Allora
il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini, le quali, prese le
loro lampade, andarono incontro allo sposo. Cinque di loro erano
stolte e cinque prudenti. Le stolte, nel prendere le loro lampade,
non presero con sé dell’olio; ma le prudenti, insieme alle
lampade, presero anche dell’olio nei vasetti. Ora, siccome lo sposo
ritardava… .
Questa
parabola delle vergini e la successiva dei talenti sono molto simili
a quella del servo fedele e a quella del servo ingrato che dissipa i
beni del suo padrone. Complessivamente sono quattro le parabole che,
in termini diversi, ci rivolgono gli stessi avvertimenti: ci
esortano, cioè, a praticare con fervore l’elemosina, ad aiutare il
nostro prossimo in quanto possiamo, dato che non abbiamo altro mezzo
per assicurare la nostra salvezza. Tuttavia, nelle precedenti, il
Signore parla in modo generico di ogni tipo di aiuto che dobbiamo
prestare al nostro prossimo. Ora, nella parabola delle vergini,
tratta particolarmente dell’elemosina che dobbiamo assicurare con i
nostri beni, e lo fa in modo più energico che nella parabola
precedente. In questo caso il Signore punisce il servo malvagio che
percuote i suoi compagni, si ubriaca e dissipa i beni del suo
padrone; mentre in questa occasione dichiara che castigherà anche
colui che non aiuta il prossimo e non distribuisce con generosità le
sue ricchezze ai poveri. Le vergini, in realtà, hanno l’olio, ma
non in abbondanza e perciò vengono punite. Ma per quale motivo –
voi mi chiederete – Gesù sceglie come protagoniste della sua
parabola delle vergini e non persone qualunque? Ricordatevi che egli
aveva detto grandi cose della verginità, quando aveva affermato: “Vi
sono degli eunuchi che si sono fatti tali da sé in vista del regno
dei cieli” e aveva aggiunto: “Chi può comprendere, comprenda”.
D’altra parte egli sa che la maggior parte degli uomini ha un’idea
assai elevata della verginità. In realtà questa virtù è per sua
natura molto elevata, come appare chiaro dal fatto che nell’Antico
Testamento non venne praticata neppure dai grandi e santi uomini di
quel tempo e che nel Nuovo Testamento non giunse ad essere necessità
di legge. Cristo infatti non la comanda, ma la lascia alla libera
scelta dei suoi ascoltatori. Per questo Paolo dichiara: “Riguardo a
chi è vergine, non ho un comando del Signore”. Lodo senza dubbio
chi pratica questa virtù, ma non obbligo chi non vuole praticarla,
né faccio di essa un comando. Dal momento che tale virtù è così
grande e gode di alta considerazione tra la maggior parte degli
uomini, onde evitare che qualcuno praticandola, ritenga di aver
compiuto ogni dovere e di essere perciò esentato dal praticare le
altre virtù, Cristo propone questa parabola, sufficiente a
persuaderci che la verginità, se possiede tutti i beni, ma è priva
di quelli dell’elemosina, è respinta insieme ai fornicatori. Il
Signore, infatti, mette l’uomo senza misericordia alla stessa
stregua di quelli. E lo fa con piena ragione, perché il fornicatore
si lascia prendere e vincere dall’amore della carne, costui,
invece, dall’amore delle ricchezze. Ma l’amore della carne non è
uguale a quello delle ricchezze; il primo è assai più violento e
tirannico. Perciò, quanto più debole è l’avversario, tanto più
immeritevole di perdono è colui che si lascia vincere: perciò
Cristo definisce stolte quelle vergini perché, avendo superato una
fatica e una battaglia ben più grande, hanno perduto tutto in una
situazione meno impegnativa. Egli inoltre designa qui col nome di
lampade il dono stesso della verginità, la purezza della santità,
mentre l’olio rappresenta la misericordia, l’elemosina, l’aiuto
ai poveri.
Ora,
siccome lo sposo ritardava, incominciarono tutte a sonnecchiare e poi
s’addormentarono . Gesù fa ora capire che l’intervallo di tempo
non è breve, dissuadendo in tal modo i discepoli dall’aspettare
un’immediata venuta del suo regno. In realtà essi l’attendono, e
per tale motivo il Signore ad ogni occasione toglie loro questa
speranza. Oltre a ciò intende sottolineare che la morte è un sonno:
“s’addormentarono», dice infatti.
Ma
nel mezzo della notte si levò un grido . Con queste parole il
Signore vuole continuare la parabola, o dimostrare nuovamente che la
risurrezione avverrà di notte. Anche Paolo fa menzione di un grido,
dicendo: “Al segnale dato, alla voce dell’arcangelo e al suono
dell’ultima tromba scenderà dal cielo”. Ma che significano le
trombe? Che cosa dice il grido? Ecco, viene lo sposo .
E
dopo che ebbero preparato le loro lampade, dissero le stolte alle
prudenti: “Dateci un po’ del vostro olio”. Gesù le chiama di
nuovo “stolte”, per sottolineare che niente è più insensato del
comportamento di coloro che accumulano ricchezze in questa vita e
che, nudi, se ne andranno all’altro mondo, dove invece avremo
bisogno, sopra ogni altra cosa, di misericordia, dove occorrerà
molto olio. Queste vergini si dimostrano stolte non solo per questo,
ma perché sperano di ottenere l’olio in quel luogo e per il fatto
che lo chiedono fuori tempo. A dire il vero le altre vergini sono
estremamente caritatevoli e proprio per ciò sono gradite a Dio;
d’altra parte le vergini stolte non chiedono tutto il loro olio:
“Dateci un po’ del vostro olio”, e contemporaneamente spiegano
l’urgente necessità che ne hanno, dicendo: perché le nostre
lampade si spengono . Tuttavia esse ricevono un rifiuto . Né la
bontà delle vergini prudenti, cui avevano fatto richiesta, né la
facilità con cui potevano essere accontentate, né la necessità e
l’urgenza fanno loro ottenere ciò che desiderano. Quale lezione
apprendiamo da questa parabola?Essa ci insegna che nell’altro mondo
nessuno di noi, cui facciano difetto le opere, potrà essere
soccorso: non perché non si voglia, ma perché non si può. Anche le
vergini prudenti, infatti, si giustificano adducendo l’impossibilità
di soddisfare la richiesta delle vergini stolte. E la stessa cosa
dichiara anche Abramo, dicendo: “Un grande abisso si apre tra voi e
noi, cosicché neppure coloro che lo vogliono possono attraversarlo”.
Andate
piuttosto dai venditori e compratevelo . E chi sono i venditori? I
poveri. E dove sono costoro? Qui, in terra; e nel tempo presente si
deve cercare l’olio, non dopo la morte.
Vedete
come noi possiamo fare i nostri acquisti dai poveri? Se tu
sopprimessi i poveri, elimineresti una grande speranza di salvezza.
È, dunque, qui – ripeto – che noi dobbiamo procurarci l’olio,
perché ci sia utile quando il tempo ci chiamerà all’altra vita.
Non è quello, bensì questo il tempo della raccolta. Smettete perciò
di consumare inutilmente le vostre ricchezze nei piaceri terreni, e
nella vanagloria, perché là avrete bisogno di molto olio. Udendo
queste parole, le vergini stolte vanno dai venditori, ma non riescono
a comperare nulla. Il Signore precisa questa circostanza sia per
continuare la parabola e concludere la trama, sia per farci capire
che, se noi diventiamo misericordiosi dopo la morte, questa
misericordia non servirebbe a salvaci dal castigo. Neppure alle
vergini stolte vale il loro tardivo fervore, perché in questo mondo
e non nell’altro sarebbero dovute andare dai venditori. E neppure
valse al ricco il diventare compassionevole dopo la morte, quando
cominciò a preoccuparsi dei suoi parenti. Egli era passato oltre
senza badare al povero che giaceva alla sua porta, dopo la morte si
sforza di strappare dai pericoli e dall’inferno i suoi parenti che
neppure vede, e supplica che qualcuno sia inviato loro per avvertirli
di ciò che lì accade . Ma costui non ottiene nessun risultato dalla
sua tardiva resipiscenza, come neppure le vergini stolte.
Infatti,
dopo che esse, alla risposta delle vergini prudenti, se ne furono
andate, giunse lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con
lui nella sala delle nozze , mentre le altre furono chiuse fuori.
Così, dopo tante fatiche e tanti sudori, dopo la terribile lotta e
tutte le vittorie riportate sulla forza della natura, le vergini
stolte si ritirarono piene di confusione, con le lampade spente e a
testa bassa. Nulla è più lugubre della verginità se non è
accompagnata dalla misericordia.
Dove
va a finire, allora, la gloria della verginità, se esse non vedono
neppure lo sposo e non riescono ad ottenere nulla, nemmeno picchiando
alla porta, ma si sentono dire quelle tremende parole: Andatevene,
non vi conosco ? Quando esse odono lo sposo parlare così, non resta
loro altra cosa che l’inferno ed il suo supplizio intollerabile;
anzi, queste parole sono più dure dell’inferno stesso, e il
Signore le rivolge anche agli operatori di iniquità.
Vigilate,
dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora . Osservate come
sovente Gesù conclude il suo discorso con queste parole, per farci
comprendere quanto sia utile non conoscere il momento della nostra
morte. Dove sono coloro che trascorrono tutta la vita nella pigrizia
e, quando vengono da noi ripresi, ribattono: Lascerò i miei beni ai
poveri alla mia morte? Ascoltino queste parole, e si correggano. In
pratica molti, giunto quel momento, non sono riusciti a far ciò che
volevano, portati via così repentinamente, da non avere il tempo di
dare istruzioni ai propri familiari circa le loro estreme volontà.
Questa
parabola delle vergini riguarda in particolare l’elemosina che si
dà in denaro; quella che segue è indirizzata a coloro che non
vogliono aiutare i prossimi né con le ricchezze, né con la parola,
né con la protezione, né in alcun altro modo, ma nascondono tutto
ciò che posseggono.
E
come mai – tu mi chiedi – la parabola dei talenti introduce un
re, mentre quella delle vergini ci presenta uno sposo? Perché tu
comprenda l’intimità di Cristo con le vergini che hanno lasciato
ciò che possedevano: in questo, infatti, consiste la verginità.
Perciò anche Paolo dà questa definizione: “Colei che non è
sposata si dà pensiero delle cose del Signore, per essere modesta”,
e aggiunge: “in vista di ciò che è più decoroso, che fa stare
assiduamente col Signore”. A questo vi esortiamo – sembra dire.
Se
poi la parabola dei talenti assume un’altra forma in Luca , va
detto che una è questa parabola e altra è quella. Nella parabola
riferita da Luca uno stesso capitale dà redditi diversi: da una sola
mina un servo ottiene cinque mine, mentre un altro servo ne guadagna
dieci; per questo essi non ricevono le stesse ricompense. Nella
parabola dei talenti, invece, accade un’altra cosa, e perciò la
ricompensa è la stessa. In tal caso, infatti, chi ha ricevuto due
talenti ne restituisce altri due; e chi ne ha ricevuti cinque ne
rende altrettanti. Nel primo caso, con lo stesso capitale, uno riesce
a guadagnare di più, l’altro di meno; giustamente, quindi, non
ottengono la stessa sorte nelle ricompense.
Ma,
ora, considerate il fatto che il Signore non esige immediatamente il
rendiconto. Anche nella parabola della vigna, il padrone l’affitta
a dei coloni e poi se ne va lontano; qui, egli affida il denaro ai
suoi servi, indi parte per un lungo viaggio: dimostrazione questa
della sua grande pazienza e longanimità. A me sembra, inoltre, che
con questa parabola Cristo alluda anche alla risurrezione. Qui ormai
non ci sono più coloni né vigna, ma tutti sono lavoratori. Egli
infatti non si rivolge esclusivamente ai capi e ai responsabili, né
soltanto ai giudei, ma a tutti gli uomini. E coloro che vengono a
presentare il rendiconto confessano sinceramente ciò che è opera
loro e ciò che è dono di Dio; ; uno dichiara: Signore, tu mi desti
cinque talenti , e l’altro dice: mi desti due talenti ,
riconoscendo che da lui hanno ottenuto il mezzo per trafficare.
Dimostrano, inoltre, di avere per lui un’infinita riconoscenza e
attribuiscono a lui tutto quanto posseggono.
Che
cosa risponde il Signore? Bene, servo buono (è infatti dell’uomo
buono interessarsi del prossimo) e fedele, tu sei stato fedele nel
poco, io ti darò autorità su molto; entra nella gioia del tuo
Signore , manifestando con la parola “gioia” tutta la beatitudine
della vita eterna.
Il
servo pigro, al contrario, non si esprime con gli altri due che
l’hanno preceduto. Che dice? So che sei un uomo duro, che mieti
dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso: ho avuto paura
e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; ecco, prendi
quello che ti appartiene .
Che
gli risponde il padrone? Servo malvagio, dovevi dunque mettere il mio
denaro in mano ai banchieri ; vale a dire: avresti dovuto parlare,
esortare, consigliare. Ma nessuno avrebbe ascoltato? Questo non ti
riguardava. Ditemi, ora, voi: potrebbe darsi un comportamento più
mite di questo?
Gli
uomini, certo, non agiscono così, ma esigono gli interessi da chi ha
ricevuto il prestito. Il Signore, invece, vedete bene, si comporta
diversamente. Tu – egli sembra dire - avresti dovuto depositare il
denaro e lasciare a me il compito di riscuoterlo: Io avrei ritirato
il mio con l’interesse . E qui chiama “interesse” l’esercizio
delle opere, frutto di ciò che si è ascoltato. Cioè, tu potevi
fare la parte più facile e lasciare a me la più difficile. Ma
siccome il servo non ha fatto neppure questo, il padrone comanda:
Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha dieci talenti;
poiché a chiunque ha, sarà dato, e sovrabbonderà; mentre a chi non
ha, anche ciò che ha gli sarà tolto . Che significano queste
parole? Sarebbe come dire: chi ha ricevuto da Dio il dono della
parola e dell’insegnamento a vantaggio degli altri e non ne fa uso,
perderà questo dono; chi invece lo impiega con fervorosa
sollecitudine, si attirerà un dono anche più grande, mentre l’altro
perderà anche ciò che ha ricevuto.
Ma
il danno del servo pigro non termina qui: ad esso si accompagna anche
il supplizio intollerabile e, con il supplizio, una sentenza carica
di grave condanna: Il servo inutile, gettatelo fuori nelle tenebre:
ivi sarà pianto e stridor di denti . Vedete come non solo chi ruba e
froda, né esclusivamente opera il male, ma anche chi non opera il
bene subisce l’estremo supplizio? Ascoltiamo, dunque, tali parole
e, finché c’è tempo, lavoriamo alla nostra salvezza; mettiamo
l’olio nelle lampade, facciamo fruttare il talento ricevuto. Se qui
viviamo nell’ozio e nella pigrizia, nessuno avrà compassione di
noi nell’altra vita, anche se verseremo infinite lacrime. Abbiamo
visto che si condannò da se stesso colui che s’era presentato con
la veste sudicia, né gli giovò l’essersi presentato alle nozze. E
il servo che ha ricevuto un talento e restituisce il deposito che gli
è stato affidato, viene ugualmente condannato. Le vergini stolte
supplicano, si accostano alla porta e bussano, ma tutto è inutile.
Considerando
tutto questo mettiamo a vantaggio del prossimo le nostre ricchezze,
il nostro fervore, la nostra autorità e tutto quanto possediamo. Qui
la parola “talento” significa la facoltà che ognuno di noi ha,
sia in autorità che in denaro, sia in dottrina che in qualunque
altra cosa. E nessuno venga a dirmi che ha ricevuto un solo talento e
non può far nulla. Anche con un solo talento tu puoi agire
egregiamente e renderti gradito a Dio. Tu non sei certamente più
povero di quella vedova che possedeva solo due monete di scarso
valore, né sei più rozzo di Pietro e di Giovanni che, pur essendo
ignoranti e illetterati, hanno ottenuto il cielo, grazie al loro
fervore e alle loro opere, rivolte tutte al comune interesse e
vantaggio. Niente è più gradito a Dio di una vita spesa per il bene
di tutti. Per questo egli ci ha dato la parola, le mani, i piedi, il
vigore del corpo, la mente e l’intelligenza, onde poter usare di
tutte queste cose sia per la nostra salvezza sia per il bene degli
altri. La parola non serve soltanto per innalzare a Dio canti di lode
e di ringraziamento, ma è utile altresì per insegnare e consigliare
i nostri fratelli. Se usiamo la parola per questo scopo, imitiamo il
Signore; se l’usiamo per motivi contrari, allora diventiamo
imitatori del diavolo. Anche Pietro, dopo aver proclamato la sua fede
in Cristo, fu chiamato “beato” da Gesù, perché aveva detto ciò
che gli aveva ispirato il Padre. Quando invece egli si scaglia con
orrore contro la croce e vi si oppone, viene aspramente rimproverato
perché manifesta pensieri e sentimenti dettati dal diavolo. Se
dunque Pietro, parlando per ignoranza, venne ripreso così
severamente, quale scusa potremo invocare noi, quando pecchiamo tante
volte deliberatamente? Cerchiamo, quindi, di dire parole che
assomigliano a quelle di Cristo. Non solo quando io dirò: “Levati
e cammina”, oppure: “Tabita, risorgi”, ripeterò parole di
Cristo, bensì anche quando benedirò chi mi maledice e, offeso,
pregherò per chi mi ha ingiuriato. Poco tempo fa vi dicevo che la
lingua è come una mano che tocca i piedi di Dio. Ma oggi vado anche
oltre e giungo a dire che la nostra lingua imita quella di Cristo se
si dimostra adeguatamente attenta a pronunciare quelle parole che
egli vuole. Ma quali sono le parole che Gesù vuole sentirci
pronunciare? Quelle parole piene di umiltà e mansuetudine, che egli
stesso diceva a coloro che lo insultavano: “Io non sono
indemoniato”, e ancora: “Se io ho parlato male, dimostra che cosa
ho detto di male”, e al discepolo che lo tradiva: “Amico, a che
scopo sei qui?”. Se parli così anche tu, se apri la tua bocca per
correggere ed edificare il tuo prossimo, allora sì, la tua lingua è
simile a quella del Signore. E questo l’afferma Dio stesso: “Chi
esprime pensieri elevati e non vili, sarà come la mia bocca”. E
quando la tua lingua diventa come la lingua di Cristo, e la tua bocca
come la bocca del Padre e tu sei tempio dello Spirito Santo, quale
onore si può paragonare a questo? Nemmeno se la tua bocca fosse
d’oro e di pietre preziose, brillerebbe con tale fulgore,
splendente per l’umiltà che l’adorna. Niente è più
desiderabile di una bocca incapace di proferire ingiurie, e sempre
occupata a benedire. Ma se non te la senti di benedire chi ti
maledice, taci almeno; in questo momento fa quest’atto di
sopportazione; avanzando, poi, nella via della perfezione e
sforzandoti, com’è necessario, giungerai a benedire anche quando
ti maledicono e la tua bocca sarà quale noi l’abbiamo descritta.
Non
pensate che è temerario quanto ho detto. Il signore è
misericordioso e questo è dono della sua bontà. Temerario sarebbe
avere una bocca simile a quella del diavolo, una lingua pari a quella
del maligno, soprattutto quando uno partecipa ai sacri misteri e si
comunica con la carne stessa del Signore. Considerando ciò, procura
con tutte le sue forze di diventare simile a lui. E quando sarai
divenuto tale, il diavolo non potrà più nemmeno guardarti. Egli,
infatti, riconosce assai bene il sigillo regale e le armi di Cristo,
dalle quali fu vinto. Quali sono queste armi? L’umiltà e la
mansuetudine. Quando, sulla montagna, Gesù vinse e prostrò il
demonio, che gli aveva lanciato il suo attacco tentandolo, non aveva
manifestato che era Cristo. Ma con parole moderate lo prese come in
una rete, con l’umiltà lo vinse e con la mansuetudine lo mise in
fuga. Anche tu comportati così. Quando ti accorgerai che un uomo
diabolico ti attacca, vincilo allo stesso modo. Cristo ti ha dato il
potere di diventare simile a lui, secondo le tue forze. Non temere,
ascoltando queste mie parole. Temi piuttosto di non essere simile a
Cristo. Parla dunque come lui e in questo sarai simile a lui, come
può esserlo un uomo. Più grande di chi profetizza è colui che
parla come Cristo. La profezia, infatti, è pura grazia, mentre
parlare come Cristo richiede anche il tuo sforzo, la tua fatica.
Insegna alla tua anima a conformare la bocca alla bocca di Cristo:
può farlo, se vuole; conosce quest’arte, se non è pigra. Ma come
si plasma – mi chiederai – una bocca simile? Con quali colori e
con quale materia? Non occorrono né colori né materia, ma soltanto
virtù, modestia e umiltà. Osserviamo, d’altra parte, com’è
fatta la bocca del diavolo, onde evitare di averla uguale alla sua.
Com’è dunque fatta? Di maledizioni, di insulti, di spergiuri e di
invidia. E quando uno pronuncia le parole del diavolo, ecco che ha la
lingua del diavolo. Quale perdono otterremo o, per meglio dire, quale
castigo ci meriteremo, se permettiamo alla nostra lingua, cui è
stato concesso di gustare la carne del Signore, di ripetere parole
del demonio? Non permettiamo quest’abominazione, vi scongiuro, ma
mettiamo tutto il nostro impegno nell’insegnarle a imitare il suo
Signore. Se le insegneremo questo, essa ci presenterà con grande
fiducia e confidenza al tribunale di Cristo. Ma se uno non sa parlare
questo linguaggio, il giudice non l’ascolterà di certo. Come un
giudice romano non capirà colui che si difende se non parlerà
latino, così Cristo, se non gli parlerai con il suo linguaggio, non
ti ascolterà né ti presterà attenzione. Impariamo, quindi, a
parlare quel linguaggio che il nostro re è solito ascoltare, e
sforziamoci di imitare il suo modo di esprimersi. Se ti colpisce un
dolore, bada che la violenza della tristezza non svii la tua lingua,
ma parla come Cristo. Anch’egli pianse per Lazzaro e per Giuda. Se
ti prende la paura, cerca anche in questo di parlare come Gesù,
poiché anche lui ha provato timore e turbamento per te, conforme la
logica dell’incarnazione. Di’ anche tu: “Non come io voglio, ma
come tu vuoi”. E se piangi, fallo con moderazione, come ha fatto
Cristo. Se minacce e insidie ti circondano da ogni parte, e
l’afflizione ti opprime, imita Gesù anche in tali circostanze.
Egli, infatti, insidiato e al colmo dell’angoscia, esclamò:
“Triste è l’anima mia fino alla morte”. Egli ha voluto
offrirti l’esempio in tutto, in modo che tu possa seguire il suo
stesso comportamento in tutte le situazioni della vita, senza violare
i comandi che ti ha dati. In tal modo potrai avere una bocca
somigliante alla sua; e così, mentre ancora vivi in terra, mostrerai
di avere una lingua simile a quella di lui che sta assiso nei cieli,
seguendo il suo esempio sia nell’afflizione che nell’ira, nel
dolore e nell’angoscia. Quanti di voi desiderano vedere il suo
volto? Ebbene, se lo vogliamo e ci impegniamo con fervore, possiamo
non solo vederlo, ma anche diventare come lui. Non rimandiamo,
quindi, più a lungo. Egli infatti apprezza e ama la bocca degli
uomini miti e umili più di quella dei profeti. “Molti infatti mi
diranno: Non abbiamo profetato nel tuo nome? E io risponderò loro:
Non vi conosco”. Ma la bocca di Mosè, che era assai simile e
mansueto - “Mosè”, dice infatti la Scrittura, “era infatti
l’uomo più mite tra tutti gli uomini che vivevano sulla terra”,
- Dio l’apprezzava e l’amava talmente da dire che con lui
parlava faccia a faccia, bocca a bocca, come un amico al suo amico .
Ora, tu non comandi ai demoni, ma se la tua bocca sarà simile a
quella di Cristo, allora tu potrai comandare al fuoco dell’inferno.
Ordinerai all’abisso del fuoco: “Taci, ammutolisci!”, e con
grande fiducia entrerai nei cieli, dove godrai la felicità del
regno, che io auguro a noi tutti di ottenere per la grazia e l’amore
di Gesù Cristo, nostro Signore. Con lui siano al Padre, insieme allo
Spirito Santo, gloria, potere e onore, ora e sempre e per tutti i
secoli dei secoli. Amen.
San
Giovanni Crisostomo - Commento al Vangelo di San Matteo – volume
n°3
Nessun commento:
Posta un commento