venerdì 31 agosto 2018

Ecco lo sposo! Andategli incontro! - Mt. 25, 1-30 - San Giovanni Crisostomo - Commento al Vangelo di San Matteo – volume n°3

Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini, le quali, prese le loro lampade, andarono incontro allo sposo. Cinque di loro erano stolte e cinque prudenti. Le stolte, nel prendere le loro lampade, non presero con sé dell’olio; ma le prudenti, insieme alle lampade, presero anche dell’olio nei vasetti. Ora, siccome lo sposo ritardava… .
Questa parabola delle vergini e la successiva dei talenti sono molto simili a quella del servo fedele e a quella del servo ingrato che dissipa i beni del suo padrone. Complessivamente sono quattro le parabole che, in termini diversi, ci rivolgono gli stessi avvertimenti: ci esortano, cioè, a praticare con fervore l’elemosina, ad aiutare il nostro prossimo in quanto possiamo, dato che non abbiamo altro mezzo per assicurare la nostra salvezza. Tuttavia, nelle precedenti, il Signore parla in modo generico di ogni tipo di aiuto che dobbiamo prestare al nostro prossimo. Ora, nella parabola delle vergini, tratta particolarmente dell’elemosina che dobbiamo assicurare con i nostri beni, e lo fa in modo più energico che nella parabola precedente. In questo caso il Signore punisce il servo malvagio che percuote i suoi compagni, si ubriaca e dissipa i beni del suo padrone; mentre in questa occasione dichiara che castigherà anche colui che non aiuta il prossimo e non distribuisce con generosità le sue ricchezze ai poveri. Le vergini, in realtà, hanno l’olio, ma non in abbondanza e perciò vengono punite. Ma per quale motivo – voi mi chiederete – Gesù sceglie come protagoniste della sua parabola delle vergini e non persone qualunque? Ricordatevi che egli aveva detto grandi cose della verginità, quando aveva affermato: “Vi sono degli eunuchi che si sono fatti tali da sé in vista del regno dei cieli” e aveva aggiunto: “Chi può comprendere, comprenda”. D’altra parte egli sa che la maggior parte degli uomini ha un’idea assai elevata della verginità. In realtà questa virtù è per sua natura molto elevata, come appare chiaro dal fatto che nell’Antico Testamento non venne praticata neppure dai grandi e santi uomini di quel tempo e che nel Nuovo Testamento non giunse ad essere necessità di legge. Cristo infatti non la comanda, ma la lascia alla libera scelta dei suoi ascoltatori. Per questo Paolo dichiara: “Riguardo a chi è vergine, non ho un comando del Signore”. Lodo senza dubbio chi pratica questa virtù, ma non obbligo chi non vuole praticarla, né faccio di essa un comando. Dal momento che tale virtù è così grande e gode di alta considerazione tra la maggior parte degli uomini, onde evitare che qualcuno praticandola, ritenga di aver compiuto ogni dovere e di essere perciò esentato dal praticare le altre virtù, Cristo propone questa parabola, sufficiente a persuaderci che la verginità, se possiede tutti i beni, ma è priva di quelli dell’elemosina, è respinta insieme ai fornicatori. Il Signore, infatti, mette l’uomo senza misericordia alla stessa stregua di quelli. E lo fa con piena ragione, perché il fornicatore si lascia prendere e vincere dall’amore della carne, costui, invece, dall’amore delle ricchezze. Ma l’amore della carne non è uguale a quello delle ricchezze; il primo è assai più violento e tirannico. Perciò, quanto più debole è l’avversario, tanto più immeritevole di perdono è colui che si lascia vincere: perciò Cristo definisce stolte quelle vergini perché, avendo superato una fatica e una battaglia ben più grande, hanno perduto tutto in una situazione meno impegnativa. Egli inoltre designa qui col nome di lampade il dono stesso della verginità, la purezza della santità, mentre l’olio rappresenta la misericordia, l’elemosina, l’aiuto ai poveri.

Ora, siccome lo sposo ritardava, incominciarono tutte a sonnecchiare e poi s’addormentarono . Gesù fa ora capire che l’intervallo di tempo non è breve, dissuadendo in tal modo i discepoli dall’aspettare un’immediata venuta del suo regno. In realtà essi l’attendono, e per tale motivo il Signore ad ogni occasione toglie loro questa speranza. Oltre a ciò intende sottolineare che la morte è un sonno: “s’addormentarono», dice infatti.
Ma nel mezzo della notte si levò un grido . Con queste parole il Signore vuole continuare la parabola, o dimostrare nuovamente che la risurrezione avverrà di notte. Anche Paolo fa menzione di un grido, dicendo: “Al segnale dato, alla voce dell’arcangelo e al suono dell’ultima tromba scenderà dal cielo”. Ma che significano le trombe? Che cosa dice il grido? Ecco, viene lo sposo .
E dopo che ebbero preparato le loro lampade, dissero le stolte alle prudenti: “Dateci un po’ del vostro olio”. Gesù le chiama di nuovo “stolte”, per sottolineare che niente è più insensato del comportamento di coloro che accumulano ricchezze in questa vita e che, nudi, se ne andranno all’altro mondo, dove invece avremo bisogno, sopra ogni altra cosa, di misericordia, dove occorrerà molto olio. Queste vergini si dimostrano stolte non solo per questo, ma perché sperano di ottenere l’olio in quel luogo e per il fatto che lo chiedono fuori tempo. A dire il vero le altre vergini sono estremamente caritatevoli e proprio per ciò sono gradite a Dio; d’altra parte le vergini stolte non chiedono tutto il loro olio: “Dateci un po’ del vostro olio”, e contemporaneamente spiegano l’urgente necessità che ne hanno, dicendo: perché le nostre lampade si spengono . Tuttavia esse ricevono un rifiuto . Né la bontà delle vergini prudenti, cui avevano fatto richiesta, né la facilità con cui potevano essere accontentate, né la necessità e l’urgenza fanno loro ottenere ciò che desiderano. Quale lezione apprendiamo da questa parabola?Essa ci insegna che nell’altro mondo nessuno di noi, cui facciano difetto le opere, potrà essere soccorso: non perché non si voglia, ma perché non si può. Anche le vergini prudenti, infatti, si giustificano adducendo l’impossibilità di soddisfare la richiesta delle vergini stolte. E la stessa cosa dichiara anche Abramo, dicendo: “Un grande abisso si apre tra voi e noi, cosicché neppure coloro che lo vogliono possono attraversarlo”.
Andate piuttosto dai venditori e compratevelo . E chi sono i venditori? I poveri. E dove sono costoro? Qui, in terra; e nel tempo presente si deve cercare l’olio, non dopo la morte.
Vedete come noi possiamo fare i nostri acquisti dai poveri? Se tu sopprimessi i poveri, elimineresti una grande speranza di salvezza. È, dunque, qui – ripeto – che noi dobbiamo procurarci l’olio, perché ci sia utile quando il tempo ci chiamerà all’altra vita. Non è quello, bensì questo il tempo della raccolta. Smettete perciò di consumare inutilmente le vostre ricchezze nei piaceri terreni, e nella vanagloria, perché là avrete bisogno di molto olio. Udendo queste parole, le vergini stolte vanno dai venditori, ma non riescono a comperare nulla. Il Signore precisa questa circostanza sia per continuare la parabola e concludere la trama, sia per farci capire che, se noi diventiamo misericordiosi dopo la morte, questa misericordia non servirebbe a salvaci dal castigo. Neppure alle vergini stolte vale il loro tardivo fervore, perché in questo mondo e non nell’altro sarebbero dovute andare dai venditori. E neppure valse al ricco il diventare compassionevole dopo la morte, quando cominciò a preoccuparsi dei suoi parenti. Egli era passato oltre senza badare al povero che giaceva alla sua porta, dopo la morte si sforza di strappare dai pericoli e dall’inferno i suoi parenti che neppure vede, e supplica che qualcuno sia inviato loro per avvertirli di ciò che lì accade . Ma costui non ottiene nessun risultato dalla sua tardiva resipiscenza, come neppure le vergini stolte.
Infatti, dopo che esse, alla risposta delle vergini prudenti, se ne furono andate, giunse lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui nella sala delle nozze , mentre le altre furono chiuse fuori. Così, dopo tante fatiche e tanti sudori, dopo la terribile lotta e tutte le vittorie riportate sulla forza della natura, le vergini stolte si ritirarono piene di confusione, con le lampade spente e a testa bassa. Nulla è più lugubre della verginità se non è accompagnata dalla misericordia.
Dove va a finire, allora, la gloria della verginità, se esse non vedono neppure lo sposo e non riescono ad ottenere nulla, nemmeno picchiando alla porta, ma si sentono dire quelle tremende parole: Andatevene, non vi conosco ? Quando esse odono lo sposo parlare così, non resta loro altra cosa che l’inferno ed il suo supplizio intollerabile; anzi, queste parole sono più dure dell’inferno stesso, e il Signore le rivolge anche agli operatori di iniquità.
Vigilate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora . Osservate come sovente Gesù conclude il suo discorso con queste parole, per farci comprendere quanto sia utile non conoscere il momento della nostra morte. Dove sono coloro che trascorrono tutta la vita nella pigrizia e, quando vengono da noi ripresi, ribattono: Lascerò i miei beni ai poveri alla mia morte? Ascoltino queste parole, e si correggano. In pratica molti, giunto quel momento, non sono riusciti a far ciò che volevano, portati via così repentinamente, da non avere il tempo di dare istruzioni ai propri familiari circa le loro estreme volontà.
Questa parabola delle vergini riguarda in particolare l’elemosina che si dà in denaro; quella che segue è indirizzata a coloro che non vogliono aiutare i prossimi né con le ricchezze, né con la parola, né con la protezione, né in alcun altro modo, ma nascondono tutto ciò che posseggono.
E come mai – tu mi chiedi – la parabola dei talenti introduce un re, mentre quella delle vergini ci presenta uno sposo? Perché tu comprenda l’intimità di Cristo con le vergini che hanno lasciato ciò che possedevano: in questo, infatti, consiste la verginità. Perciò anche Paolo dà questa definizione: “Colei che non è sposata si dà pensiero delle cose del Signore, per essere modesta”, e aggiunge: “in vista di ciò che è più decoroso, che fa stare assiduamente col Signore”. A questo vi esortiamo – sembra dire.
Se poi la parabola dei talenti assume un’altra forma in Luca , va detto che una è questa parabola e altra è quella. Nella parabola riferita da Luca uno stesso capitale dà redditi diversi: da una sola mina un servo ottiene cinque mine, mentre un altro servo ne guadagna dieci; per questo essi non ricevono le stesse ricompense. Nella parabola dei talenti, invece, accade un’altra cosa, e perciò la ricompensa è la stessa. In tal caso, infatti, chi ha ricevuto due talenti ne restituisce altri due; e chi ne ha ricevuti cinque ne rende altrettanti. Nel primo caso, con lo stesso capitale, uno riesce a guadagnare di più, l’altro di meno; giustamente, quindi, non ottengono la stessa sorte nelle ricompense.
Ma, ora, considerate il fatto che il Signore non esige immediatamente il rendiconto. Anche nella parabola della vigna, il padrone l’affitta a dei coloni e poi se ne va lontano; qui, egli affida il denaro ai suoi servi, indi parte per un lungo viaggio: dimostrazione questa della sua grande pazienza e longanimità. A me sembra, inoltre, che con questa parabola Cristo alluda anche alla risurrezione. Qui ormai non ci sono più coloni né vigna, ma tutti sono lavoratori. Egli infatti non si rivolge esclusivamente ai capi e ai responsabili, né soltanto ai giudei, ma a tutti gli uomini. E coloro che vengono a presentare il rendiconto confessano sinceramente ciò che è opera loro e ciò che è dono di Dio; ; uno dichiara: Signore, tu mi desti cinque talenti , e l’altro dice: mi desti due talenti , riconoscendo che da lui hanno ottenuto il mezzo per trafficare. Dimostrano, inoltre, di avere per lui un’infinita riconoscenza e attribuiscono a lui tutto quanto posseggono.
Che cosa risponde il Signore? Bene, servo buono (è infatti dell’uomo buono interessarsi del prossimo) e fedele, tu sei stato fedele nel poco, io ti darò autorità su molto; entra nella gioia del tuo Signore , manifestando con la parola “gioia” tutta la beatitudine della vita eterna.
Il servo pigro, al contrario, non si esprime con gli altri due che l’hanno preceduto. Che dice? So che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso: ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; ecco, prendi quello che ti appartiene .
Che gli risponde il padrone? Servo malvagio, dovevi dunque mettere il mio denaro in mano ai banchieri ; vale a dire: avresti dovuto parlare, esortare, consigliare. Ma nessuno avrebbe ascoltato? Questo non ti riguardava. Ditemi, ora, voi: potrebbe darsi un comportamento più mite di questo?
Gli uomini, certo, non agiscono così, ma esigono gli interessi da chi ha ricevuto il prestito. Il Signore, invece, vedete bene, si comporta diversamente. Tu – egli sembra dire - avresti dovuto depositare il denaro e lasciare a me il compito di riscuoterlo: Io avrei ritirato il mio con l’interesse . E qui chiama “interesse” l’esercizio delle opere, frutto di ciò che si è ascoltato. Cioè, tu potevi fare la parte più facile e lasciare a me la più difficile. Ma siccome il servo non ha fatto neppure questo, il padrone comanda: Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha dieci talenti; poiché a chiunque ha, sarà dato, e sovrabbonderà; mentre a chi non ha, anche ciò che ha gli sarà tolto . Che significano queste parole? Sarebbe come dire: chi ha ricevuto da Dio il dono della parola e dell’insegnamento a vantaggio degli altri e non ne fa uso, perderà questo dono; chi invece lo impiega con fervorosa sollecitudine, si attirerà un dono anche più grande, mentre l’altro perderà anche ciò che ha ricevuto.
Ma il danno del servo pigro non termina qui: ad esso si accompagna anche il supplizio intollerabile e, con il supplizio, una sentenza carica di grave condanna: Il servo inutile, gettatelo fuori nelle tenebre: ivi sarà pianto e stridor di denti . Vedete come non solo chi ruba e froda, né esclusivamente opera il male, ma anche chi non opera il bene subisce l’estremo supplizio? Ascoltiamo, dunque, tali parole e, finché c’è tempo, lavoriamo alla nostra salvezza; mettiamo l’olio nelle lampade, facciamo fruttare il talento ricevuto. Se qui viviamo nell’ozio e nella pigrizia, nessuno avrà compassione di noi nell’altra vita, anche se verseremo infinite lacrime. Abbiamo visto che si condannò da se stesso colui che s’era presentato con la veste sudicia, né gli giovò l’essersi presentato alle nozze. E il servo che ha ricevuto un talento e restituisce il deposito che gli è stato affidato, viene ugualmente condannato. Le vergini stolte supplicano, si accostano alla porta e bussano, ma tutto è inutile.
Considerando tutto questo mettiamo a vantaggio del prossimo le nostre ricchezze, il nostro fervore, la nostra autorità e tutto quanto possediamo. Qui la parola “talento” significa la facoltà che ognuno di noi ha, sia in autorità che in denaro, sia in dottrina che in qualunque altra cosa. E nessuno venga a dirmi che ha ricevuto un solo talento e non può far nulla. Anche con un solo talento tu puoi agire egregiamente e renderti gradito a Dio. Tu non sei certamente più povero di quella vedova che possedeva solo due monete di scarso valore, né sei più rozzo di Pietro e di Giovanni che, pur essendo ignoranti e illetterati, hanno ottenuto il cielo, grazie al loro fervore e alle loro opere, rivolte tutte al comune interesse e vantaggio. Niente è più gradito a Dio di una vita spesa per il bene di tutti. Per questo egli ci ha dato la parola, le mani, i piedi, il vigore del corpo, la mente e l’intelligenza, onde poter usare di tutte queste cose sia per la nostra salvezza sia per il bene degli altri. La parola non serve soltanto per innalzare a Dio canti di lode e di ringraziamento, ma è utile altresì per insegnare e consigliare i nostri fratelli. Se usiamo la parola per questo scopo, imitiamo il Signore; se l’usiamo per motivi contrari, allora diventiamo imitatori del diavolo. Anche Pietro, dopo aver proclamato la sua fede in Cristo, fu chiamato “beato” da Gesù, perché aveva detto ciò che gli aveva ispirato il Padre. Quando invece egli si scaglia con orrore contro la croce e vi si oppone, viene aspramente rimproverato perché manifesta pensieri e sentimenti dettati dal diavolo. Se dunque Pietro, parlando per ignoranza, venne ripreso così severamente, quale scusa potremo invocare noi, quando pecchiamo tante volte deliberatamente? Cerchiamo, quindi, di dire parole che assomigliano a quelle di Cristo. Non solo quando io dirò: “Levati e cammina”, oppure: “Tabita, risorgi”, ripeterò parole di Cristo, bensì anche quando benedirò chi mi maledice e, offeso, pregherò per chi mi ha ingiuriato. Poco tempo fa vi dicevo che la lingua è come una mano che tocca i piedi di Dio. Ma oggi vado anche oltre e giungo a dire che la nostra lingua imita quella di Cristo se si dimostra adeguatamente attenta a pronunciare quelle parole che egli vuole. Ma quali sono le parole che Gesù vuole sentirci pronunciare? Quelle parole piene di umiltà e mansuetudine, che egli stesso diceva a coloro che lo insultavano: “Io non sono indemoniato”, e ancora: “Se io ho parlato male, dimostra che cosa ho detto di male”, e al discepolo che lo tradiva: “Amico, a che scopo sei qui?”. Se parli così anche tu, se apri la tua bocca per correggere ed edificare il tuo prossimo, allora sì, la tua lingua è simile a quella del Signore. E questo l’afferma Dio stesso: “Chi esprime pensieri elevati e non vili, sarà come la mia bocca”. E quando la tua lingua diventa come la lingua di Cristo, e la tua bocca come la bocca del Padre e tu sei tempio dello Spirito Santo, quale onore si può paragonare a questo? Nemmeno se la tua bocca fosse d’oro e di pietre preziose, brillerebbe con tale fulgore, splendente per l’umiltà che l’adorna. Niente è più desiderabile di una bocca incapace di proferire ingiurie, e sempre occupata a benedire. Ma se non te la senti di benedire chi ti maledice, taci almeno; in questo momento fa quest’atto di sopportazione; avanzando, poi, nella via della perfezione e sforzandoti, com’è necessario, giungerai a benedire anche quando ti maledicono e la tua bocca sarà quale noi l’abbiamo descritta.
Non pensate che è temerario quanto ho detto. Il signore è misericordioso e questo è dono della sua bontà. Temerario sarebbe avere una bocca simile a quella del diavolo, una lingua pari a quella del maligno, soprattutto quando uno partecipa ai sacri misteri e si comunica con la carne stessa del Signore. Considerando ciò, procura con tutte le sue forze di diventare simile a lui. E quando sarai divenuto tale, il diavolo non potrà più nemmeno guardarti. Egli, infatti, riconosce assai bene il sigillo regale e le armi di Cristo, dalle quali fu vinto. Quali sono queste armi? L’umiltà e la mansuetudine. Quando, sulla montagna, Gesù vinse e prostrò il demonio, che gli aveva lanciato il suo attacco tentandolo, non aveva manifestato che era Cristo. Ma con parole moderate lo prese come in una rete, con l’umiltà lo vinse e con la mansuetudine lo mise in fuga. Anche tu comportati così. Quando ti accorgerai che un uomo diabolico ti attacca, vincilo allo stesso modo. Cristo ti ha dato il potere di diventare simile a lui, secondo le tue forze. Non temere, ascoltando queste mie parole. Temi piuttosto di non essere simile a Cristo. Parla dunque come lui e in questo sarai simile a lui, come può esserlo un uomo. Più grande di chi profetizza è colui che parla come Cristo. La profezia, infatti, è pura grazia, mentre parlare come Cristo richiede anche il tuo sforzo, la tua fatica. Insegna alla tua anima a conformare la bocca alla bocca di Cristo: può farlo, se vuole; conosce quest’arte, se non è pigra. Ma come si plasma – mi chiederai – una bocca simile? Con quali colori e con quale materia? Non occorrono né colori né materia, ma soltanto virtù, modestia e umiltà. Osserviamo, d’altra parte, com’è fatta la bocca del diavolo, onde evitare di averla uguale alla sua. Com’è dunque fatta? Di maledizioni, di insulti, di spergiuri e di invidia. E quando uno pronuncia le parole del diavolo, ecco che ha la lingua del diavolo. Quale perdono otterremo o, per meglio dire, quale castigo ci meriteremo, se permettiamo alla nostra lingua, cui è stato concesso di gustare la carne del Signore, di ripetere parole del demonio? Non permettiamo quest’abominazione, vi scongiuro, ma mettiamo tutto il nostro impegno nell’insegnarle a imitare il suo Signore. Se le insegneremo questo, essa ci presenterà con grande fiducia e confidenza al tribunale di Cristo. Ma se uno non sa parlare questo linguaggio, il giudice non l’ascolterà di certo. Come un giudice romano non capirà colui che si difende se non parlerà latino, così Cristo, se non gli parlerai con il suo linguaggio, non ti ascolterà né ti presterà attenzione. Impariamo, quindi, a parlare quel linguaggio che il nostro re è solito ascoltare, e sforziamoci di imitare il suo modo di esprimersi. Se ti colpisce un dolore, bada che la violenza della tristezza non svii la tua lingua, ma parla come Cristo. Anch’egli pianse per Lazzaro e per Giuda. Se ti prende la paura, cerca anche in questo di parlare come Gesù, poiché anche lui ha provato timore e turbamento per te, conforme la logica dell’incarnazione. Di’ anche tu: “Non come io voglio, ma come tu vuoi”. E se piangi, fallo con moderazione, come ha fatto Cristo. Se minacce e insidie ti circondano da ogni parte, e l’afflizione ti opprime, imita Gesù anche in tali circostanze. Egli, infatti, insidiato e al colmo dell’angoscia, esclamò: “Triste è l’anima mia fino alla morte”. Egli ha voluto offrirti l’esempio in tutto, in modo che tu possa seguire il suo stesso comportamento in tutte le situazioni della vita, senza violare i comandi che ti ha dati. In tal modo potrai avere una bocca somigliante alla sua; e così, mentre ancora vivi in terra, mostrerai di avere una lingua simile a quella di lui che sta assiso nei cieli, seguendo il suo esempio sia nell’afflizione che nell’ira, nel dolore e nell’angoscia. Quanti di voi desiderano vedere il suo volto? Ebbene, se lo vogliamo e ci impegniamo con fervore, possiamo non solo vederlo, ma anche diventare come lui. Non rimandiamo, quindi, più a lungo. Egli infatti apprezza e ama la bocca degli uomini miti e umili più di quella dei profeti. “Molti infatti mi diranno: Non abbiamo profetato nel tuo nome? E io risponderò loro: Non vi conosco”. Ma la bocca di Mosè, che era assai simile e mansueto - “Mosè”, dice infatti la Scrittura, “era infatti l’uomo più mite tra tutti gli uomini che vivevano sulla terra”, - Dio l’apprezzava  e l’amava talmente da dire che con lui parlava faccia a faccia, bocca a bocca, come un amico al suo amico . Ora, tu non comandi ai demoni, ma se la tua bocca sarà simile a quella di Cristo, allora tu potrai comandare al fuoco dell’inferno. Ordinerai all’abisso del fuoco: “Taci, ammutolisci!”, e con grande fiducia entrerai nei cieli, dove godrai la felicità del regno, che io auguro a noi tutti di ottenere per la grazia e l’amore di Gesù Cristo, nostro Signore. Con lui siano al Padre, insieme allo Spirito Santo, gloria, potere e onore, ora e sempre e per tutti i secoli dei secoli. Amen.
San Giovanni Crisostomo - Commento al Vangelo di San Matteo – volume n°3



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