Chiesi
a Dio di essere forte per eseguire progetti grandiosi: Egli mi rese
debole per conservarmi nell' umiltà.
Domandai
a Dio che mi desse la salute per realizzare grandi imprese: egli mi
ha dato il dolore per comprenderla meglio.
Gli
domandai la ricchezza per possedere tutto: mi ha fatto povero per non
essere egoista.
Gli
domandai il potere perché gli uomini avessero bisogno di me: egli
mi ha dato l'umiliazione perché io avessi bisogno di loro.
Domandai
a Dio tutto per godere la vita: mi ha lasciato la vita perché
potessi apprezzare tutto.
Signore,
non ho ricevuto niente di quello che chiedevo, ma mi hai dato tutto
quello di cui avevo bisogno e quasi contro la mia volontà.
Le
preghiere che non feci furono esaudite.
Sii
lodato; o mio Signore, fra tutti gli uomini nessuno possiede quello
che ho io!
(Kirk
Kilgour) (1)
È
necessario soffermarci su un'altra verità, non meno importante: la
vita cristiana è una lotta, una guerra senza tregua. San Paolo ci
invita, nella lettera degli Efesini, a rivestire l'armatura di Dio
per lottare “non contro creature fatte di
sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i
dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male
che abitano nelle regioni celesti ” (2).
Egli descrive dettagliatamente tutti i pezzi di quella armatura che
dobbiamo indossare. Ogni cristiano dev'essere ben convinto che la sua
vita spirituale non può in alcun caso ridursi a uno scorrere
tranquillo di giorni senza storia, ma deve essere il luogo di una
lotta costante (contro il male, le tentazioni, lo scoraggiamento), a
volte dolorosa, che terminerà solo alla morte.
Quest'inevitabile
lotta è da interpretare come una realtà estremamente positiva.
Poiché, come dice santa Caterina da Siena, “ non c'è pace senza
guerra ” e senza lotta non c'è vittoria. Proprio questo conflitto
è il luogo della nostra purificazione e della nostra crescita
spirituale. In tal modo impariamo a conoscere noi stessi nella nostra
debolezza e Dio nella sua infinita misericordia. È, in definitiva,
il modo scelto da Dio per la nostra trasfigurazione e la nostra
glorificazione. Ma la lotta spirituale del cristiano, pur essendo
talvolta dura, non è mai la guerra disperata di chi si batte in
solitudine, alla cieca, senza nessuna certezza circa l'esito dello
scontro. È la lotta di chi combatte con l'assoluta certezza che la
vittoria è già assicurata, perché il Signore è risorto:
“ Non piangere più; ecco, ha vinto il Leone della tribù di
Giuda ” (3).
Così,
non combattiamo da soli con le nostre forze, ma con il Signore che ci
dice: “ Ti basta la mia grazia; la mia
potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza ” (4)
e la nostra arma principale non è la naturale fermezza del
carattere o l'abilità umana, ma la fede, questa totale adesione a
Cristo che ci permette, anche nei momenti peggiori, di abbandonarci
con fiducia cieca a colui che non ci abbandonerà. “
Tutto posso in colui che mi dà la forza” (5). Ed
ancora: “Il Signore è mia luce e mia
salvezza, di chi avrò paura? ” (6).
Il
cristiano dunque lotta con energia, chiamato com'è a resistere
"fino al sangue nella lotta contro il peccato” (7).
Lo
fa però con cuore tranquillo e la sua lotta è tanto più
efficace quanto più il suo cuore dimora nella pace. Perché è
proprio questa pace interiore che gli permette di lottare non con le
proprie forze — che verrebbero meno — , ma con quelle di Dio.
Ciò che non possiamo né dobbiamo dimenticare è che la nostra
meta è la beatitudine eterna! Conoscere e gustare la gioia di Dio
già in questa vita!... Questo pensiero deve accompagnare tutta la
nostra esistenza, qualunque sia la lotta da sostenere. In mezzo ai
combattimenti che affrontiamo occorre conservare il desiderio di
raggiungere la libertà dei figli di Dio... l'ansia di avanzare
verso la Pienezza e l'Assoluto...
Come
fare? Quello che noi chiamiamo lotta e resistenza Gesù nel Vangelo
lo chiama, usando un'immagine marinara, prendere il largo. Significa
lasciare rive e spiagge sicure alle nostre spalle per rispondere ai
ripetuti appelli di Gesù: « La scia la tua famiglia, la tua
casa... », significa imboccare la via stretta del dono di sé.
Eppure spesso, dopo aver abbandonato la riva non siamo riusciti a
raggiungere il mare aperto. Ci siamo resi conto che per raggiungere
il largo era necessario uno sforzo sovrumano, come se i sentieri
intrapresi non ci dessero la possibilità di salpare e di
raggiungere il lontano orizzonte. Quante volte le spiagge, anziché
allontanarsi, ci sono sembrate sempre più vicine nonostante gli
sforzi che abbiamo fatto per staccarci da esse. Spesso non sappiamo
neppure se stiamo procedendo nel cammino o se stiamo arretrando.
L'illusione più grande è quella che ci fa dire: "Mi sembra
di averti dato tutto. Cosa mi manca?". È l'auto inganno del
giovane ricco (8). Come a san Girolamo Gesù ci risponde:
“Dammi il tuo peccato”. È questa l'ultima spiaggia, la più
lontana da raggiungere, perché il peccato è parte di noi....
Sbarazzarci del nostro peccato, abbandonarlo per sempre e non tornare
più sulle sue orme è il distacco più arduo. Solo sciogliendo
quest'ultimo ormeggio potremo allontanarci dalla riva del nostro uomo
vecchio e dire nei confronti di noi stessi: “Non conosco più que
st'uomo vecchio che ero prima ” .
È
una liberazione che ci porta lontano: ci libera da quell' “ io ”
che abita la nostra preghiera e domina il nostro rapporto con Dio e
con i fratelli e ci apre a lasciar operare Dio in noi, a permettere
che sia lui a fare grandi cose: “Non tu mi
costruirai una casa, ma io ti preparerò un futuro" (9)…
Più
il Signore ci ripete "Sono Io!", più ci rendiamo conto
che il mare aperto, il “largo” è proprio Dio. Ci troviamo così
a fare la stessa esperienza di Giacobbe, che credeva Dio lontano da
lui ed egli era proprio lì, accanto a lui nella sua vita raminga: “
Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo ” (10).
Cerchiamo i mari aperti lontano.., molto lontano, vogliamo prendere
il largo, raggiungere Dio, il Totalmente Altro, il Trascendente,
l'Assoluto... Credevamo di raggiunge il mare immenso del Divino,
allontanandoci per sempre dalla nostra povera quotidianità... ed
ecco che scopriamo che Dio ci attendeva nel nostro oggi e ci
rassicurava della sua Presenza nella nostra povera vita.
È
così che possiamo comprendere che il Mare divino non è una
conquista da raggiungere, ma un dono da ricevere, da accogliere... il
Dono di Dio (cioè il Dono che è Dio).
Il
mare aperto è concesso da Dio a colui che si abbandona con fiducia
nelle sue mani, nonostante tutti i lacci e le zavorre che lo
inchiodano alla sua croce personale.
Raggiungere
il largo non significa gonfiare il proprio “ io ” per
intraprendere una lotta con l'Onnipotente. Non si tratta neppure di
dissolvere il nostro piccolo “ io ” nel grande “ Io ” del suo
Essere divino. Si tratta, invece, di permettere all’Amore di Dio
(cioè l'Amore che è Dio) di venire ad abitare in noi, soprattutto
quando i nostri orizzonti ci paiono piccoli e angusti e soprattutto
quando ci sentiamo prigionieri sulle rive desolate della nostra
povertà e della nostra meschinità.
Imparare
a veleggiare nei mari aperti è imparare ad accogliere Dio che vuole
abitare le nostre esistenze; è ospitare l' “Io Sono” che ci
salva e che, senza stancarsi, è all'opera nella nostra vita e nella
vita del mondo; è fare spazio alla Presenza divina che si nasconde
dietro ogni evento piccolo o grande delle nostre giornate.
È
proprio quando rinunciamo a cercare Dio che scopriamo che era Lui a
cercare noi. Il mare aperto, l'infinito Amore, Gesù Risorto!
Risorto nello spirito, ma anche nella carne! “Metti qua il tuo dito
e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato”
(11).
Si
avanza verso gli orizzonti lontani nello splendore della Luce; si
naviga verso l'Assoluto di Dio (l'Assoluto che è Dio) fissando la
rotta verso il suo volto radioso; ma si avanza anche nel mare in
tempesta attraverso le sofferenze, le ristrettezze, le notti, le
morti quotidiane dei compagni di viaggio.
Il
cuore grande di Dio ci è donato ogni volta che nella nostra
giornata sappiamo fare del nostro cuore un piccolo calice per
accogliere la sua presenza. Gesù si fa vicino a noi per sostenere
le nostre vite, per purificarle e per invaderle del suo Amore
infinito. Tutto questo esige evidentemente — ed è la difficoltà
più grande nell'abbandono — di spingersi fino al limite del
rischio. Poiché è di fronte agli ostacoli che la fede viene messa
alla prova. Se voglio lanciarmi verso i mari sconfinati, devo
sganciare tut tigli ormeggi e liberarmi di tutti i pesi che
rallentano la corsa, compresa la paura di non riuscire ad arrivare.
Allora, potrò lasciarmi alle spalle tutti gli espedienti fisici,
psicologici e spirituali e, confidando unicamente nel Cristo Risorto,
lasciarmi invadere il corpo, la mente e lo spirito dalla vita di
Colui che mi fa risorgere a vita nuova. L'anticipo della beatitudine
si realizza nel mo mento in cui ci si getta a corpo morto, senza
alcuna esitazione, nel cuore di Cristo, e si accetta di essere in lui
creatura povera e miserabile, ma amata e salvata proprio in virtù
della povertà e della miseria. Se i malati e i peccatori che ci
mostra il Vangelo non avessero osato presentare la loro indigenza
fisica e la loro povertà spirituale al Signore, non sarebbero mai
stati liberati da esse. Il giovane ricco si allontana triste da Gesù
perché non ha il coraggio di liberarsi del proprio carico di beni e
di ricchezze. Se avesse detto con fiducia: “Non ce la faccio da
solo, liberami Tu, che sei il Signore!", forse sarebbe stato poi
capace di seguire Gesù. Il Signore dice, infatti, poco dopo: «
Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è
possibile presso Dio » (12).
Bisogna
svuotare il cuore di tutte le nostre preoccupazioni, di tutti i
nostri egoismi, di tutti i nostri attaccamenti alle cose, ai beni ed
alle persone, per lasciare spazio alla Grazia pura del Salvatore che
si è incarnato ed è risorto nello spirito e nella carne.
Ovviamente questa fiducia assoluta e incondizionata in Gesù non ci
dispensa dal chiedere aiuto ai fratelli ogni volta che ne abbiamo
bisogno. Essi sono, in un certo senso, i mediatori della Grazia che
ci viene in soccorso in ogni momento della nostra giornata, nella
misura in cui diventiamo capaci di fiducia e di abbandono. Come
alimentare e far crescere questa fiducia? Non dobbiamo dimenticare
che il vero e unico Dio che si è rivelato a Israele è il Dio che
continua a parlare agli uomini attraverso la Sacra Scrittura. La
Rivelazione cristiana, infatti, non può avvenire che attraverso
l'ascolto della Parola di Dio. È Maria che ci insegna lo stile
dell'ascolto, un ascolto fatto di silenzio e di abbandono, un ascolto
che sa penetrare in semplicità nei segreti più ineffabili del
Mistero della salvezza. Ma quando ci mettiamo in ascolto della Parola
di Dio sono molte le difficoltà che possiamo incontrare. L'ostacolo
più impegnativo da superare — che può anche paralizzare il
nostro itinerario spirituale verso l'abbandono — è la paura.
Se
san Paolo afferma che l'ultimo nemico ad es sere annientato sarà la
morte (13), possiamo affermare con certezza che il penultimo
sarà la paura. La paura è vinta il giorno stesso in cui siamo in
grado di riconoscere in essa il veleno diabolico, poiché, dice
l'apostolo, il Signore ci ha eletti fin dalla creazione del mondo per
essere santi e immacolati nell'Amore (14). Dio non si aspetta
da noi la perfezione morale, perché conosce le nostre debolezze;
ciò che si aspetta da noi è la “ carità perfetta ” (15).
Ma la pienezza dell'amore sarà raggiungibile a patto di scacciare
ogni timore. Ameremo Dio nella verità solo quando non avremo più
paura di Lui, perché l'amore esclude la paura (16).
L'amore
è esigente e le sue esigenze non sono separabili dalla gratuità.
La pienezza dell'amore si manifesta nella pienezza del dono di sé a
Dio e ai fratelli. L'amore autentico è impegnativo ed è per
questo motivo che l'uomo lo teme. La fede è apertura all'azione
dell'Amore che opera in noi e, allo stesso modo, apertura all'Amore
che, attraverso di noi, vuole seminare il bene nel mondo. È ciò
che san Paolo sembra intuire dicendo che Dio ci ha scelti per essere
santi e immacolati nell'Amore. Grazie a questo Amore Dio ci ha
destinati ad essere figli adottivi (17). E l'Amore di Dio per
ciascuno di noi è l’Amore che ci rende capaci di amare da figli;
e l'amore filiale comprende il “ti more filiale ” , che è la “
paura", che è un forma di trepidazione, di non essere in grado
di rispondere ad un amore così tenero e generoso. Ma accanto a
questo timore che deriva dal l'amore esiste una paura che bisogna
rifiutare. Questa paura non viene dal Dio dell'Amore, così come si
è rivelato a noi, ma prende le mosse da una falsa idea di Dio, da
una caricatura del suo volto, che il peccato originale ha impresso in
noi. È la paura che nasce dal dubbio. Di fatto, se guardiamo bene
dentro di noi dobbiamo riconoscere che siamo prigionieri della paura.
Ne elenco alcune:
•
Abbiamo
paura di Dio e di conseguenza ci è difficile credere nell'Amore.
•
Abbiamo
paura di noi stessi. Ciò spiega la nostra dispersione, le nostre
manifestazioni di esteriorità, il desiderio continuo di
cambiamento, di evasione, di fuga, di velocità.
•
Abbiamo
paura degli altri e di tutto: delle persone, dell'opinione altrui,
delle responsabilità, dei rischi, della povertà, del dolore,
della malattia, del futuro, della vita, della morte... Spesso la
nostra paura è accresciuta da quella degli altri, così come può
contribuire ad aumentare quella di coloro che ci stanno accanto. La
maggior parte delle nostre fragilità e dei nostri errori è
generata dalla paura.
La
paura è una fonte inquinata a cui il maligno ci spinge a bere, è
la radice di tutto ciò che è malvagio. È un incendio bruciante
di suggestioni che conducono al male: infatti la paura del pericolo
fa nascere il pericolo, la paura delle complicazioni crea
complicazioni, la paura delle malattie genera sovente le malattie. Ci
sono persone che non riescono a nascondere la loro paura. È
umiliante per loro, ma, in un certo senso, riescono a poco a poco a
liberarsene. Altre persone, invece, assai più accorte, sanno
celarla con infiniti stratagemmi, ma il veleno della paura,
ricacciato nell'intimo, devasta l'inconscio, pregiudica la lucidità
della mente e indebolisce il corpo. Ci sono, infine, coloro che
sostengono di non avere mai paura. Accade sovente di osservare che
meno una persona è solida psicologicamente, più essa sente il
bisogno di affermarsi, di mascherare la paura, non fosse altro che
per convincere se stessa del senso della propria esistenza e del
proprio valore. Queste diverse reazioni non cancellano la paura.
Infatti nessun uomo sfugge ad essa. Le paure più acute sono le più
difficili da vincere. Ma nella misura in cui si impara a vincere la
paura si diventa capaci di dominare se stessi e il mondo. La paura ha
radici lontane; ha origine nel peccato originale, che ha ferito il
nostro spirito e la nostra volontà. Nel giardino di Eden la
conseguenza immediata del peccato fu la paura (18). E
all'origine del primo peccato c'è il dubbio e la mancanza di fede.
Gli Angeli per primi furono invitati a credere all'Amore di Dio.
Satana dubitò di questo Amore, non si fidò. Si è lasciato
imprigionare ed annientare dal dubbio e l'unica forza che poi gli è
rimasta è quella della vendetta: trascinare l'uomo, creato a
immagine di Dio e di cui egli è profondamente geloso, nella sua
stessa rovina. Prima di tentare Eva il maligno ha insinuato in lei il
dubbio (19).
Lo
spirito del male, che aveva rotto la relazione di fedeltà e di
verità con Dio, privato di quell’Amore che è la Vita stessa di
Dio, è diventato seminatore di menzogna. La sua menzogna più
grande fu ed è di far credere all'uomo che Dio è un essere
superbo, geloso del suo potere, interessato: un padrone severo che
raccoglie anche dove non ha semi nato (20).
L'uomo,
in preda al sospetto, si è insuperbito ed è stato assalito dal
desiderio di diventare come il suo Creatore. Questa superbia e questo
sospetto hanno ferito profondamente il cuore di Dio. Le conseguenze
immediate del peccato furono la vergogna e la paura. La vergogna per
la nudità nacque dall'improvvisa consapevolezza della propria
infinita piccolezza di fronte all'Onnipotenza di Dio. La paura
derivò dal dubbio di essere di fronte ad una potenza vendicativa
incapace di misericordia e di perdono. Bisognerà attendere la
Rivelazione di Gesù per comprendere la Sapienza e la Potenza
dell'Amore. Ma finché l'uomo non saprà accogliere in sé la
misericordia, non farà altro che fuggire allo sguardo di Dio, come
hanno fatto Adamo ed Eva. Rivendicando la sua autonomia l'essere
umano ha perso la sua libertà. Nella dipendenza da Dio l'uomo
partecipava al dominio sul mondo materiale. Svincolandosi da Dio si
trovò a misurarsi con i propri limiti. Il passaggio dalla luce alle
tenebre fu improvviso. Fino al compimento del Regno l'uomo
continuerà a procedere a tentoni cercando la strada smarrita.
Quando la paura assale l'uomo, l'anima ha come un sussulto. La paura
non abita il nostro io profondo, ma resta in superficie, contagiando
la superficie della nostra persona, quella parte di noi abituata ad
indossare le maschere e forse la più disorientata dal peccato
originale. Come si realizzerà allora il disegno di Salvezza? Solo a
condizione che crediamo nell’ Amore di Dio per noi e ci apriamo a
questo dono che è l'Amore stesso del Figlio per il Padre. Per
riportarci a casa, per ricongiungerci a sé e per vincere la nostra
paura Dio ha scelto di farsi bambino. Chi ha paura di un bambino?
Nel
mistero dell'Incarnazione, Cristo si è immerso nei dubbi e nelle
paure dell' umanità fino alla notte del Getsemani. A differenza di
Adamo non si è nascosto da Dio quando ha avuto paura, ma si è
rivolto a lui con fiducia filiale. Gesù ha voluto avere paura per
noi. Ha desiderato sperimentare l'angoscia, perché fossimo liberati
da essa. Poiché la nostra paura è conseguenza del peccato
originale, Gesù, sconfiggendo il peccato e la morte, ha sconfitto
anche la paura. La fede sarà, dunque, lasciarci portare da Gesù
ad occhi chiusi, senza più alcun timore. Lo sforzo principale della
nostra vita sarà purificarci dal dubbio e dalla paura, per giungere
alla pienezza della fede. Ciascuno di noi conosce il proprio peccato
e deve averne orrore. Tuttavia, se in questa vita avremo saputo
fidarci di Dio, nell'ultimo giorno guardando il volto del Signore lo
vedremo così come egli è: pienezza d'Amore. L'unica domanda che
ci farà il Padre sarà: “Figlio mio, perché hai dubitato?".
Se riusciremo a dire: "Tu sei l'Amore”, egli ci dirà: “Entra
nella gioia del Regno”.Santa Teresa di Lisieux ci insegna questa
cieca fiducia quasi gridata nella notte della fede, nella sofferenza
e nell'aridità dell'anima. In un biglietto dalla calligrafia
stentata scritto il 3 agosto 1897, poco prima di morire, leggiamo:
“Mio Dio, come sei dolce ... non temo alcun male perché tu sei
con me... Il Buon Dio non mi abbandonerà. Non mi ha mai
abbandonata” (21).
Dubitare
di Dio e “avere paura" di Lui significa volgere lo sguardo
lontano dal suo sorriso di Luce e di Misericordia. Alla sera della
vita, avremo “il cuore affranto e umiliato ” (22) per non
aver saputo amare abbastanza, ma pur con il fardello di tutta la
nostra impotenza non porremo alcun limite alla potenza dell'Amore
misericordioso, pronto ad accoglierci e a salvarci. Tutto il nostro
essere si protende in una tragica e affannosa ricerca di sicurezza.
Ma dove cercare questa sicurezza? Nello sviluppo delle scienze, nel
progresso, nel perfezionamento continuo della tecnica, poiché è
l'unica realtà affidabile ed efficace? Certo la fiducia calma e
serena dei cristiani nella Parola di Dio appare ingenua. Bisogna
davvero essere un po' pazzi per lasciarsi condurre dal soffio dello
Spi rito di Cristo.
Molti
cristiani, forse anche sinceramente cre denti, non credono quasi più
all'efficacia della preghiera e la confinano in un angolo oscuro
della loro anima riservato allo “spirituale”. Eppure la preghiera
ha una forza dirompente. "Chi invocherà il nome del Signore
sarà salvo” (23). Nel Nome di Cristo il Padre si fa
immediatamente presente. È la densità di questa presenza che fa
paura. Dio infatti non è puro spirito, ma si è incarnato
totalmente nel Figlio, non si è risparmiato, non ha considerato la
sua divinità un tesoro prezioso da salvaguardare o da conservare
(24), si è fatto tutto a tutti. Il Figlio vive totalmente
nel Padre e il Padre vive totalmente nel Figlio (25). Ed è
questo che ci terrorizza. La mano tesa di Dio ci invita a seguirlo,
eppure noi esitiamo ad afferrarla per or gogliosa superbia: “Posso
farcela da solo”. Ecco il paradosso: l'amore gratuito di Dio e la
paura del l'uomo. L' umanità resta sgomenta non tanto di fronte al
Dio Potente e Sapiente, quanto di fronte al Dio che si manifesta
nella debolezza della più disinteressata gratuità. La nostra
epoca ha trovato molti rimedi temporanei alla paura: il consumismo
sfrenato, l'erotismo, la droga, la velocità, l'agitazione,
l'iperattività. Questi rimedi non sono che palliativi e allentano
solo parzialmente la morsa della paura e dell'ansia, rischiando di
gettare l'uomo in una angoscia ancora più violenta. Cristo è
risuscitato. È il più grande scacco alla paura. Cristo è tra
noi, Lo incontriamo ogni giorno. Eppure, ogni giorno, le nostre
futili paure lo inchiodano di nuovo alla Croce. Se invocheremo con
fiducia il nome di Gesù, saremo inondati dal suo perdono e
raggiungeremo davvero la sorgente della pace. Perché, dunque,
continuare ad avere paura?
(1)
Kirk Kilgour, era un eccellente sportivo di origine americana,
Campione d'Italia con la squadra romana dell'Ariccia: una brillante
carriera spezzata da un tragico incidente che av venne nel 1976.
Durante alcuni esercizi di riscaldamento cadde, provocandosi la
lussazione di una vertebra cervicale con conseguente totale paralisi
degli arti. Ma lui non si è mai arreso: 26 anni su una sedia a
rotelle, dimostrando forza, volontà e coraggio tali, da fare
invidia ad un campione in piena attività. E come nello sport, in
cui la sconfitta fa parte del gioco, egli ha vissuto la "sconfitta”
dell'infortunio in positivo, traendone spunto e coraggio
agonistico per lottare ancora e tornare a
vincere. Nel 2000 in Piazza S. Pietro durante il Giubileo degli
ammalati recitò la sua preghiera alla presenza di Sua Santità
Giovanni Paolo II. E il 12 luglio 2002, dopo tanti anni di lotta, il
suo cuore si è fermato ... ma in noi resta vivo il suo ricordo. La
Preghiera che ci ha lasciato rivela la straordinaria ricchezza
interiore di un uomo che ha saputo sempre affrontare la vita con
serenità e con autentico spirito sportivo.
(2)
Cfr. Ef 6, 10-17.
(3)
Cfr. Ap 5, 1.
(4)
Cfr. 2Cor 12, 9.
(5)
Cfr. Fil 4, 13.
(6)
Cfr. Sl 26, 1.
(7)
Cfr. Eb 12, 4.
(8)
Cfr. Mc 10, 20.
(9)
Cfr. 2Sam 7, 5ss.
(10)
Cfr. Gn 28, 16.
(11)
Cfr. Gv 20,
(12)
Cfr. Mc 10, 27.
(13)
Cfr. 1Cor 15, 26.
(14)
Cfr. Ef 1, 4.
(15)
Cfr. Gv 15, 12-14: “Questo è il mio
comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati.
Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri
amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando ” .
(16)
Cfr. Rm 8, 15.
(17)
Cfr. Ef 1,5.
(18)
Cfr. Gn 3, 10: “Ho udito il tuo passo nel
giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto ”
(19)
Cfr. Gn 3, 4.
(20)
Cfr. Mt 25, 24, in cui il servitore pigro accusa il padrone.
(21)
Cfr. Teresa di Lisieux, Novissima Verba.
(22)
Cfr. Sl 50, 19. 121
(23)
Cfr. At 2, 21.
(24)
Cfr. Fil 2, 6.
(25)
Cfr. Gv 10, 30: “Io e il Padre siamo una cosa sola”.
Tratto
dal libro: “Abbandonarsi a Dio: il segreto della pace del cuore “ di don
Pierluigi Chiodaroli – Foyer-Salera,
Maggio 2008
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