Chiamando beati gli Apostoli
se avessero seguito il suo esempio nella missione che loro assegnava,
Gesù si commosse profondamente. Egli vedeva che uno di essi non
solo non lo seguiva in quel ragionamento, ma si urtava internamente e
contrastava con Lui, pur non manifestandosi apertamente. Perciò
soggiunse: Io non parlo di tutti voi.
Poi si fermò un momento e
pensò che Egli stesso aveva scelto l'Apostolo traditore, Egli
stesso aveva chiamato nella santa compagnia colui che doveva essere
un demonio e se ne accorò, per ché questo poteva essere di
tenebre per tutti gli altri. Perciò, per diradare questa caligine
di oscurità, disse: “Conosco quelli che ho eletto, cioè sapevo
bene, nello scegliere Giuda, che sarebbe stato traditore, ma l'ho
scelto lo stesso per utilizzare la sua perversità nel compimento
del disegno di Dio".
Nel salmo 40,10, sotto la
figura di Achitofel, traditore di Davide, era predetto il traditore
del Messia che, mangiando il pane con lui, cioè vivendo in sua
compagnia e precisamente mangiando con Lui nella Cena stessa
dell'amore, avrebbe alzato il calcagno contro di lui, mostrandosi suo
nemico e cercandolo a morte. Ora, questa profezia preannunciava il
futuro, non lo determinava, qua si rendendo necessaria o fatale la
colpa di Giuda, e annunciava anche uno dei tratti del disegno divino
nella Passione del Redentore, conseguenti la perversità del
traditore.
Gesù non scelse Giuda
perché fosse un traditore ma perché fosse Apostolo,e certamente,
scegliendolo, volle migliorarlo. Sapeva, per divina prescienza, che
sarebbe stato traditore e che questo sarebbe stato utilizzato da Dio
per il compimento del suo disegno, e lo elesse col Cuore angosciato,
in perfetta obbedienza al Padre.
Nella Passione, sintesi di
tutti i dolori e raccolta di tutte le umane iniquità che sarebbero
state addossate al Redentore, non poteva mancare la rappresentanza
del traditore.
Come
un pittore che raccoglie un bastoncino di carbonella
Dio non annunciò il
Traditore per predeterminare uno ad esserlo, ma per dire quello che
sarebbe avvenuto in una libera volontà umana, ingrata alla sua
grazia, e che Egli avrebbe utilizzato, come un pittore che raccoglie
un bastoncino di carbonella da un camino, residuo sporco della
combustione delle legna, per tracciare nel suo quadro la linea oscura
che gli serve nell’armonia delle ombre del suo disegno (82)
Era predetto un traditore, non
quel traditore; ci voleva la rappresentanza del tradimento, e Dio la
voleva, ma non voleva che un uomo, e tanto meno che quell'uomo, fosse
stato traditore.
Gesù Cristo, nello scegliere
Giuda, non solo non gli tolse la libertà del bene perché fosse il
traditore predetto, ma lo colmò di grazie e di misericordie
specialissime perché non lo fosse. Egli, però, sapeva che lo
sarebbe stato e lo scelse perché si fosse compiuto il disegno
divino preannunciato dalla profezia.
Se non l'avesse scelto, Giuda
sarebbe stato certamente peggiore di quello che fu e forse sarebbe
stato tra i più feroci carnefici del Redentore. È assurdo pensare
che la compagnia del Signore l'avesse peggiorato, poiché le grazie,
anche mal ricevute, e gli esempi santi attenuano sempre l'empietà
dei perversi. Si può dire anche che Gesù, per estrema carità
verso gli uomini, preferì che il Traditore fosse uno dei suoi cari
e raccolse Egli quest'ignominiosa creatura per non lasciarne ad altri
l'obbrobrio. Non volle lasciare a nessuna categoria umana il
tristissimo ricordo di aver avuto un traditore come Giuda, il più
ripugnante dei suoi persecutori.
I sacerdoti, gli scribi, i
farisei agirono da perversi, ma tentava no di illudersi che lo
facessero per amore della Legge e del popolo; i crocifissori stessi
apparivano come esecutori di ordini legali; solo Giuda tradì per
suo tornaconto e per vile moneta Colui che lo aveva amato e
beneficato, e che lo aveva accolto fra le persone a Lui più care.
Ad ogni modo, quello che è certissimo è che Giuda non tradì per
destino, ma per sua libera volontà, istigato da satana, e che la
profezia che lo preannunciò predisse, ma non predeterminò, il
fatto. Gesù poi, prevedendo che Giuda, proprio Giuda, l'avrebbe
tradito, lo scelse, utilizzando quella perfida volontà per il
compimento del disegno divino e per mostrare con i fatti che tutto
ciò che era stato predetto del Messia si avverava in Lui.
Egli, inoltre, preannunciò
agli Apostoli il tradimento prima che si avverasse, quasi fosse stato
una fatalità, per coprire col manto della sua bontà il povero
Giuda e non renderlo estremamente odioso ai compagni. Preferì che
avessero pensato che così doveva avvenire perché così era stato
predette anzichè pensassero, adirati, che il per fido Giuda l'avesse
tradito per pura sua malignità e per ostacolare il compimento del
piano di Dio, compromettendo per sempre l'avvento del suo regno. La
sua infinita carità giunse a questo eccesso di delicatezza verso
quel tristo e scellerato suo Apostolo!(83)
Gesù
guardava con immenso dolore ai discendenti di Giuda: ai sacerdoti che
avrebbero tradito la loro sacra missione
Dopo avere accennato alla
profezia del tradimento, citando a senso le parole del salmo 40,
Gesù soggiunse alcune parole che, nel contesto, sono oscure e
misteriose: In verità, in verità vi dico: Chi riceve colui che io
manderò riceve me stesso, e chi riceve me riceve colui che mi ha
mandato.
I
Padri si sforzano in vario modo di trovare il nesso di queste parole
con quelle precedenti, e alcuni le riferiscono alla lavanda dei
piedi, spiegandole così: “Chi lava i piedi a quelli che lo mando
non si avvilisce, ma presta omaggio a Colui che ha mandato me”. Non
sembra, però, dal contesto, che possano riferirsi alla lavanda dei
piedi, ma piuttosto alla profezia del tradimento: Gesù tentò di
insinuare nell'animo degli Apostoli la carità verso il medesimo
Giuda, come si è detto, e per meglio tutelarlo contro l'ira dei
compagni volle far riflettere che, quantunque traditore, era sempre
uno di quelli che aveva mandato e che aveva rivestito del carattere
sacerdotale.
Non dovevano, dunque,
irrompere contro di lui quando si sarebbe avverato ciò che loro
prediceva, considerandolo sempre come uno dei suoi. È questa la
spiegazione che più dipende dal contesto. Gesù, poi, parlando del
tradimento, guardava tutti i ministri infedeli della sua Chiesa che,
mangiando alla sua mensa eucaristica, avrebbero alzato il calcagno
contro di lui, tradendo le anime, discreditando la loro missione e
insozzando la loro dignità, e raccomandò a tutti i suoi fedeli di
non irrompere contro di loro per la loro condotta privata,
considerandoli sempre come suoi ministri e come inviati da Dio. Egli
voleva dire: "Non sarà uno solo quegli che mangiando il pane
con me alzerà il calcagno contro di me, e ve lo dico prima, perché
quando ciò si avvererà vi ricordiate che sono io, che sono solo
Io che guido e salvo le anime. Voi, allora, perciò considerate che
chi riceve colui che io manderò, perché rivestito del mio
carattere, riceve me stesso, e chi riceve me, riceve Colui che mi ha
mandato".
In
verità, in verità vi dico che uno di voi mi tradirà
Dopo queste considerazioni
generali sul tradimento che Egli doveva soffrire, Gesù volse il
Cuore particolarmente a Giuda come suo Discepolo, amato da Lui di
amore misericordioso, e si commosse profondamente perché ne fu
sommamente addolorato. Giuda, pur avendo già pattuito il
tradimento, se ne stava impassibile e non mostrava di preoccuparsi di
ciò che Gesù aveva detto sul traditore. Credeva così di
dissimulare il suo delitto e ne soffocava il rimorso per non
smascherarsi con un turbamento esterno; per questo, Gesù, cercando
di scuoterlo, protestò solennemente e con accento accoratissimo,
dicendo: In verità, in verità vi dico che uno di voi mi tradirà.
Gli Apostoli, ancora tardi nel
capire, non avevano riflettuto che Gesù, parlando del traditore,
alludesse ad uno di loro; perciò la sua esplicita dichiarazione fu
per essi come un colpo di folgore, e si guardavano l'un l'altro
esterrefatti, interrogando poi Gesù, ciascuno per suo conto, per
conoscere chi fosse (cf. Mt 26,22; Mc 14,19). Giuda stesso, come nota
san Matteo, per non svelarsi, interrogò Gesù se fosse proprio lui
a tradirlo (cf. Mt 26,25) e Gesù glielo fece comprendere senza
farne accorgere gli altri. Pietro, nel suo immenso amore per Gesù,
era il più costernato di tutti, non perché temesse di essere lui,
credendosi anzi troppo sicuro della sua fedeltà, ma perché voleva
prendere misure contro il traditore; fece perciò cenno a Giovanni
di domandargli chi fosse.
I convitati stavano a mensa
distesi sui divani che fiancheggia vano la tavola e, appoggiandosi
con la sinistra sui cuscini, mangia vano con la destra. Giovanni
stava adagiato sui cuscini a destra di Gesù, e aveva poggiato il
capo con facilità sul petto di Lui durante l'Istituzione
eucaristica che precedette la dichiarazione che Gesù fece del
traditore. Al cenno di Pietro, quindi, gli fu facile domandare
sommessamente al Signore chi l'avrebbe tradito. Gesù a lui non lo
nascose, perché sapeva che aveva maggiore carità di tutti, e gli
disse che era colui al quale avrebbe dato del pane intinto. Chi
presiedeva un banchetto soleva dare agli ospiti un pezzo di pane
intinto o un pezzo di carne, per testimoniare loro il suo amore;
Gesù scelse questo segno per indicare a Giovanni il traditore, sia
perché era il più adatto a non farne accorgere gli altri sia per
dare a Giuda un'ultima testimonianza d'amore per conquistarlo.
Giuda, sconvolto com'era della
stessa Istituzione eucaristica, che a lui dovette sembrare una
stoltezza, in peccato mortale sia per lo stato della sua coscienza
sia per l'indegna partecipazione al divino Mistero d'amore, pieno di
avversione e di odio, ricevette quel segno d'amore con un atto di
disprezzo e, credendo forse che fosse ancora un pezzo di quel pane
che Gesù aveva detto suo Corpo, rinnovò il suo disprezzo per
l'Eucaristia.
Il suo odio per Gesù si
accese più forte e, nel terribile turba mento nervoso che ne
seguì, satana lo avvinghiò più fortemente e lo possedé. Non
fu un ossesso e rimase nel pieno possesso della ragione e della
volontà, ma si diede interamente al diavolo e ne fu dominato. Si
alzò di scatto per andare via e consumare il suo tradimento. Era
torvo, accigliato, contraffatto, e quel suo gesto improvviso non
sarebbe potuto passare inosservato agli altri Apostoli. Gesù, con
immensa carità, prevenne la riflessione degli altri sul gesto di
Giuda e, quasi che egli si muovesse ed uscisse per compiere un affare
o una commissione, gli disse: Ciò che fai fallo presto.
Dicendo questo, non si servì
di una finzione, perché, in realtà, Giuda usciva per compiere il
suo tradimento, e Gesù, dato che vi si era già deciso, aveva
quasi fretta, nel suo amore infinito, d'immolarsi, come appare chiaro
dalle parole enfatiche che disse all'uscita di Giuda. Egli, inoltre,
volle mostrare al Traditore che senza il suo permesso non avrebbe
potuto consumare il delitto, e dicendogli: Ciò che fai fallo
presto, gli disse indirettamente che era Lui stesso che gli
permetteva di agire in quel modo. Da forte divino qual
era, poi, mentre Giuda, nel suo odio, credeva di sopraffarlo, Egli
mostrava di non temere il pericolo, anzi, di desiderarlo per i fini
del suo amore. Forse, stando a ciò che dice Origene, Gesù si
rivolse anche a satana che era entrato in Giuda e, poiché era
proprio satana che spingeva l’Apostolo ingrato al tradimento, per
provocare la catastrofe, Gesù, quasi forte che non teme
l'avversario perché sa di vincerlo e lo provoca per dimostrargli la
propria potenza, disse a satana che avesse pur dato corso alle sue
macchinazioni, poiché Egli lo permetteva e gli avrebbe subito
mostrato la sua potenza. Ad ogni modo, gli Apostoli non capirono
perché Gesù avesse parlato così a Giuda e, poiché questi
aveva in custodia la borsa del denaro, credettero o che dovesse
compra re qualcosa per la festa o che dovesse dare qualche elemosina
ai poveri. Giuda uscì subito dopo aver preso il boccone, e Pietro
non ebbe neppure il tempo di capire da Giovanni ciò che gli aveva
detto Gesù. Forse Gesù stesso lo impedì per infinita carità
e, se disse a Giuda di uscir presto, lo fece anche per metterlo al
sicuro dalla reazione degli Apostoli, che si sarebbero facilmente
accorti del suo sconvolgimento ed avrebbero fatto irruzione contro di
lui. L'esultanza dell'amore di Gesù per il
suo sacrificio imminente
Giuda uscì dal cenacolo, ed
era notte, dice il Sacro Testo; notte naturale nel luogo e notte
nell'anima del traditore, figlio delle tenebre che usciva per andare
incontro all'abisso e alla notte eterna della perdizione.
Era invece luce fulgente
nell'anima di Gesù, erano splendori di fiamma nel suo ardentissimo
Cuore, ed Egli, vedendo che stava per compiersi il suo desiderio
ardente d'immolarsi per la gloria di Dio e per la salvezza di tutti,
esclamò: Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è
stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui anche
Dio lo glorificherà in se stesso, e lo glorificherà presto.
Psicologicamente, se così si può dire trattandosi di Gesù,
nella sua Umanità Egli ebbe un tale schianto per la partenza di
Giuda che per non venir meno ebbe bisogno di volgersi ai grandi fini
della redenzione. Dal contesto si rileva che il suo Cuore era somma
mente intenerito, chiamando i suoi Apostoli figliolini miei; ora, la
tenerezza paterna, anzi diremmo materna, gli fece sentire nel Cuore
uno strappo angoscioso per Giuda e, quasi per dominarsi e non
apparirne vinto, per non contristare i suoi Apostoli e per dare al
suo Cuore che scoppiava d'angoscia uno sfogo d'amore, Egli considerò
la gloria che avrebbe avuto Lui stesso morendo e che sarebbe
ridondata nel Padre col suo sacrificio. Nell'enfasi del suo
amore, guardò al futuro come ad un fatto già avvenuto, e usò il
tempo presente nelle sue parole: Ora il Figlio dell'uomo è stato
glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Egli, in realtà,
si era già offerto eucaristicamente e la sua santissima Umanità
era stata glorificata sommamente in quel mistero d'amore, diventando
Cibo di vita. Il Corpo e il Sangue, allora ancora mortali, erano
diventati Cibo e Bevanda di vita immortale ed eterna per tutti gli
uomini in tutti i secoli. Non c'era un'incorruttibilità più
grande, un'elevazione più sublime e un regno più universale, come
non c'era una glorificazione più grande di Dio in un sacrificio che
era identico a quello del Calvario, ma non era consumato
dall'irruzione dell'empietà e dalla scelleratezza dei carnefici,
ben sì dall’amore più grande che potesse elevarsi dinanzi a Dio
e dalla fiamma più ardente di carità.
Nell'impeto del suo amore,
Gesù soggiunse: Se Dio è stato glorificato in lui cioè nel
Figlio dell'uomo, anche Dio lo glorificherà in se stesso,e lo
glorificherà presto. L'offerta che Gesù aveva fatto di se stesso
al Padre e la sua Volontà d'immolarsi era già una glorificazione
piena di Dio; l'imminente sacrificio del Golgota, in realtà, non ne
era che la consumazione. La vittima per onora re Dio doveva essere
consumata, perché un agnello non poteva offrirsi con la volontà,
ma la Vittima divina era già offerta nell'atto della sua Volontà,
e Dio, anche prima del sacrificio del Calvario, ne era stato
glorificato. Ora, come Gesù aveva glorificato il Padre e come
avrebbe consumato questa sua glorificazione sulla Croce, così il
Padre l'avrebbe glorificato in se stesso elevandolo alla sua destra,
cioè nello splendore della divina gloria e facendolo Re di tutto
l'universo. Questa glorificazione sarebbe avvenuta presto
nell’Ascensione al Cielo e nella dilatazione della Chiesa, e
sarebbe avvenuta anche sul Calvario, attraverso i grandi prodigi che
avrebbero accompagnato la sua morte. Agli occhi degli uomini,
infatti, la Croce fu un obbrobrio, ma agli occhi di Dio fu una grande
glorificazione, perché sotto l'umiliazione tremenda e gli spasimi
atroci rifulgeva la potenza di Gesù Cristo, vittorioso del peccato
e di satana, splendeva la sua sapienza infinita e ardeva il suo
amore. La stessa dolorosissima immolazione era come una fiamma di
santità e un profumo di preghiera che mai da nessuna creatura
s'erano elevati a Dio, poi ché erano carità e preghiera divina.
Il Signore, dando alla morte il suo Figlio, il suo Verbo Incarnato,
lo glorificava nello splendo re di quella medesima umanità
torturata, che attraverso i dolori dava i frutti più belli e più
grandi ed era come vita lussureggiante di grappoli maturi e come
campo ripieno di messe.
La
gloria della croce
É proprio quello che avviene
in piccolo nelle anime immolate, vilipese, calunniate e colme di
dolori anche nel loro corpo. Il dolore e la croce sono gloria
incomparabile quando diventano un'offerta dell'amore; attraverso il
dolore rifulge tutta la bellezza dell'anima e splende mirabilmente la
grazia che l'adorna.
Mai l'anima, su questa terra,
è così glorificata dinanzi a Dio come quando agonizza, è
disprezzata dal mondo, è ridotta come un verme dinanzi ai superbi,
è considerata come stravagante ed è crocifissa dal dolore. Allora
è tutta luce, tutta sapienza, tutta amore e, elevata negli
splendori della grazia, forma la compiacenza di Dio. Il mondo questo
non lo capisce e giunge a credere che Dio si diletti di veder
soffrire, mentre Dio si diletta solo di glorificare la sua creatura,
preparandole, poi, una più grande glorificazione in se stesso,
nella felicità eterna. Il Signore, in questo campo d'amore
sconosciuto alla carne e al sangue, non può curarsi degli
apprezzamenti della carne e del sangue, come non si cura della
critica di uno stolto che pone le pietre nel crogiuolo per trarne
l'oro, liberandole dal terriccio che l'offusca. Per questo, non c'è
atto più sapiente, in questa vita di prove affannose e molto più
nella vita di elevazioni mistiche, quanto quello di unirsi alla
divina Volontà e accettare il dolore con gioia, in unio ne
dell'esultanza del Redentore che, tradito da Giuda, nella certezza
dell'imminente Passione, non vide che la glorificazione di Dio e la
gloria che sarebbe ridondata alla sua stessa umanità, secondo
quello che dice san Paolo: Proposito
sibi gaudio sustinuit cruce (Eb
12,2).
Il
comandamento nuovo
Gesù Cristo, parlando della
glorificazione di Dio, sapeva di parlare della morte alla quale
andava incontro e s'intenerì immensamente per i suoi Apostoli che
sapeva di dover lasciare dopo poco tempo. Perciò disse con grande
amore, compiangendoli: Figliolini, per poco tempo ancora sono con
voi. Voi mi cercherete, ma, come dissi ai Giudei, dove vado io voi
non potete venire, anche a voi lo dico adesso.
Egli aveva, però, promesso
un'altra volta di dimorare fra quelli che sarebbero stati congregati
nel suo Nome, e diede loro il gran de segreto per averlo ancora fra
loro e per sentire meno il dolore della sua assenza fisica, dicendo:
Vi do un nuovo comandamento: che vi amiate l'un l'altro, che vi
amiate anche voi l'un l'altro come io vi ho amati. Da questo tutti
conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore l'uno per
l'altro. La carità scambievole lo avrebbe conservato in mezzo a
loro anche quando non avrebbero potuto averlo sacramentalmente, e
avrebbe conservato in loro l'unione e l'armonia per poter sentire
meno la pena del suo distacco. Essi dovevano amarsi come Egli li
aveva amati, senza interesse e immolandosi gli uni per gli altri;
dovevano avere l'amore reciproco come caratteristica particolare
d'esser suoi seguaci e risplendere nella carità in mezzo al mondo
che dovevano evangelizzare.
A
Pietro, che confidava solo nelle sue forze e non faceva assegnamento
sulla grazia di Dio, Gesù predice il rinnegamento
Gesù parlava dell'amore
scambievole, e Pietro era tutto con centrato nelle parole che il
Maestro divino aveva detto: Dove io vado voi non potete venire. Al
suo amore era troppo penosa quella espressione che equivaleva
all'annuncio di un distacco, e perciò gli domandò: Dove vai tu?
Gesù gli rispose: Dove io vado tu non puoi seguirmi adesso; mi
seguirai però in seguito. Pietro capì che alludesse ad un
pericolo imminente, ma non capì che Gesù, dicendo gli che
l'avrebbe seguito più tardi, gli prediceva la stessa sua morte di
croce. Al suo cuore ardente ripugnava immensamente staccarsi dal
Maestro amatissimo e al coraggio di cui si credeva capace ripugnava
lasciarlo solo; perciò soggiunse con sicurezza: Perché non posso
seguirti adesso? Darò la mia vita per te. Egli voleva difenderlo ad
ogni costo, anche se questo avesse dovuto costargli la vita, ma si
fondava sulle sue forze e non pensava di far assegnamento sulla
grazia di Dio; era debole e non se ne accorgeva. Per questo, Gesù
gli soggiunse con pena: Darai la tua vita per me? In verità, in
verità ti dico: non canterà il gallo, cioè non spunterà
l'aurora del nuovo giorno, quando il gallo canta, che tu mi avrai
rinnegato tre volte. Pietro non si persuase delle parole del Maestro,
gli sembrarono un assurdo, e rimase nella convinzione che sarebbe
stato capace di dare per Lui la vita, ma dolorosamente dovette
convincersi, in quella medesima notte, di quanto erano vani il suo
proposito e il suo coraggio senza la grazia di Dio. Diffidiamo
anche noi di noi stessi e pensiamo alla vanità dei nostri
propositi.
Quante volte
risolviamo di non peccare e ci sembra che la nostra risoluzione sia
ferma, e poi, alla più piccola occasione, cadiamo miseramente!
Quante volte, pur sorretti dalla grazia di Dio, siamo noi a
desiderare di cadere, seguendo la natura corrotta!
Persuadiamoci che siamo come povero stelo di fieno che ad
un soffio si curva, e ad una raffica si spezza. Ricordiamoci,
poi, del nuovo comandamento di Gesù sulla carità e amiamoci come
Gesù ci ha amati, compatendoci, aiutandoci e sacrificandoci gli uni
per gli altri. Se la carità è il segno di riconoscimento sulla
terra di noi cristiani, nel Cielo è la tessera, l'unica tessera che
può introdurci nell'eterna gloria, dove tutto è armonia eterna di
carità e di amore.
(82)
È reso molto bene il valore della libertà umana, rispettata
scrupolosamente da Dio, e nello stesso tempo si evidenzia l'infinita
sapienza di Dio che sa utilizzare tutte le libere e volontarie azioni
dei perversi per i suoi altissimi fini, cavando il bene dal male
deliberatamente compiuto dai malvagi [nde]
(83)
Nel Quinto evangelio di Pomilio viene sfruttato negativamente questo
atteggiamento del Signore. La parte che recita Giuda, se
drammaticamente
è
molto efficace, pedagogicamente e dottrinalmente è sbagliata,
perché presenta un Giuda quasi ineluttabilmente spinto a tradire il
Signore perché «si adempissero le Scritture». Dal contesto
evangelico risulta, invece, che l'espressione vuol dire solamente che
il tradimento, come altri simili eventi, avveniva liberamente da
parte di Giuda, secondo i preannunci fatti dalla Sacra Scrittura, la
quale, profeticamente, descriveva quello che sarebbe avvenuto
(perché Dio conosce perfettamente il passato, il presente
e
il futuro), ma non creava alcun determinismo né psicologico né di
altro genere per le singole azioni. Il gallo cantò secondo la sua
natura di animale (cf. Gv 18,27; Mc 14,72; Mt 26,74); Giuda tradì
secondo la sua libera scelta umana, al più influenzata solo dalla
passione del denaro [nde].
Tratto
da “I Quattro Vangeli – Commento al Vangelo secondo Giovanni –
del Sac. Dolindo Ruotolo – da pag. 1993 a pag.2007
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