martedì 16 aprile 2019

Giuda, presente all'Istituzione eucaristica, non tradì per destino ma per sua libera volontà...




Chiamando beati gli Apostoli se avessero seguito il suo esempio nella missione che loro assegnava, Gesù si commosse profondamente. Egli vedeva che uno di essi non solo non lo seguiva in quel ragionamento, ma si urtava internamente e contrastava con Lui, pur non manifestandosi apertamente. Perciò soggiunse: Io non parlo di tutti voi.
Poi si fermò un momento e pensò che Egli stesso aveva scelto l'Apostolo traditore, Egli stesso aveva chiamato nella santa compagnia colui che doveva essere un demonio e se ne accorò, per ché questo poteva essere di tenebre per tutti gli altri. Perciò, per diradare questa caligine di oscurità, disse: “Conosco quelli che ho eletto, cioè sapevo bene, nello scegliere Giuda, che sarebbe stato traditore, ma l'ho scelto lo stesso per utilizzare la sua perversità nel compimento del disegno di Dio".
Nel salmo 40,10, sotto la figura di Achitofel, traditore di Davide, era predetto il traditore del Messia che, mangiando il pane con lui, cioè vivendo in sua compagnia e precisamente mangiando con Lui nella Cena stessa dell'amore, avrebbe alzato il calcagno contro di lui, mostrandosi suo nemico e cercandolo a morte. Ora, questa profezia preannunciava il futuro, non lo determinava, qua si rendendo necessaria o fatale la colpa di Giuda, e annunciava anche uno dei tratti del disegno divino nella Passione del Redentore, conseguenti la perversità del traditore.
Gesù non scelse Giuda perché fosse un traditore ma perché fosse Apostolo,e certamente, scegliendolo, volle migliorarlo. Sapeva, per divina prescienza, che sarebbe stato traditore e che questo sarebbe stato utilizzato da Dio per il compimento del suo disegno, e lo elesse col Cuore angosciato, in perfetta obbedienza al Padre.
Nella Passione, sintesi di tutti i dolori e raccolta di tutte le umane iniquità che sarebbero state addossate al Redentore, non poteva mancare la rappresentanza del traditore.
Come un pittore che raccoglie un bastoncino di carbonella

Dio non annunciò il Traditore per predeterminare uno ad esserlo, ma per dire quello che sarebbe avvenuto in una libera volontà umana, ingrata alla sua grazia, e che Egli avrebbe utilizzato, come un pittore che raccoglie un bastoncino di carbonella da un camino, residuo sporco della combustione delle legna, per tracciare nel suo quadro la linea oscura che gli serve nell’armonia delle ombre del suo disegno (82)
Era predetto un traditore, non quel traditore; ci voleva la rappresentanza del tradimento, e Dio la voleva, ma non voleva che un uomo, e tanto meno che quell'uomo, fosse stato traditore.
Gesù Cristo, nello scegliere Giuda, non solo non gli tolse la libertà del bene perché fosse il traditore predetto, ma lo colmò di grazie e di misericordie specialissime perché non lo fosse. Egli, però, sapeva che lo sarebbe stato e lo scelse perché si fosse compiuto il disegno divino preannunciato dalla profezia.
Se non l'avesse scelto, Giuda sarebbe stato certamente peggiore di quello che fu e forse sarebbe stato tra i più feroci carnefici del Redentore. È assurdo pensare che la compagnia del Signore l'avesse peggiorato, poiché le grazie, anche mal ricevute, e gli esempi santi attenuano sempre l'empietà dei perversi. Si può dire anche che Gesù, per estrema carità verso gli uomini, preferì che il Traditore fosse uno dei suoi cari e raccolse Egli quest'ignominiosa creatura per non lasciarne ad altri l'obbrobrio. Non volle lasciare a nessuna categoria umana il tristissimo ricordo di aver avuto un traditore come Giuda, il più ripugnante dei suoi persecutori.
I sacerdoti, gli scribi, i farisei agirono da perversi, ma tentava no di illudersi che lo facessero per amore della Legge e del popolo; i crocifissori stessi apparivano come esecutori di ordini legali; solo Giuda tradì per suo tornaconto e per vile moneta Colui che lo aveva amato e beneficato, e che lo aveva accolto fra le persone a Lui più care. Ad ogni modo, quello che è certissimo è che Giuda non tradì per destino, ma per sua libera volontà, istigato da satana, e che la profezia che lo preannunciò predisse, ma non predeterminò, il fatto. Gesù poi, prevedendo che Giuda, proprio Giuda, l'avrebbe tradito, lo scelse, utilizzando quella perfida volontà per il compimento del disegno divino e per mostrare con i fatti che tutto ciò che era stato predetto del Messia si avverava in Lui.
Egli, inoltre, preannunciò agli Apostoli il tradimento prima che si avverasse, quasi fosse stato una fatalità, per coprire col manto della sua bontà il povero Giuda e non renderlo estremamente odioso ai compagni. Preferì che avessero pensato che così doveva avvenire perché così era stato predette anzichè pensassero, adirati, che il per fido Giuda l'avesse tradito per pura sua malignità e per ostacolare il compimento del piano di Dio, compromettendo per sempre l'avvento del suo regno. La sua infinita carità giunse a questo eccesso di delicatezza verso quel tristo e scellerato suo Apostolo!(83)
Gesù guardava con immenso dolore ai discendenti di Giuda: ai sacerdoti che avrebbero tradito la loro sacra missione
Dopo avere accennato alla profezia del tradimento, citando a senso le parole del salmo 40, Gesù soggiunse alcune parole che, nel contesto, sono oscure e misteriose: In verità, in verità vi dico: Chi riceve colui che io manderò riceve me stesso, e chi riceve me riceve colui che mi ha mandato.
I Padri si sforzano in vario modo di trovare il nesso di queste parole con quelle precedenti, e alcuni le riferiscono alla lavanda dei piedi, spiegandole così: “Chi lava i piedi a quelli che lo mando non si avvilisce, ma presta omaggio a Colui che ha mandato me”. Non sembra, però, dal contesto, che possano riferirsi alla lavanda dei piedi, ma piuttosto alla profezia del tradimento: Gesù tentò di insinuare nell'animo degli Apostoli la carità verso il medesimo Giuda, come si è detto, e per meglio tutelarlo contro l'ira dei compagni volle far riflettere che, quantunque traditore, era sempre uno di quelli che aveva mandato e che aveva rivestito del carattere sacerdotale.
Non dovevano, dunque, irrompere contro di lui quando si sarebbe avverato ciò che loro prediceva, considerandolo sempre come uno dei suoi. È questa la spiegazione che più dipende dal contesto. Gesù, poi, parlando del tradimento, guardava tutti i ministri infedeli della sua Chiesa che, mangiando alla sua mensa eucaristica, avrebbero alzato il calcagno contro di lui, tradendo le anime, discreditando la loro missione e insozzando la loro dignità, e raccomandò a tutti i suoi fedeli di non irrompere contro di loro per la loro condotta privata, considerandoli sempre come suoi ministri e come inviati da Dio. Egli voleva dire: "Non sarà uno solo quegli che mangiando il pane con me alzerà il calcagno contro di me, e ve lo dico prima, perché quando ciò si avvererà vi ricordiate che sono io, che sono solo Io che guido e salvo le anime. Voi, allora, perciò considerate che chi riceve colui che io manderò, perché rivestito del mio carattere, riceve me stesso, e chi riceve me, riceve Colui che mi ha mandato".
In verità, in verità vi dico che uno di voi mi tradirà
Dopo queste considerazioni generali sul tradimento che Egli doveva soffrire, Gesù volse il Cuore particolarmente a Giuda come suo Discepolo, amato da Lui di amore misericordioso, e si commosse profondamente perché ne fu sommamente addolorato. Giuda, pur avendo già pattuito il tradimento, se ne stava impassibile e non mostrava di preoccuparsi di ciò che Gesù aveva detto sul traditore. Credeva così di dissimulare il suo delitto e ne soffocava il rimorso per non smascherarsi con un turbamento esterno; per questo, Gesù, cercando di scuoterlo, protestò solennemente e con accento accoratissimo, dicendo: In verità, in verità vi dico che uno di voi mi tradirà.
Gli Apostoli, ancora tardi nel capire, non avevano riflettuto che Gesù, parlando del traditore, alludesse ad uno di loro; perciò la sua esplicita dichiarazione fu per essi come un colpo di folgore, e si guardavano l'un l'altro esterrefatti, interrogando poi Gesù, ciascuno per suo conto, per conoscere chi fosse (cf. Mt 26,22; Mc 14,19). Giuda stesso, come nota san Matteo, per non svelarsi, interrogò Gesù se fosse proprio lui a tradirlo (cf. Mt 26,25) e Gesù glielo fece comprendere senza farne accorgere gli altri. Pietro, nel suo immenso amore per Gesù, era il più costernato di tutti, non perché temesse di essere lui, credendosi anzi troppo sicuro della sua fedeltà, ma perché voleva prendere misure contro il traditore; fece perciò cenno a Giovanni di domandargli chi fosse.
I convitati stavano a mensa distesi sui divani che fiancheggia vano la tavola e, appoggiandosi con la sinistra sui cuscini, mangia vano con la destra. Giovanni stava adagiato sui cuscini a destra di Gesù, e aveva poggiato il capo con facilità sul petto di Lui durante l'Istituzione eucaristica che precedette la dichiarazione che Gesù fece del traditore. Al cenno di Pietro, quindi, gli fu facile domandare sommessamente al Signore chi l'avrebbe tradito. Gesù a lui non lo nascose, perché sapeva che aveva maggiore carità di tutti, e gli disse che era colui al quale avrebbe dato del pane intinto. Chi presiedeva un banchetto soleva dare agli ospiti un pezzo di pane intinto o un pezzo di carne, per testimoniare loro il suo amore; Gesù scelse questo segno per indicare a Giovanni il traditore, sia perché era il più adatto a non farne accorgere gli altri sia per dare a Giuda un'ultima testimonianza d'amore per conquistarlo.
Giuda, sconvolto com'era della stessa Istituzione eucaristica, che a lui dovette sembrare una stoltezza, in peccato mortale sia per lo stato della sua coscienza sia per l'indegna partecipazione al divino Mistero d'amore, pieno di avversione e di odio, ricevette quel segno d'amore con un atto di disprezzo e, credendo forse che fosse ancora un pezzo di quel pane che Gesù aveva detto suo Corpo, rinnovò il suo disprezzo per l'Eucaristia.
Il suo odio per Gesù si accese più forte e, nel terribile turba mento nervoso che ne seguì, satana lo avvinghiò più fortemente e lo possedé. Non fu un ossesso e rimase nel pieno possesso della ragione e della volontà, ma si diede interamente al diavolo e ne fu dominato. Si alzò di scatto per andare via e consumare il suo tradimento. Era torvo, accigliato, contraffatto, e quel suo gesto improvviso non sarebbe potuto passare inosservato agli altri Apostoli. Gesù, con immensa carità, prevenne la riflessione degli altri sul gesto di Giuda e, quasi che egli si muovesse ed uscisse per compiere un affare o una commissione, gli disse: Ciò che fai fallo presto.
Dicendo questo, non si servì di una finzione, perché, in realtà, Giuda usciva per compiere il suo tradimento, e Gesù, dato che vi si era già deciso, aveva quasi fretta, nel suo amore infinito, d'immolarsi, come appare chiaro dalle parole enfatiche che disse all'uscita di Giuda. Egli, inoltre, volle mostrare al Traditore che senza il suo permesso non avrebbe potuto consumare il delitto, e dicendogli: Ciò che fai fallo presto, gli disse indirettamente che era Lui stesso che gli permetteva di agire in quel modo. Da forte divino qual era, poi, mentre Giuda, nel suo odio, credeva di sopraffarlo, Egli mostrava di non temere il pericolo, anzi, di desiderarlo per i fini del suo amore. Forse, stando a ciò che dice Origene, Gesù si rivolse anche a satana che era entrato in Giuda e, poiché era proprio satana che spingeva l’Apostolo ingrato al tradimento, per provocare la catastrofe, Gesù, quasi forte che non teme l'avversario perché sa di vincerlo e lo provoca per dimostrargli la propria potenza, disse a satana che avesse pur dato corso alle sue macchinazioni, poiché Egli lo permetteva e gli avrebbe subito mostrato la sua potenza. Ad ogni modo, gli Apostoli non capirono perché Gesù avesse parlato così a Giuda e, poiché questi aveva in custodia la borsa del denaro, credettero o che dovesse compra re qualcosa per la festa o che dovesse dare qualche elemosina ai poveri. Giuda uscì subito dopo aver preso il boccone, e Pietro non ebbe neppure il tempo di capire da Giovanni ciò che gli aveva detto Gesù. Forse Gesù stesso lo impedì per infinita carità e, se disse a Giuda di uscir presto, lo fece anche per metterlo al sicuro dalla reazione degli Apostoli, che si sarebbero facilmente accorti del suo sconvolgimento ed avrebbero fatto irruzione contro di lui. L'esultanza dell'amore di Gesù per il suo sacrificio imminente
Giuda uscì dal cenacolo, ed era notte, dice il Sacro Testo; notte naturale nel luogo e notte nell'anima del traditore, figlio delle tenebre che usciva per andare incontro all'abisso e alla notte eterna della perdizione.
Era invece luce fulgente nell'anima di Gesù, erano splendori di fiamma nel suo ardentissimo Cuore, ed Egli, vedendo che stava per compiersi il suo desiderio ardente d'immolarsi per la gloria di Dio e per la salvezza di tutti, esclamò: Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui anche Dio lo glorificherà in se stesso, e lo glorificherà presto. Psicologicamente, se così si può dire trattandosi di Gesù, nella sua Umanità Egli ebbe un tale schianto per la partenza di Giuda che per non venir meno ebbe bisogno di volgersi ai grandi fini della redenzione. Dal contesto si rileva che il suo Cuore era somma mente intenerito, chiamando i suoi Apostoli figliolini miei; ora, la tenerezza paterna, anzi diremmo materna, gli fece sentire nel Cuore uno strappo angoscioso per Giuda e, quasi per dominarsi e non apparirne vinto, per non contristare i suoi Apostoli e per dare al suo Cuore che scoppiava d'angoscia uno sfogo d'amore, Egli considerò la gloria che avrebbe avuto Lui stesso morendo e che sarebbe ridondata nel Padre col suo sacrificio. Nell'enfasi del suo amore, guardò al futuro come ad un fatto già avvenuto, e usò il tempo presente nelle sue parole: Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Egli, in realtà, si era già offerto eucaristicamente e la sua santissima Umanità era stata glorificata sommamente in quel mistero d'amore, diventando Cibo di vita. Il Corpo e il Sangue, allora ancora mortali, erano diventati Cibo e Bevanda di vita immortale ed eterna per tutti gli uomini in tutti i secoli. Non c'era un'incorruttibilità più grande, un'elevazione più sublime e un regno più universale, come non c'era una glorificazione più grande di Dio in un sacrificio che era identico a quello del Calvario, ma non era consumato dall'irruzione dell'empietà e dalla scelleratezza dei carnefici, ben sì dall’amore più grande che potesse elevarsi dinanzi a Dio e dalla fiamma più ardente di carità.
Nell'impeto del suo amore, Gesù soggiunse: Se Dio è stato glorificato in lui cioè nel Figlio dell'uomo, anche Dio lo glorificherà in se stesso,e lo glorificherà presto. L'offerta che Gesù aveva fatto di se stesso al Padre e la sua Volontà d'immolarsi era già una glorificazione piena di Dio; l'imminente sacrificio del Golgota, in realtà, non ne era che la consumazione. La vittima per onora re Dio doveva essere consumata, perché un agnello non poteva offrirsi con la volontà, ma la Vittima divina era già offerta nell'atto della sua Volontà, e Dio, anche prima del sacrificio del Calvario, ne era stato glorificato. Ora, come Gesù aveva glorificato il Padre e come avrebbe consumato questa sua glorificazione sulla Croce, così il Padre l'avrebbe glorificato in se stesso elevandolo alla sua destra, cioè nello splendore della divina gloria e facendolo Re di tutto l'universo. Questa glorificazione sarebbe avvenuta presto nell’Ascensione al Cielo e nella dilatazione della Chiesa, e sarebbe avvenuta anche sul Calvario, attraverso i grandi prodigi che avrebbero accompagnato la sua morte. Agli occhi degli uomini, infatti, la Croce fu un obbrobrio, ma agli occhi di Dio fu una grande glorificazione, perché sotto l'umiliazione tremenda e gli spasimi atroci rifulgeva la potenza di Gesù Cristo, vittorioso del peccato e di satana, splendeva la sua sapienza infinita e ardeva il suo amore. La stessa dolorosissima immolazione era come una fiamma di santità e un profumo di preghiera che mai da nessuna creatura s'erano elevati a Dio, poi ché erano carità e preghiera divina. Il Signore, dando alla morte il suo Figlio, il suo Verbo Incarnato, lo glorificava nello splendo re di quella medesima umanità torturata, che attraverso i dolori dava i frutti più belli e più grandi ed era come vita lussureggiante di grappoli maturi e come campo ripieno di messe.
La gloria della croce
É proprio quello che avviene in piccolo nelle anime immolate, vilipese, calunniate e colme di dolori anche nel loro corpo. Il dolore e la croce sono gloria incomparabile quando diventano un'offerta dell'amore; attraverso il dolore rifulge tutta la bellezza dell'anima e splende mirabilmente la grazia che l'adorna.
Mai l'anima, su questa terra, è così glorificata dinanzi a Dio come quando agonizza, è disprezzata dal mondo, è ridotta come un verme dinanzi ai superbi, è considerata come stravagante ed è crocifissa dal dolore. Allora è tutta luce, tutta sapienza, tutta amore e, elevata negli splendori della grazia, forma la compiacenza di Dio. Il mondo questo non lo capisce e giunge a credere che Dio si diletti di veder soffrire, mentre Dio si diletta solo di glorificare la sua creatura, preparandole, poi, una più grande glorificazione in se stesso, nella felicità eterna. Il Signore, in questo campo d'amore sconosciuto alla carne e al sangue, non può curarsi degli apprezzamenti della carne e del sangue, come non si cura della critica di uno stolto che pone le pietre nel crogiuolo per trarne l'oro, liberandole dal terriccio che l'offusca. Per questo, non c'è atto più sapiente, in questa vita di prove affannose e molto più nella vita di elevazioni mistiche, quanto quello di unirsi alla divina Volontà e accettare il dolore con gioia, in unio ne dell'esultanza del Redentore che, tradito da Giuda, nella certezza dell'imminente Passione, non vide che la glorificazione di Dio e la gloria che sarebbe ridondata alla sua stessa umanità, secondo quello che dice san Paolo: Proposito sibi gaudio sustinuit cruce (Eb 12,2).
Il comandamento nuovo
Gesù Cristo, parlando della glorificazione di Dio, sapeva di parlare della morte alla quale andava incontro e s'intenerì immensamente per i suoi Apostoli che sapeva di dover lasciare dopo poco tempo. Perciò disse con grande amore, compiangendoli: Figliolini, per poco tempo ancora sono con voi. Voi mi cercherete, ma, come dissi ai Giudei, dove vado io voi non potete venire, anche a voi lo dico adesso.
Egli aveva, però, promesso un'altra volta di dimorare fra quelli che sarebbero stati congregati nel suo Nome, e diede loro il gran de segreto per averlo ancora fra loro e per sentire meno il dolore della sua assenza fisica, dicendo: Vi do un nuovo comandamento: che vi amiate l'un l'altro, che vi amiate anche voi l'un l'altro come io vi ho amati. Da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore l'uno per l'altro. La carità scambievole lo avrebbe conservato in mezzo a loro anche quando non avrebbero potuto averlo sacramentalmente, e avrebbe conservato in loro l'unione e l'armonia per poter sentire meno la pena del suo distacco. Essi dovevano amarsi come Egli li aveva amati, senza interesse e immolandosi gli uni per gli altri; dovevano avere l'amore reciproco come caratteristica particolare d'esser suoi seguaci e risplendere nella carità in mezzo al mondo che dovevano evangelizzare.
A Pietro, che confidava solo nelle sue forze e non faceva assegnamento sulla grazia di Dio, Gesù predice il rinnegamento
Gesù parlava dell'amore scambievole, e Pietro era tutto con centrato nelle parole che il Maestro divino aveva detto: Dove io vado voi non potete venire. Al suo amore era troppo penosa quella espressione che equivaleva all'annuncio di un distacco, e perciò gli domandò: Dove vai tu? Gesù gli rispose: Dove io vado tu non puoi seguirmi adesso; mi seguirai però in seguito. Pietro capì che alludesse ad un pericolo imminente, ma non capì che Gesù, dicendo gli che l'avrebbe seguito più tardi, gli prediceva la stessa sua morte di croce. Al suo cuore ardente ripugnava immensamente staccarsi dal Maestro amatissimo e al coraggio di cui si credeva capace ripugnava lasciarlo solo; perciò soggiunse con sicurezza: Perché non posso seguirti adesso? Darò la mia vita per te. Egli voleva difenderlo ad ogni costo, anche se questo avesse dovuto costargli la vita, ma si fondava sulle sue forze e non pensava di far assegnamento sulla grazia di Dio; era debole e non se ne accorgeva. Per questo, Gesù gli soggiunse con pena: Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, cioè non spunterà l'aurora del nuovo giorno, quando il gallo canta, che tu mi avrai rinnegato tre volte. Pietro non si persuase delle parole del Maestro, gli sembrarono un assurdo, e rimase nella convinzione che sarebbe stato capace di dare per Lui la vita, ma dolorosamente dovette convincersi, in quella medesima notte, di quanto erano vani il suo proposito e il suo coraggio senza la grazia di Dio. Diffidiamo anche noi di noi stessi e pensiamo alla vanità dei nostri propositi.
Quante volte risolviamo di non peccare e ci sembra che la nostra risoluzione sia ferma, e poi, alla più piccola occasione, cadiamo miseramente! Quante volte, pur sorretti dalla grazia di Dio, siamo noi a desiderare di cadere, seguendo la natura corrotta! Persuadiamoci che siamo come povero stelo di fieno che ad un soffio si curva, e ad una raffica si spezza. Ricordiamoci, poi, del nuovo comandamento di Gesù sulla carità e amiamoci come Gesù ci ha amati, compatendoci, aiutandoci e sacrificandoci gli uni per gli altri. Se la carità è il segno di riconoscimento sulla terra di noi cristiani, nel Cielo è la tessera, l'unica tessera che può introdurci nell'eterna gloria, dove tutto è armonia eterna di carità e di amore.
(82) È reso molto bene il valore della libertà umana, rispettata scrupolosamente da Dio, e nello stesso tempo si evidenzia l'infinita sapienza di Dio che sa utilizzare tutte le libere e volontarie azioni dei perversi per i suoi altissimi fini, cavando il bene dal male deliberatamente compiuto dai malvagi [nde]
(83) Nel Quinto evangelio di Pomilio viene sfruttato negativamente questo atteggiamento del Signore. La parte che recita Giuda, se drammaticamente
è molto efficace, pedagogicamente e dottrinalmente è sbagliata, perché presenta un Giuda quasi ineluttabilmente spinto a tradire il Signore perché «si adempissero le Scritture». Dal contesto evangelico risulta, invece, che l'espressione vuol dire solamente che il tradimento, come altri simili eventi, avveniva liberamente da parte di Giuda, secondo i preannunci fatti dalla Sacra Scrittura, la quale, profeticamente, descriveva quello che sarebbe avvenuto (perché Dio conosce perfettamente il passato, il presente
e il futuro), ma non creava alcun determinismo né psicologico né di altro genere per le singole azioni. Il gallo cantò secondo la sua natura di animale (cf. Gv 18,27; Mc 14,72; Mt 26,74); Giuda tradì secondo la sua libera scelta umana, al più influenzata solo dalla passione del denaro [nde].

Tratto da “I Quattro Vangeli – Commento al Vangelo secondo Giovanni – del Sac. Dolindo Ruotolo – da pag. 1993 a pag.2007

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