano. Il Santo Giovane chinava la testa e non rispondeva parola alcuna, e quando vi si trovava presente il padrone, che li riprendeva e li scacciava dalla bottega, allora Giuseppe lo pregava di lasciarli stare, perché a lui non davano né fastidio né pena. Fu singolare poi la modestia di Giuseppe, non alzando mai gli occhi per guardare cose nuove e curiose; stava a Gerusalemme, e non sapeva quello che ci fosse di curioso in città, né che cosa si facesse. Non fece altra strada, che dalla bottega al Tempio e dal Tempio alla bottega, e nella bottega vi stava, non come un giovane che pagava la sua dozzina, ma come un fattorino, servendo in tutto e per tutto al padrone negli uffici più bassi. Il suo padrone si accorse come il Santo Giovane faceva delle elemosine ai poveri, e un giorno gli parlò esortandolo a tener da conto, perché anche lui era povero e aveva bisogno; per cui il Santo gli rispose: «Lasciate che faccia l'elemosina ai poveri, perché per me c'è Dio che ci penserà e provvederà ai miei bisogni»;di questo il padrone restò molto edificato. Il nostro Giuseppe provava poi un gusto inspiegabile nell'esercitare l'arte e nello stare così soggetto, godendo di essere povero, vile e abietto agli occhi degli uomini; e di questo ne godeva perché l'Angelo gli diceva come queste virtù erano care a Dio, e che chi le praticava era molto amato da Dio. Tanto bastò perché il nostro Giuseppe se ne invaghisse sempre più e le praticasse con tutto l'impegno. Il nostro Giuseppe era allora dell'età di vent'anni, ed era cresciuto molto nelle virtù e nell'amore verso il suo Dio. La sua mente non si allontanava mai da Dio, unico oggetto del suo amore; e molto spesso, nell'atto stesso che lavorava, restava estatico per la contemplazione delle divine perfezioni, delle quali ne ebbe una grande intelligenza.
Erano poi frequenti i digiuni e le vigilie, stando spesso le notti in preghiera assorto in Dio. Continuò ancora ad usare la sua solita carità verso i moribondi, e poiché non poteva andare ad assisterli di persona, lo faceva con le continue orazioni, raccomandandoli caldamente a Dio. Il nostro Giuseppe passò qualche anno in questo tenore di vita, avendo già imparato l'arte. Aspettava che l'Angelo gli manifestasse la volontà divina, e se doveva ritirarsi a stare da solo, oppure continuare a stare nella bottega del padrone, quando il padrone si ammalò, e colpito da una malattia mortale, terminò la vita felicemente.
Morte del padrone - Il nostro Giuseppe lo assistette con grande carità ed amore come se fosse stato il suo proprio padre; fece molte suppliche a Dio per la sua salvezza eterna, e Dio esaudì le preghiere fervorose del suo Giuseppe. Rimasto in libertà, Giuseppe se ne andò al Tempio a pregare e a supplicare il suo Dio affinché gli avesse manifestato la sua volontà ed in che modo volesse essere servito da lui. In questa orazione ebbe un grande lume e fu molto confortato con una consolazione interiore. La notte seguente l'Angelo gli parlò nel sonno, e gli manifestò quel tanto che doveva fare per adempire la volontà divina; cioè che si fosse ritirato a vivere da solo e che, comprando quel tanto che era necessario per esercitare la sua arte, avesse continuato a vivere in povertà; e così fece, rimanendo molto consolato per l'avviso datogli dall'Angelo, e svegliatosi subito, si alzò e si prostrò a terra a lodare e ringraziare Dio dell'avviso che gli aveva dato.




Capitolo XII - S. Giuseppe esercita l'arte del falegname e riceve grazie particolari da Dio

Nella sua botteguccia - Appena ebbe inteso dall'Angelo la divina volontà, il nostro Giuseppe la mise subito in esecuzione; e comprato quel tanto che gli era necessario per esercitare l'arte del falegname, si ritirò in una piccola bottega, che prese in affitto vicino al Tempio. In questa piccola stanza lavorava, dormiva e prendeva il suo parco cibo; da qui non usciva mai se non per andare al Tempio e a fare quel tanto che gli era necessario per vivere. Rare volte si faceva la minestra, e per lo più il suo cibo era pane e frutta; beveva poco vino, e quello molto temperato con acqua. La sua minestra più squisita era di verdure cotte ovvero legumi, e questi, come dissi, molto di rado. Infatti il Santo Giovane condusse qui una vita molto stentata e penitente, e soffriva tutto con grande allegrezza e consolazione del suo spirito. Dio, però, non tralasciava di riempirlo di consolazioni celesti; qui se ne stava solitario, taciturno; in questa sua bottega non si vide mai gente che si trattenesse a parlare, mentre il Santo non era amico di trattenimenti inutili, e siccome era stimato da tutti povero, semplice e idiota, non vi si accostavano e così lo lasciavano vivere in pace con la sua quiete, da tutti derelitto e del tutto sconosciuto. Intanto la gente andava ad ordinargli i lavori, in quanto ci trovava il suo utile, perchè il Santo prendeva quello che gli davano, rimettendosi sempre alla loro discrezione; e quando riceveva la paga delle sue fatiche, la prendeva a titolo di carità ringraziando affettuosamente chi gliela dava. Di quella paga ne tratteneva tanta quanta gli era necessaria per i suoi bisogni, il resto lo dispensava ai poveri. Così gli aveva ordinato di fare l'Angelo, ed egli con puntualità l'eseguiva. Alle volte il Santo Giovane si trovava in grande penuria e necessità, non avendo di che cibarsi, ed in tale occorrenza se ne andava al Tempio a supplicare il suo Dio di volerlo provvedere: e Dio non mancava di consolare il suo servo, ispirando al cuore ora ad una, ora ad un'altra vicina di fargli l'elemosina di verdura, frutta, minestra, pane, a seconda che egli ne aveva necessità.
Il Santo gradiva molto questa elemosina e ne rendeva affettuose grazie, prima a Dio, poi a chi gliela inviava. Dio poi lo provvedeva mandandogli spesso da lavorare senza che egli lo andasse a cercare, perchè era tanto grande la modestia del nostro Giuseppe, che non si rischiava di andar cercando cosa alcuna; e poi confidava tanto nel suo Dio che avesse provveduto ai suoi bisogni, che se ne stava riposato, aspettando la divina Provvidenza, che non gli mancò mai.
La botteguccia santuario - Il nostro Giuseppe, standosene in quella piccola officina, solo e abbandonato da tutti, si prostrava spesso a terra e si offriva tutto al suo Dio, dicendogli spesso: «Ecco, o Dio mio, io sono tutto tuo, non c'è cosa alcuna che possa separarmi da Te. Io non ho altro che Te; Tu sei tutta la mia eredità, tutto il mio sostegno; Tu la mia consolazione, Tu tutto il mio bene. Da Te solo spero aiuto e conforto, e all'infuori di Te non voglio cosa alcuna. Rinuncio a tutto ciò che può darmi il mondo, ed abbraccio volentieri la povertà, l'umiliazione, i patimenti, perchè così piacerò a Te, mio Dio, unico mio Signore e Padrone assoluto di tutto me stesso». E in tal modo si andava trattenendo col suo Dio. Faceva più frequenti le visite al Tempio e si tratteneva molto a pregare, e Dio permetteva che non fosse osservato da alcuno, perchè non gli fosse impedita questa consolazione.
Vita di Maria nel Tempio - Si trovava, allora, nel Tempio la Santa fanciulla Maria, destinata ad essere la Madre del Verbo divino, le cui mirabili virtù erano ammirate da tutte le altre fanciulle del Tempio, specialmente da chi ne aveva la cura, in modo che ne correva la fama anche per la città. Ma il nostro Giuseppe non ne seppe mai cosa alcuna, perchè non trattava nè conversava con alcuno. Una notte, però, l'Angelo gli parlò nel sonno e gli manifestò come nel Tempio si trovasse una fanciulla, che era tanto cara al suo Dio e da Lui tanto amata e favorita sopra ogni credere, nella quale Dio tanto si compiaceva e si dilettava per le sue rare virtù e la sua mirabile purezza e santità; e che questa era Maria, figlia di Gioacchino ed Anna, da lui ben conosciuti. Gli diceva questo, perchè lodasse e ringraziasse Dio delle grazie e dei favori che compartiva a lei, e perchè si rallegrasse che vi fosse al mondo una creatura così degna e così cara a Dio.
Amore vicendevole - Il Santo Giovane, svegliatosi, si alzò, e con grande giubilo del suo cuore ringraziò e lodò il suo Dio, come l'Angelo gli aveva ordinato. Si rallegrò molto della notizia avuta, e sentì nascere nel suo cuore un santo amore verso la fanciulla, in modo tale che andava più spesso al Tempio, attirato dall'affetto verso di lei; e benchè mai la vide, tuttavia l'amava per le sue rare virtù. Nel Tempio si tratteneva poi a pregare e a ringraziare Dio che si fosse degnato di mandare al mondo una così santa fanciulla, nella quale Egli trovava il suo compiacimento, e lo pregava di ricolmarla sempre più delle sue grazie, e così come cresceva nell'età, l'avesse fatta crescere nelle virtù. Dio gradiva molto le preghiere del Santo, e di questo ne diede un chiaro lume anche alla fanciulla Maria, facendole conoscere le virtù del suo servo e quanto egli pregasse per lei: per cui anche lei, da allora in poi, pregava Dio per il Santo e lo supplicava di riempirlo del suo amore e della sua grazia. Dio esaudiva mirabilmente le suppliche di Maria, cosicchè tanto San Giuseppe come la Santissima Vergine Maria si tenevano sempre raccomandati a Dio, nonostante non si conoscessero di vista nè mai si fossero parlati, ma sapessero tutto per rivelazione divina. Maria Santissima amava il Santo Giovane, anche perchè aveva una chiara intelligenza delle rare virtù di lui, e che Dio l'amava molto; e per lo spazio di quasi dieci anni godettero l'uno e l'altra il beneficio delle loro sante orazioni e si amarono santamente in Dio senza però mai vedersi nè trattarsi, solo che l'Angelo alcune volte ne parlava a Giuseppe nel sonno e lo assicurava che la Santa Fanciulla pregava molto per lui, per cui ne sentiva una somma consolazione.
Suo voto di verginità - Una volta l'Angelo gli disse come la fanciulla Maria si era dedicata tutta a Dio e aveva consacrato a Dio. con un voto, la sua verginità, e che di questo il suo Dio ne aveva goduto molto. Sentendo questo, il Santo si invaghì di imitarla e di consacrare anche lui con un voto a Dio la sua purezza, ma siccome questa era cosa nuova non più intesa, il Santo era perplesso se doveva fare così e se a Dio fosse stato gradito che l'avesse fatto; perciò se ne andò al Tempio per supplicare Dio di manifestargli la sua volontà in questo particolare, e dopo molte suppliche, Dio si degnò manifestargli la sua volontà parlandogli interiormente. Gli disse che gli avrebbe fatto una cosa molto gradita se gli avesse consacrato la sua verginità con un voto, e l'assicurò del suo aiuto e della sua grazia particolare per poterlo osservare perfettamente. Il nostro Giuseppe si consolò molto nel sentire la voce del suo Dio che gli parlò al cuore e gli manifestò quel tanto di cui egli lo pregava, e subito ancora egli fece voto di verginità perpetua, e nel farlo il suo cuore fu riempito di un grande giubilo e di un'allegrezza inesplicabile, che Dio gli fece sentire per assicurarlo maggiormente del gradimento che aveva del voto da lui fatto. Fu anche elevato in altissima contemplazione e poi in dolcissima estasi nella quale Dio gli manifestò i molti pregi della nobile virtù della purezza, per la quale il Santo ne restò sempre più invaghito, e molto consolato per il voto fatto; e rese affettuose grazie a Dio che gliel'aveva ispirato e che si fosse degnato di accettare il voto con tanto gradimento. Così se ne tornò alla sua piccola bottega tutto consolato ed allegro; e la notte l'Angelo gli parlò di nuovo e l'assicurò di come Dio aveva sommamente gradito il voto da lui fatto ad imitazione della Santa Fanciulla Maria.
Comune desiderio del Messia - Gli disse anche come la Santa Fanciulla si struggeva tutta del desiderio della venuta del Messia e che ne porgeva continue e calde suppliche al suo Dio; che a Dio erano molto gradite le sue suppliche e che senza dubbio si sarebbe accelerata la venuta del Messia al mondo per le preghiere della santa fanciulla, e che anche lui l'avesse imitata in questo, per rendersi sempre più gradito al suo Dio. Il Santo, svegliatosi, si alzò subito e si mise a supplicare il suo Dio con più fervore che non facesse prima, affinchè si fosse degnato di inviare presto al mondo il Messia promesso, e dopo se ne andò al Tempio e qui si mise di nuovo a pregare Dio per la suddetta venuta. Dopo una lunga preghiera lo spirito di Giuseppe fu elevato in altissima contemplazione, dove gli furono manifestati molti segreti divini circa le qualità e le virtù che avrebbe avuto il Messia quando avrebbe dimorato fra gli uomini; così il Santo rimase molto più acceso del desiderio di questa venuta, bramando ardentemente di conoscerlo e di trattare con lui. Si riconosceva però indegno di questo favore per la sua grande umiltà, ma confidava molto nella bontà di Dio, che già sperimentava tanto propizia verso di sè.
Angelo di Paradiso - Con queste grazie che Dio faceva al Santo, e per le preghiere che la Santa Fanciulla Maria faceva per lui, arrivò ad uno stato di vita, che non sembrava più una creatura terrena, ma un Angelo di Paradiso. La sua mente sempre assorta in Dio, il suo amore verso Dio, sempre più ardente, il desiderio di dare gusto a Dio in tutte le sue operazioni era molto acceso, e per lo più stava estatico e tutto assorto in Dio, passando i giorni interi in continua elevazione di mente, e buona parte della notte, scordandosi di prendere il cibo, mentre per lo più si sentiva sazio per il gusto che aveva di trattare e di trattenersi col suo Dio; e spesso replicava: «Oh, Dio mio! e come dispensi a me, creatura miserabile, tante grazie e favori? Come è grande la tua bontà verso di me! Come sei generoso! Quanto sei fedele nelle tue promesse! Che cosa farò io per te, mio Dio? Come potrò esserti riconoscente per tante grazie? Per ora non ti posso offrire altro che tutto me stesso e la mia servitù,che di buon cuore tutto a te sacrifico, e fa' di me ciò che a te piace, mentre io sono prontissimo a sacrificarmi e spendermi tutto nel tuo servizio».
Zelo della gloria di Dio - Il Santo Giovane ardeva anche di un vivo desiderio di fare molto per la gloria del suo Dio, ma si riconosceva insufficiente, e di questo ne sentiva pena, perchè gli sembrava di non potere effettuare il suo desiderio. Ma una notte l'Angelo gli parlò e gli disse come sarebbe venuto il tempo in cui egli avrebbe appagato il suo buon desiderio, perchè avrebbe operato molto per il suo Dio e si sarebbe molto affaticato. Inteso questo, Giuseppe diede in eccessi per la consolazione, per cui aspettava con desiderio che arrivasse quel tempo, che chiamava tempo per lui felice. E di fatto così fu, mentre sostenne molte fatiche per conservare la vita al Verbo Incarnato, che alimentò con il lavoro delle sue mani; e nonostante allora non sapesse in che cosa si sarebbe impiegato per il suo Dio, tuttavia ne godeva molto e lo chiamava tempo per lui felice; tanto era grande il desiderio che il Santo aveva di spendersi tutto per il servizio del suo Dio.
Abbandono in Dio - Viveva poi con una semplicità più che grande, e non ricercò mai cosa alcuna delle promesse che l'Angelo gli aveva fatto, e che non gli dichiarava mai, ed il Santo non si curò mai di saperle aspettandole con una santa indifferenza; solo si applicava a pregare Dio di dargli quel tanto che gli aveva fatto promettere dall'Angelo, e questo lo faceva perchè sapeva che Dio voleva essere pregato. Infatti, il nostro Giuseppe, in tutto e per tutto, si rendeva gradito e accetto al suo Dio, dandogli gusto in tutte le sue operazioni, non discostandosi mai dal suo santo volere, riconoscendo con somma gratitudine i benefici che riceveva da Dio, mostrandoglisi grato, ringraziandolo continuamente e offrendogli tutto se stesso senza alcuna riserva.




Capitolo XIII - S. Giuseppe è molto travagliato dal demonio e afflitto dall'aridità di spirito

La prova - Il nostro Giuseppe godeva delle grazie e dei favori particolari che riceveva dal suo Dio, e gustava la dolcezza e la soavità del suo amore, quando Dio permise che il suo servo fosse travagliato dalle creature per opera e per istigazione del demonio, affinché il Santo facesse acquisto di maggior merito e mostrasse al suo Dio la fedeltà e l'amore anche in mezzo alle persecuzioni e ai travagli.
Insidie del demonio: sua pazienza e mansuetudine - Il demonio odiava già molto il Santo Giovane, non poteva soffrire tanta luce e tante virtù che il Santo esercitava, per cui cercava sempre nuovi modi per inquietarlo e travagliarlo e vedere di fargli perdere la virtù, a lui tanto cara, della pazienza e della mansuetudine. Dio però lo teneva sempre lontano, non permetteva che gli si avvicinasse per inquietarlo; alle volte però gli dava la libertà di travagliarlo, per maggior merito del Santo e per sua confusione. Avuto il permesso di travagliare il Santo, il demonio, questo dragone infernale, istigò alcuni vicini del Santo e mise loro nell'animo un'avversione ben grande verso lo stesso, in modo tale che non potevano vederlo; e quando il Santo Giovane usciva dalla bottega per andare al Tempio o per fare altre faccende a lui necessarie per il suo lavoro, questi si misero prima a deriderlo, e vedendo che il Santo non faceva caso a questo, si infuriarono di più, in modo che l'ingiuriavano con cattive parole senza causa alcuna, chiamandolo sciocco, ozioso e che si era indotto a stare solo perché nessuno lo voleva attorno, e che sotto la coperta delle virtù, era un triste e un finto. Il Santo non rispose mai a queste parole, ma chinando la testa si stringeva le spalle e se ne andava al Tempio a pregare e a supplicare il suo Dio per coloro che lo maltrattavano. Si diede il caso che fu rubata certa roba ad uno di questi suoi malevoli, e subito diedero la colpa al Santo Giovane; così armati di sdegno se ne andarono alla sua piccola bottega e gli misero tutto in scompiglio, dicendogli che tirasse fuori quel tanto che egli aveva usurpato, ingiuriandolo e minacciando di castigarlo e di accusarlo come un ladro. Il Santo stava con la sua solita serenità, e non si discolpava; solo una volta disse loro che avvertissero bene perché erano in errore, ma questi non volevano cessare di importunare il Santo e lo tacciavano di essere un ladro, e alla fine disse loro che Dio avrebbe difeso la sua causa. I maligni, vedendo la costanza e la pazienza del Santo Giovane, si ritirarono minacciandolo di volerlo accusare, se non si trovava chi avesse usurpato la loro roba, tenendo di certo che era stato lui. Il Santo Giovane era molto afflitto per vedersi così incolpato, e molto più per le offese che si facevano a Dio; perciò se ne andò al Tempio a supplicare il suo Dio di volersi degnare di difenderlo in quel travaglio. Dio non tardò molto a scoprire l'inganno, perché si trovò chi aveva usurpato la roba; così quelli che lo avevano incolpato restarono molto confusi ed insieme ammirati e meravigliati della virtù e della pazienza del Santo, e l'avversione si cambiò in stima ed affetto verso di lui, così il demonio restò confuso, e il Santo arricchito di merito presso Dio e di stima presso gli uomini. Non per questo il nemico si abbatté, ma istigò alcuni giovani licenziosi, che più volte avevano visto il Santo Giovane frequentare il Tempio e di questo ne sentivano una passione ben grande, tanto più che la sua modestia serviva a loro di una gran riprensione; così un giorno, uniti insieme, si accordarono di voler andare alla bottega del Santo, e qui prenderlo in giro ed ingiuriarlo, e di fatto lo fecero con grande impertinenza. Trovarono il Santo Giovane che lavorava e stava tutto assorto nella contemplazione delle divine perfezioni, perché lui, anche lavorando, era assorto con la mente. Essi gli domandarono alcune cose curiose e vane, ma il Santo non diede loro risposta. Questi continuavano a fargli altre domande impertinenti, e il Santo disse loro, che lo lasciassero stare in pace e che se volevano quei vani trattenimenti, andassero altrove perché egli era occupato nel suo mestiere. Questi incominciarono a motteggiarlo ed ingiuriarlo, dicendogli degli improperi, ai quali il Santo Giovane non rispose mai, attendendo al suo lavoro e alla contemplazione in cui stava. Uno di loro, più ardito e insolente degli altri, si avanzò a dare delle percosse al Santo, il quale altro non gli disse che: «Dio ti perdoni, fratello, perché nonostante io meriti questo per i miei peccati, tuttavia a te non ho dato motivo di fare questo contro di me». E mentre quello lo percuoteva, gli altri compagni facevano festa ed applaudivano il giovane insolente. Dopo che l'ebbero saziato di ingiurie e di percosse, se ne andarono, e il Santo rimase con la sua solita serenità e pazienza, non facendo di questo risentimento alcuno. Si rivolse però al suo Dio e lo supplicò del suo aiuto, come gli aveva promesso tante volte, dicendogli: «Dio mio, tu mi hai assicurato di assistermi e difendermi in tutte le occorrenze, e sai già che io non ho altro che te; perciò a te ricorro, perché mi aiuti e mi difenda dai miei nemici».
Consolato da Dio - Dio consolò il suo servo, perché la notte seguente gli apparve l'Angelo e l'assicurò che in quell'occorrenza egli aveva acquistato grande merito e aveva dato molto gusto al suo Dio, e gli disse che stesse pure pronto perché il demonio l'odiava molto e lo voleva travagliare, ma che Dio l'avrebbe assistito e difeso, e che gli permetteva questo per fargli acquistare merito e provare la sua fedeltà. Il Santo restò tutto consolato per queste parole e animato a soffrire tutto con pazienza ed allegrezza, perché così permetteva il suo Dio che allora fosse travagliato.
Nuove insidie e vittorie - Il nemico infernale, vedendo che anche in questa occasione era rimasto confuso e svergognato, e che il Santo faceva spiccare di più le sue rare virtù, non si abbatté affatto, ma si infuriò di più ed andava istigando ora uno, ora un altro contro il Santo, mettendosi anche con persone di autorità per screditarlo maggiormente, ma per quanto si adoperasse con le sue frodi, ne restava sempre confuso. Una volta, fra le altre, il Santo aveva fatto un certo lavoro a una persona di credito, e quando gli portò il lavoro fatto e aspettava la sua ricompensa, al posto di ricevere la paga delle sue fatiche, ricevette cattive parole, con dirgli che il lavoro non era fatto a dovere, né di suo gusto, e che piuttosto della paga meritava un castigo; e preso il lavoro cacciò via il Santo con cattivi termini e parole ingiuriose. Il nostro Giuseppe se ne andò soffrendo con grande pazienza quei cattivi termini senza ricevere ricompensa alcuna; e siccome si trovava in grande necessità per il suo mantenimento, se ne andò addirittura al Tempio a supplicare Dio, con la solita confidenza, di volerlo provvedere in quella sua estrema necessità. Dio udì le suppliche del suo servo fedele, e ispirò quello che aveva ricevuto il lavoro a soddisfare il Santo delle sue fatiche, per il che rientrato in sé si avvide del male che aveva fatto e subito andò a cercare il Santo e lo soddisfece di quanto gli doveva, pregandolo inoltre di compatire il suo trascorso. Il Santo ricevette la sua paga come per elemosina, e ringraziò prima Dio che l'aveva provveduto in quel suo bisogno, e poi ringraziò colui che gli dava il suo dovere; così Giuseppe rimase arricchito di merito ed insieme provveduto nel suo bisogno, e costui restò molto edificato della virtù del santo Giovane. Il demonio, sempre più confuso e svergognato, gli fece molti di questi tiri, e tutti servirono per arricchire il Santo di meriti e per fargli acquistare stima presso gli uomini.
Gli presentano una giovane - Il nemico trovò un altro modo di travagliarlo, assai più penoso al Santo, e fu di mettere nel cuore di alcuni, sotto il pretesto della carità e della compassione, di volere accasare il Santo Giovane, affinché potesse vivere con più comodità, e non patisse tanto nello stare lì solo e abbandonato da tutti. E di fatto alcuni, con buon zelo, si misero a persuaderlo che si accomodasse e si accasasse perché facilmente l'avrebbe trovato, essendo egli un giovane attento e lavoratore. Il Santo inorridì a queste proposte, perché aveva già consacrato a Dio, con un voto, il suo illibato candore; e non solo non ebbe mai tale pensiero, ma inorridiva al sentirne parlare e gli si ricopriva il volto di un rossore verginale, e la risposta che diede a questi, fu che non gli parlassero di accasamento, perché egli stava più che bene in quello stato. Ma non per questo desistettero dal tormentarlo su questo particolare, anzi lo forzavano con lusinghe e con preghi; perciò il Santo ne sentiva una pena molto grande, e rivolto al suo Dio, lo supplicò di volerlo aiutare e difendere da quel travaglio e liberarlo dall'importunità di quelli che, con il pretesto del bene, gli volevano far perdere il prezioso tesoro della verginità, e sovente diceva al suo Dio: «Tu, mio Dio, sai bene che ho sacrificato a te, con un voto, la mia verginità. Non permettere che io sia travagliato su questo particolare!». Dio udiva le suppliche del suo servo fedele, e differiva di esaudirlo per accrescergli maggiormente il merito. Coloro che l'importunavano avevano già trovato di accasarlo, ma trovando che il Santo Giovane era sempre più renitente, non sapevano come fare per farlo cedere alle loro persuasioni; così un giorno si accordarono di condurlo con loro a prendere le misure per fare un certo lavoro, ed in tal congiuntura fargli vedere la giovane destinata da loro per sua sposa e in quell'occasione farlo cedere e piegarsi alle loro suppliche. Chiamato dunque il Santo Giovane, con la scusa del lavoro, lo condussero in casa e gli ordinarono il lavoro. Giuseppe prese le misure del lavoro che doveva fare, e nell'andarsene lo fermarono e gli fecero vedere la giovane da loro destinata per sua sposa, e gli dissero: «Sappi, Giuseppe, che questa è la giovane che vogliamo darti per sposa; non devi contraddire, perché è ornata di virtù e di bontà...». A queste parole il Santo Giovane restò ferito dal dolore, e fuggì con grande velocità, lasciando tutti attoniti per la meraviglia ed insieme confusi, cosicché non lo molestarono più. Il Santo se ne andò subito al Tempio e qui, piangendo, supplicò il suo Dio di volerlo liberare da quella grave persecuzione, che gli si rendeva insopportabile, e Dio lo consolò promettendogli che non sarebbe più stato travagliato in questo. Il nostro afflitto Giuseppe asciugò le lacrime, e si consolò tutto per la promessa il suo Dio gli aveva fatto interiormente, e lo ringraziò del beneficio.
Consolato dall'Angelo - La notte seguente l'Angelo gli apparve nel sonno e gli ratificò quanto Dio gli aveva promesso, e l'assicurò che il suo Dio aveva goduto molto nel vederlo così costante e fermo nella promessa fattagli di conservarsi vergine. Così il nostro Giuseppe rimase pienamente consolato, e il demonio rimase più confuso e svergognato, ma sempre più infuriato verso il Santo Giovane; e cercò altri modi per travagliarlo, ma ne restò sempre confuso.
Tentazioni demoniache e nuove vittorie - Quando ebbe terminato di travagliarlo con le creature, Dio gli diede il permesso di molestarlo con le tentazioni per accrescere maggiormente di meriti il Santo; e gli diede la libertà di tentarlo con ogni sorta di tentazione, tranne quella contro la purezza, perché Dio non volle mai che il suo purissimo servo fosse tentato in questo. Il nemico si accinse a combattere con tentazioni il fortissimo ed invincibile petto del nostro Giuseppe, e appena finiti i travagli che riceveva dalle creature, incominciò a soffrire dei travagli per mezzo delle molte e varie tentazioni. Prima il demonio si mise a tentarlo di vanagloria, mettendogli davanti la sua grande virtù, la sua bontà, la fedeltà che aveva al suo Dio, il molto che per Lui soffriva, le opere buone che faceva e il molto che aveva lasciato, per cui poteva meritarsi un gran premio e una grande ricompensa da Dio, e che al mondo non c'era nessun altro simile a lui nella bontà e nella pratica delle virtù. Il Santo fu atterrito da queste tentazioni perché, essendo umilissimo, si stimava anche un grande peccatore; per cui fece subito ricorso al suo Dio con la preghiera, perché ben conobbe che quella era una tentazione diabolica; e facendo atti contrari alla tentazione, vinse e superò il nemico, il quale incominciò a tentarlo di gola, facendogli venire voglia di gustare cibi e vivande squisite, e il Santo superò anche questa con più digiuni e mortificazioni. Lo tentò di avversione e odio contro chi l'aveva offeso e maltrattato, ma il Santo desiderava per costoro ogni bene, e pregava il suo Dio di beneficarli. Lo tentò contro la fede, persuadendolo che le cose che l'Angelo gli diceva erano tutte velleità e pazzie, ma in questo il Santo stette sempre forte, come aveva fatto in tutte le altre cose. Gli mise in mente il molto che aveva lasciato e che poteva riacquistarsi tutto, dandogli il desiderio della ricchezza. Il Santo disprezzava tutto, dicendo che gli bastava solo la grazia del suo Dio, e che con quella era pienamente contento. Il Santo fu molto battagliato, e in vari modi, però superò tutto con grande generosità, mentre aveva la grazia e l'assistenza del suo Dio. Il demonio restò abbattuto e, tutto confuso, si ritirò giurandogli però di volergli fare sempre guerra. Il Santo non temeva, perché aveva Dio dalla sua parte e diceva col santo Davide:«Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò timore? Se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme...» (Salmo 26, 1-3). «...non temerei alcun male, perché tu sei con me» (Salmo 22, 4). E diceva questo con fiducia al suo Dio, che trovò sempre in suo aiuto.
Aridità - Terminate le tentazioni del nemico infernale, il nostro Giuseppe non stette molto in pace, mentre Dio volle provarlo di nuovo Egli stesso, sottraendogli i lumi, il fervore e la consolazione interiore, così il Santo cadde in una grande aridità di spirito. Oh! Qui sì che il nostro Giuseppe soffrì un grande travaglio, per il timore di avere disgustato il suo Dio e per vedersi come derelitto e abbandonato dal suo Dio, unico oggetto del suo amore. Come smaniava! Come si raccomandava! Quante suppliche e sospiri inviava al cielo! Stava le notti intere genuflesso in atto supplichevole, pregando il suo Dio di manifestargli in quale modo fosse rimasto offeso da lui, perché, riconosciuto l'errore, potesse fare la dovuta penitenza; ma il cielo, fatto di bronzo alle sue suppliche, non gli recava conforto alcuno. L'Angelo non gli parlava più nel sonno, e non avendo il Santo con chi sfogare la sua pena si rivolgeva sovente al suo Dio dicendogli:«O Dio di Abramo, d'Isacco, di Giacobbe! O Dio mio, dal quale tanto bene ho ricevuto, che sei tutta la mia eredità, tutta la mia consolazione e il mio conforto, muoviti a pietà del tuo indegno e vile servo! Tu mi hai promesso il tuo aiuto, il tuo favore; ora è tempo che mi mantenga le promesse e mi consoli in tanta mia afflizione. Quale male ho fatto io, perché tu ti sei allontanato da me? Fammi la grazia di poterlo conoscere! È vero che ti ho molto offeso, ma tu sei buono, sei misericordioso, perciò ti supplico di perdono. È vero che io non lo merito, ma tu, sei buono e perciò lo spero».Il nostro Giuseppe faceva queste suppliche, delle quali Dio godeva molto, ma pure tardava ad esaudirlo e a manifestarsi a lui. Il Santo soffriva il suo travaglio con molta rassegnazione, ma non lasciava già di continuare a pregare il suo Dio.
Intercessione potente di Maria - Un giorno, più afflitto e angustiato del solito per la lontananza del suo unico bene, gli sembrava di non poter più vivere, e con una gran fede e confidenza se ne tornò al Tempio, e rivolto di nuovo al suo Dio gli porse calde suppliche, e poi gli disse che si degnasse consolarlo per il gusto grande che gli dava la Fanciulla Maria che stava al Tempio, e per i meriti e le virtù della stessa. Nello stesso tempo che Giuseppe faceva questa supplica, la Santissima Fanciulla Maria stava pregando Dio per Giuseppe, mentre in spirito Dio le fece vedere i bisogni e travagli del Santo; così Dio accondiscese alle suppliche della Santa Fanciulla e alle preghiere del suo servo fedele, e gli si manifestò con grande chiarezza, riempiendo la sua mente di lumi, e infiammando il suo cuore d'amore. Gli fece udire la sua voce nel più profondo del cuore, che gli disse: «Giuseppe, mio fedele servo ed amico, non temere perché io sono con te, non ti ho mai abbandonato. Sta' pur sicuro dell'amore e della mia grazia!».
Estasi sublime - A queste dolcissime parole, il Santo andò in estasi, e rimase per un pezzo assorto godendo del suo Dio, che con tanta generosità si manifestava alla sua anima. In questa estasi gli si manifestarono molti segreti della divina sapienza, e come Dio permetta che i suoi amici siano travagliati, per più arricchirli di meriti. Conobbe anche il grande merito che la Fanciulla Maria aveva presso Dio, e come questa aveva pregato molto per lui per impetrargli la grazia dal suo Dio di manifestarsi alla sua anima, e dar fine ai suoi travagli. Il Santo fece molti atti di ringraziamento al suo Dio, e gli dedicò di nuovo tutto se stesso; lo supplicò di ricompensare la Santa Fanciulla Maria della carità usata verso di lui, e le restò molto più affezionato. Lodò il suo Dio e restò sempre più ammirato della sua bontà e dell'amore che gli portava. Si concentrò molto più nell'abisso del suo niente, umiliandosi al cospetto del suo Creatore, riconoscendo il tutto dalla sua infinita bontà, e lo pregò della sua continua assistenza e protezione. Quando ebbe fatto tutti questi atti, il nostro Giuseppe partì dal Tempio tutto consolato, e non sapeva dire altro, che col santo Davide: «Quanto è buono Dio con i giusti, con gli uomini dal cuore puro!» (Salmo 72, 1), e quell'altro versetto: «Quand'ero oppresso dall'angoscia, il tuo conforto mi ha consolato» (Salmo 93, 19), e vari altri versetti di cui il Santo si serviva sempre, secondo il bisogno in cui si trovava.
Consolato dall'Angelo - La notte poi, l'Angelo tornò di nuovo a parlargli nel sonno, e gli disse come il suo Dio avesse goduto molto di vederlo costante e paziente in tutti i travagli, e che aveva arricchito e ricolmato la sua anima di grazie e di meriti: e l'animò ad essere sempre più costante e paziente nei travagli, perché Dio nel corso della sua vita, gliene avrebbe mandati molti e molto gravi, che perciò si facesse cuore e non temesse, perché Dio sarebbe stato sempre in suo aiuto, e che avrebbe ricevuto molte consolazioni ancora sopra ogni suo credere. Perciò il Santo, animato e consolato, si offriva sempre pronto a soffrire tutto, purché il suo Dio non l'avesse abbandonato.
Suo merito speciale - Il nostro Giuseppe si rendeva molto gradito al suo Dio nella pratica delle sue virtù, nella sofferenza, nel soffrire, nel disprezzo di tutte le cose caduche e transitorie, nell'abnegazione di se stesso, nel godere di essere disprezzato per amore del suo Dio. Si è reso mirabile sopra ogni altro Santo, perché quelli hanno avuto i consigli e l'esempio del Redentore, ma il nostro Giuseppe non aveva ancora visto il suo Dio in carne mortale, né aveva udito i suoi insegnamenti, tuttavia fu così eccellente nelle virtù e si perfezionò in ogni sua operazione.




Capitolo XIV - S. Giuseppe riceve altre grazie da Dio

Contemplazioni amorose - Dio si compiaceva molto dell'amore e della fedeltà di Giuseppe, e non lasciava di ricolmarlo sempre più di grazie e di meriti; e il Santo ne approfittava così bene, che si rendeva sempre più capace di riceverne di maggiori con la corrispondenza e la gratitudine verso il suo Dio, per cui spesso era favorito di estasi sublimi, ed in quelle intendeva altissimi misteri della divina essenza, nelle quali l'anima di Giuseppe si dilettava molto, e rimaneva sempre più infiammato dell'amore del suo Dio. Capiva la grandezza del merito che Dio aveva di essere amato e servito fedelmente, e di questo si accendeva di un vivo desiderio e bramava che tutte le creature l'avessero amato con tutto il loro amore. Dio gli faceva conoscere come la maggior parte degli uomini si perdeva nell'amore delle creature e delle cose caduche e transitorie, per cui il nostro Giuseppe ne sentiva una pena insopportabile, ed avrebbe voluto supplire egli stesso alle mancanze di tanti, ma conoscendosi insufficiente, si annichiliva e diceva al suo Dio: «O Dio mio, e perchè ho un solo cuore per amarti, bontà infinita? E perchè non ho i cuori di tutti gli uomini, che li consacrerei tutti al tuo amore? Tu sei il nostro Padre che ci hai creato con tanto amore, e ci conservi la vita, affinchè vivendo amiamo la tua bontà ; e dove è l'amore che come figli ti dobbiamo? Come possono scordarsi di Te le creature, mentre sono frutto delle tue mani e hanno la tua somiglianza? Ah, la mia mente non sa ancora capire perchè le creature vivano dimentiche di Te, Padre amantissimo!». E in questi discorsi che faceva al suo Dio, si struggeva d'amore e di desiderio che il suo Dio fosse amato e servito da tutti. Dio godeva molto di vedere e udire i desideri del suo servo fedele, e di quanto questo gli fosse gradito, gliene dava spesso il segno facendosi, in tale occasione, gustare alla sua anima, riempiendola di dolcezza, e facendogli udire spesso la sua voce nel più intimo del cuore, per la quale il Santo rimaneva tutto assorto nella dolcezza e nell'amabilità del suo Dio.
Timore e consolazione - Il Santo aveva anche un grande timore di offendere il suo Dio e questo timore nasceva dall'amore che gli portava, temendo di poterlo disgustare; perciò porgeva calde suppliche a Dio, affinchè l'avesse fatto prima morire, piuttosto che dare un minimo disgusto alla sua infinita bontà . Una volta che il Santo era tormentato più del solito da questo timore, e portatosi al Tempio per raccomandarsi a Dio, fece una lunga orazione supplicando il suo Dio con calde lacrime e infuocati sospiri di non permettere mai che egli lo disgustasse in cosa alcuna, e venisse a perdere la sua grazia e la sua amicizia, Dio consolò il suo servo assicurandolo che lui non avrebbe mai perduto la sua grazia e che si sarebbe conservato innocente fino alla morte. A questo grande favore e a questa promessa, fu così grande la consolazione che intese il Santo, che non stava più in se stesso per la gioia, e non passò mai un giorno della sua vita che non rendesse affettuose grazie al suo Dio per la sicurezza avuta; ma tuttavia non lasciò nemmeno di stare ben cautelato in ogni sua azione affinchè il suo Dio non venisse da lui offeso, stando sempre con un timore, ma timore di se stesso, non già che dubitasse affatto della grazia che Dio gli aveva promesso, perchè ne era sicurissimo, avendo egli una gran fede in tutte le cose che il suo Dio gli prometteva. Se tanto grande era la pena che il nostro Giuseppe sentiva, che il suo Dio non fosse amato e servito fedelmente da tutti, quanto maggiore era il dolore che sentiva, nel vedere come Dio era gravemente offeso! Fu tanto il dolore che sentiva di questo, che più volte svenne per il cordoglio; e piangeva amaramente quando sentiva dire che il suo Dio era stato gravemente offeso.
Giuseppe vittima - Una volta l'Angelo gli parlò nel sonno, e gli disse che Dio era molto adirato per le molte e gravi offese che riceveva continuamente dal mondo; e che perciò si fosse applicato a supplicare Dio di placare lo sdegno, affinchè i peccatori non venissero severamente castigati come meritavano. Gli disse anche che questo ufficio lo faceva anche la santissima fanciulla Maria, e che perciò si rendeva molto gradita a Dio, il quale, per le suppliche di lei tratteneva i castighi. Tanto bastò al Santo, per fare che tutto si applicasse a supplicare Dio per i peccatori e a non castigarli con la morte eterna. Alle volte passava i giorni interi e buona parte della notte piangendo le offese divine e supplicando Dio del perdono e di dare luce ai peccatori, affinchè ravveduti dei loro errori, ne facessero penitenza, e quando sapeva che nella città c'era qualche peccatore e trasgressore della Legge, tanto pregava, tanto si raccomandava a Dio finchè ne seguisse la conversione; e molte volte il Santo ottenne queste grazie per le suppliche che porgeva a Dio e per le lacrime che spargeva, e diceva al suo Dio: «O mio Dio, io sono miserabile, non merito di essere esaudito, ma unisco queste mie suppliche a quelle che ti porge la Fanciulla Maria, perchè so che le sue ti son gradite ed accette; perciò sono certo che le mie suppliche, unite alle sue, saranno a Te gradite, e che ti muoverai a pietà di chi vive lontano da Te e cammina alla perdizione, dandogli lume da conoscere i suoi errori, e grazia di convertirsi a Te di tutto cuore!». Dio gradiva molto queste suppliche, e una volta l'assicurò del gusto che ne aveva; mentre stava pregando per la conversione e il ravvedimento di un ostinato peccatore, dopo molte suppliche Giuseppe intese la voce del suo Dio che gli diceva: «Ti sia concesso quanto tu domandi». E di fatto poi il peccatore si convertì, e di questo Giuseppe ne intese una grande consolazione e ne rese affettuose grazie a Dio. Egli si esibiva pronto a soffrire tutti i mali purchè il suo Dio non restasse offeso da alcuno, e diceva: «Mio Dio, manda su di me i castighi, i travagli, purchè tu non sia offeso e disgustato da alcuno. Io sono pronto a soffrire tutto, purchè non si trovi alcuno che ti offenda». E quando sentiva dire che c'era qualche peccatore moribondo, si struggeva in lacrime e stava in continua preghiera, affinchè Dio gli avesse dato un sommo dolore delle sue colpe, e diceva: «Dio mio, non sia mai che si perda alcuna anima che Tu hai creato a tua immagine e somiglianza!».Dio spesso lo consolava col restituire la salute al moribondo, e poi dargli spazio di penitenza, ma costavano molto al Santo queste grazie, per le quali vegliava le notti intere pregando e piangendo; ed oltre a questo vi aggiungeva anche delle mortificazioni e delle penitenze, digiunando per più giorni, mangiando solo pane e bevendo acqua. Sentendo poi come c'erano tanti pagani e nazioni che non conoscevano nè adoravano il vero Dio, ma i demoni, si sentiva trapassare l'anima dal dolore, e tutto lacrime pregava il suo Dio di volersi degnare di mandare presto il Messia promesso, affinchè avesse fatto conoscere a tutti il vero Dio, e avesse insegnato loro la via della salvezza.
Lavoro e preghiera - Benchè il Santo stesse occupato nel lavoro, non perdeva la memoria di tutto ciò che finora ho detto, ma era continua la sua domanda anche nel tempo del suo lavoro e in ogni altro tempo, supplicando continuamente il suo Dio che aveva sempre presente alla sua mente. Aveva poi imparato a mente tutte le suppliche che facevano i Patriarchi e Profeti, affinchè Dio avesse mandato presto al mondo il Messia promesso, e tutte le aspirazioni che facevano al Messia affinchè venisse presto a redimere il popolo e tutto il mondo; e di queste il nostro Giuseppe si serviva, ripetendole continuamente con grande fervore e desiderio, e specialmente le ripeteva quando andava al Tempio, e con calde lacrime ed infuocati sospiri supplicava il suo Dio e poi diceva: «Beati gli occhi di quelli che vedranno il Messia in carne! Beate le orecchie che udranno le Sue divine parole! E più beato il cuore che l'amerà e a Lui si donerà!».




Capitolo XV - S. Giuseppe cresce nell'amore verso Dio e il prossimo

Suo amore per Dio - Il nostro Giuseppe cresceva a meraviglia nell'amore verso il suo Dio, in modo tale che si struggeva tutto al solo nominarlo, e aveva sempre più acceso il desiderio di fare cose grandi per gloria del suo Dio e aspettava con desiderio intenso che arrivasse il tempo nel quale, secondo le promesse fattegli dall'Angelo, egli si sarebbe impiegato tutto per il servizio di Dio, e perciò diceva sovente al suo Dio: «O Dio di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe, o Dio mio, quando arriverà quel tempo felice in cui io starò tutto impiegato per Te? Quando si adempirà la tua promessa? Il mio cuore arde di desiderio di impiegarmi presto tutto per Te. Ascolta le mie suppliche ed esaudisci i miei desideri».Un giorno il Santo stava al Tempio, e supplicava in tal modo il suo Dio, quando udì la voce del suo amato bene che nell'intimo del cuore gli disse: «Giuseppe, mio servo ed amico, sta' di buon animo, perché in breve resterai consolato e resterà adempito il tuo desiderio». Alla dolcezza di queste parole, fu tanto il giubilo che provò il Santo, che ne andò in estasi, dove gli fu rivelato da Dio, come in breve avrebbe anche ottenuto la grazia di avere una compagnia, con la quale egli avrebbe potuto trattare e parlare di Dio e dei misteri divini che a lui erano stati più volte rivelati, secondo la promessa fattagli dall'Angelo nel sonno, che il suo Dio gli avrebbe dato una creatura con la quale egli avrebbe potuto trattare e narrare le meraviglie dell'onnipotenza divina. Nello stesso tempo che Dio gli rivelava questo, gli fece anche intendere le sublimi virtù di quella persona che gli aveva destinato per trattare con sé, ma per allora, non gli fu manifestato altro. Ritornato dall'estasi tutto consolato nell'anima e tutto allegro per il favore avuto, Giuseppe si umiliò davanti il suo Dio, l'adorò e lo ringraziò affettuosamente, e, riconoscendo il suo nulla, diceva al suo Dio: «O Dio mio, immenso, incomprensibile, e chi sono io che tanto mi favorisci? E come la tua immensa grandezza si degna trattare con me, verme vilissimo, e fare a me grazie così grandi? Che Tu ti sia inchinato a trattare con i Profeti, con i Patriarchi, è cosa ben grande, ma con me poi, vilissimo schiavo tuo, è una cosa da restare estatico per la meraviglia. Oh! Dio mio, come corrisponderò a tanta tua bontà, a tanta degnazione, a tanto amore? Mio Dio, eccomi tutto tuo, fa' di me quello che a Te più piace. Io non ho altro da donarti che tutto me stesso ed ogni momento della mia vita; io intendo donarmi di nuova a Te, e se potessi avere in mia libertà i cuori di tutte le creature, li donerei tutti a Te, e li sacrificherei tutti al tuo amore. Mio Dio immenso, infinito, ineffabile, incomprensibile, ricevi la piccola offerta del tuo vile servo e schiavo, Giuseppe, che di cuore tutto si dona a Te». Così il nostro Giuseppe si umiliava nei favori che riceveva, e si mostrava grato al suo Dio dei benefici, riconoscendo il tutto dalla divina bontà e generosità, e niente per suo merito, che si chiamava creatura vilissima e indegna. Uscito dal Tempio dopo aver ricevuto un così grande favore dal suo Dio, se ne andò alla sua bottega e qui di nuovo rese grazie a Dio; si mise a lavorare tutto assorto, e per quel giorno non fu capace di prendere cibo. La notte seguente poi, l'Angelo gli parlò nel sonno e si congratulò con lui del favore ricevuto, assicurandolo anche che in breve avrebbe avuto quel tanto che lui molti anni prima, gli aveva promesso da parte di Dio. L'esortò a continuare a rendere grazie a Dio del grande beneficio che gli avrebbe fatto. Svegliatosi, il santo Giovane rese nuovamente grazie a Dio, invitando tutte le creature a lodare il suo Dio col Santo Davide, e a benedirlo con i tre fanciulli Babilonesi; e faceva questo, non solo quando riceveva qualche favore particolare, ma quotidianamente, mentre il suo spirito godeva molto nel recitarle, e poi ringraziava il suo Dio che avesse dato alle sue creature il modo di benedirlo e lodarlo così bene. li Santo Giovane stava poi aspettando le grazie promesse con tutta quiete, e tutto rimesso alla divina disposizione, le bramava, ma la sua brama non era impaziente, né mai andò investigando cosa alcuna, né si poneva mai a pensare quale cosa sarebbe stata, quella che da Dio gli sarebbe stata data quale compagnia e in che cosa si sarebbe dovuto applicare per servizio del suo Dio. Il nostro Giuseppe non ricercò mai niente di tutto questo, ma tutto quieto e tranquillo aspettava le promesse divine, sicurissimo che il suo Dio avrebbe fatto tutto con somma provvidenza e con infinito amore. Questo sì che andava spesso replicando: «Oh! Che bella sorte sarà la mia, di trattare con una creatura che mi sarà data da Dio per discorrere delle sue grandezze, della sua bontà, del suo infinito amore, delle sue divine perfezioni; e questa creatura si degnerà di trattare con me, non sdegnerà la mia viltà, la mia povertà, la mia bassezza, la mia indegnità! Quanto sei buono, mio Dio! Quanto bene assecondi i desideri di chi si fida di Te, e tutto in te si confida!». Il Santo diceva questo lodando e ringraziando sempre il suo Dio, e ricevendo tutto il bene dalle sue divine mani e riconoscendo il tutto da Dio.
Suo amore per il prossimo - A misura che in San Giuseppe cresceva l'amore verso il suo Dio, andava anche crescendo l'amore verso il suo prossimo; e si struggeva tutto quando sapeva che c'era qualche povero bisognoso e non lo poteva soccorrere, perciò lo raccomandava caldamente a Dio perché l'avesse provveduto. Molte volte si privava anche del necessario, per sovvenire i poveri; e quando gli veniva dato il denaro del lavoro che aveva fatto, subito ne dava la maggior parte ai poveri bisognosi. Le persone afflitte poi, le compativa tanto, che supplicava Dio per loro con tanta premura affinché le consolasse, e perseverava nella preghiera fin tanto che sapeva che Dio le aveva esaudite. Avrebbe voluto provvedere ai bisogni di tutti, tanto spirituali quanto temporali, e diceva al suo Dio: «Dio mio, Tu già vedi la mia povertà e la mia insufficienza, e che non posso fare al mio prossimo quel bene che vorrei; perciò Tu che sei ricco di misericordia e sei tutta carità e tutto amore, soccorri ai bisogni di tutti, consola gli afflitti, sovvieni i bisognosi perché tu puoi tutto. Godo, mio Dio, di essere io povero e insufficiente, perché tu sei sommamente ricco e puoi tutto; per cui io ti domando ciò che io non so né posso fare». Dio godeva molto di queste espressioni del suo servo fedele e non lasciava di esaudirlo nelle sue premurose domande; e Giuseppe gli si mostrava grato nel ringraziarlo continuamente anche da parte di quelli che ricevevano il beneficio. Lo stesso faceva verso gli infermi, supplicando continuamente per la loro salute corporale e molto più per la salute spirituale. Li visitava, li consolava, li animava a soffrire con pazienza l'infermità che Dio inviava loro, e questo ufficio lo faceva con i poveri; ma con quelli di qualche riguardo e che possedevano ricchezze, non si accostava, perché diceva che lui era povero e non si arrischiava trattare altro che con i poveri suoi pari; e per quelli pregava e caldamente li raccomandava, cosicché non lasciava di beneficarli, benché non ci trattasse, usando con tutti la sua perfettissima carità.
Sua santa vita - Il nostro Giuseppe continuò in questo tenore di vita per più anni, crescendo a meraviglia nell'amore verso il suo Dio e il prossimo, e nella pratica di tutte le virtù, in modo tale che si rendeva mirabile, non solo agli occhi degli uomini, ma degli Angeli stessi. Tanta era la sua purezza ed innocenza, la sua umiltà, la carità, il disprezzo di tutte le cose caduche e terrene, e il disprezzo e il basso sentimento che aveva di se stesso, umiliandosi non solo al cospetto del suo Dio, ma anche al cospetto di tutte le creature, le quali per vili e abiette che fossero, considerava tutte maggiori di sé e guardava tutte con grande carità ed amore. Compativa tutti e pregava per tutti, desiderando per tutti ogni vero bene e lo domandava di cuore al suo Dio con grande insistenza. Per le solennità poi che si celebravano nel Tempio, il nostro Giuseppe, si vedeva assistere a tutte le funzioni tutto giulivo, e con tanta devozione; non si tratteneva già a rimirare cose curiose come facevano tutti gli altri, ma con gli occhi fissi a terra ed il cuore a Dio, stava tutto assorto; e in questo tempo Dio si degnava di illuminare la sua mente, facendogli capire misteri altissimi, deliziandosi l'anima sua nel suo Dio e godendo dei divini favori perché Dio con larga mano ricompensava il suo servo fedele che per amore suo si privava di tutte le soddisfazioni che in tal congiuntura gli altri si solevano prendere, e così si andava rendendo sempre più gradito al suo Dio, e capace dei divini favori.




Capitolo XVI - S. Giuseppe prima del suo sposalizio con la Santissima Vergine

Dio lo prepara alle nozze con Maria - San Giuseppe aveva già compiuto trent'anni, e conservato illibato il suo verginale candore ed innocenza, arricchito di grandi meriti e ornato di tutte le virtù; ed essendo arrivato il tempo in cui Dio aveva decretato di dargli per sua sposa e fedele compagna la Santissima Vergine Maria, avendo anch'ella compiuto quattordici anni di età, Dio volle che Giuseppe si preparasse al nobile e sublime verginale sposalizio, e nonostante la vita del Santo fosse stata tutta una continua preparazione al ricevimento di un così sublime favore, tuttavia in questi ultimi giorni volle da lui una preparazione più singolare. La notte gli fece dire dall'Angelo, mentre dormiva, che si preparasse al ricevimento di una delle più sublimi grazie che l'Altissimo voleva fargli, e questo per un mese continuo, e che avesse raddoppiato le suppliche e accresciuto i desideri ardenti del suo cuore. Destatosi dal sonno, Giuseppe si trovò tutto infiammato dal desiderio di ricevere presto la grazia promessa, e tutto amore verso il suo Dio, esclamò:
«Oh, quanto sei buono, Dio d'Israele! Come sei fedele nelle tue promesse! La mia anima desidera la grazia promessa, ma desidera molto di più l'aumento del tuo amore e di glorificarti in tutte le mie azioni». E così tutto infiammato d'amore, se ne andò al Tempio, e qui, adorato il suo Dio, lodò la sua infinita bontà. Si trattenne molto a pregare e a supplicare Dio della grazia a lui promessa, e nonostante non sapesse che cosa fosse, tuttavia la chiamava grazia grande e dono sublime, sia perché gliel'aveva detto l'Angelo, sia perché già era certo che Dio sa fare grandi cose e che fa grazie e doni al suo pari. In questa orazione, il nostro Giuseppe si sentì accendere nel cuore un amore più intenso e tenero verso la Santissima Fanciulla Maria, e in questo sentimento Dio gli manifestò come lei stessa pregava molto per lui, e le sue preghiere erano molto accette e gradite a Dio. E Santo si rallegrò molto di questo, e crebbe di più in lui l'amore purissimo verso di lei, in modo che piangeva per la dolcezza che sentiva nel pensare a lei e alle sue singolari virtù e santità, e spesso diceva anche fra sé: «O Fanciulla Maria, santissima e perfettissima in ogni virtù, tu preghi tanto per me, indegnissimo, ed io che cosa farò per te? Non posso fare altro che raccomandarti caldamente al nostro Dio, affinché ti arricchisca di più dei suoi doni e ti ricolmi sempre di più delle sue grazie». E nel dire questo si andava accendendo anche nel suo cuore un vivo desiderio di arrivare una volta a parlarle, ma siccome se ne stimava indegno, reprimeva questo desiderio affinché non crescesse in lui la brama, perché stimava difficile che questo potesse riuscirgli. Dopo essere stato per più ore così al Tempio, se ne andò tutto consolato e ricolmo di giubilo, ma al Santo sembrava di non potersi allontanare dal Tempio, e perciò in quel mese fece quasi continuamente qui la sua dimora. Si preparò con digiuni, soffrendo fame, sete ed ogni altra scomodità, con tanta allegrezza e giubilo del suo cuore, che ogni patimento gli sapeva di delizia. In questo tempo attese poco al lavoro, impiegandosi tutto nella preghiera, in suppliche premurose, crescendo in lui a meraviglia il desiderio di conseguire presto la grazia promessagli. Per quel mese il Santo Giovane non parlò mai, ma nel profondo del silenzio con le creature, parlò sempre col suo Dio, facendo continui atti di offerte, di suppliche, di ringraziamenti, lodando e benedicendo l'infinita bontà di Dio al quale caldamente raccomandava la santa fanciulla Maria. Non cadde mai nella mente del Santo alcun pensiero che potesse essergli data per sposa, benché ella fosse già in stato di accasarsi, e di questo già si trattasse da chi ne aveva la cura; perché già sapeva che lei aveva consacrato a Dio, con un voto, la sua verginità, ed anch'egli l'aveva fatto ad imitazione di lei.
Il Concorso - Il nostro Giuseppe sentì dire che la Santa Fanciulla si doveva sposare, perché si fece conoscere a tutti quelli della stirpe di Davide che sarebbero andati al Tempio che, colui al quale Dio avesse manifestato essere sua volontà, l'avrebbero data per sposa. Egli ne restò ammirato, e diceva: «Beato quello a cui toccherà così bella sorte!».Anche lui doveva concorrere come discendente della stirpe di Davide? Stette in gran perplessità, ma per obbedire all'ordine, si dispose anch'egli al concorso pensando che una così bella sorte non sarebbe toccata a lui, tanto più che aveva già consacrato a Dio la sua verginità; tuttavia si raccomandava molto a Dio, e lo pregava del suo favore ed aiuto in quell'affare di tanto rilievo.
Ambasciata dell'Angelo - Finito il mese della preparazione che il Santo aveva già fatto, stava tutto ansioso di ricevere la grazia promessa. Arrivato poi il giorno nel quale si doveva scegliere lo sposo alla Santa Fanciulla Maria, la notte precedente gli apparve di nuovo l'Angelo nel sonno e gli disse: «Sappi, Giuseppe, che Dio ha gradito molto la tua preparazione e i tuoi desideri infuocati».E gli mise in mano una candida colomba, dicendogli: «Prendi questo dono che Dio ti fa, e tu sarai custode della sua purezza. Tienila pur cara, perché questa è la delizia del cuore di Dio, è la creatura a Lui più diletta ed accetta che ci sia mai stata e ci sarà al mondo». L'Angelo non gli disse altro. Giuseppe ricevette la purissima colomba nelle sue mani, e tutto festoso per la grazia ricevuta si svegliò, e si trovò tutto infiammato d'amore verso il suo Dio; ma il Santo non poteva penetrare il significato di quel sogno. Si sentiva particolarmente allegro e contento e non stava in se stesso per la gioia, ma non sapeva quello che sarebbe seguito di lui. Poi ebbe qualche lume che quella colomba potesse significargli come gli sarebbe toccata in sorte la Fanciulla Maria per sposa, ma siccome era umilissimo, e si reputava indegno di questo, non ci fece troppa riflessione. Si preparò peraltro, la mattina, per andare al Tempio al concorso con gli altri discendenti di Davide, dove seguì quello che si dirà.




Capitolo XVII - Purissimo sposalizio di S. Giuseppe con la Santissima Fanciulla Maria

Umile supplica -Arrivata la mattina, il nostro Giuseppe si preparò per andare al Tempio, e genuflesso nella sua povera bottega, adorò il suo Dio dicendogli: «O Dio di Abramo, d'Isacco, e di Giacobbe, Dio mio e tutto il mio bene, confesso di essere stato sempre protetto da Te in tutte le mie azioni, assistito e consolato in tutti i miei travagli, difeso dai miei avversari, e consolato nelle mie angustie; non ho mai diffidato della tua protezione, avendoti sperimentato in tutto fedelissimo e misericordioso. Ora ti supplico del tuo favore, aiuto e consiglio nella presente occasione. Io mi conosco indegnissimo del favore sublime che possa toccarmi la sorte di avere per sposa e compagna la Santa Fanciulla Maria, e perciò non ho di ciò pretesa alcuna, ed intanto vi concorro, in quanto così viene ordinato, essendo piaciuto alla tua bontà, farmi nascere dalla stirpe di Davide, alla discendenza del quale promettesti di far nascere il Messia; perciò ti supplico di dare alla Santa Fanciulla uno sposo che sia degno di lei e secondo il tuo cuore, e a me, di volere accrescere la tua grazia e il tuo amore. Io mi metto tutto nelle tue mani divine, e si faccia di me tutto quello che a Te piacerà, dichiarandomi che altro non bramo, che si esegua in me la tua divina volontà». Fatta questa preghiera, il Santo si sentì tutto acceso di un più ardente amore verso il suo Dio e di un santo amore verso la Santissima Fanciulla Maria, in modo che non vedeva l'ora di poter vedere e conoscere colei che per più anni aveva sperimentato favorevole delle sue preghiere e per mezzo della quale aveva ottenuto molte grazie; desiderava vedere e conoscere colei che era tanto cara al suo Dio e tanto ricca di meriti e colma di virtù, e diceva: «Saranno pur fatti degni i miei occhi di vedere questa Santa Fanciulla, questo prodigio della grazia? Oh, che fortuna è la mia! Beato a chi toccherà una sorte così felice di averla per sposa e fedele compagna! Non bramo io già di averla per mia compagna, essendo troppo vile ed indegno, ma quanto mi stimerei felice, se potessi avere la sorte di essere suo servo!». Questi erano i pensieri di Giuseppe, che se ne andò al Tempio a pregare, dove raddoppiò le suppliche a Dio.
Al concorso - Quando furono radunati anche gli altri discendenti di Davide, con molti altri ancora che desideravano vedere la Santa Fanciulla, per la fama grande che ne correva per la città, il sacerdote che doveva sposarla a quelli della stirpe di Davide propose che per intendere la volontà divina e conoscere quale da Dio fosse stato destinato per sposo di una così degna fanciulla, ognuno di loro avrebbe dovuto tenere in mano una verga secca, e porgere suppliche a Dio affinché facesse fiorire la verga di colui che aveva destinato per suo sposo. Fu accettato di comune accordo, e così fu fatto. La Santissima Vergine Maria, intanto, nel suo ritiro, stava supplicando Dio del suo aiuto e della sua grazia, affinché le avesse assegnato uno sposo vergine e che avrebbe dovuto essere il custode della sua purezza, e già vide in spirito come le sarebbe stato assegnato il castissimo e santissimo Giuseppe; perciò tutta allegra ne rendeva grazie al suo Dio.
La verga fiorita - Mentre il Sacerdote intanto pregava con tutti gli altri, e il nostro Giuseppe stava nel luogo più basso e ritirato, perché si conosceva indegno, si vide in un subito fiorire la sua verga e ricoprirsi di candidissimi fiori; il prodigio fu subito ammirato da tutti, perciò tutti i ministri del Tempio ed il Sacerdote dissero che lui era destinato da Dio come sposo della Santa Fanciulla. Poi Dio volle dare anche un altro segno manifesto del castissimo sposalizio, mentre da tutti fu vista una candida colomba scendere dal cielo e posarsi sul capo di Giuseppe, facendo restare tutti ammirati e certi che Dio lo aveva scelto fra tutti per sposo della Santissima Fanciulla; perciò tutti si rallegrarono, solo quelli che restarono delusi si dolevano della loro poco buona sorte. Quale fosse poi il sentimento dell'umilissimo Giuseppe, ognuno se lo può immaginare.
Gioia di Giuseppe - Il suo cuore si riempì di gioia ed insieme di confusione, perché si stimava indegnissimo di questo, e in mezzo alla confusione della sua indegnità esultava e giubilava per la felice sorte in modo che andò in estasi, dicendo sempre: «E dove a me, mio Dio, un favore così grande? E quando mai ho meritato una grazia così speciale? Oh, che con ragione l'Angelo mi disse che Tu mi avresti fatto una grazia molto grande, e che io mi sarei dovuto preparare a ciò! Ora capisco qual'era la purissima colomba che mi fu data in mano, affinché io fossi il custode della sua purezza. E lo sarò, mio Dio, con l'aiuto della tua grazia e col favore della mia cara colomba e sposa, Maria».
Sposalizio verginale - Intanto si fece venire la Santissima Fanciulla Maria, affinché il Sacerdote l'avesse sposata con S. Giuseppe, e tutti si trattennero per vedere. La Santissima Fanciulla comparve con gli occhi fissi a terra, ricoperta di un mirabile e verginale rossore, e alla sua vista ognuno restò stupito ed ammirato per la sua rara bellezza e grazia, e per la modestia singolare, invidiando tutti la felice sorte di Giuseppe. Quando Giuseppe la vide restò estatico per lo stupore e pianse per il giubilo del suo cuore. Il Santo vide un grande splendore nel volto verginale della sua purissima sposa, ed intese nel suo cuore la voce del suo Dio, che gli diceva: « Giuseppe, mio fedele servo, ecco io ti faccio il dono promesso, e ti dò per sposa la più cara creatura che io abbia sopra la terra. Consegno a te questo tesoro, perché tu sia il suo custode. Questa purissima colomba sarà la tua fedelissima compagna, ed ambedue vi conserverete vergini, essendo appunto la verginità il nodo strettissimo del vostro sposalizio. L'amore di voi due, ora si unirà in uno, il quale sarà a me consacrato, essendo io la sua sfera e lo scopo di tutti i vostri affetti e desideri». La gioia nell'animo di Giuseppe si inondò molto di più, e il suo cuore si riempì di consolazione e giubilo. Il Santo non ardiva di guardare la sua purissima sposa, ma pure si sentiva attirare da un vero e cordiale amore, e da una tenera devozione a rimirare e venerare la bellezza e la maestà del suo volto; ed ogni volta che alzava gli occhi per vederla, restava estatico, e ben conosceva con lume superiore, come la sua sposa era colma di grazia e si umiliava, riconoscendosi indegnissimo di trattare con lei e spesso replicava: «E come, o Signore e Dio mio, Tu hai fatto a me un così grande favore?». Intanto il Sacerdote fece la funzione che si praticava in quei tempi, e li sposò insieme, e nell'atto dello sposalizio i santi sposi videro uscire dai loro cuori una fiamma che si unì insieme facendosi una sola e volò verso il cielo, confermando Dio, con questo segno visibile, quello che aveva detto a Giuseppe interiormente, e cioè che il loro amore si sarebbe unito in uno solo e che Lui sarebbe stato l'oggetto amato, volando la fiamma alla sua sfera.
Lasciano il Tempio - Terminata la funzione e consegnata la Santa Fanciulla dal Sacerdote a Giuseppe, e a lui caldamente raccomandata, se ne andarono tutti dal Tempio, restando qui i due santi sposi a pregare per più ore rapiti in estasi, dove furono rivelati da Dio altissimi misteri; Giuseppe più che mai restò informato delle rare virtù della sua purissima sposa, così come anche la Santissima Sposa conobbe chiaramente le virtù e i meriti del suo santo sposo, e fecero ambedue gli atti di ringraziamento alla divina beneficenza che tanto li aveva favoriti e così bene accompagnati ed uniti in perfettissimo e castissimo amore. Terminata la loro preghiera e ottenuta ambedue la benedizione di Dio, se ne andarono dal Tempio, conducendo con sé, il nostro fortunato Giuseppe, la sua purissima sposa come un tesoro incomparabile datogli da Dio. Il Santo rimirava i passi di lei, e in tutto la riconosceva colma di grazia, di modestia e di prudenza.
Offre a Maria la sua povera dimora - Usciti dal Tempio S. Giuseppe parlò alla Santissima sposa Maria con grande riverenza ed amore, e brevemente le disse come lui non aveva una casa capace per dimorarvi, ma solo una piccola stanza dove egli lavorava, e che perciò se si accontentava che l'avesse condotta qui per allora, perché poi avrebbero deciso quello che dovevano fare. L'umilissima sposa gli rispose che la conducesse pure dove lui dimorava, perché qui avrebbero conferito insieme, e avrebbero fatto quello che Dio avesse voluto, mentre l'avrebbero pregato di manifestare loro la sua divina volontà. Contentissimo della risposta, il Santo la condusse al piccolo albergo, essendo già l'ora tarda. Entrati nella stanza diedero insieme lode a Dio, ringraziandolo di nuovo del beneficio che aveva fatto loro di unirli insieme. Il Santo piangeva nel vedersi tanto sprovvisto, non potendo dare alla sua sposa un luogo capace per il quale lei potesse stare ritirata, ma la sua santa Sposa gli fece animo e lo consolò. Dopo si rifocillarono con poco pane, acqua e alcuni frutti che il Santo aveva qui e dopo incominciarono a discorrere della bontà e della grandezza di Dio.
Santi colloqui - Il Santo stava tutto assorto nell'udire le parole della Santissima Sposa, piangendo per la dolcezza e mentre il suo cuore giubilava per la consolazione. Le riferì tutto quello che, la notte prima che avesse la sorte di sposarla, l'Angelo gli aveva detto nel sonno, e benché la sua Sposa sapesse tutto ne mostrò gran contento. Le manifestò poi come a lui era già noto il voto di verginità che lei aveva fatto, e che ad imitazione sua l'aveva fatto anche lui; di questo la Santa Sposa si rallegrò, e incominciarono a parlare della sublimità di questa così rara virtù. Passarono infatti tutta la notte in queste conversazioni che parvero, al Santo, brevissimi momenti, tanta era la consolazione che sentiva nel ragionare con la sua purissima e Santissima Sposa, e nell'udire le sue parole tutte infiammate d'amore di Dio e tutte accese di carità perfetta, restando sempre più ammirato della grazia e della virtù della sua Sposa Santissima. Il Santo Sposo la chiamava spesso colomba mia; e le disse che non ne prendesse ammirazione di questo, perché avendogli dato l'Angelo una colomba quando gli parlò nel sonno, che significava essere lei stessa, così con ragione la poteva chiamare colomba sua, avendola, sotto tale figura, a lui consegnata. La Santissima Sposa chinava la testa, quando il suo Santo Sposo le diceva questo, dicendogli che lei stava in tutto soggetta a lui e che la chiamasse come a lui piaceva. Ogni volta che la Santa Sposa gli parlava, le sue parole erano come dardi infuocati che andavano a vibrarsi nel cuore del castissimo Sposo e l'accendevano sempre più di un amore ardente verso Dio, e di un amore puro e santo verso di lei.
Umile dipendenza di Maria - Arrivata la mattina, avendo passato tutta la notte in sacri colloqui, la Vergine disse al suo sposo Giuseppe, che lei si ritrovava una piccola casetta a Nazareth, loro patria, che avrebbe appunto fatto per loro, bastando alla loro povertà ogni piccolo ricovero; e se a lui avesse fatto piacere di andare a stare lì, e se fosse stata la volontà dell'Altissimo, lei era prontissima ad andarvi, per vivere lì con la loro quiete. Il Santo Sposo Giuseppe gradì molto quanto la sua Sposa gli disse, e rimasero d'accordo di andare al Tempio a pregare e supplicare Dio, affinché si fosse degnato di manifestare loro, in questo, la sua divina volontà, così come anche in tutte le altre loro operazioni; e benché la sua Santissima Sposa sapesse benissimo quello che Dio voleva, tuttavia teneva celato il segreto, aspettando che Dio l'avesse manifestato al suo Sposo Giuseppe, perché lei voleva in tutto e per tutto dipendere dai suoi comandi e dai suoi ordini.
La volontà di Dio - La mattina andarono per tempo al Tempio, e qui si trattennero molto a pregare, e Dio manifestò a Giuseppe la sua volontà, che era che andassero ad abitare a Nazareth, loro patria; lo stesso disse di nuovo alla Santissima Vergine. Quando ebbero terminato la loro orazione se ne tornarono al piccolo albergo, e qui Giuseppe chiese alla sua Sposa quello che doveva fare per adempire la volontà divina, e lei lo supplicò di dire lui quel tanto che aveva udito. Il Santo narrò tutto alla sua Sposa, dicendole inoltre che lui era anche pronto a fare quello che Dio avesse manifestato a lei, e lei gli confermò quello che lui le aveva detto e che credeva essere quella la volontà dell'Altissimo, cioè che si fossero ritirati a Nazareth loro patria; e dando lode a Dio, perché aveva manifestato loro la Sua volontà, stabilirono di partire subito; perciò il Santo trovò un vile giumento e lo caricò di tutte le cose che erano necessarie per il suo lavoro e di quel poco che aveva, e si risolvette di partire da Gerusalemme, tanto più che era libero da ogni lavoro, e non aveva da fare qui cosa alcuna.
Partenza da Gerusalemme - Decisi già di partire la mattina seguente, si portarono prima al Tempio a pregare e dopo parlarono di nuovo al Sacerdote che li aveva sposati, domandandogli la benedizione. La Santa Sposa si licenziò anche da quelli con cui aveva dimorato al Tempio, e in particolare da chi aveva avuto cura di lei, e con la sua benedizione partì. I due Santi Sposi uscirono dal Tempio, dopo avere qui pregato, adorato e lodato il loro Dio.
Somma gioia di Giuseppe - Benché il Santo Sposo avesse avuto sempre il desiderio di fare la sua dimora a Gerusalemme, per poter frequentare il Tempio, tuttavia partì molto contento, bastandogli, diceva lui, di avere la bella sorte della compagnia della Santissima e purissima sua Sposa, non avendo più che bramare nel mondo, essendo pienamente contento, e diceva sovente al suo Dio:«Dio mio, Tu mi hai fatto una grazia così grande nel darmi in custodia la tua diletta ed amata fanciulla Maria, che io ora non ho più che desiderare, mentre in lei il mio spirito trova tutto ciò che sa bramare, e le sue parole mi consolano abbastanza. Ella è un tesoro che da me sarà sempre più stimato, così come vado sempre più conoscendo il suo merito e le sublimi virtù di cui l'hai ricolmata». Poi, rivolto alla sua Sposa, le diceva:«Credi, mia Sposa, che Dio mi ha fatto una grazia così grande nel darti a me per compagna, che io ora non so più che bramare, solo che l'adempimento della volontà divina e di impiegarmi tutto al servizio del nostro Dio. E non sarà poca fortuna la mia, di poterti mantenere con il lavoro che farò se a Dio e a te così piacerà, che io mi impieghi nell'arte che ho imparato per sostentarmi. Quando poi Dio voglia che mi impieghi in altro, e a te non sia in piacere, eccomi pronto a fare tutto». La Santissima Sposa rispondeva a queste parole con grande umiltà e con grande prudenza, rimettendosi sempre al volere dell'Altissimo e a quello del suo Sposo Giuseppe, e con queste umili risposte il suo Sposo Giuseppe si affezionava sempre più, e ammirava sempre più le sue virtù, in modo tale, che diceva spesso fra di sé: «Se non sapessi chi fosse la mia sposa, e se non la conoscessi per figlia di Gioacchino ed Anna, direi certo che fosse scesa dal cielo, parendo a me, che una creatura umana non sia capace di tanta virtù e tanta grazia». Poi ringraziava il suo Dio che si era degnato di arricchirla tanto e privilegiarla sopra ogni altra creatura.




Capitolo XVIII - Viaggio di S. Giuseppe con la sua Santissima Sposa Maria da Gerusalemme a Nazareth

Umiltà vicendevole - I due Santi Sposi avevano già preparato tutto per la partenza, e prima di mettersi in cammino la Santissima Vergine volle anche la benedizione del suo Sposo, praticando in tutte le sue azioni la bella virtù dell'umiltà tanto a lei cara e da lei tanto stimata. Nasceva però, fra i due sposi, una santa contesa, perché Giuseppe, essendo anch'egli umilissimo, e conoscendo il merito impareggiabile della sua Santa Sposa, ricusava di fare questo, ma le umili suppliche della sua Santissima Sposa non potevano non essere da lui assecondate; così il Santo accondiscendeva a benedirla e supplicava il suo Dio di accompagnare con la sua, anche la divina benedizione.
Lasciano Gerusalemme - Infine partirono con molto loro gusto, perché sapevano che adempivano la volontà divina. I Santi Sposi andavano a piedi con un solo vile giumento, che portava il loro povero arnese. Il cuore di San Giuseppe si struggeva per vedersi tanto povero, che non poteva dare alla sua Sposa alcun sollievo e comodità nel viaggio, e con lei se ne doleva; ma la Santa Fanciulla Maria l'animava e gli diceva che lei era contentissima di questo, e che godeva molto nel vedersi povera, e che bramava solo la ricchezza della grazia del suo Dio; e diceva al suo sposo Giuseppe: «Sappi che quanto più grande sarà la nostra povertà temporale, tanto più il nostro Dio ci arricchirà di beni spirituali e tanto più saremo graditi a Lui». Il nostro Santo si consolava molto nel sentire le parole della sua purissima ed amata Sposa.
Pene e consolazioni - Con questa povertà e scomodità, viaggiarono i due più grandi personaggi del mondo, benché sconosciuti al mondo. Erano soli, senza compagno alcuno, ma a loro facevano la corte una grande moltitudine di Angeli, che con la melodia accompagnavano la Santissima Fanciulla Maria, già destinata da Dio come Madre del Verbo divino; lei sola però udiva le armonie Angeliche. In questo viaggio Dio permise, per consolazione di San Giuseppe, che più volte, nel posarsi che facevano, gli uccelli cantassero a schiere dolcemente intorno alla Santa Sposa Maria; di questo il nostro Giuseppe ne restava ammirato e insieme consolato e da qui poi prendevano motivo di lodare e benedire la bontà del loro Dio, che li favoriva anche con questi segni.
Il canto di Maria - Dopo avere viaggiato un po', ed essendo stanchi, si fermarono per qualche tempo, e S. Giuseppe supplicò la sua Sposa di voler cantare qualche lode al suo Dio, dato che pareva che gli uccelli stessi l'invitassero. La purissima sposa obbedì, e cantò un cantico di lode al suo Creatore, nel quale narrava la meraviglie della potenza divina. Perfino gli Spiriti Angelici restavano stupiti; quanto più poi il nostro Giuseppe, che andò in estasi per la dolcezza e stette alquanto assorto, mentre nel frattempo la divina Sposa fece molti atti di adorazione al suo Dio. Tornato dell'estasi, il Santo disse rivolto alla sua Sposa: «O sposa e colomba mia, quanto diletto mi apportano le tue canzoni, e le lodi, che con tanta grazia dai al nostro Dio! Come devo ammirare sempre più i tesori di grazie che il nostro Dio ha collocato in te! Corrispondi pure con altrettanto amore alla generosità divina, mentre anch'io ti farò compagnia e sempre loderò e benedirò il nostro Dio, che si è degnato di arricchirti di tanta grazia e di tanti doni; e tu fallo per me, che mi ha scelto fra tanti, a godere la tua amabile e desiderabile compagnia».
Umiltà di Maria - La Santa Fanciulla si umiliava a queste parole, e rivolgeva tutta la lode al suo Dio, chiamando se stessa vilissima ancella; e diceva al suo Sposo che quanto in lei ammirava e conosceva di bene, era tutto dono di Dio, dato a lei per sua sola bontà senza che lei ne avesse alcun merito, che perciò ogni volta che in lei scorgeva qualche grazia, ne desse subito lode al Datore di ogni bene, Dio, immenso ed infinito, che si mostrava così generoso con le sue creature e specialmente con lei, creatura vilissima e del tutto immeritevole. Il Santo Sposo ammirava le umili parole della sua sposa e ne dava lode a Dio, godendo che avendola tanto arricchita di doni celesti, le desse anche un così basso sentimento di se stessa, e fosse tanto fondata nella bella virtù dell'umiltà.
Gratitudine e gioia di Giuseppe - Proseguirono il loro viaggio, sempre lodando e benedicendo Dio; e il cuore del nostro Giuseppe si riempiva sempre più di giubilo e d'amore verso il suo Dio, e spesso diceva alla sua Santa Sposa che ringraziasse lei Dio da parte sua, perché lui non sapeva farlo come doveva, per la grazia grande e impareggiabile che gli aveva fatto di eleggerlo per suo sposo e custode. Al Santo sembrava che questa fosse una grazia impareggiabile, e così la chiamava come infatti era, ma Dio aveva già destinato di fargli una grazia assai maggiore che egli non sapeva né poteva penetrare, ed era che gli avrebbe dato in custodia il Verbo Incarnato, e che questo sarebbe stato soggetto a lui, grazia, questa, impareggiabile e sopra ogni intendimento umano. Eppure il nostro Giuseppe arrivò a conseguire una così gran sorte di essere Padre putativo del Verbo Incarnato. Al Santo sembrava che non gli restasse altro da ottenere di grande e di sublime, solo che di arrivare a vedere con i propri occhi il Messia promesso e di impiegarsi tuttoal suo servizio, ma questo solo lo desiderava, non pensava di potervi arrivare. Si consolava tanto di aver conseguito una compagna tanto degna e tanto santa, con la quale poteva trattare delle grandezze del suo Dio, ed essere aiutato da lei alla pratica delle virtù e all'acquisto dell'amore verso Dio, poiché il Santo ne viveva molto bramoso.
Nella casetta di Nazareth - Arrivati i Santi Sposi a Nazareth, non trovarono qui cosa alcuna per ristorarsi. Subito il nostro Giuseppe procurò di andare nella piccola casa della sua Sposa Maria, e facilmente gli riuscì; ed essendo l'ora tarda, entrarono nella loro casa, dove non c'era comodità alcuna, e per quella sera se ne stettero lì con la loro povertà, cibandosi solo di poco pane che portavano con sé e trovando dell'acqua per bere. La sua Santa Sposa Maria godeva di questo, perché era amante della povertà, ma compativa molto l'afflizione che sentiva il suo sposo nel vedersi tanto povero, e gli faceva animo e lo consolava con le sue parole; di questo il Santo provava assai più gusto che di qualsiasi e squisita vivanda, e diceva alla sua Sposa che le sue parole erano sufficienti a consolarlo e a ristorarlo. Arrivati qui, la prima cosa che fecero fu di lodare e ringraziare Dio che li avesse fatti giungere in quel luogo e che li avesse assistiti nel viaggio. Dopo si rifocillarono un po', come dissi, e dopo avere lodato di nuovo il loro Dio, disposero il luogo dove dovevano stare. Giuseppe disse alla sua sposa, che si scegliesse lei la stanza dove voleva stare ritirata a pregare e a riposarsi, ma la Santa Vergine, umilissima, non volle fare questo di sua elezione, benché la casa fosse sua, ma supplicò il suo Sposo di volersi degnare di assegnargliela lui, toccando a lui di comandare ed ordinare tutte le cose come suo superiore. Il Santo lo fece, assegnando alla sua Sposa una stanza per il suo ritiro, un'altra per sé ed una dove egli poteva esercitare la sua arte, che era una stanza inferiore e più in basso delle altre ed una piccola stanza dove potesse cucinare. Quando il Santo ebbe ordinato questo, la Santa Sposa Maria si mostrò contenta e pienamente soddisfatta, e dopo avere fatto un lungo ragionamento col suo sposo Giuseppe a lode del suo Dio, gli domandò il permesso di ritirarsi nella sua piccola stanzina, rimanendo d'accordo che il giorno seguente poi, avrebbero destinato il modo di vivere che qui dovevano fare. Il Santo diede il permesso alla sua sposa di ritirarsi ed anch'egli si ritirò per prendere un po' riposo. Il riposo di quella notte fu sulla nuda terra, non avendo altro per allora, solo che quel poco di arnesi che avevano portato da Gerusalemme. La Santissima Sposa passò quasi tutta la notte in preghiera; ed il nostro Giuseppe, essendo stanco, si riposò, e l'Angelo gli parlò nel sonno e l'assicurò che era volontà di Dio che vivessero in povertà, e che perciò non si affliggesse e che procurasse di tenere quel tanto che era necessario e niente più, e che si mantenesse col suo lavoro e che si mostrasse sempre più grato a Dio per il dono che gli aveva fatto di una sposa così santa e così degna.
Desideri di Giuseppe - Arrivato il giorno, Giuseppe si svegliò dal sonno e, avendo prima fatto la sua solita preghiera a Dio, si sentiva attirare dall'amore di andare a vedere la sua purissima Sposa, e ne stava impaziente perché lei non usciva dal suo ritiro, e lui non ardiva chiamarla. Si mise pertanto ad aggiustare la sua bottega con quei pochi ferrami che aveva portato, e posto il tutto in assetto, tornò di nuovo a trovare la sua sposa, e vedendo che tardava, si mise alla porta ad osservare quello che era della sua Sposa con il desiderio di vederla presto e di parlarle, e dalle fessure della porta si avvide che la stanza era piena di splendore celeste, ed intese un soavissimo profumo ed insieme una consolazione interiore molto grande; da questo capì chiaramente che la sua santa Sposa stava trattando con Dio, per cui il Santo si ritirò, e nell'avvenire non si accostò mai più alla sua stanza per molestarla, ma la lasciava in sua libertà, e quando bramava vederla o parlarle, se lei si trovava nel suo ritiro non ardiva mai molestarla, ma l'aspettava con pazienza. Godeva del suo bene e delle delizie che lei si prendeva nel trattenersi a trattare con Dio da solo a solo ed aveva una santa invidia della sua fortunata Sposa, e diceva fra sé: «Beata lei, che veramente si rende degna delle visite del nostro Dio, perché infatti è del tutto santa e perfettissima in tutte le virtù».
Primi provvedimenti - Terminata la sua preghiera, la Santissima Vergine uscì dalla sua stanza, dove trovò il suo Sposo Giuseppe che l'aspettava. Il Santo la vide più che mai bella e graziosa, e ne restava sempre più ammirato, in modo che ardiva appena parlarle. La Santa Sposa si mostrò tutta umile, cortese ed affabile, salutandolo con molta grazia. Lodarono di nuovo insieme il loro Dio e poi si consigliarono su quello che dovevano fare circa il mantenimento del vitto necessario, perché erano sprovvisti di tutto. Il nostro Giuseppe aveva qualche denaro del lavoro che aveva fatto prima a Gerusalemme, e andò a comperare quello che era necessario per il loro mantenimento. I vicini andarono anche a rallegrarsi con la Santa Sposa Maria, e trovandola tanto povera, non mancarono delle persone amorevoli che le portarono quello che era necessario per il suo servizio. La Santa Sposa gradiva e riceveva il tutto a titolo di elemosina, praticando in tutto una somma umiltà e gratitudine verso di chi la beneficava, alle quali poi, corrispose al beneficio ricevuto con il lavoro delle sue mani. Nelle visite però, si mostrava grata e cortese, ma con poche parole, e quelle tutte ordinate e prudenti, per cui ognuno ammirava la sua modestia e la sua grazia, restandole tutte affezionate e desiderose di trattarci. Ma la Santa Sposa gradì dapprima la visita, ma poi si mostrò restia dal ricevere visite, benché facesse tutto con modo e grazia singolari; ammetteva però la visita di quelle vergini che temevano ed amavano Dio e con quelle si tratteneva in sacri discorsi. Quando il suo Santo Sposo Giuseppe ebbe già provveduto alquanto di quello che era loro necessario, tornò subito a ritrovare la sua Santa Sposa Maria, non potendo stare lungo tempo lontano da lei, mentre la sola presenza di lei gli apportava una consolazione molto grande. Quando il Santo tornò dalla sua Sposa e le consegnò quel tanto che aveva portato per il loro bisogno, lodarono e ringraziarono di nuovo il loro Dio che tanto bene li aveva provveduti. Giuseppe trovò anche da lavorare, cosi si poteva sostentare con le sue fatiche, e anche la Santissima Sposa Maria si impiegava a lavorare per acquistarsi il vitto necessario con il lavoro delle sue mani, disponendo Dio con somma provvidenza che le capitasse subito l'occasione di potersi acquistare il vitto necessario. I Santi Sposi ammirarono la divina provvidenza, e non cessarono di lodare e benedire il loro Dio che si mostrava loro tanto generoso e li provvedeva con tanto amore, e si animavano sempre più a corrispondere ai benefici che Dio faceva loro, crescendo a meraviglia nel suo amore.




Capitolo XIX - Maria e Giuseppe prima dell'Incarnazione del Verbo Divino

Ordine quotidiano -Essendo già provveduti alquanto di quello che era necessario, i Santi Sposi destinarono il tempo nel quale dovevano trattare insieme e trattenersi in sacri colloqui, il tempo in cui si dovevano trattenere nelle orazioni, e quello del lavoro, e tutto con somma sapienza e bell'ordinanza, perchè la Santa Sposa faceva tutto col consiglio di Dio, con il quale trattava familiarmente, e in tutte le sue operazioni procurava di intendere prima quale fosse la volontà del suo Dio. Perciò la mattina di buon'ora si trattenevano a recitare parte dei Salmi di Davide, e dopo il nostro Giuseppe se ne andava a lavorare, e la Santissima Vergine preparava il pranzo, nel quale spendeva poco tempo, essendo il loro vitto molto parco: per lo più si trattava di poca minestra con qualche frutto o qualche pesciolino, ma raramente anche la santa Sposa Maria si cibava di questo. Alle volte però cucinava qualche cosa di più per il suo sposo Giuseppe e questo lo faceva per sollievo del suo Sposo, che si affaticava molto nel lavorare; lei però non gustò mai altro di quello che abbiamo detto e, affinchè non la costringesse a mangiare carne, diceva al suo Sposo che lei si affaticava poco, e che perciò ogni poco di cibo le era più che sufficiente; ed il Santo non la molestava in questo, conoscendo che la sua Sposa faceva tutto con grande prudenza e sapienza.
Modesta refezione - Giuseppe, quando aveva terminato il suo lavoro e si era trattenuto tutto il tempo destinato per lavorare, se ne andava subito a cercare la sua Santa Sposa, e di nuovo recitavano le divine lodi, dopo le quali prendevano il cibo necessario, e nel frattempo dicevano qualche parola a lode del loro Dio, ed alle volte il Santo restava tanto consolato per le parole della sua Sposa, che lasciava anche di cibarsi. Dopo il cibo rendevano le dovute grazie a Dio e poi si trattenevano in sacri colloqui, essendo anche per questo destinata l'ora propria che era tanto desiderata dal Santo Sposo, per poter sentire parlare la sua Sposa Maria, e per lo più andava in estasi per la gioia che ne sentiva.
Santi colloqui - In questo discorso che facevano fra di loro, il Santo Sposo le andava raccontando spesso quel tanto che gli era capitato nella sua vita passata, le grazie che aveva ricevuto da Dio e quel tanto che l'Angelo gli diceva nel sonno. Però, dopo che Giuseppe si sposò con la Santissima Vergine, l'Angelo si fece sentire molto di rado, perchè gli bastava già la santa compagnia che aveva conseguito. La Santa Sposa sentiva con gusto quel tanto che il suo Sposo Giuseppe le raccontava, e da questo ne prendeva occasione per lodare maggiormente Dio; e il nostro Giuseppe diceva alla sua Sposa: «Sappi, mia Sposa, che adesso l'Angelo non mi parla più nel sonno come prima, ma molto di rado. Io però sono contento di quanto il nostro Dio dispone, bastandomi di aver la sorte di trattare con te, avendo io tanto desiderato una creatura con la quale potessi ragionare delle grandezze del nostro Dio, e mi fu promesso dall'Angelo che io l'avrei ottenuta; ma non credevo mai che mi fosse toccata una così felice sorte di trattare con te e di sentire i tuoi discorsi tanto colmi di sapienza celeste».
Esortazioni di Maria - La santa Sposa rispondeva con umili e prudenti parole, e narrava al suo Giuseppe quanto il loro Dio fosse fedele nelle sue promesse, e che perciò anch'essi gli dovevano esserere fedeli nell'amore e nella servitù.Il Santo Sposo le chiedeva con grande premura che cosa doveva fare per il suo Dio; e lei gli rispondeva umilmente che Dio gradiva di essere servito con amore, con fedeltà, e che in tutte le operazioni si procurasse di adempire la sua divina volontà. E incominciava a discorrere su tutte le virtù con le quali l'anima si rende capace di ricevere le grazie di Dio e si rende a Lui gradita ed accetta, restando il Santo Sposo tutto infiammato di amore di Dio per quello che udiva dalla sua Sposa. Le parole della santa Sposa avevano una forza così grande che infiammavano i cuori di chi l'udiva; molto più restava infiammato il cuore del nostro Giuseppe che era già tutto acceso d'amore verso il suo Dio, e godeva tanto nel sentire le parole della sua sposa Maria, che se fosse stato in sua elezione, sarebbe stato ad udirla sempre, di giorno e di notte senza curarsi di cibo nè di riposo.
Consolazioni di Maria - Molte volte, mentre il Santo lavorava, quando si ritrovava stanco ed afflitto, se ne andava subito a ritrovare la sua Sposa per sollevarsi, ed alla sola vista di lei restava tutto consolato. La santa Sposa lo consolava con molta grazia e l'animava alla sofferenza nel travaglio e gli diceva: «Se si sperimenta tanta consolazione solo nel parlare del nostro Dio, quale consolazione saràil trattare con Lui, e il godere nel suo Regno la beata visione? Preghiamo dunque con grande insistenza il nostro Dio affinchè si degni inviarci presto il Messia promesso, perchè per suo mezzo noi siamo fatti degni di entrare in Cielo, per goderlo qui eternamente». E così entravano in discorso sulla venuta del Messia, e la Santa Sposa si mostrava tanto ardente nel desiderio di questa venuta, che ne accendeva il desiderio anche nel suo Sposo e gli diceva: «Domandiamolo con grande insistenza, con viva fede, perchè il nostro Dio vuole essere pregato con ardore». Ed il Santo le diceva che lui fin dalla sua fanciullezza ne aveva avuto un vivo desiderio e che sempre aveva pregato Dio con grande insistenza, e che dall'Angelo gli era stato manifestato che Dio gradiva le sue suppliche e che voleva esserne pregato, e la santa Sposa, benchè sapesse tutto questo, si mostrava desiderosa sentire questo e ne godeva molto, e diceva al suo Giuseppe: «Dunque animiamoci a domandare la grazia con premura, tanto più che il nostro Dio lo gradisce e lo vuole». Si univano insieme a fare la domanda e Dio gradiva molto le loro suppliche e i desideri ardenti dei loro cuori.
Pazienza di S. Giuseppe negli insulti - Mentre il nostro Giuseppe stava in tanta felicità e consolazione del suo spirito, per la sorte felice che aveva di trattare con la sua Santa Sposa, non gli mancavano le afflizioni; e mentre stava nella sua piccola bottega a lavorare, vi andavano alcuni a rimproverarlo perchè si fosse ridotto in stato di tanta povertà, e perchè avesse dissipato tutte le facoltà che il suo genitore gli aveva lasciato, e gli dicevano delle parole pungenti e di scherno. Il Santo non rispondeva cosa alcuna, soffrendo il tutto con grande pazienza e serenità; e da quelli era trattato come un uomo di poco senno e gli dicevano che lui non rispondeva, perchè conosceva il male che aveva fatto. Tuttavia il Santo taceva, e offriva tutto al suo Dio, per amore del quale si era ridotto in quello stato di povero, ed anche per suo amore tutto soffriva. Andava poi dalla sua Sposa, e a lei raccontava tutto; e lei l'animava alla sofferenza, e gli diceva che si rallegrasse di questo, perchè dava gusto a Dio. A lei poi raccontava tutto quello che gli era capitato alla morte dei suoi genitori, e come si era ridotto in quello stato di tanta povertà, e la santa Sposa ne sentiva piacere e lo consolava di nuovo. Alle volte poi il Santo si trovava sprovvisto, e provava pena nei riguardi della sua Sposa perchè non le poteva somministrare il vitto necessario, ma lei gli faceva tant'animo, e con tanto modo l'esortava piuttosto a goderne che affliggersi, che il Santo rimaneva tutto consolato ed ammirato dell'eroica virtù della sua amata Sposa, e rivolto al suo Dio lo ringraziava affettuosamente della grazia che gli aveva fatto nel dargli una sposa tanto santa e tanto perfetta in ogni virtù.
Divini soccorsi straordinari - Quando i Santi Sposi erano sprovvisti di cibo, e non sapevano come poterlo trovare, la Santissima Sposa diceva al suo Giuseppe di mettersi a tavola, e anche lei vi si metteva e supplicava Dio di volersi degnare di consolare il suo Sposo Giuseppe, che stava afflitto per la povertà e si trovava bisognoso di cibo. Poi incominciavano a discorrere delle grandezze di Dio, e la Santa Sposa ne parlava con tanto ardore, che il suo Giuseppe andava in estasi per la gioia, e anche lei restava rapita in estasi e stavano in tal modo per molto tempo, dove Dio faceva loro gustare la sua dolcezza e la sua soavità in modo che, tornati dall'estasi, si trovavano sazi come se si fossero cibati di vivande squisite e delicate; perciò la Santa Sposa prendeva motivo da fare animo al suo Sposo e di rallegrarsi quando si trovavano sprovvisti di tutto, perchè Dio stesso li avrebbe saziati con la sua grazia. Il nostro Giuseppe restava sempre più ammirato della bontà e della generosità del suo Dio e della santità della sua Sposa, ed era certo che Dio per riguardo della sua Sposa lo favoriva tanto, e gli si mostrava tanto e tanto generoso. Altre volte poi, Dio li provvedeva per mezzo delle creature, ispirando il cuore di qualche amorevole, a fare loro qualche elemosina di quello che era loro necessario. Altre volte trovavano la tavola apparecchiata con pane e frutta; tutto ciò veniva somministrato loro per mano di Angeli. Tutto questo, però , succedeva quando, stando in estrema necessità, non avevano modo alcuno per provvedersi; e quando succedeva loro questo, passavano poi tutto il resto del giorno in continue lodi e ringraziamenti al loro Dio.
Vita paradisiaca - I Santi Sposi andavano così crescendo nella pratica delle virtù, soffrendo con allegrezza la povertà, umiliandosi sempre più al cospetto del loro Dio, e prestandosi fra di loro un'esatta obbedienza. La Santa Sposa però si mostrava in tutto singolarissima, in modo che era ammirata perfino dagli Angeli stessi che le facevano corte. Crescevano altresì nell'amore verso il loro Dio, e nei frequenti discorsi che facevano si andava accendendo sempre il loro cuore, in modo che il soggetto e l'oggetto dei loro pensieri, delle loro parole ed opere, altro non era che il loro Creatore, da loro unicamente ed intensamente amato.
Progresso di San Giuseppe - Quanto crebbe a meraviglia, il nostro Giuseppe, nell'amore di Dio e nelle virtù, per la conversazione della sua Santa Sposa, non è facile spiegarsi da lingua umana. Il Santo riconosceva i grandi benefici che il suo Dio gli faceva e di tutto gli si mostrava grato, ringraziandolo continuamente; e Dio lo colmava sempre più di grazie e di celesti benedizioni.
Soccorso dei poveri - Benchè poi fossero tanto poveri, non lasciavano di fare l'elemosina; quando capitava loro il denaro per il lavoro che facevano, ne davano sempre una parte ai poveri con loro molto gusto. La Santa Sposa, però ,non volle mai prendere denaro alcuno del lavoro che faceva, ma faceva prendere tutto al suo Sposo, affinchè lui ne avesse disposto a suo piacere, e gli raccomandava solo l'elemosina ai poveri; ed il Santo Sposo, che di questo ne aveva un genio particolare, non lasciava di assecondare il desiderio della sua Sposa e faceva larghe elemosine quando gli capitava il denaro, servendosi solo di quel tanto che era necessario per il loro mantenimento e niente più. Facevano l'elemosina con l'intenzione di piacere di più a Dio e di muoverlo a volersi degnare di mandare presto il Messia promesso, facendo per quest'effetto preghiere, digiuni ed elemosine, sapendo che questo era gradito a Dio e che per questo mezzo si muoveva facilmente a far grazie. Infatti i Santi Sposi si mostravano in tutto e per tutto perfettissimi e molto graditi a Dio, servendolo fedelmente e cercando, in tutte le loro operazioni, il suo divino beneplacito, il suo gusto e la sua maggior gloria, e Dio dava loro chiari segni e testimonianze di quanto gli fossero gradite le loro operazioni, e quanto gustava della loro fedele servitù.
Tentativi del demonio - Il comune nemico fremeva, e tutto sdegno contro il nostro Giuseppe e la sua Santissima Sposa, non potendo soffrire tanta luce nel mondo, si trovava molto debilitato di forze per le virtù mirabili dei due Santi Sposi, specie per l'ardente amore di Dio che regnava nei loro cuori, come anche la loro umiltà, la loro purezza e la loro astinenza. Non ardiva appressarsi con le tentazioni, perchè era tenuto lontano da una forza superiore, perciò anche per questo ne fremeva di rabbia. L'astuto malizioso procurò di trovare il modo per mettere guerra fra i due Santi Sposi perchè, diceva il maligno, come si rompe la carità fra di loro, facilmente avrò il mio intento in tutto il resto; perciò istigò alcuni vicini dei Santi Sposi. Mossi da invidia dell'unione e della carità che regnava fra di loro, questi andarono più volte dal santo Sposo a parlargli della sua Sposa e a mettergliela contro, e gli dicevano perchè stesse tanto ritirata, perchè  lavorasse così poco e non avesse più cura di lui e lo servisse con più esattezza. Infatti gli dicevano varie cose, tutte frivole, che però sembravano grandi per un cuore appassionato, come era quello di questi istigati, e dicevano il tutto con tanta premura che sembrava che il tutto fosse, non solo vero, ma anche sufficiente a muovere a sdegno l'animo di Giuseppe verso la sua Santa Sposa. La risposta, però ,che il Santo dava a questi, era tale che restavano confusi e il demonio scornato, perchè lodava al sommo la sua santa Sposa con brevi parole, per cui non ardivano più parlargli di questo. Non mancarono altri che si misero a parlare male con la Santissima Sposa e procurare di metterle in disgrazia il Santo, ma siccome lei era illuminata e penetrava tutto, con le sue parole non solo faceva restare confuso chi le parlava di questo, ma li faceva ravvedere del loro errore, e se ne tornavano alle loro case tutti cambiati, restando molto ammirati delle virtù, della prudenza e della santitàdella Santissima Sposa. Così il nemico restava più che mai confuso e infuriato, e la sua rabbia e il suo furore erano assai più grandi verso la Santissima Vergine, mentre per le virtù della medesima il nemico si trovava molto debilitato, e cercava ora un modo ora un altro per disturbarla, ma non gli riuscì mai, restando sempre più confuso. Non poteva capire da dove procedesse tanta potenza sopra di lui nella santa Sposa, mentre la considerava una creatura pura come le altre, non sapeva la virtù divina e la pienezza della grazia che si trovavano nella sua anima. Lei poi, quando si avvedeva che il nemico si infuriava più che mai contro di lei, e contro il suo Sposo Giuseppe, l'avvisava con grande umiltà, affinchè il suo Sposo fosse stato ben attento a guardarsi dalle frodi del nemico, e insieme accrescevano le preghiere, i digiuni e gli atti di umiltà per debilitare il nemico infernale, che rimaneva sempre più abbattuto e scornato; e con questa pratica di virtù e di orazioni si accrescevano per se stessi i meriti, e per i nemici infernali le confusioni. Ogni volta, però , che il nostro Giuseppe si trovava travagliato per mezzo di qualche creatura di cui il demonio si serviva per disturbarlo, andava dalla sua Sposa e le manifestava il tutto, ed era consolato e animato da lei a soffrire con pazienza ogni travaglio, perchè così avrebbe dato gusto al suo Dio. E il Santo rimaneva non solo consolato, ma molto animato a soffrire tutto con pazienza e con allegrezza, crescendo sempre più in lui l'amore e la stima verso la sua Santa Sposa.
Maria lo consola - Alle volte il nostro Giuseppe era molto stanco per la fatica che durava nella sua arte, perciò , dopo essersi molto affaticato, se ne andava dalla sua Sposa e la pregava di dare qualche sollievo alla sua stanchezza e di fargli la grazia di cantare qualche lode al suo Dio. E la Santa Sposa lo compiaceva dolcemente cantando le lodi divine, per cui il Santo andava in estasi per la dolcezza che sentiva e dopo le diceva: «Mia sposa, tu sei sufficiente, solo col tuo canto, a consolare qualsiasi cuore afflitto. Quanta consolazione mi apporti! Quanto sollievo sento nella mia stanchezza! Che fortuna è stata mai la mia di poterti parlare, di poterti sentire! E se la sola vista di te mi apporta consolazione, puoi credere quanto sia consolato nel sentirti. Ma che farò mai io per il nostro Dio che si è degnato di farmí tanta grazia?». E la Santa Sposa prendeva motivo, da queste parole, di dare lode a Dio, datore di ogni bene, ed esortava il suo Sposo ad accendersi sempre di più nell'amore di Dio e ad essergli grato, perchè - diceva lei, - infonde in me queste grazie perchè tu resti consolato nelle tue afflizioni e sollevato nei tuoi travagli; così il Santo si andava sempre più accendendo nell'amore e nella gratitudine verso Dio, e restava sempre più ammirato della virtù della sua Santissima Sposa.




Capitolo XX - S. Giuseppe desidera la venuta del Messia

Desidera il Messia - Nel cuore della Santissima Vergine si andava accendendo il desiderio della venuta del Messia, in modo tale che stava tutta impiegata a porgere calde suppliche al suo Dio, affinché lo inviasse presto, e con il suo Sposo Giuseppe ne parlava continuamente, narrandogli la sua brama ardente; perciò il nostro Giuseppe, nel sentirla tanto bramosa, si andava anch'egli accendendo sempre più in questo desiderio, e, rivolto al suo Dio, gli diceva spesso con grande confidenza: «O mio Dio, è ormai tempo che si adempia la tua promessa e che mandi al mondo il desiderato e aspettato Messia, affinché redima il tuo popolo e tutto il mondo, che vive in schiavitù. Tu vedi quanto pochi sono quelli che ti conoscono e che ti amano, per cui è ben dovere che ci mandi quello che farà conoscere al mondo il tuo nome e la tua potenza, la tua bontà, la tua misericordia con tutte le tue divine perfezioni: e solo il tuo Unigenito sarà capace di far questo e di insegnare a tutti la vera strada che conduce alla salvezza». Poi, rivolto alla sua Sposa, le diceva: «Tu, mia sposa e colomba, supplica con insistenza il nostro Dio, perché Egli ti ama molto, e non è possibile che non ascolti le tue suppliche».Allora la Santa Sposa si umiliava, e narrava con grande ardore il suo desiderio e gli diceva: «Stiamo uniti in questa domanda, non cessiamo mai fin tanto che non sono adempite le nostre suppliche; il nostro Dio è buono, non mancherà di esaudirci». Giuseppe incominciava a narrarle quel tanto che l'Angelo gli aveva detto più volte nel sonno circa il Messia promesso, e delle virtù che il detto Messia avrebbe avuto e praticato. La Santa Sposa stava a sentirle con molto gusto, e diceva al suo Giuseppe che gliene parlasse spesso, perché lei sentiva molta consolazione nell'udirlo ragionare di questo. Con i continui discorsi che facevano di questo vi accompagnarono più frequenti le orazioni, i digiuni e le elemosine, e fra di loro dicevano: «Se mai avremo la sorte di sapere che il Messia sia venuto al mondo, noi certo andremo subito ad adorarlo e ad esibirgli la nostra servitù, supplicandolo di volerei ammettere nel numero dei suoi schiavi e servi, benché minimi, e sarà nostra fortuna se ci accetterà; ed in qual parte del mondo Egli verrà, noi subito andremo a ritrovarlo senza dimora. Oh! Noi felici e beati, se saremo fatti degni di tale sorte, che i nostri occhi abbiano a vederlo, e le nostre orecchie udire le Sue parole!».
Suppliche esaudite - Dio si mosse alle continue suppliche della Santissima Vergine, che erano tanti dardi che giungevano al trono della Divinità, ed accelerò il tempo della venuta. Erano anche molto gradite a Dio le suppliche del nostro avventurato Giuseppe; perciò Dio, mosso dalle replicate né mai interrotte istanze, determinò di inviare il Messia promesso. Non cadde mai nel pensiero né alla Santissima Vergine, né a S. Giuseppe, che una così grande grazia fosse riservata per loro, cioè che il Messia sarebbe nato da loro e avrebbe preso carne umana nel seno della Santissima e purissima Fanciulla Maria, perché, siccome erano umilissimi, si riconoscevano appena degni di essere suoi servi. Arrivato pertanto il tempo destinato a fare un così grande beneficio al mondo, ed essendo arrivate le brame ardenti della Santissima Vergine al sommo, il Verbo Divino si incarnò e prese carne umana nel grembo di Maria Vergine, come è già ben noto a tutto il mondo.
Incarnazione del Verbo - Quello che seguisse nell'Incarnazione circa la Santissima Vergine, non è necessario narrarlo in questa storia, perché è già scritto in molti luoghi, e in particolare nella vita di Maria Santissima; dirò solo quello che capitò al nostro Giuseppe, il quale, avendo passato quasi tutto il giorno precedente in sacri colloqui con la sua Santissima Sposa e in ardenti brame di questa venuta del Messia al mondo, si ritirò la notte tutto acceso di questo desiderio, ed avendo riposato alquanto, l'Angelo gli parlò nel sonno e gli disse: «Giuseppe, presto alzati e supplica Dio con ardore, perché ha destinato di fare un gran bene a tutto il mondo», -ma non gli disse che cosa. Subito il Santo si destò, ed alzatosi si mise in preghiera, non potendo fare altra supplica, che supplicare Dio affinché si fosse degnato di mandare al mondo il Messia promesso. E quando il Verbo Eterno si incarnò, il nostro Giuseppe stava in orazione, pregando per questo, come vi stava anche la sua Santissima Sposa, che per tutta quella notte aveva pregato e supplicato.
Estasi di Giuseppe - Nell'Incarnazione che si fece del Verbo divino, il nostro Giuseppe fu elevato in estasi, per l'insolita consolazione di spirito che intese in quell'istante, ed in questa estasi conobbe grandi misteri circa la detta Incarnazione, ma non gli fu mai manifestato che la sua Sposa era la fortunata destinata madre del Verbo Divino. Gli fu bensì manifestato quanto Lei fosse cara e gradita al suo Dio, e come le suppliche di lei erano giunte a penetrare nel cuore di Dio e compiegatolo ad esaudirla nelle sue domande circa l'acceleramento dell'Incarnazione. Il nostro Giuseppe, tornato pertanto dall'estasi, rese affettuose grazie al suo Dio, e non vedeva l'ora di andare a darne ragguaglio alla sua amata Sposa Maria affinché lei si rallegrasse della grazia che Dio gli aveva fatto nell'estasi avuta, e che lei lo ringraziasse a suo nome.
Attende la Sposa - Quella mattina la Santissima Sposa tardò alquanto ad uscire dal suo ritiro, mentre stava tutta immersa nel gaudio del suo Dio ed applicata alle adorazioni e ai ringraziamenti del beneficio ricevuto; così il Santo Sposo, che non sapeva niente di questo, si immaginava che Lei si tratteneva in preghiera, e non ardiva disturbarla. Perciò aspettò con grande pazienza ed anche con molta rassegnazione che la sua Santa Sposa uscisse dal suo ritiro, ed in quel tempo la raccomandava al Signore affinché l'avesse sempre più ricolmata delle sue grazie e dei suoi favori, conoscendola già meritevole di grazie e di doni celesti, sia perché già vedeva le sue rare virtù, come anche perché gli era chiaramente manifestato da Dio il suo gran merito e la sua sublime santità.
Prudenza di Maria - Mentre il nostro Giuseppe stava aspettando la sua Santa Sposa per narrarle quel tanto che gli era occorso, la purissima Vergine uscì già fatta Madre del Verbo Divino, avendolo concepito per opera dello Spirito Santo; uscì dal suo ritiro, come era solita, non dando al suo Sposo dimostrazione alcuna di quanto in lei era seguito, ed essendo prudentissima, tenne sempre celato il segreto del Re, aspettando che Dio l'avesse manifestato al suo Giuseppe quando fosse stato necessario che egli lo sapesse.
Stupore di Giuseppe - Al suo primo aspetto, il Santo Sposo la vide più bella e graziosa del solito, col volto ricoperto di chiarore e ne restò ammirato, sentendo in se stesso una venerazione molto grande verso la sua Sposa, ma credette che lei avesse avuto qualche estasi ed avesse trattato con Dio nella preghiera. Il suo pensiero non si inoltrò più di tanto, e siccome aveva un gran desiderio di parlare, non avvertì più di tanto quegli effetti mirabili che scorgeva in lei. Fu lei la prima a salutarlo, come era solita, e benché fosse già eletta a un posto così degno e sublime, non lasciò di umiliarsi, anzi si mostrava umile più che mai. Per la gioia che la santa Sposa teneva racchiusa nel suo seno verginale, ne traspariva anche nell'esterno; per cui i suoi occhi sfavillavano, ma l'accortissima Sposa li teneva modestamente socchiusi, affinché il suo Giuseppe non ne prendesse ammirazione, e tratteneva l'impeto dell'amore per non dimostrare nell'esterno la letizia e il giubilo del suo cuore e del suo spirito. Il nostro Giuseppe le rese il saluto con più ossequio del solito, perché ammirava in lei la grandezza della grazia divina, e subito le narrò quel tanto che l'Angelo gli aveva detto nel sonno e quello che nella preghiera aveva gustato e udito, dicendole anche: «Io credo, mia Sposa, che anche tu sia stata molto favorita dalle solite grazie del nostro Dio, perché ne scorgo in te chiari segni. E se sono stato tanto favorito io, che sono un miserabile, quanto sarai stata favorita tu, che sei tanto amata dal nostro Dio e che ti ha arricchito di tante grazie?».
Comune ringraziamento - A queste parole la Santissima Sposa chinò la testa, e supplicò il suo Giuseppe di volersi accontentare di dar lode a Dio insieme a lei e ringraziarlo di tutte le grazie che faceva ad ambedue. Il Santo fu contentissimo di questo invito, e si unirono a cantare le divine lodi e a fare atti di ringraziamento, e la santa Sposa gli disse: «Poiché l'Angelo ti ha detto che il nostro Dio ha fatto un beneficio grande al mondo, noi dobbiamo ringraziarlo per questo in particolare e farlo anche in nome di tutto il mondo, perché chissà se ci sia al mondo alcuno che lo ringrazia e gli si mostri grato, tanto più se questo beneficio sia nascosto al mondo; e mentre l'Angelo non te l'ha manifestato, senza dubbio sarà nascosto al mondo. Ringraziamolo dunque insieme a nome di tutto il genere umano». Per queste parole il Santo restò molto consolato, e la divina Sposa compose i cantici di lode, e li diceva con il suo sposo Giuseppe insieme ai cantici di ringraziamento e così si trattennero per un pezzo, restando il nostro Giuseppe molto ammirato della virtù e della grazia della sua divina Sposa, e dentro di sé ne dava lode a Dio e lo ringraziava di tutto quello che compartiva alla sua Sposa. Quando ebbero terminato le divine lodi e i ringraziamenti, il nostro Giuseppe se ne andò a lavorare e la Santissima Vergine rimase a fare i soliti uffici di casa, e benché avesse nel suo seno verginale il divin Verbo Incarnato, non tralasciò di fare quel tanto che faceva prima, servendo il suo Sposo Giuseppe con tutta esattezza, e nel considerarsi vera madre del Verbo Incarnato, non lasciava di riconoscersi umile ancella.
Attrazioni di Giuseppe - Il nostro Giuseppe stava applicato al suo lavoro e si sentiva attirare da un insolito affetto e desiderio di andare a trovare la sua Sposa. Sentiva verso di Lei un amore più potente, più ossequioso e sempre più santo, per cui non poteva starne lontano, se non col farsi molta violenza, mentre quel Dio incarnato nelle viscere della sua Santa Sposa attirava a sé il suo spirito, e benché a lui fosse celato il mistero, tanto l'amore faceva il suo ufficio di volere che gli oggetti amati stessero presenti, godendo uno della visione dell'altro. Giuseppe godeva molto nel trattenersi con la sua Santa Sposa, di un insolito e dolce godimento. Il Verbo Divino gradiva di avere ossequioso avanti a sé il suo amato Giuseppe, che andava sempre più ricolmando delle sue grazie. La divina Madre capiva tutto questo, e anch'ella ne godeva molto. Il nostro Giuseppe manifestò alla sua Sposa quel tanto che sentiva e le disse che lo perdonasse se le era molesto con le continue visite che le faceva e se disturbava la sua quiete, perché lui non poteva farne a meno, sentendosi attirare con violenza ad andarla spesso a vedere, e che quando stava alla sua presenza sentiva un'insolita consolazione, che non aveva mai inteso nel passato. La sua Sposa si mostrò molto cortese, e gli disse che fosse pure andato senza timore di apportarle pena, perché ogni volta avrebbero detto qualche inno di lode alloro Dio, affinché essendo da essi lodato, venissero a meritarsi la Sua grazia e il Suo favore. Il Santo, animato per le parole della purissima Sposa, vi andava senza timore e con sua molta consolazione, e ogni volta che l'andava a trovare gli sembrava più bella e più colma di grazia e gli apportava più venerazione.
Pena e sottomissione di Giuseppe - Questa consolazione durò breve tempo per il nostro Giuseppe, perché avendo detto l'Angelo alla Santissima Vergine quando l'annunciò, che la sua parente Elisabetta era gravida da sei mesi, la Vergine volle andarla a visitare, conoscendo essere questa la volontà del Verbo Incarnato che voleva andare di persona a santificare il suo Precursore Giovanni; così l'Angelo parlò al nostro Giuseppe nel sonno, e gli manifestò come la loro parente fosse gravida e come doveva condurre da lei la sua Sposa affinché l'avesse assistita per quei tre mesi che rimanevano. Questo avviso fu una spada al cuore del nostro Giuseppe, al pensiero di dovere per quel tempo rimanere privo della sua sposa Maria. Però chinò la testa agli ordini divini e si uniformò alla volontà del suo Dio. Manifestò alla sua Sposa quel tanto che l'Angelo gli aveva detto, e la sua Sposa lo pregò di condurla presto dalla parente Elisabetta, perché anche lei conosceva essere quella la volontà divina, e vedendo il suo Giuseppe tanto afflitto, l'animò e gli disse: «Non temere, perché io terrò continua memoria di te, non lascerò di raccomandarti a Dio; e poi, terminati i tre mesi, torneremo di nuovo a trattare insieme e a lodare e servire insieme il nostro Dio. Intanto non si dividerà né si scompagnerà il nostro spirito e il nostro amore verso l'oggetto da noi amato che è il nostro Dio, degnissimo di ogni lode, amore e fedele servitù. Ora con questa lontananza ci vuoI far provare se noi siamo fedeli a Lui, se ci uniformiamo alla sua volontà; e noi siamo in obbligo di mostrarci fedelissimi, perché lo merita e perché godiamo dei suoi favori e delle sue grazie molto più di ogni altra creatura». Il nostro Giuseppe rimase molto confortato per le parole della Santissima Sposa, e contento di adempire la volontà divina, privandosi volentieri della compagnia della sua Sposa a lui tanto cara e di sua tanta consolazione, preferendo al suo gusto quello di Dio e assoggettandosi subito al volere divino. La Santissima Vergine godette molto nel vedere il suo sposo Giuseppe tanto uniformato alla volontà divina e ne rese affettuose grazie all'Altissimo




Capitolo XXI - S. Giuseppe e la Santissima Vergine visitano Santa Elisabetta

Accondiscendenza di San Giuseppe - Accordati già i Santi Sposi, Maria e Giuseppe, di partire da Nazareth per andare a visitare la parente Elisabetta, e stabilita l'ora della partenza, prima di partire si raccomandarono molto a Dio, supplicandolo del suo aiuto in quel viaggio. Il Santo Sposo sentiva rincrescimento nel condurre la sua Sposa per quelle strade tanto disastrose, perché, essendo tanto gentile, temeva che potesse patire nel viaggio, e non mancò di manifestare alla sua Sposa la pena che sentiva di questo. Lei però gli fece animo e lo assicurò che il viaggio sarebbe stato felicissimo, perché essi adempivano in quello la volontà divina e che perciò Dio non avrebbe mancato di assisterli e provvederli. Così Giuseppe si consolò per le parole della sua Santa Sposa. La Santissima Vergine si mostrava desiderosa di partire, perché ben sapeva la causa per la quale andava dalla parente, e che il Verbo Incarnato nel suo purissimo grembo voleva andare di persona a santificare il Precursore Giovanni Battista; per cui era bramosa che si eseguisse presto la volontà divina e che il Precursore restasse santificato. Il nostro Giuseppe conobbe il desiderio della sua Sposa, e le chiese perché si volesse portare con tanta allegrezza in un luogo tanto disastroso. «Forse per soffrire gli incomodi che sono soliti soffrirsi nel viaggiare, - le disse il Santo Sposo, - perché sei bramosa di soffrire per amore del nostro Dio?»; al che la Santissima Vergine rispose che bramava di partire presto per adempire con tutta sollecitudine la volontà divina. E di fatto questa era la causa primaria del suo desiderio, tacque però il resto, perché i segreti che il Verbo Incarnato le manifestava, li conservava tutti nel suo cuore, e non li scopriva mai.
In viaggio - li nostro Giuseppe, sentendo il motivo delle brame della sua Sposa, si accese anche lui di questa brama, e con grande allegrezza e sollecitudine se ne partì, col motivo di adempire la volontà divina; perciò, domandata la benedizione a Dio prima insieme, la Santa Sposa volle umiliarsi e domandare la benedizione al suo Sposo Giuseppe, che gliela diede con grande affetto e tenerezza di cuore. Il Santo non poteva negarle cosa alcuna, perché domandava tutto con tanta grazia, con tanto modo, e con tanta umiltà, e piangeva per la tenerezza nel vedersi genuflessa ai suoi piedi quella vaga, nobile ed umile Fanciulla. Quando il nostro Giuseppe ebbe dato la benedizione alla sua Santa Sposa, partirono con sollecitudine. La divina Sposa affrettava i passi, perché era portata con velocità dallo spirito di quel Dio che abitava nel suo seno. Anche il nostro Giuseppe si affrettava nel cammino senza sentire noia o stanchezza alcuna, anzi sentiva una grande allegrezza di cuore. Andava discorrendo con la sua Santa Sposa dei divini misteri, delle divine perfezioni, e con questi sacri discorsi faceva tanto cammino senza neppure accorgersi; per cui il Santo Sposo ne restava stupito, e lo diceva sovente alla sua Sposa, che ne prendeva motivo di lodare e benedire Dio; e diceva al suo Giuseppe: «Vedi com'è buono il nostro Dio, come benedice le nostre opere, come ci dà la forza e la grazia di fare quel tanto che Lui vuole da noi? Lodiamolo dunque insieme!».E qui si mettevano a recitare le lodi divine. Poi il nostro Giuseppe pregava la sua Sposa di voler cantare qualche lode al suo Dio, mentre in quella solitudine non era udita da nessuno. La Santa Sposa obbediva, e cantava dolcemente le lodi al Verbo Divino che racchiudeva nel seno. Il fortunato Giuseppe se ne andava in estasi per la dolcezza, e camminava molte miglia del tutto astratto e rapito in estasi; e allora la divina Madre cantava altre lodi al Verbo Incarnato in ringraziamento del beneficio fatto a lei e a tutto il mondo insieme; queste però, il santo Sposo non le sentiva. I nostri viandanti erano accompagnati da una moltitudine di Spiriti Angelici, che facevano corte alloro Re e alla loro Regina, e anche questi cantavano inni di lode, che la divina Madre sentiva. Uscivano a schiere anche gli uccellini e facevano canti armoniosi alloro Creatore; questi però erano uditi anche dal nostro Giuseppe, il quale si meravigliava e rivolto alla sua Sposa diceva:«Vedi, mia Sposa, come questi animaletti ci invitano con il loro canto a lodare il nostro Dio? ». Il nostro Giuseppe credeva che Dio operasse quei prodigi per amore della sua Santa Sposa, ed era certo di questo, benché a lei non lo manifestasse. Restava sempre più consolato della felice sorte che gli era toccata e della grazia che Dio gli aveva fatto di dargliela per compagna e gliene rendeva affettuose grazie. Così fecero questo viaggio con grande letizia. Nella notte poi, si posavano nei luoghi che trovavano capaci, si rifocillavano con poco pane ed acqua, e solo il nostro Giuseppe prendeva qualche cosa di più secondo la necessità che ne aveva; e la sua Santa Sposa, che era tutta carità, lo pregava di rifocillarsi con qualche cosa di più per potersi mantenere le forze corporali, ed il Santo la compiaceva quando ne sentiva il bisogno. Il loro riposo della notte era per un pezzo il recitare le lodi divine, poi si stavano a sedere, e così in quella posizione il nostro Giuseppe si addormentava per poche ore e la Santissima Vergine si tratteneva in sacri colloqui col suo Dio. Anche lei prendeva qualche quiete di sonno, ma molto breve, benché nel sonno stesso amasse il suo Dio e trattasse con Lui.
In casa di Giovanni - Terminato il viaggio, i Santi Sposi se ne andarono addirittura a casa di Zaccaria. Il Santo Sposo Giuseppe entrò con la sua Sposa Maria Santissima. Giuseppe si fermò a salutare Zaccaria, e S. Elisabetta, presa da un impeto d'amore comunicatole dallo Spirito Santo corse ad abbracciare la divina Madre, e nel vederla fu illuminata e conobbe essere quella vergine sua parente la vera Madre del Verbo divino fatto Uomo. La Santissima Vergine salutò prima la sua parente Elisabetta, col titolo madre del grande Profeta e Precursore, e S. Elisabetta rese il saluto alla Santissima Vergine chiamandola Madre del Verbo Divino ed esclamò: «A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?». Tutto questo non fu udito da alcuno, perché tutti quelli di casa si trattenevano con S. Giuseppe e Zaccaria che, essendo muto, non si capiva che a cenni; per cui stavano tutti intorno a lui perché Giuseppe capisse quello che Zaccaria gli manifestava. Qui la Santissima Vergine compose quel famoso cantico, e mentre occorse tutto ciò, si manifestò il Verbo Divino che stava nel seno della Santissima Vergine, si manifestò a Giovanni, avendo prima, il Verbo divino, impetrato dal divin Padre questa grazia al suo Precursore, cioè di rimanere santificato nel seno materno ed accelerato l'uso della ragione e conoscere il suo Dio incarnato prima di venire alla luce. Ottenuta dal Divin Padre questa grazia, il Verbo Incarnato la fece subito al suo Precursore, facendoglisi conoscere con chiarezza e santificandolo nel medesimo istante. Giovanni esultò e adorò dal seno materno il suo Redentore; giubilò e fece gran festa sentendolo anche la madre. Fece atti di ringraziamento per il beneficio così singolare e si offrì tutto al suo Divin Redentore e Santificatore; e il Verbo Incarnato rese grazie al Divin Padre, da parte del Precursore già santificato dal beneficio ricevuto. Fatti i complimenti accennati, S. Elisabetta si ritirò con la Santissima Vergine e si trattennero in sacri colloqui. Anche il nostro Giuseppe fu ricevuto con dimostrazioni di affetto singolare, tanto da Zaccaria come da Elisabetta e da tutte le persone di quella casa, perché nell'entrare dei due santi Sposi vi entrarono un'allegrezza e un giubilo incomparabile. La Madre del Verbo Divino restò qui per tre mesi, per la consolazione della sua parente e di tutta quella casa, che rimase santificata per le virtù mirabili che la Santissima Vergine operò qui, e che sono narrate nella sua Vita.
Partenza di Giuseppe - Il nostro Giuseppe doveva già tornarsene a Nazareth per ritornare poi a prendere la sua divina Sposa e condurla di nuovo a casa sua. Stabilita l'ora della sua partenza, fu di sommo dispiacere di tutta quella casa, perché desideravano che si fosse trattenuto qui con la sua Santa Sposa, ma il nostro Giuseppe volle partire per adempire la volontà divina. Raccomandò caldamente la sua Santa Sposa ad Elisabetta e a tutte le persone di quellacasa, dicendo loro che quello era il suo tesoro, e che lasciandola qui vi restava anche il suo cuore, perciò li pregava di averne tutta la cura. Parlò poi con la sua Santa Sposa e la supplicò di non dimenticarsi di lui, dicendole che partiva molto triste senza di lei e che avrebbe passato quel tempo in grande tristezza, mentre era privo di tutta la sua consolazione. Il Santo fu animato e confortato molto dalla sua Santa Sposa, e fu assicurato del ricordo che avrebbe tenuto di lui. Il Santo partì con il corpo, ma rimase lì con il cuore.
In cammino - Si mise in cammino assistito dalla grazia del suo Dio e dalle orazioni della sua Santa Sposa, che non tralasciava di raccomandarlo con premura affinché Dio l'avesse assistito e gli avesse dato lo spirito per soffrire la lontananza della sua persona. Dio, però, non mancò di esaudire le suppliche della Santissima Vergine, ed il nostro Giuseppe sperimentò un'assistenza particolare, così nel viaggio, come nel resto del tempo. Fin tanto che il nostro Giuseppe poteva vedere la casa di Zaccaria, non tralasciava di rivolgersi a guardarla per la consolazione che ne sentiva stando lì la sua amata Sposa Maria Santissima. Il Santo, nel viaggio, andava considerando ad una ad una in particolare, le virtù della sua Santa Sposa, e la benediceva e rendeva grazie al suo Dio perché l'aveva ricolmata di tante e così sublimi virtù ed ornata di tanta grazia, e così si andava consolando. Anche il pensiero che aveva di dovere presto ricondurla a Nazareth, gli faceva mitigare la pena che aveva sentito nel restarne privo. Nel pensare poi alle sue virtù, sentiva tanta consolazione e tanta dolcezza di spirito, che si rallegrava tutto, perciò fece quel viaggio con molta consolazione benché fosse solo, sembrandogli che il pensare alla sua Sposa fosse lo stesso, quasi che averla presente, e questa grazia gliela impetrò la sua Santa Sposa.
A Nazareth - Arrivato a Nazareth, il nostro Giuseppe non tralasciò affatto di operare quel tanto che era solito fare quando c'era la sua Sposa Maria Santissima. Spendeva il tempo in preghiera, nel recitare le lodi divine. Supplicava per la venuta del Messia, si impiegava già nel lavorare e faceva delle elemosine, secondo la possibilità che aveva. Il nostro Giuseppe era assistito da un'amorevole vicina in quello che gli era necessario per il vitto, benché il Santo facesse frequenti digiuni. Mentre lavorava si trovava afflitto dalla stanchezza o da qualche tedio, e non avendo la consolazione di poter trattare con la sua Santa Sposa, se ne andava nella piccola stanza dove lei dimorava quando c'era, e qui si metteva genuflesso e pensava come in quella stanza la sua Santa Sposa si tratteneva in continue orazioni e colloqui col suo Dio; per cui tutto piangente si raccomandava a Dio e lo pregava del suo aiuto. Qui il nostro Giuseppe trovava tutte le sue delizie, perché bene spesso fosse rapito in estasi e ne sperimentava molta consolazione, perché già in quella stanza si era operato il grande mistero dell'Incarnazione, e Dio favoriva molto quel luogo spargendovi le sue grazie e le sue celesti benedizioni. Avvedutosi di questo, Giuseppe, ogni volta che si trovava afflitto o travagliato, se ne andava in quella stanza e restava consolato, e credeva che così fosse perché qui aveva dimorato la sua Santa Sposa, e che perciò quel luogo fosse rimasto santificato, come di fatto lo era.
È deriso - Al nostro Giuseppe, in assenza della sua Sposa, non mancarono dei travagli perché, saputosi per la città che lei era partita e rimasta dalla parente, molte persone, istigate dal demonio, andavano alla bottega del nostro Giuseppe e qui lo deridevano e lo motteggiavano perché aveva lasciato la sua Sposa in casa d'altri. Il Santo soffriva con pazienza, non rispondeva, né si risentiva dei motti pungenti. Altri col pretesto di compassione e di benevolenza l'andavano a trovare e biasimavano la sua Sposa perché l'aveva lasciato solo, perché avrebbe patito molto. Queste parole contro la sua Sposa gli ferivano il cuore, il Santo non voleva sentirle, però con bel modo li licenziava e li riprendeva affinché andassero riguardati nel parlare e perché non offendessero Dio. Il nostro Giuseppe passò molti di questi travagli per quei tre mesi che dimorò senza la sua Santa Sposa, che già vedeva tutto quello che il suo Sposo soffriva e lo teneva molto raccomandato a Dio, impetrandogli la fortezza e la sofferenza.
Come viene consolato - Il suo Angelo, poi, gli parlava molto spesso nel sonno e gli dava notizie della sua Sposa, l'assicurava dell'assistenza delle sue orazioni e gli diceva come sempre più andasse crescendo nelle virtù, nell'amore e nella grazia del suo Dio, per cui il nostro Giuseppe procurava di imitarla, benché lontano da lei e si accendeva in lui il desiderio di rivederla presto per trattarci, così spesso sospirava l'ora bramata del suo ritorno. La divina Madre non mancava di inviare spesso anche gli angeli che le facevano corte, affinché con le loro ispirazioni avessero consolato il suo Giuseppe, specie quando si trovava in afflizioni, così il nostro Santo ebbe molti aiuti per mezzo della sua Sposa e in varie occasioni fu consolato e confortato; ma la consolazione maggiore che il nostro Giuseppe sperimentò fu il trattenersi a pregare nella stanza della sua divina Sposa, mentre qui, come dissi, il suo spirito rimaneva colmo di consolazione, e per i continui rapimenti che gli ci accorrevano veniva anche illuminato a capire molti misteri divini. Restava anche molto sollevato e contento quando l'Angelo gli parlava nel sonno e gli dava notizie della sua Sposa e l'assicurava del ricordo che teneva di lui e che pregava molto per lui. Il Santo conosceva le molte grazie che Dio gli compartiva, e gli si mostrava grato nel ringraziarlo affettuosamente, riconoscendo il tutto dalla bontà del suo Dio e dai meriti della sua santa Sposa, per cui si applicava anche lui a supplicare Dio per lei, affinché venisse sempre ricolmata di doni e di grazie e che in lei si accrescesse sempre più l'amore verso il suo Dio.
Parla di Maria e si intrattiene con lei - La divina Madre vedeva tutto questo e si mostrava grata al suo Giuseppe impetrandogli nuove grazie. A volte poi, si tratteneva con quell'amorevole che lo assisteva, a discorrere delle virtù della sua sposa Maria, e poiché quella era una persona molto timorata di Dio ed affezionata ai santi Sposi, conosceva la loro virtù e la loro santità in qualche parte e perciò lodava molto la Santissima Vergine, quando ne discorreva col nostro Giuseppe; ed egli ne sentiva somma consolazione e piangeva per la gioia, e si accendeva di desiderio di ricondurla presto nella sua casa per avere la sorte di trattare con Lei, e spesso, sospirando fra sé, diceva: «O mia amata Sposa, quando sarò fatto degno di rivederti in casa, e trattenermi con te in sacri colloqui? Oh, castissima e purissima colomba! Tu sei lontana da me, ma il mio cuore sta con te, e ti amo tanto perché sei veramente santa e perché il nostro Dio ha depositato in te il tesoro di tante grazie. Credo che questo mio amore che non dispiacerà al nostro Dio, perché appunto per questo io ti amo tanto, perché in te scorgo l'abbondanza della grazia divina, e come il nostro Dio abita in te per amore, cosicché nella tua persona io intendo amare il nostro Dio, amando la sua grazia, il suo amore; e desidero il tuo ritorno per potermi sempre più accendere nell'amore del nostro Dio, mentre le tue parole sono tanti dardi che accendono nel Suo amore; le tue mirabili virtù sono tanti stimoli al mio cuore per farmi avanzare nella perfezione e nella pratica di quelle virtù di cui tu sei tanto ripiena». Così parlava il nostro Giuseppe, fra sé, con la sua Santa Sposa, alla quale, benché da lontano, tutto era noto, e indirizzava al suo Dio tutte le lodi che le dava il suo Sposo, confessandosi davanti a Dio umile ancella mentre il suo Dio era degno di ogni lode: e a Lui dava lode, onore e grazie. Lo pregava per il suo Sposo Giuseppe e gli impetrava sempre più nuove grazie e favori, ed il nostro Giuseppe lo sapeva e perciò ne rendeva grazie a Dio. Corrispondeva alle grazie che la sua Sposa gli impetrava pregando continuamente per Lei.
Sua vita caritatevole - Il nostro Giuseppe non tralasciò poi mai di fare quel tanto che era solito fare prima che si sposasse con la Santissima Vergine, anzi, dopo lo praticò con più perfezione; questo era di assistere con le sue ferventi preghiere i poveri moribondi e domandare con grande insistenza a Dio la loro salvezza eterna e la liberazione dagli assalti dei nemici infernali e la fortezza per vincerli. Pregava anche con grande insistenza per i peccatori, affinché si convertissero alla penitenza e lasciassero la colpa. Alle suppliche aggiungeva le vigilie della notte, il digiuno, le elemosine, e non cessava di supplicare con caldi sospiri e abbondanti lacrime per la salvezza di tante anime che stavano sepolte nelle tenebre dell'idolatria, desiderando sempre più la venuta del Messia promesso, affinché con la sua divina luce e sapienza illuminasse tutti quelli che si trovavano sepolti nelle tenebre e nelle ombre della morte. Il nostro Dio gradiva molto le suppliche del suo fedele servo, che perciò lo ricompensava tanto con grazie particolari e sublimi favori e tanto l'andava arricchendo di meriti accrescendo sempre in lui questi desideri per farlo degno di meritare sempre più e di essere ricolmo di grazie.




Capitolo XXII - Dopo tre mesi S. Giuseppe va a riprendere la sua Santissima Sposa Maria

Parte da Nazareth - Essendo vicino il termine di tre mesi destinati alla dimora di Maria Santissima in casa della parente Elisabetta, la notte l'Angelo parlò al nostro Giuseppe e gli ordinò di andare a prendere la sua Sposa e di condurla a Nazareth, perché così ordinava Dio. Il Santo stava già in pensiero di andare, ma aspettava appunto l'ordine dall'Angelo, così come l'aveva avuto di condurvela. Il nostro Giuseppe si rallegrò molto a quest'avviso e il suo cuore giubilò per vedersi giunto il tempo della bramata consolazione di ricondurre a casa la sua amata purissima Sposa, perciò non si trattenne affatto, ma subito, alzato il giorno, quando ebbe fatto le sue solite orazioni, si mise in cammino con grande allegrezza, pensando già che la sua Sposa gli avrebbe impetrato la grazia dal suo Dio di arrivare felicemente. Non sbagliò in questo, perché di fatto la divina Madre, che vedeva tutto in spirito, non lasciò di pregare per il suo fedelissimo Sposo Giuseppe affinché in quel viaggio fosse assistito e protetto dalla grazia divina. Non furono vane le sue suppliche, perché il nostro Giuseppe ebbe un'assistenza particolare in quel viaggio e fu anche favorito di molte grazie. Il Santo Sposo affrettava i passi ma era più portato dall'amore e dal desiderio che aveva di rivedere presto la sua amata Sposa. Teneva fisso il pensiero in Dio, che era l'oggetto primario del suo amore; spesso lo rivolgeva nella sua Sposa, che amava in Dio, e la considerava come una creatura molto amata da Dio e favorita di grazie singolari.
Contempla il creato - Guardava spesso il cielo dove abitava il suo tesoro, e molte volte si fermava a contemplare le opere della divina potenza e sapienza, che con un solo fiat aveva creato i cieli e tutte le altre creature, e fisso con gli occhi in cielo restava estatico alla detta contemplazione. Altre volte si fermava a rimirare le piante, gli alberi, le pianure, i prati, e contemplando qui la sapienza del suo Dio nel creare tutte le cose con così bella ordinanza, ne restava stupito per la meraviglia ed esclamava: «O Dio mio, onnipotente, sapientissimo, incomprensibile, immenso, inenarrabile; quanto sei degno di essere amato! Oh! come le creature tutte non ardono del tuo amore? Come non amano tanta bontà? Ed è possibile, che si trovi un cuore così infelice che non ami la tua bontà, mentre tu tanto ci ami, e tante cose hai creato per il nostro servizio e per la nostra consolazione? E la creatura ragionevole, che hai creato perché ami Te, è possibile che questa ti neghi il suo amore? Mio Dio, ed è pur vero che si trovano tanti che non ti amano?».E qui si metteva a piangere per il dolore che sentiva, perché il suo Dio non fosse amato. Fino dalla sua più tenera età, il nostro Giuseppe era molto attirato dall'affetto verso il suo Dio, a rimirare il cielo nel quale ritrovava molta consolazione, e quando viaggiava nella campagna scoperta saziava la sua brama e stava per molto tempo con gli occhi fissi al cielo vagheggiando al di fuori, quella patria di cui egli doveva, a suo tempo, essere uno dei primi cittadini di quella nobile città, benché il maggior pensiero del nostro Giuseppe fosse il contemplare il suo Dio in quel beato Regno. Sospirava anche di andare ad abitarvi e perciò domandava che si affrettasse la venuta del Messia. Con infuocati sospiri ripeteva le suppliche dei Patriarchi e dei Profeti, e si scioglieva tutto in amore quando diceva questo, e il nostro Dio lo riempiva di consolazione e gli illuminava l'intelletto per il quale intendeva molti misteri e aveva una grande sicurezza della venuta del Messia in breve, e diceva: «Non è possibile che Tu, mio Dio, non esaudisca le premurose suppliche che ti porge di continuo la mia sposa Maria, perché so che ti è molto cara e gradita e che Tu l'ami molto. Sì, che lo spero che presto l'esaudirai!». Questi ed altri simili erano gli affetti e i colloqui che il nostro Giuseppe andava facendo con il suo Dio in questo viaggio, del quale si trovò presto al termine senza neppure avvedersene, tanto era l'amore verso il suo Dio e il gusto che sentiva nel trattenersi a contemplare le sue opere e a narrargli i desideri del suo cuore. Un giorno, dopo aver fatto un lungo cammino, si mise a rimirare il cielo e la terra per quanto si stendeva la vista, e poi, rivolto al suo Dio, esclamò: «Tu, mio Dio, sei il padrone assoluto di quanto io ora rimiro. Tuoi sono i cieli, tua la terra, il mare, i fiumi; e tutti sono soggetti al tuo impero; eppure Tu, essendo un Signore così grande, non disdegnerai di venire ad abitare fra gli uomini! Eppure ci sarà chi avrà la sorte di trattare con Te familiarmente! Oh, gran Signore! Oh, gran Signore!» - esclamò; e fu rapito in estasi dove gli fu rivelato come il Messia, non solo avrebbe abitato sulla terra fra gli uomini, ma che si sarebbe molto umiliato e che avrebbe conversato con persone vili, semplici e povere. Il nostro Giuseppe si riempì di consolazione, e diceva: «Dunque, se verrà ai tempi nostri, non disdegnerà di trattare con noi, benché poveri e vili. Felici noi! Beati noi, se saremo fatti degni di tale sorte!».E da allora in poi, non solo desiderò con più ardore la venuta del Messia, ma stette con una contentezza di cuore, sperando che non avrebbe sdegnato di trattare con lui.
In casa di Zaccaria - Terminato il suo viaggio, il nostro fortunato Giuseppe, si portò addirittura in casa di Zaccaria, dove era atteso dalla sua Santa Sposa e da tutte le persone di quella casa, secondo l'accordo che doveva ritornare in capo di tre mesi a prendere la sua sposa Maria Santissima. Fu accolto e ricevuto con dimostrazioni di singolare affetto, specie dalla sua Santissima Sposa, la quale diede subito il bentornato al suo Giuseppe, e quando questi la vide, il suo cuore incominciò ad esultare e giubilare, l'ammirò sempre più bella e graziosa e sempre più ricca ed ornata di grazie divine. Il Santo Sposo, preso dall'amore e dalla venerazione, la salutò con un profondo inchino e le disse: «Mia Sposa, quanto ho bramato di rivederti e con quanto desiderio ho fatto questo viaggio! Ora solo nel guardarti, i miei desideri restano consolati, ed avendoti Dio datami per fedele compagna, non posso vivere lontano da te se non con grande pena». La sua Santa Sposa l'invitò a lodare il suo Dio per la grazia che gli aveva fatto, cosa che il Santo Sposo gradì molto, ed insieme lodarono e ringraziarono Dio della consolazione che dava loro, e di averlo tanto assistito e favorito nel viaggio. Trovò nato il Precursore Giovanni Battista, e quando il nostro Giuseppe lo vide, conobbe nel fanciullo come era stato prevenuto con le dolcezze delle benedizioni divine e vi conobbe la grazia di Dio che già ricolmava la sua anima. Fu anche conosciuto dal Precursore che, alla vista di Giuseppe, chinò la testa in atto di salutarlo, mostrando anche esteriormente la consolazione che sentiva nel vederlo. Il nostro Giuseppe si rallegrò con i suoi genitori, che Dio li avesse favoriti di tale prole, e disse loro che scorgeva nel fanciullo cose grandi e che credeva che sarebbe stato un grande Profeta e molto grande al cospetto del suo Dio e anche degli uomini. Furono molte le congratulazioni che il nostro Giuseppe fece ai genitori di Giovanni, e insieme lodarono e ringraziarono Dio.
Saluti prima della partenza - Poi, i Santi Sposi Maria e Giuseppe si disposero alla partenza. La parente Elisabetta e Zaccaria desideravano che avessero dimorato lì in casa loro, sentendo un sommo dispiacere di dover restare privi di una così cara compagnia, ma i Santi Sposi si mostrarono reticenti in questo, volendo adempire la volontà divina, perché sapevano già che dovevano fare la loro dimora a Nazareth, perciò si scusarono con gentili maniere. Volevano fare anche grandi doni ai Santi Sposi, in segno di gratitudine, ma questi non furono accettati da loro, perché volevano vivere in povertà e accettarono soltanto quanto era loro necessario e niente di più. Arrivato il giorno destinato alla partenza, furono molte le lacrime che si sparsero da tutta quella famiglia, perché ognuno che abitava in quella casa aveva ricevuto consolazione e sollievo dalla divina Madre. Più di tutti, però, che ne sentiva il dispiacere era S. Elisabetta, che ben sapeva chi fosse la sua parente e il tesoro nascosto che portava nel suo purissimo grembo, e perciò rivolta a San Giuseppe, lo chiamò più volte beato per la sorte che gli era toccata di avere per compagna e sposa la Santissima Fanciulla Maria, e invidiava santamente la sua fortuna. Il nostro Giuseppe la pregò di voler rendere affettuose grazie a Dio in suo nome per il beneficio che gli aveva fatto.
In viaggio - Passati tutti i soliti atti che si fanno nelle partenze, i nostri Santi partirono con grande allegrezza, restando tutte le persone di quella casa molto consolate per i benefici ricevuti dalla divina Madre, ma insieme molto afflitti per restarne privi, e non cessavano mai di benedire la Santissima sposa Maria e narrare continuamente fra di loro le sue rare virtù. I Santi Sposi partirono alla volta di Nazareth lieti e contenti, perché già sapevano che adempivano la volontà divina; il nostro Giuseppe, però, più d'ogni altro, era contento ed allegro perché conduceva con sé la sua amata Sposa, e gli sembrava di avere con sé un grande tesoro. E di fatto ce l'aveva, avendo con sé il Re e la Regina del cielo e della terra. Quanto giubilava il suo cuore! Come esultava il suo spirito! Chi mai potrà narrarlo? Solo il nostro Giuseppe che lo sperimentò. In questo viaggio il Santo andava narrando alla sua Sposa quel tanto che gli era capitato nell'andarla a prendere e come Dio l'avesse favorito molto in quel cammino. Le disse quello che aveva inteso del Messia promesso, e come si sarebbe degnato di trattare con gente umile, semplice e povera, e le diceva:«Noi, mia Sposa, siamo poveri; dunque se avremo la sorte di vederlo e che venga al mondo ai tempi nostri, non sdegnerà di trattare anche con noi. Che fortuna sarà la nostra!». La divina Sposa e Madre del Verbo Incarnato godeva al sommo, nel sentire le parole fervorose del suo Giuseppe, e di questo ne prendeva motivo di lodare e magnificare la bontà del suo Dio e con le sue parole accendeva sempre l'amore nel cuore di Giuseppe; dopo poi lodavano insieme il loro Creatore. Il Santo invitava la sua Sposa a cantare qualche lode al suo Dio e la sua Sposa lo compiaceva. Cantava con molta grazia inni di lode, che Lei componeva a lode del suo Creatore e a lode del divin Verbo Incarnato che portava nel suo seno. Era tanta la dolcezza e la soavità del suo canto che il nostro Giuseppe andava in estasi per la consolazione che sentiva. Una grande moltitudine di uccelli accorreva a udire le lodi della Regina Santissima, e dopo che lei aveva terminato il suo canto, incominciavano loro a cantare in coro facendo dolci canti, quasi che avessero avuto l'uso della ragione e volessero anch'essi lodare il loro Creatore ad imitazione della Santissima Vergine. Il nostro Giuseppe restava ammirato di quanto udiva e godeva molto nel vedere il merito della sua Santa Sposa, perché già attribuiva il tutto al suo merito e alle sue virtù e lì apprendeva come favori di Dio fatti alla sua Santissima Sposa. Quando essi avevano terminato i loro canti, rivolto alla sua Sposa, diceva: «Vedi, mia Sposa, quanto ti ama il nostro Dio, e quanto ti favorisce? Anche con segni esterni ti manifesta quanto tu gli sei gradita, mentre fa tutto ciò in tua lode. È vero che questi animaletti lodano il loro Creatore, ma lodano anche te, perché a te sola fanno queste accoglienze».E di fatto quegli animaletti si mostravano tutti lieti e festosi, assistendo tutti dal lato della divina Madre. L'umilissima Vergine, però, si umiliava e diceva al suo Giuseppe che quelli lodavano il loro Creatore e che Dio permetteva questo per dare loro sollievo nel cammino e per invitarli sempre più a lodarlo anch'essi, e che ammirassero sempre più grande la divina bontà verso di loro, ed anche in segno che Dio l'amava molto e gli diceva: «Se il nostro Dio ci ama tanto e ci dà così chiari segni del suo amore, quanto dobbiamo amarlo noi e dargli chiari segni del nostro amore verso di Lui?». E la divina Madre incominciava a discorrere dell'amore che dovevano al loro Dio e si accendeva tutta in quest'amore, divampando le fiamme anche nel suo volto, che era osservata dal santo Sposo, perché tra il vermiglio del volto verginale si faceva vedere una chiarissima luce, che apportava al Santo Sposo venerazione e consolazione insieme e restava anch'egli tutto infiammato d'amore divino, tanto più che le parole della sua Santa Sposa erano come dardi infuocati che penetravano il cuore del Santo, e l'accendevano sempre più nell'amore divino. In questo viaggio non sentivano stanchezza alcuna, perché spendevano il tempo come già si è narrato, e perciò il cammino si rese loro molto facile, anzi gustoso e non pareva vero al nostro Giuseppe di avere in sua compagnia la sua amata Sposa. Nel viaggio, poi, si incontrarono con varie persone e la Santissima Vergine serviva a tutti di sollievo e di consolazione, facendo a chi una grazia e a chi un'altra, secondo la necessità dei viandanti, servendosi il Verbo Divino della sua Santissima Madre come di uno strumento per dispensare grazie agli uomini, che Lui era già venuto a redimere. Anche dal seno materno faceva molte grazie, su richiesta della sua Santissima Madre, a tutti quelli che si trovavano in necessità e specialmente a quelli che stavano in peccato, che la divina Madre ben conosceva e supplicava il suo Figliolo Dio Incarnato per la salvezza degli uomini affinché li illuminasse, e desse loro un vero dolore delle loro colpe e li perdonasse. Il Verbo Incarnato accondiscendeva alle suppliche della sua amatissima Madre, e non ci fu grazia che Lei gli chiedesse, che Lui non la compiacesse. Spesso poi gli domandava l'aumento della sua grazia divina nell'anima del suo Sposo Giuseppe ed era sempre compiaciuta, per cui il nostro Giuseppe veniva sempre più a crescere nella grazia e nell'amore del suo Dio. Il Santo conosceva come Dio tanto lo favoriva e capiva come andava in lui crescendo il beato incendio, e diceva alla sua Sposa che ben capiva come Lei gli meritava le grazie dal suo Dio e le diceva: «Io conosco ciò, perché da quando ho la fortuna di trattare con te e Dio ti ha dato a me per fedele compagna, il mio cuore si strugge d'amore verso il mio Dio, il mio spirito non è capace di altra consolazione che di dilettarsi nel nostro Dio, né di altro si cura, né altro brama, e vorrei tutto consumarmi nel Suo amore. Sento anche come nella mia anima c'è un non so che, che non so, né posso narrarti, e come il nostro Dio mi fa gustare la sua dolcezza e la sua soavità in un modo assai più sublime ed eccellente di prima. Tutto ciò io tengo di certo mi venga partecipato per la tua intercessione, perché il nostro Dio ti ama molto». L'umilissima Vergine sentiva queste parole, e si umiliava di più, ed esaltava la bontà del suo Dio e diceva al suo Sposo Giuseppe:«Tu sai già quanto è buono il nostro Dio, quanto generoso ed amorevole verso chi l'ama. Tu desideri amarlo infinitamente se fosse possibile, desideri spenderti tutto nel suo servizio. Tu procuri di adempire in tutto la sua divina volontà; non ti meravigliare dunque se il nostro Dio si mostra tanto generoso e cortese verso di te. E non sai che è un gran Signore, e che può dare assai molto di più di quello che noi possiamo ricevere?». A queste parole, il nostro Giuseppe esclamava: «Oh, Dio grande! Oh, Dio buono! Oh, Dio infinito! E quando sarà che il tuo servo arriverà ad amarti tanto, quanto deve? E quando sarà che tutto sarò impiegato nel tuo servizio?». E nel dire questo restava rapito in estasi. La sua Santa Sposa lo rimirava con grande allegrezza, e godeva nel vederlo crescere sempre più nell'amore del suo Dio che lodava e ringraziava in suo nome. Il Santo non mancava di supplicarla spesso di fare per lui gli atti di gratitudine e di lode al suo Dio, perché lui diceva: «Io sono del tutto insufficiente, perciò fai tu per me, mentre tu saprai lodarlo e ringraziarlo assai meglio di me, perché tu sei arricchita di sapienza e di grazia». La divina Madre si umiliava, nell'udire queste parole, ed esaltava la bontà e la grandezza del suo Creatore, la generosità che usava verso di lei e diceva al suo Giuseppe: «Lodiamo e ringraziamo insieme il nostro generosissimo Dio, perché più di ogni altro gli siamo obbligati; e se finora si è mostrato tanto generoso con le sue creature, che è cosa da ammirarsi, molto più generoso si è dimostrato e si va dimostrando verso di noi, distinguendoci fra tanti ed eleggendoci per suoi». Qui si univano a lodare e ringraziare la divina generosità e beneficenza. Questi erano i discorsi che i Santi Sposi facevano in quel viaggio, trattando sempre di Dio, lodandolo e narrando le sue grandezze, la sua infinita bontà, il suo amore, procurando di mostrarsi in tutto graditi a un Signore così generoso.
Dio gradiva molto questi loro discorsi, e l'onore e la gloria che davano alla sua divina maestà; e il Verbo Eterno, che stava rinchiuso nel seno verginale, manifestava alla divina Madre quanto gli fossero graditi i desideri ardenti del fedelissimo Giuseppe, e le faceva vedere quanto fosse arricchita l'anima di lui di grazia e di meriti, e come era pronto ad arricchirla sempre più. La divina Madre lo ringraziava da parte di Giuseppe e poi rivolta a lui gli diceva che procurasse di crescere nell'amore e nel desiderio ardente, perché il suo Dio era sempre pronto a compartirgli maggiori grazie e gli diceva: «Non stanchiamoci mai nel domandare, perché spero che noi riceveremo molte grazie; e continuiamo a lodare e ringraziare il nostro generosissimo Signore perché lo merita e perché gode molto della gratitudine. Noi non possiamo fare altro che essergli fedeli in tutto, e lodarlo e ringraziarlo continuamente perché anche le sue grazie sono continue verso di noi, e nel ringraziarlo ed essendogli grati ci disponiamo a ricevere nuove grazie e favori».Il nostro Giuseppe stava tutto attento ad ascoltare le parole della sua santa Sposa, che restavano tutte impresse nel suo cuore e l'accendevano sempre più nell'amore e nella gratitudine verso il suo Dio.
Loro arrivo - I Santi Sposi terminarono questo viaggio con tanta felicità e consolazione del loro spirito, che si avvidero appena del cammino che facevano e capivano tutto, perciò non lasciarono di rendere grazie a Dio anche di questo beneficio, come facevano di tutte le altre grazie che ricevevano dalla generosità di Dio.






Libro II
Capitolo I - S. Giuseppe arriva a Nazareth con la Santissima Vergine

Nella stanza dell'Incarnazione - I Santi Sposi arrivarono a Nazareth, loro patria, e fu grande la consolazione che entrambi sentirono nell'entrare nella loro piccola casetta; la Santissima Vergine per la devozione che aveva per quella stanza, dove si era operato il grande Mistero dell'Incarnazione del Verbo Divino, ed il nostro Giuseppe, perché in quel luogo aveva sperimentato grazie particolari e favori sublimi dalla generosità del suo Dio; e benché egli non sapesse cosa alcuna di quanto qui si era operato, tuttavia ne aveva un grande affetto e una particolare devozione, per cui appena arrivati, pregò la sua santa Sposa di volerlo compiacere di condurlo con lei nella sua stanza, per lì lodare e ringraziare Dio della grazia fatta loro di arrivare felicemente nella loro patria. La santa Sposa lo compiacque e qui insieme genuflessi a terra adorarono e ringraziarono Dio.
Estasi di Giuseppe e Maria - Dio consolò il nostro Giuseppe con una sublime estasi nella quale gustò la soavità dello spirito del suo Dio e capì grandi cose circa la santità della sua Sposa, perché Dio in quell'estasi gli rivelò quanto gli fosse cara e gradita. La divina Madre fu anche favorita di molte grazie. Passato un po' di tempo in tali consolazioni, il fortunato Giuseppe tornò dall'estasi e vide la sua sposa Maria tutta circondata di luce, per cui si trattenne qualche tempo nel rimirarla e contemplare in lei le grazie del Signore.
La divina Madre era ancora sollevata in altissima contemplazione, e Giuseppe godeva nel vederla tanto favorita dal suo Dio, che ringraziava affettuosamente per averlo tanto aggraziato nel dargli una sposa così degna. Piangeva per la dolcezza, e diceva a se stesso: «O mia cara ed amata sposa, e dove mai ho meritato di stare con te e di godere la tua compagnia tanto desiderabile? Che grazia da me mai meritata, ma dispensatami solo dalla bontà immensa del nostro Dio, generosissimo verso di me, suo vile servo!». Mentre Giuseppe diceva così, la divina Madre tornò ai propri sensi e incominciò a trattare col suo Giuseppe della bontà e della generosità del loro Creatore, e ne compose un sublime cantico.
Amore e discorsi di Giuseppe - L'animo di Giuseppe inondava in un mare di gioia e si liquefaceva tutto in amore verso il suo buon Dio, e crescevano sempre di più in lui la venerazione e l'amore verso la sua santa Sposa. Dopo poi le narrò quel tanto che gli era successo in quella stanza quando lei non c'era, e che lui andava lì a pregare, e le molte grazie che in quel luogo Dio gli aveva partecipato, e la molta consolazione che vi aveva sperimentato nei suoi travagli. La divina Madre sapeva già tutto; tuttavia si mostrava indifferente e gradiva quanto il suo Giuseppe le narrava, ed essendo lei umilissima, gli diceva che riconoscesse tutto dalla sola generosità del suo Dio, e che Dio in alcuni luoghi comparte più abbondanti le sue grazie, e che potevano pensare che si fosse scelto quella stanza per fare qui mostra della sua generosità, perché anche a lei in quel luogo compartiva delle grazie. Il nostro Giuseppe rimaneva persuaso di tutto, e pregò la sua Sposa di volersi accontentare di farlo andare lì qualche volta a pregare, specialmente quando egli fosse stato in travaglio, affinché avesse potuto ricevere le solite grazie dalla divina generosità, e le disse:«Benché tu, mia sposa, sia sufficiente a consolarmi nelle mie afflizioni, tuttavia desidero anche questa consolazione, di venire in questa stanza a pregare, quando però non sia di fastidio a te, cioè quando tu sei occupata nell'acconciare la casa e nel preparare il cibo a noi necessario, che così non ti sarà di disturbo». L'umilissima Sposa chinò la testa, e si mostrò prontissima a quanto egli desiderava, perciò il nostro Giuseppe rimase consolato, ed osservava la sua Sposa quando era occupata in qualche cosa; e allora se ne andava per breve tempo nella suddetta stanza, dove Dio gli compartiva molti favori, facendosi gustare molto abbondantemente alla sua anima.
Alla porta della stanza in preghiera - Molte volte poi, il Santo si sentiva attirare interiormente quando c'era la divina Madre in preghiera, ed egli si metteva al di fuori per non disturbare la sua Sposa, e qui genuflesso adorava il suo Dio e lo supplicava, che poiché non poteva entrare per non disturbare le preghiere della sua Sposa, si fosse degnato di compartirgli, in quel luogo, qualche lume e qualche buon sentimento, e gli domandava questo per l'amore che egli portava alla Santissima fanciulla Maria che gli aveva dato per compagna.
Dio non tardava a consolarlo comunicandosi abbondantemente alla sua anima. Il nostro Giuseppe si umiliava molto, e di tutto si riconosceva indegnissimo, e perciò domandava spesso le grazie al suo Dio per i meriti della sua Santa Sposa, perché già sapeva quanto fosse cara ed accetta a Dio e quanto da Dio fosse amata e favorita.
Attrazione e riflesso del Verbo - Nel Santo crescevano sempre di più la stima e la venerazione verso la sua Sposa Maria, in modo tale che, quando lei stava in preghiera o in qualche posizione che da lei non fosse visto, le faceva degli inchini, e faceva questo per un impulso interiore. Egli credeva che questo procedesse per la santità che scorgeva in lei, benché per altro era un motivo assai più sublime, che il santo Sposo non intendeva, ed era che il Verbo divino, che abitava in lei, attirava a sé lo spirito di Giuseppe a venerarlo e adorarlo nel seno verginale. Scorgeva poi nella sua Sposa sempre maggiore grazia e bellezza e la conosceva ornata di virtù più sublimi, in modo tale che restava preso dalla meraviglia, e non poteva penetrare da dove questo provenisse. Si andava persuadendo che, essendo lei tanto santa, Dio le comunicasse sempre nuovi favori e grazie, come infatti era; ma il Verbo divino che abitava in lei, era quello che faceva traspirare, anche nel suo aspetto esteriore, la sua divina sua luce, per il conforto del suo amato Giuseppe.
Assorti nel Verbo divino - I Santi Sposi vivevano poi nel modo che già si è narrato nel primo libro di questa storia, in parte pregando, in parte recitando le lodi divine, in parte lavorando per acquistarsi il vitto con le loro fatiche, e in parte spendevano il tempo in sacri colloqui. Parlavano spesso di quanto avevano detto i Profeti circa la venuta del Messia e di quello che era scritto nelle Sacre Scritture; e molte cose che il nostro Giuseppe non intendeva, se le faceva spiegare dalla sua Sposa Maria, perché già scorgeva come lei fosse molto istruita in tutto e sapientissima. La divina Madre lo compiaceva in tutto, mostrandosi obbedientissima e narrando fra di loro quanto era stato profetizzato del Messia. Piangevano per la dolcezza nel sentire le qualità mirabili che il Messia avrebbe avuto; la divina Madre però piangeva, perché aveva una chiara cognizione di quanto il suo Figlio divino avrebbe sofferto per riscattare il genere umano, e teneva nascosti nel suo cuore i dolori che le trafiggevano l'anima. Non li narrava al suo Giuseppe per non affliggerlo ulteriormente, e lei sola soffriva l'aspro cordoglio senza manifestarlo e cercare compatimento al suo dolore. Il nostro Giuseppe osservò che quando parlava con la sua Sposa circa la venuta del Messia, lei spesso piangeva, e lui credeva che questo provenisse dal desiderio che lei ne aveva e per vederne la dilazione, benché la divina Madre spasimava per il dolore al riflesso di quanto il suo Figliolo doveva patire. Osservò anche come la sua Sposa non l'esortava più a supplicare il divin Padre di volersi degnare di mandare presto il Messia promesso, ma il Santo non ardiva domandarle cosa alcuna, e si andava immaginando che lei fosse già stata assicurata da Dio della detta venuta, che fossero state esaudite le sue suppliche e che il Messia stesse per venire presto al mondo. Il nostro Giuseppe osservava poi, come parlando fra di loro delle virtù mirabili che il Messia avrebbe avuto, splendeva una mirabile chiarezza nel volto della divina Sposa, e il nostro Giuseppe non sapeva capire dadove questo provenisse. Spesso aveva il desiderio di saperne la causa, ma il Santo si umiliava, riconoscendosi indegno di saperlo, e di questo ancora se la passava in silenzio con la sua Sposa. Pensava però che Dio si compiacesse molto di quei discorsi e che in segno del compiacimento gli desse quei chiari segni con comunicarsi alla sua Sposa e partecipare anche nel suo aspetto esteriore quella chiarezza. Il Santo godeva di tutto e si reputava sempre più indegno di tanta grazia. Il nostro Giuseppe osservava, poi, come la sua Santa Sposa stava quasi sempre assorta e passava i giorni interi senza neppure cibarsi, perciò il Santo credeva che facesse questo per muovere Dio a mandare presto il Messia promesso, e anche lui procurava di astenersi dal cibo, prendendo molto scarsamente il necessario. Però era esortato dalla sua Sposa a cibarsi per non perdere le forze corporali, ma il Santo si metteva a rimirare la sua Sposa e nello stesso tempo si trovava sazio, e con umili maniere diceva alla sua Sposa che si accontentasse di lasciarlo stare digiuno, perché quello che saziava lei nella sua astinenza, saziava anche lui. Da qui poi la divina Madre prendeva nuovi motivi per lodare il suo Dio e i Santi Sposi si univano a cantare le lodi divine e narrare fra di loro la beneficenza divina.
Beatitudine di Giuseppe - Il nostro Giuseppe si trovava poi con un rinnovamento di spirito molto grande ed eccellente, con una piena contentezza di cuore non più sperimentata nel passato. Gli sembrava di avere in casa sua un grande tesoro, e non sapeva più invidiare la felicità dei cieli, che sono l'abitazione degli Spiriti Beati e dello stesso Dio. Non si curava più di mettersi a guardare il cielo e gli bastava solo di dare un'occhiata alla sua Sposa, perché il suo cuore restava pienamente consolato, e non aveva più che desiderare. Il Santo non sapeva da dove provenisse, e questo lo pose in qualche timore, dicendo a se stesso: «Forse, mio Dio, non ti amo con quell'ardore con cui prima ti amavo, per cui non mi curo più di guardare il cielo dove Tu abiti, per saziare qui le brame del mio cuore?». Ed esaminandosi attentamente, capiva come il suo Dio fosse l'unico oggetto del suo amore, e, rivolto a Lui, esclamava:«Mio Dio! Tu sei l'unico mio amore, il mio bene, il mio tesoro, il mio tutto. Il mio cuore non brama altro che Te, ed intanto io amo la mia Sposa, in quanto la riconosco colma della tua grazia e del tuo amore, ed intendo amare Te in lei mentre ben conosco che tu in lei fai la tua gioconda abitazione; e poi Tu stesso l'hai data a me per fedele compagna e mi comandi che io l'ami, e ben merita di essere amata, essendo tanto santa e tanto colma di virtù e di grazia».E così il santo Sposo si quietava e si godeva le grazie che il suo Dio gli dispensava.
Pene e travagli - Stando il nostro Giuseppe fra tante consolazioni del suo spirito, non gli mancavano dei travagli da parte delle creature, e mentre egli si tratteneva nella sua piccola bottega a lavorare, andavano lì alcuni oziosi per discorrere e passare il tempo, ma siccome il Santo stava per lo più estatico, contemplando le grandezze del suo Dio, non dava ad essi risposta alcuna, per cui veniva da loro deriso e motteggiato. Lo chiamavano stolto, insensato, uomo da niente. Il nostro Giuseppe si umiliava, e soffriva il tutto con pazienza e generosità. Alle volte gli chiedevano che ne era della sua Sposa e come lei sopportasse di trattare con lui, tanto stolto, e incominciavano a dire delle parole impertinenti, perché questi erano molto istigati dal demonio, che cercava tutti i mezzi per far cadere il Santo in atti di impazienza e di sdegno. Ma il Santo si serviva di tutto per arricchirsi maggiormente di meriti e praticare le virtù, e perciò con belle maniere li licenziava e li riprendeva, secondo quello che lui conosceva che era offesa di Dio.
Sua mansuetudine - Quando quelle persone se ne erano andate, il Santo si ritirava ad orare e pregare per loro, affinché il Signore si fosse degnato di illuminarli ed insieme perdonare i loro errori, ed in queste occorrenze praticava gli atti di umiltà, di carità e di pazienza. Il nemico infernale fremeva sempre di più e ruggiva contro il nostro Giuseppe e molto più contro la sua Santa Sposa, e non sapeva come fare per inquietarli e mettere discordia fra di loro. Però era tenuto molto abbattuto e lontano da loro dalla divina potenza e anche dalla forza delle loro sublimi virtù, e specialmente dalla loro profondissima umiltà, purezza ed astinenza, e dall'ardente amore di Dio che regnava nei loro cuori. Il nostro Giuseppe manifestava poi il tutto alla sua santa Sposa ed era animato da lei a soffrire con pazienza, perché così dava molto gusto al suo Dio, e si univano insieme a pregare per coloro che li perseguitavano.
Una prova - I Santi Sposi passarono qualche tempo in questo modo di vivere, nuotando l'anima del nostro Giuseppe in un mare di gioia e di consolazioni divine. Perciò Dio volle provare di nuovo il suo servo con un travaglio assai grande, mai sofferto nel tempo della sua vita passata, come si dirà nel seguente capitolo, avendolo Dio, però, prima fortificato con la sua Grazia.


Capitolo II - S. Giuseppe soffre nel vedere nella sua Sposa Maria i segni della gravidanza

Tormento di Giuseppe - Il nostro Giuseppe stava tanto contento e consolato in compagnia della sua Sposa, anche per i molti favori che riceveva da Dio, e un giorno si mise ad osservare con più attenzione la sua Sposa e riconobbe in lei i chiarissimi segni di una gravidanza, perciò il Santo restò attonito, molto turbato e ferito nel cuore da un acuto dolore. Si andava persuadendo che quei segni potessero provenire da qualche malattia, ma vedendo la sua Sposa con il suo solito vigore e spirito, diceva fra sé: «Se fosse infermità vi sarebbero altri segni, ma si vede che la mia Sposa è in perfetta salute». E diceva fra sé: «O mio Dio, cos'è questo che io scorgo nella mia Sposa? Sogno, oppure son desto? Forse i miei occhi vedono una cosa per un'altra? Mio Dio, cos'è questo, che ora vedo nella mia Sposa? Io non oso chiedere a lei cosa alcuna, perché essendo tanto santa, non devo parlarle di ciò. Ma pure si vede chiaro che lei è incinta. Soccorri Tu, mio Dio, il tuo servo e dammi luce per capire questo fatto, perché ora io non so altro, tranne che quello che con chiarezza appare ai miei occhi». La divina Madre si avvide del travaglio del suo Giuseppe, e pregava molto Dio perché l'avesse assistito con la sua grazia.
Ansia di Giuseppe - Per quella sera il nostro Giuseppe si ritirò tutto sopraffatto, pensando a che cosa mai poteva essere quello che appariva ai suoi occhi. Quella notte il suo riposo fu molto breve, e appena svegliato non vedeva l'ora di rivedere la sua Sposa e vedere se veramente lui era in errore; perciò, tutto ansioso, si mise per tempo ad aspettare che uscisse dal suo ritiro. La divina Madre uscì, e salutò il suo Giuseppe con il solito cordiale saluto. Il Santo la vide, e la considerò sempre più bella e graziosa, ma peraltro con quei segni che egli aveva già scorto il giorno prima. Il suo cuore restò ferito di nuovo dal dolore, vedendo che egli non era in errore, ma che quel tanto che aveva visto lei era verissimo, e diceva: «O Dio, come mi consola la bellezza, la modestia e la grazia della mia amata Sposa! ma come resta ferito il mio cuore nel vedere in lei questi chiari segni di gravidanza! Mio Dio! Soccorri il tuo servo in questo grande travaglio, che sarà sufficiente a darmi la morte, se Tu non mi dai forza e non mi reggi col tuo braccio potente».
Sua prudenza e abbandono in Dio - La divina Madre pregava molto per il suo Giuseppe, e di fatto il Santo sentì qualche sollievo al suo grande dolore, e pensava fra sé di stare un poco a vedere che cosa sarebbe successo col passare del tempo, e di non volersi tanto angustiare per allora, sicurissimo che il suo Dio non avrebbe lasciato di manifestargli qualche cosa e di provvedere a questo fatto e diceva: «Io sono certo che la mia cara ed amata Sposa è santissima e amata sommamente da Dio, e non posso dubitare cosa alcuna di lei. E' meglio che per ora mi calmi e stia un poco a vedere la fine». Così per allora si calmò alquanto, benché non del tutto, perché ogni volta che la guardava scorgeva quei chiarissimi segni, e il suo cuore restava sempre ferito. Il nostro Giuseppe ottenne qualche sollievo al suo grande dolore per le preghiere della divina Madre, e lei stessa gli si mostrava più che mai affabile e caritatevole, compatendo molto il suo Giuseppe nell'angustia in cui si trovava.
Prega e si lamenta - Ogni mattina il santo Sposo si metteva ad aspettarla con gran desiderio che uscisse dal suo ritiro per vedere se si scorgevano ancora in lei quei segni di gravidanza, e vedendo che si manifestavano sempre più chiari, si angustiava molto in modo che incominciò a consumarsi come se fosse gravato e afflitto da una malattia. E di fatto, la passione che provava, era per lui molto più grave di qualsiasi altro male che potesse avere, perché gli feriva il cuore e lo teneva in un'angustia penosa. Furono molte le orazioni e le preghiere che il nostro Giuseppe porgeva al suo Dio; faceva tutti i digiuni e le elemosine per questa causa, perché Dio si fosse degnato di consolarlo e illuminarlo in quel grande travaglio. Rimirava la sua Sposa con grande amore e compassione, e spesso diceva fra sé: «Mia Sposa, tu che sei la causa di tanta mia consolazione, sei anche la causa di tanto mio dolore. Se tu capissi in quali angustie io mi trovo, certo non lasceresti di consolarmi col manifestarmi la causa della tua gravidanza». La divina Madre penetrava quel tanto che il suo afflitto Giuseppe diceva nel suo intimo, e anche lei sentiva molta pena, ma taceva e soffriva con pazienza aspettando che Dio si muovesse a compassione e consolasse il suo servo in una così grave angustia, perciò lo pregava con calde suppliche. Ma Dio volle provare la fedeltà del suo fedelissimo Giuseppe e dargli occasione di meritare.
Sua decisione - Infine l'afflitto Giuseppe si decise di domandare alla sua Sposa la causa di quei segni che apparivano in lei, e più volte fece questo proposito ma non gli riuscì mai, perché quando si decideva di farle la richiesta, si trovava pieno di confusione e di un timore riverenziale, che gli era di maggiore afflizione e diceva: «Che cos'è questo che provo, mio Dio? Vedo chiaramente che la mia Sposa è incinta, e lei si mostra tanto caritatevole ed amorosa verso di me, tratta con tanta affabilità, perciò io potrei domandarle da dove proviene quello che appare chiaramente e sono sicuro che non me lo terrebbe celato. Eppure non posso farle questa domanda per liberarmi del mio dolore. Cosa mai sia questo, io non so capirlo. Tu solo, mio Dio, puoi consolarmi e perciò a Te ricorro, e a Te espongo il mio grande dolore». Ma Dio taceva a queste suppliche, e lasciava che il suo servo restasse nelle sue angustie.
Attenzioni di Maria e maggior pena del Santo - La divina Madre procurava di sollevare il suo Giuseppe con varie cortesie che gli faceva nel servirlo attentamente, lo supplicava di volersi cibare, gli chiedeva in che cosa l'avesse potuto sollevare, e spesso cantava qualche cantico a lode del suo Dio per il sollievo del suo afflitto Sposo, e lui non poteva dirle altro, solo che il suo cuore era in grande afflizione, e le diceva: «Tu, mia sposa, mi dai grande sollievo nelle mie afflizioni, non lo nego, ma il dolore e la pena non si levano dal mio cuore. Prega il nostro Dio perché si muova a pietà di me». L'afflitto Giuseppe avrebbe detto di più e avrebbe chiaramente manifestato la sua pena alla santa Sposa, ma non poteva e diceva fra sé: «È possibile che lei non capisca quale sia la causa del mio grande travaglio? La capirà anche troppo, ma forse nemmeno lei potrà manifestarla». L'afflitto Giuseppe si umiliava molto, e spesso piangeva al cospetto del suo Dio, e diceva che lui meritava quei travagli, perché era ingrato ai molti benefici che il suo Dio gli concedeva; e poiché già si riconosceva l'uomo più fortunato del mondo per avere conseguito una Sposa tanto santa e tanto ornata di virtù, così si stimava, nel suo travaglio, il più afflitto ed angustiato che ci fosse al mondo. Più andava avanti e più cresceva il suo dolore, perché con più chiari segni, vedeva che la sua Sposa era incinta, e che il bambino che portava nel suo grembo non poteva tardare molto a venire alla luce; perciò il Santo smaniava e non trovava quiete al suo dolore. Alle volte sfogava il suo dolore lamentandosi fra sé della sua Sposa, e spesso diceva: «Mia sposa! E come hai tanto cuore di tenermi in così grave angustia? In che cosa mai io ti ho offeso e disgustato, perché tu usi verso di me tanta crudeltà? Tu hai mutato natura con me, e da tanto dolce, caritatevole ed amabile che sei, ora con me sei crudele e senza pietà, perché sapendo la causa del mio dolore, mi tieni tutto celato». La divina Madre sentiva i lamenti del suo angustiato Sposo, e lo compativa e si affliggeva, ma pur taceva né poteva liberarlo dall'angustia perché non poteva svelargli il mistero, non avendo ordine da Dio di manifestarlo, ma non lasciava di pregare molto per il suo Giuseppe.
Viene meno per la tribolazione - Il Santo andava poi a lavorare, ma siccome aveva già incominciato a perdere le forze perché aveva spesso dei deliqui, se ne tornava nella sua piccola stanza e diceva: «Mio Dio, dove andrò a consolarmi, se la mia Sposa, che prima era tutta la mia consolazione, adesso è la causa di tutto il mio dolore, perché al solo vederla in tale stato mi sento trapassare l'anima dal dolore, e intanto mi sento attirare con violenza ad andarla a trovare e trattenermi con lei in sacri colloqui». E di fatto il Santo se ne andava dalla sua Sposa, ma con gli occhi chini a terra per non vederla, ma solo per sentirla parlare. La Santa Sposa gli parlava con tanta dolcezza, con tanto modo e con tanta grazia che l'afflitto Giuseppe si sentiva tutto consolato, e il suo spirito provava un grande sollievo, ma alzando inavvertitamente gli occhi, la vedeva in quello stato, e così veniva di nuovo ferito dal dolore. Il Santo si decise di mostrarsi alla sua Sposa con il volto serio e di starne lontano più che avesse potuto, ma non poté mai fare questo, perché quando udiva le sue parole si sentiva tutto rapito dal suo amore perciò, benché afflitto, le si mostrava molto affabile e sereno. Furono molte le risoluzioni che faceva l'afflitto Giuseppe, ma non poteva poi metterle in esecuzione, perché la passione gli faceva risolvere di fare molte cose, ma la grazia divina, che abitava nella sua anima, gli faceva operare diversamente.
Trovandosi il nostro Giuseppe in un così grande travaglio, e vedendosi come abbandonato da Dio e che l'Angelo non gli si faceva più sentire nel sonno, avendo anche sempre presente la causa del suo dolore, esercitò le più rare virtù che si possa dire: di pazienza, di sofferenza, di rassegnazione, di carità, di modestia, non dicendo mai cosa alcuna alla sua Sposa, benché la vedesse manifestamente incinta; non sospettò mai male, non fece giudizi, non diede in disperazioni, ma tutto rassegnato aspettava che il suo Dio lo consolasse manifestandogli la causa della gravidanza della sua Sposa, perciò in questa occasione il Santo praticò molte virtù ed acquistò grandi meriti e si dispose a ricevere la grazia sublime che dall'Angelo gli fosse manifestato il grande mistero dell'Incarnazione del Verbo Eterno nel seno purissimo della sua Santissima Sposa.
Sua giustizia e prudenza - Vivendo il nostro Giuseppe in così grave afflizione e conoscendo benissimo come la sua santa Sposa fosse vicina al parto, si raccomandò più che mai a Dio perché l'illuminasse per quello che doveva fare e diceva fra sé: «Si vede chiaramente che la mia Sposa non può tardare gran tempo a sgravare dal parto. Cosa mai potrò fare io? Accusarla, come comanda la Legge, io non devo farlo, perché sono certo che la mia Sposa è santissima, né posso pensare alcun male di lei; ma intanto a ritrovarmi in questo fatto senza saperne cosa alcuna, non ho tanto cuore, che io abbia a riconoscere per mia quella prole alla quale non ho parte alcuna. Meglio sarà che io parta e me ne vada ramingo e così finisca i miei giorni in amarezza e dolore, perché sarà impossibile che io possa vivere lontano dalla mia amata Sposa. Ma come avrò cuore di lasciarla, essendo lei tanto santa e ornata di così rare virtù? Eppure mi converrà lasciarla per liberarmi da una così grave angustia.» Il Santo diceva tutto questo, e decise infatti di lasciare la sua Sposa. Il suo cuore era immerso in un mare di dolore e di amarezza senza alcuna consolazione, e l'afflitto Giuseppe piangeva inconsolabilmente, e non trovava conforto al suo grave affanno.
Sua fervente preghiera - Risoluto di lasciare la sua Sposa, la sera si ritirò nella sua piccola stanza e qui in ginocchio pregò il suo Dio, lo supplicò del suo aiuto in quella così grave occorrenza, dicendogli: «O Dio d'Abramo, d'isacco e di Giacobbe, o Dio mio! che fin dalla mia infanzia mi hai custodito e promesso di assistermi e custodirmi in tutte le mie vie, ti supplico, per la tua infinita bontà, per la tua grandezza, per la tua potenza, la tua sapienza, e per l'amore che sempre hai dimostrato a me, tuo vilissimo servo, e per l'amore che hai portato e che porti alla mia sposa Maria, a volerti degnare di mantenere le promesse che una volta mi facesti, di aiutarmi e custodirmi sempre. Non mi abbandonare in questo grande bisogno! Io mi getto tutto nelle tue braccia paterne; fa di me ciò che più piace alla tua divina maestà. Ti raccomando la mia sposa, che Tu mi desti affinché io fossi il suo custode. Finora ho procurato di fare quel tanto che il mio dovere richiedeva, ma ora la lascio alla tua paterna cura, mentre io mi allontano da lei, per quella ragione che tu già sai, essendo tutto noto alla tua maestà. Questo castigo è da me ben meritato, perché non ho saputo approfittare dei suoi santi esempi e consigli perciò ora, allontanandomi da lei, farò penitenza di quelle colpe che purtroppo io avrò commesso; e benché sembri a me di non saperle conoscere saranno ben note alla tua maestà, perciò ti supplico di perdonarmi e di farmi la grazia di soffrire questo grande travaglio. Non ho cuore da licenziarmi dalla mia Sposa, per cui prego la tua bontà di volerla consolare in una così grande angustia e difenderla in ogni occorrenza. Intanto ti prego di benedire i miei passi, perché io mi porterò prima al Tempio di Gerusalemme per adorare la tua maestà e capire la tua volontà, se ti piacerà di manifestarmela. Guarda ti prego, l'angustia del mio spirito e l'afflizione del mio cuore, e abbi pietà di me».
Lamento affettuoso - Quando il nostro afflitto Giuseppe ebbe sfogato per un pò la pena del suo cuore con il suo Dio, si rivolse col pensiero verso la sua Sposa, e amorosamente si lamentava con lei: «Sposa mia! - diceva nel suo cuore, - colomba mia innocentissima! Ecco che da te mi allontano. Che cuore hai di vedermi in così grave angustia, e non impetrarmi dal nostro Dio una stilla di conforto? Perché non mi narri la causa della tua gravidanza? Eppure hai dimostrato sempre tanta carità e tanto amore verso di me, e in questa cosa sembra che ti sia scordata di me. Come farò io lontano da te che sei tutta la mia consolazione? O mia cara e amata Sposa, ecco che io ti lascio, e chissà se avrò la sorte di rivederti. Ti lascio sola, mia amata Sposa; il mio cuore si strugge per la pena che soffre nell'abbandonarti, ma pur così bisogna che faccia in questa circostanza, non sapendo trovare altro modo per liberare te dal castigo minacciato dalla legge, e me dal travaglio».
Si dispone a lasciare Maria - Così tutto in lacrime Giuseppe si alzò dalla preghiera, e prese quel tanto che riteneva necessario per il suo viaggio. Preparò un piccolo fagotto e poi si mise a riposare un poco per aspettare che si avvicinasse lo spuntare del giorno, avendo già determinato di partire per tempo perché la sua Sposa non l'avesse visto, e anche perché non fosse visto da alcuna delle vicine e da altri, per non avere l'occasione di manifestare ad alcuno la sua partenza. Intanto la sua divina Sposa si tratteneva a porgere calde suppliche a Dio perché si degnasse di consolare l'afflittissimo Giuseppe, trovandosi anche lei in grande afflizione.

Tratto da: http://www.reginamundi.info/San-Giuseppe/VitaSanGiuseppeBaij.asp

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