lunedì 22 aprile 2019

IL RISCHIO DELL'ABBANDONO: LA LOTTA (CON SÉ) PER PRENDERE IL LARGO



Chiesi a Dio di essere forte per eseguire progetti grandiosi: Egli mi rese debole per conservarmi nell' umiltà.
Domandai a Dio che mi desse la salute per realizzare grandi imprese: egli mi ha dato il dolore per comprenderla meglio.
Gli domandai la ricchezza per possedere tutto: mi ha fatto povero per non essere egoista.
Gli domandai il potere perché gli uomini avessero bisogno di me: egli mi ha dato l'umiliazione perché io avessi bisogno di loro.
Domandai a Dio tutto per godere la vita: mi ha lasciato la vita perché potessi apprezzare tutto.
Signore, non ho ricevuto niente di quello che chiedevo, ma mi hai dato tutto quello di cui avevo bisogno e quasi contro la mia volontà.
Le preghiere che non feci furono esaudite.
Sii lodato; o mio Signore, fra tutti gli uomini nessuno possiede quello che ho io!
(Kirk Kilgour) (1)

È necessario soffermarci su un'altra verità, non meno importante: la vita cristiana è una lotta, una guerra senza tregua. San Paolo ci invita, nella lettera degli Efesini, a rivestire l'armatura di Dio per lottare “non contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti ” (2). Egli descrive dettagliatamente tutti i pezzi di quella armatura che dobbiamo indossare. Ogni cristiano dev'essere ben convinto che la sua vita spirituale non può in alcun caso ridursi a uno scorrere tranquillo di giorni senza storia, ma deve essere il luogo di una lotta costante (contro il male, le tentazioni, lo scoraggiamento), a volte dolorosa, che terminerà solo alla morte.
Quest'inevitabile lotta è da interpretare come una realtà estremamente positiva. Poiché, come dice santa Caterina da Siena, “ non c'è pace senza guerra ” e senza lotta non c'è vittoria. Proprio questo conflitto è il luogo della nostra purificazione e della nostra crescita spirituale. In tal modo impariamo a conoscere noi stessi nella nostra debolezza e Dio nella sua infinita misericordia. È, in definitiva, il modo scelto da Dio per la nostra trasfigurazione e la nostra glorificazione. Ma la lotta spirituale del cristiano, pur essendo talvolta dura, non è mai la guerra disperata di chi si batte in solitudine, alla cieca, senza nessuna certezza circa l'esito dello scontro. È la lotta di chi combatte con l'assoluta certezza che la vittoria è già assicurata, perché il Signore è risorto: “ Non piangere più; ecco, ha vinto il Leone della tribù di Giuda ” (3).
Così, non combattiamo da soli con le nostre forze, ma con il Signore che ci dice: “ Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza ” (4) e la nostra arma principale non è la naturale fermezza del carattere o l'abilità umana, ma la fede, questa totale adesione a Cristo che ci permette, anche nei momenti peggiori, di abbandonarci con fiducia cieca a colui che non ci abbandonerà. “ Tutto posso in colui che mi dà la forza” (5). Ed ancora: “Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura? ” (6).
Il cristiano dunque lotta con energia, chiamato com'è a resistere "fino al sangue nella lotta contro il peccato” (7).
Lo fa però con cuore tranquillo e la sua lotta è tanto più efficace quanto più il suo cuore dimora nella pace. Perché è proprio questa pace interiore che gli permette di lottare non con le proprie forze — che verrebbero meno — , ma con quelle di Dio. Ciò che non possiamo né dobbiamo dimenticare è che la nostra meta è la beatitudine eterna! Conoscere e gustare la gioia di Dio già in questa vita!... Questo pensiero deve accompagnare tutta la nostra esistenza, qualunque sia la lotta da sostenere. In mezzo ai combattimenti che affrontiamo occorre conservare il desiderio di raggiungere la libertà dei figli di Dio... l'ansia di avanzare verso la Pienezza e l'Assoluto...
Come fare? Quello che noi chiamiamo lotta e resistenza Gesù nel Vangelo lo chiama, usando un'immagine marinara, prendere il largo. Significa lasciare rive e spiagge sicure alle nostre spalle per rispondere ai ripetuti appelli di Gesù: « La scia la tua famiglia, la tua casa... », significa imboccare la via stretta del dono di sé. Eppure spesso, dopo aver abbandonato la riva non siamo riusciti a raggiungere il mare aperto. Ci siamo resi conto che per raggiungere il largo era necessario uno sforzo sovrumano, come se i sentieri intrapresi non ci dessero la possibilità di salpare e di raggiungere il lontano orizzonte. Quante volte le spiagge, anziché allontanarsi, ci sono sembrate sempre più vicine nonostante gli sforzi che abbiamo fatto per staccarci da esse. Spesso non sappiamo neppure se stiamo procedendo nel cammino o se stiamo arretrando. L'illusione più grande è quella che ci fa dire: "Mi sembra di averti dato tutto. Cosa mi manca?". È l'auto inganno del giovane ricco (8). Come a san Girolamo Gesù ci risponde: “Dammi il tuo peccato”. È questa l'ultima spiaggia, la più lontana da raggiungere, perché il peccato è parte di noi.... Sbarazzarci del nostro peccato, abbandonarlo per sempre e non tornare più sulle sue orme è il distacco più arduo. Solo sciogliendo quest'ultimo ormeggio potremo allontanarci dalla riva del nostro uomo vecchio e dire nei confronti di noi stessi: “Non conosco più que st'uomo vecchio che ero prima ” .
È una liberazione che ci porta lontano: ci libera da quell' “ io ” che abita la nostra preghiera e domina il nostro rapporto con Dio e con i fratelli e ci apre a lasciar operare Dio in noi, a permettere che sia lui a fare grandi cose: “Non tu mi costruirai una casa, ma io ti preparerò un futuro" (9)…
Più il Signore ci ripete "Sono Io!", più ci rendiamo conto che il mare aperto, il “largo” è proprio Dio. Ci troviamo così a fare la stessa esperienza di Giacobbe, che credeva Dio lontano da lui ed egli era proprio lì, accanto a lui nella sua vita raminga: “ Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo ” (10). Cerchiamo i mari aperti lontano.., molto lontano, vogliamo prendere il largo, raggiungere Dio, il Totalmente Altro, il Trascendente, l'Assoluto... Credevamo di raggiunge il mare immenso del Divino, allontanandoci per sempre dalla nostra povera quotidianità... ed ecco che scopriamo che Dio ci attendeva nel nostro oggi e ci rassicurava della sua Presenza nella nostra povera vita.
È così che possiamo comprendere che il Mare divino non è una conquista da raggiungere, ma un dono da ricevere, da accogliere... il Dono di Dio (cioè il Dono che è Dio).
Il mare aperto è concesso da Dio a colui che si abbandona con fiducia nelle sue mani, nonostante tutti i lacci e le zavorre che lo inchiodano alla sua croce personale.
Raggiungere il largo non significa gonfiare il proprio “ io ” per intraprendere una lotta con l'Onnipotente. Non si tratta neppure di dissolvere il nostro piccolo “ io ” nel grande “ Io ” del suo Essere divino. Si tratta, invece, di permettere all’Amore di Dio (cioè l'Amore che è Dio) di venire ad abitare in noi, soprattutto quando i nostri orizzonti ci paiono piccoli e angusti e soprattutto quando ci sentiamo prigionieri sulle rive desolate della nostra povertà e della nostra meschinità.
Imparare a veleggiare nei mari aperti è imparare ad accogliere Dio che vuole abitare le nostre esistenze; è ospitare l' “Io Sono” che ci salva e che, senza stancarsi, è all'opera nella nostra vita e nella vita del mondo; è fare spazio alla Presenza divina che si nasconde dietro ogni evento piccolo o grande delle nostre giornate.
È proprio quando rinunciamo a cercare Dio che scopriamo che era Lui a cercare noi. Il mare aperto, l'infinito Amore, Gesù Risorto! Risorto nello spirito, ma anche nella carne! “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato” (11).
Si avanza verso gli orizzonti lontani nello splendore della Luce; si naviga verso l'Assoluto di Dio (l'Assoluto che è Dio) fissando la rotta verso il suo volto radioso; ma si avanza anche nel mare in tempesta attraverso le sofferenze, le ristrettezze, le notti, le morti quotidiane dei compagni di viaggio.
Il cuore grande di Dio ci è donato ogni volta che nella nostra giornata sappiamo fare del nostro cuore un piccolo calice per accogliere la sua presenza. Gesù si fa vicino a noi per sostenere le nostre vite, per purificarle e per invaderle del suo Amore infinito. Tutto questo esige evidentemente — ed è la difficoltà più grande nell'abbandono — di spingersi fino al limite del rischio. Poiché è di fronte agli ostacoli che la fede viene messa alla prova. Se voglio lanciarmi verso i mari sconfinati, devo sganciare tut tigli ormeggi e liberarmi di tutti i pesi che rallentano la corsa, compresa la paura di non riuscire ad arrivare. Allora, potrò lasciarmi alle spalle tutti gli espedienti fisici, psicologici e spirituali e, confidando unicamente nel Cristo Risorto, lasciarmi invadere il corpo, la mente e lo spirito dalla vita di Colui che mi fa risorgere a vita nuova. L'anticipo della beatitudine si realizza nel mo mento in cui ci si getta a corpo morto, senza alcuna esitazione, nel cuore di Cristo, e si accetta di essere in lui creatura povera e miserabile, ma amata e salvata proprio in virtù della povertà e della miseria. Se i malati e i peccatori che ci mostra il Vangelo non avessero osato presentare la loro indigenza fisica e la loro povertà spirituale al Signore, non sarebbero mai stati liberati da esse. Il giovane ricco si allontana triste da Gesù perché non ha il coraggio di liberarsi del proprio carico di beni e di ricchezze. Se avesse detto con fiducia: “Non ce la faccio da solo, liberami Tu, che sei il Signore!", forse sarebbe stato poi capace di seguire Gesù. Il Signore dice, infatti, poco dopo: « Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio » (12).
Bisogna svuotare il cuore di tutte le nostre preoccupazioni, di tutti i nostri egoismi, di tutti i nostri attaccamenti alle cose, ai beni ed alle persone, per lasciare spazio alla Grazia pura del Salvatore che si è incarnato ed è risorto nello spirito e nella carne. Ovviamente questa fiducia assoluta e incondizionata in Gesù non ci dispensa dal chiedere aiuto ai fratelli ogni volta che ne abbiamo bisogno. Essi sono, in un certo senso, i mediatori della Grazia che ci viene in soccorso in ogni momento della nostra giornata, nella misura in cui diventiamo capaci di fiducia e di abbandono. Come alimentare e far crescere questa fiducia? Non dobbiamo dimenticare che il vero e unico Dio che si è rivelato a Israele è il Dio che continua a parlare agli uomini attraverso la Sacra Scrittura. La Rivelazione cristiana, infatti, non può avvenire che attraverso l'ascolto della Parola di Dio. È Maria che ci insegna lo stile dell'ascolto, un ascolto fatto di silenzio e di abbandono, un ascolto che sa penetrare in semplicità nei segreti più ineffabili del Mistero della salvezza. Ma quando ci mettiamo in ascolto della Parola di Dio sono molte le difficoltà che possiamo incontrare. L'ostacolo più impegnativo da superare — che può anche paralizzare il nostro itinerario spirituale verso l'abbandono — è la paura.
Se san Paolo afferma che l'ultimo nemico ad es sere annientato sarà la morte (13), possiamo affermare con certezza che il penultimo sarà la paura. La paura è vinta il giorno stesso in cui siamo in grado di riconoscere in essa il veleno diabolico, poiché, dice l'apostolo, il Signore ci ha eletti fin dalla creazione del mondo per essere santi e immacolati nell'Amore (14). Dio non si aspetta da noi la perfezione morale, perché conosce le nostre debolezze; ciò che si aspetta da noi è la “ carità perfetta ” (15). Ma la pienezza dell'amore sarà raggiungibile a patto di scacciare ogni timore. Ameremo Dio nella verità solo quando non avremo più paura di Lui, perché l'amore esclude la paura (16).
L'amore è esigente e le sue esigenze non sono separabili dalla gratuità. La pienezza dell'amore si manifesta nella pienezza del dono di sé a Dio e ai fratelli. L'amore autentico è impegnativo ed è per questo motivo che l'uomo lo teme. La fede è apertura all'azione dell'Amore che opera in noi e, allo stesso modo, apertura all'Amore che, attraverso di noi, vuole seminare il bene nel mondo. È ciò che san Paolo sembra intuire dicendo che Dio ci ha scelti per essere santi e immacolati nell'Amore. Grazie a questo Amore Dio ci ha destinati ad essere figli adottivi (17). E l'Amore di Dio per ciascuno di noi è l’Amore che ci rende capaci di amare da figli; e l'amore filiale comprende il “ti more filiale ” , che è la “ paura", che è un forma di trepidazione, di non essere in grado di rispondere ad un amore così tenero e generoso. Ma accanto a questo timore che deriva dal l'amore esiste una paura che bisogna rifiutare. Questa paura non viene dal Dio dell'Amore, così come si è rivelato a noi, ma prende le mosse da una falsa idea di Dio, da una caricatura del suo volto, che il peccato originale ha impresso in noi. È la paura che nasce dal dubbio. Di fatto, se guardiamo bene dentro di noi dobbiamo riconoscere che siamo prigionieri della paura. Ne elenco alcune:
Abbiamo paura di Dio e di conseguenza ci è difficile credere nell'Amore.
Abbiamo paura di noi stessi. Ciò spiega la nostra dispersione, le nostre manifestazioni di esteriorità, il desiderio continuo di cambiamento, di evasione, di fuga, di velocità.
Abbiamo paura degli altri e di tutto: delle persone, dell'opinione altrui, delle responsabilità, dei rischi, della povertà, del dolore, della malattia, del futuro, della vita, della morte... Spesso la nostra paura è accresciuta da quella degli altri, così come può contribuire ad aumentare quella di coloro che ci stanno accanto. La maggior parte delle nostre fragilità e dei nostri errori è generata dalla paura.
La paura è una fonte inquinata a cui il maligno ci spinge a bere, è la radice di tutto ciò che è malvagio. È un incendio bruciante di suggestioni che conducono al male: infatti la paura del pericolo fa nascere il pericolo, la paura delle complicazioni crea complicazioni, la paura delle malattie genera sovente le malattie. Ci sono persone che non riescono a nascondere la loro paura. È umiliante per loro, ma, in un certo senso, riescono a poco a poco a liberarsene. Altre persone, invece, assai più accorte, sanno celarla con infiniti stratagemmi, ma il veleno della paura, ricacciato nell'intimo, devasta l'inconscio, pregiudica la lucidità della mente e indebolisce il corpo. Ci sono, infine, coloro che sostengono di non avere mai paura. Accade sovente di osservare che meno una persona è solida psicologicamente, più essa sente il bisogno di affermarsi, di mascherare la paura, non fosse altro che per convincere se stessa del senso della propria esistenza e del proprio valore. Queste diverse reazioni non cancellano la paura. Infatti nessun uomo sfugge ad essa. Le paure più acute sono le più difficili da vincere. Ma nella misura in cui si impara a vincere la paura si diventa capaci di dominare se stessi e il mondo. La paura ha radici lontane; ha origine nel peccato originale, che ha ferito il nostro spirito e la nostra volontà. Nel giardino di Eden la conseguenza immediata del peccato fu la paura (18). E all'origine del primo peccato c'è il dubbio e la mancanza di fede. Gli Angeli per primi furono invitati a credere all'Amore di Dio. Satana dubitò di questo Amore, non si fidò. Si è lasciato imprigionare ed annientare dal dubbio e l'unica forza che poi gli è rimasta è quella della vendetta: trascinare l'uomo, creato a immagine di Dio e di cui egli è profondamente geloso, nella sua stessa rovina. Prima di tentare Eva il maligno ha insinuato in lei il dubbio (19).
Lo spirito del male, che aveva rotto la relazione di fedeltà e di verità con Dio, privato di quell’Amore che è la Vita stessa di Dio, è diventato seminatore di menzogna. La sua menzogna più grande fu ed è di far credere all'uomo che Dio è un essere superbo, geloso del suo potere, interessato: un padrone severo che raccoglie anche dove non ha semi nato (20).
L'uomo, in preda al sospetto, si è insuperbito ed è stato assalito dal desiderio di diventare come il suo Creatore. Questa superbia e questo sospetto hanno ferito profondamente il cuore di Dio. Le conseguenze immediate del peccato furono la vergogna e la paura. La vergogna per la nudità nacque dall'improvvisa consapevolezza della propria infinita piccolezza di fronte all'Onnipotenza di Dio. La paura derivò dal dubbio di essere di fronte ad una potenza vendicativa incapace di misericordia e di perdono. Bisognerà attendere la Rivelazione di Gesù per comprendere la Sapienza e la Potenza dell'Amore. Ma finché l'uomo non saprà accogliere in sé la misericordia, non farà altro che fuggire allo sguardo di Dio, come hanno fatto Adamo ed Eva. Rivendicando la sua autonomia l'essere umano ha perso la sua libertà. Nella dipendenza da Dio l'uomo partecipava al dominio sul mondo materiale. Svincolandosi da Dio si trovò a misurarsi con i propri limiti. Il passaggio dalla luce alle tenebre fu improvviso. Fino al compimento del Regno l'uomo continuerà a procedere a tentoni cercando la strada smarrita. Quando la paura assale l'uomo, l'anima ha come un sussulto. La paura non abita il nostro io profondo, ma resta in superficie, contagiando la superficie della nostra persona, quella parte di noi abituata ad indossare le maschere e forse la più disorientata dal peccato originale. Come si realizzerà allora il disegno di Salvezza? Solo a condizione che crediamo nell’ Amore di Dio per noi e ci apriamo a questo dono che è l'Amore stesso del Figlio per il Padre. Per riportarci a casa, per ricongiungerci a sé e per vincere la nostra paura Dio ha scelto di farsi bambino. Chi ha paura di un bambino?
Nel mistero dell'Incarnazione, Cristo si è immerso nei dubbi e nelle paure dell' umanità fino alla notte del Getsemani. A differenza di Adamo non si è nascosto da Dio quando ha avuto paura, ma si è rivolto a lui con fiducia filiale. Gesù ha voluto avere paura per noi. Ha desiderato sperimentare l'angoscia, perché fossimo liberati da essa. Poiché la nostra paura è conseguenza del peccato originale, Gesù, sconfiggendo il peccato e la morte, ha sconfitto anche la paura. La fede sarà, dunque, lasciarci portare da Gesù ad occhi chiusi, senza più alcun timore. Lo sforzo principale della nostra vita sarà purificarci dal dubbio e dalla paura, per giungere alla pienezza della fede. Ciascuno di noi conosce il proprio peccato e deve averne orrore. Tuttavia, se in questa vita avremo saputo fidarci di Dio, nell'ultimo giorno guardando il volto del Signore lo vedremo così come egli è: pienezza d'Amore. L'unica domanda che ci farà il Padre sarà: “Figlio mio, perché hai dubitato?". Se riusciremo a dire: "Tu sei l'Amore”, egli ci dirà: “Entra nella gioia del Regno”.Santa Teresa di Lisieux ci insegna questa cieca fiducia quasi gridata nella notte della fede, nella sofferenza e nell'aridità dell'anima. In un biglietto dalla calligrafia stentata scritto il 3 agosto 1897, poco prima di morire, leggiamo: “Mio Dio, come sei dolce ... non temo alcun male perché tu sei con me... Il Buon Dio non mi abbandonerà. Non mi ha mai abbandonata” (21).
Dubitare di Dio e “avere paura" di Lui significa volgere lo sguardo lontano dal suo sorriso di Luce e di Misericordia. Alla sera della vita, avremo “il cuore affranto e umiliato ” (22) per non aver saputo amare abbastanza, ma pur con il fardello di tutta la nostra impotenza non porremo alcun limite alla potenza dell'Amore misericordioso, pronto ad accoglierci e a salvarci. Tutto il nostro essere si protende in una tragica e affannosa ricerca di sicurezza. Ma dove cercare questa sicurezza? Nello sviluppo delle scienze, nel progresso, nel perfezionamento continuo della tecnica, poiché è l'unica realtà affidabile ed efficace? Certo la fiducia calma e serena dei cristiani nella Parola di Dio appare ingenua. Bisogna davvero essere un po' pazzi per lasciarsi condurre dal soffio dello Spi rito di Cristo.
Molti cristiani, forse anche sinceramente cre denti, non credono quasi più all'efficacia della preghiera e la confinano in un angolo oscuro della loro anima riservato allo “spirituale”. Eppure la preghiera ha una forza dirompente. "Chi invocherà il nome del Signore sarà salvo” (23). Nel Nome di Cristo il Padre si fa immediatamente presente. È la densità di questa presenza che fa paura. Dio infatti non è puro spirito, ma si è incarnato totalmente nel Figlio, non si è risparmiato, non ha considerato la sua divinità un tesoro prezioso da salvaguardare o da conservare (24), si è fatto tutto a tutti. Il Figlio vive totalmente nel Padre e il Padre vive totalmente nel Figlio (25). Ed è questo che ci terrorizza. La mano tesa di Dio ci invita a seguirlo, eppure noi esitiamo ad afferrarla per or gogliosa superbia: “Posso farcela da solo”. Ecco il paradosso: l'amore gratuito di Dio e la paura del l'uomo. L' umanità resta sgomenta non tanto di fronte al Dio Potente e Sapiente, quanto di fronte al Dio che si manifesta nella debolezza della più disinteressata gratuità. La nostra epoca ha trovato molti rimedi temporanei alla paura: il consumismo sfrenato, l'erotismo, la droga, la velocità, l'agitazione, l'iperattività. Questi rimedi non sono che palliativi e allentano solo parzialmente la morsa della paura e dell'ansia, rischiando di gettare l'uomo in una angoscia ancora più violenta. Cristo è risuscitato. È il più grande scacco alla paura. Cristo è tra noi, Lo incontriamo ogni giorno. Eppure, ogni giorno, le nostre futili paure lo inchiodano di nuovo alla Croce. Se invocheremo con fiducia il nome di Gesù, saremo inondati dal suo perdono e raggiungeremo davvero la sorgente della pace. Perché, dunque, continuare ad avere paura?

(1) Kirk Kilgour, era un eccellente sportivo di origine americana, Campione d'Italia con la squadra romana dell'Ariccia: una brillante carriera spezzata da un tragico incidente che av venne nel 1976. Durante alcuni esercizi di riscaldamento cadde, provocandosi la lussazione di una vertebra cervicale con conseguente totale paralisi degli arti. Ma lui non si è mai arreso: 26 anni su una sedia a rotelle, dimostrando forza, volontà e coraggio tali, da fare invidia ad un campione in piena attività. E come nello sport, in cui la sconfitta fa parte del gioco, egli ha vissuto la "sconfitta” dell'infortunio in positivo, traendone spunto e coraggio agonistico per lottare ancora e tornare a vincere. Nel 2000 in Piazza S. Pietro durante il Giubileo degli ammalati recitò la sua preghiera alla presenza di Sua Santità Giovanni Paolo II. E il 12 luglio 2002, dopo tanti anni di lotta, il suo cuore si è fermato ... ma in noi resta vivo il suo ricordo. La Preghiera che ci ha lasciato rivela la straordinaria ricchezza interiore di un uomo che ha saputo sempre affrontare la vita con serenità e con autentico spirito sportivo.
(2) Cfr. Ef 6, 10-17.
(3) Cfr. Ap 5, 1.
(4) Cfr. 2Cor 12, 9.
(5) Cfr. Fil 4, 13.
(6) Cfr. Sl 26, 1.
(7) Cfr. Eb 12, 4.
(8) Cfr. Mc 10, 20.
(9) Cfr. 2Sam 7, 5ss.
(10) Cfr. Gn 28, 16.
(11) Cfr. Gv 20,
(12) Cfr. Mc 10, 27.
(13) Cfr. 1Cor 15, 26.
(14) Cfr. Ef 1, 4.
(15) Cfr. Gv 15, 12-14: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando ” .
(16) Cfr. Rm 8, 15.
(17) Cfr. Ef 1,5.
(18) Cfr. Gn 3, 10: “Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto ”
(19) Cfr. Gn 3, 4.
(20) Cfr. Mt 25, 24, in cui il servitore pigro accusa il padrone.
(21) Cfr. Teresa di Lisieux, Novissima Verba.
(22) Cfr. Sl 50, 19. 121
(23) Cfr. At 2, 21.
(24) Cfr. Fil 2, 6.
(25) Cfr. Gv 10, 30: “Io e il Padre siamo una cosa sola”.

Tratto dal libro:  “Abbandonarsi a Dio: il segreto della pace del cuore “ di don Pierluigi Chiodaroli – Foyer-Salera, Maggio 2008

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