Gli
Apostoli erano rimasti turbati e sconvolti da quello che Gesù aveva
detto loro, ossia che sarebbe stato con loro solo per poco e che
l'avrebbero cercato, ma non avrebbero potuto seguirlo dov' Egli
sarebbe andato allora (13,33).
Il
loro turbamento era tanto più profondo, in quanto sembrava loro che
svanissero d'un tratto tutte le speranze che avevano concepito e gli
ideali che avevano sognato. Speravano ancora che Gesù avesse dovuto
trionfare clamorosamente e politicamente dei nemici d'Israele e
inaugurare un regno glorioso, nel quale essi avrebbero avuto posti
eminenti; speravano che questo dovesse presto avverarsi e
pregustavano forse, fantasticamente, la confusione che avrebbero
avuto i suoi nemici. Ora, il sentir parlare di tradimento, e
implicitamente di morte, li turbava e disorientava. Per questo, Gesù,
rincuorandoli, disse: Il vostro cuore non si turbi, abbiate fede in
Dio e abbiate fede anche in me; cioè: abbiate fede in Dio, che saprà
compiere le sue promesse, ed abbiatela anche in me, che non vi
lascerò delusi nella speranza che avete riposta in me.
Al
dolore per la mancata realizzazione delle loro speranze e dei loro
sogni si univa, negli Apostoli, quello per essi anche più penoso
della separazione dal loro amatissimo Maestro. Le sue parole,
infatti, erano un annuncio di prossima morte, ed essi pensavano,
angosciati, che non l'avrebbero più visto. Per questo, Gesù
soggiunse che Egli se ne andava per preparare loro il posto, perché
nella Casa del Padre suo c'erano molte dimore. “Se non fosse cosi –
soggiunse -, ve l'avrei detto, cioè mi sarei licenziato da voi
definitivamente; ma lo verrò di nuovo, vi prenderò con me, e sarete
anche voi dove Io sarò”.
Come
padre amoroso, per non scoraggiarli, prospettò l'epilogo del loro
pellegrinaggio e il premio che avrebbero avuto un giorno, ma certo
questo epilogo di gioia non sarebbe avvenuto né presto né senza
lunghe e penose prove, delle quali tante volte aveva parlato loro e
delle quali dava l'esempio, e perciò soggiunse: Voi sapete dove io
vado e ne sapete la via. Non volle parlar esplicitamente del cammino
della croce, ma si richiamò con una sola espressione a quello che
tante volte aveva detto, per non disorientarli in quel momento di
angoscia. Tommaso prese l'espressione di Gesù in senso materialmente
letterale e, immaginando che Gesù volesse fare un viaggio lontano,
disse: Signore, noi non sappiamo dove tu vada, e come possiamo
conoscerne la via? Con una parola sublime, Gesù gli rispose, aprendo
all'umanità un orizzonte te magnifico di ascensioni, e disse: Io
sono la via la verità e la vita, nessuno viene al Padre se non per
me. Egli è la via, l'unica via di salvezza, perché con i suoi
meriti riconcilia gli uomini con Dio, li muove con la sua grazia, li
illumina e li dirige con i suoi esempi e con la sua dottrina.
Egli
non traccia solo la via della salvezza, ma è la via della salvezza,
di modo che nessuno può andare a Dio se non attraverso di Lui,
incorporandosi a Lui e lasciandosi portare da Lui.
La
via è un tratto immobile che congiunge due termini lontani. Napoli,
per esempio, è lontana da Roma, e nessuno, stando in questa città,
può trovarsi a Roma. La via congiunge questi due luoghi e
rappresenta il prolungamento dell'uno verso l'altro. La via
partecipa, quindi, dei due luoghi che congiunge: Roma-Napoli e
Napoli-Roma.
Gesù
Cristo è Dio e Uomo, e congiunge in sé questi due termini
infinitamente distanti; chi va a Lui Redentore si avanza verso Dio, e
a misura che più si stacca da sé e più si congiunge a Lui, più si
trova vicino a Dio e più lo raggiunge. La perfezione è, in fondo,
un progredire in questa unione d'amore, un perdere di vista sempre
più se stesso, un congiungersi maggiormente a Lui fin quasi a
combaciare col punto di arrivo cui Egli ci porta.
Gesù
Cristo è la verità prima ed essenziale, poiché è l'infinita ed
eterna Sapienza, conoscenza sostanziale e infinita del Padre. Dio è
colui che è; è la Verità, l'unica Verità dalla quale dipendono
tutte le altre, l'unico assioma infinitamente vivente. Chi va a Dio
deve conoscerlo per amarlo e non può conoscerlo fuori di Gesù
Cristo, che ce lo rivela in tutte le Verità che ci annuncia. Noi non
siamo capaci di conoscere l'eterna Verità senza di Lui e non
possiamo quindi ascendere a Dio, conoscendolo e apprezzandolo sopra
tutte le cose, se non unendoci a Gesù Cristo con una pienissima
fede.
Gesù
Cristo come Dio è la Vita per essenza e come Uomo è la causa
meritoria della vita soprannaturale che ci viene comunicata per mezzo
della grazia e della gloria. Egli ci vivifica, e da Lui dobbiamo
attingere la vita, comunicandoci di Lui.
Gesù
Cristo è la Via che ci porta a Dio, la Luce che illumina la via, la
forza che la fa percorrere. È la vera Via delle ascensioni umane, è
la vera Sapienza del nostro intelletto ed è la vera Vita delle
nostre attività e del nostro cuore. Attraverso di Lui si nasce
soprannaturalmente e si percorre la via dell'eternità; per mezzo di
Lui si ha, diremmo, l'uso della ragione soprannaturale e si conosce
la Verità; mediante Lui e in Lui il cuore viene vivificato ed ama
Dio sopra tutte le cose.
Invece
di innestarci a Lui, spesso formiamo in noi una statua del Cristo,
scolpita secondo il nostro criterio
Con
la risposta data a Tommaso, Gesù cominciò a manifestare al mondo un
segreto di vera vita e, diciamo pure, di vera civiltà, un segreto di
santificazione che andò sviluppando negli altri discorsi di addio
che fece agli Apostoli. Questo ammirabile segreto sta
nell'incorporarsi a Lui, nel vivere di Lui, nel farsi vivificare da
Lui, nel donarsi, quindi, interamente a Lui. Qualunque sforzo faccia
l'anima per ascendere in alto, perfezionarsi e raggiungere la Vita
eterna è vano se essa non si appoggia a Gesù, se non è illuminata
e non è vivificata da Lui. Egli è la via vera della santità, è la
luce della contemplazione, è il calore vivificante dell'amore;
incorporandoci a sé ci mette sul cammino della santità; nutrendoci
della sua Parola ci illumina e ci eleva; donandoci il suo Corpo e il
suo Sangue ci vivifica.
Noi
dobbiamo essere sua immagine e sua somiglianza, dobbiamo sbocciare
quasi da Lui, e non possiamo farlo che inne standoci a Lui. Se
l'anima sapesse donarsi a Lui e accoglierlo, se sapesse mettersi
nelle sue mani come schiava d'amore, come troverebbe facilitato il
cammino della santità, come vedrebbe illuminato il suo intelletto e
vivificato il suo cuore! Siamo così fiacchi nelle vie di Dio perché
non sappiamo e, dolorosamente, non vogliamo donarci a Gesù
completamente, senza alcuna riserva, in modo che Egli ci porti nel
suo Cuore come sue membra e ci vivifichi con la sua stessa vita. Noi,
tutt'al più, attingiamo da Lui ad intervalli, come si attinge con un
secchiello l'acqua da una fonte.
Se
l'avessimo in noi come acquedotto che fa rifluire in noi la sua vita;
se fossimo pienamente innestati a Lui e se gli donassimo interamente
l'anima, il corpo, le potenze e le nostre attività, verificheremmo
in noi stessi dei mirabili progressi di santificazione. Infatti,
vivendo di noi, smarriamo la via, ci facciamo sorprendere dalle
tenebre e ci inaridiamo miseramente. Ci prefiggiamo, con la nostra
iniziativa umana, un programma di vita, quasi sempre lontano dalle
disposizioni della divina Volontà, giudichiamo col nostro criterio
oscuro ed errato ciò che dobbiamo fare, ci formiamo una dottrina
tutta personale, cercando di trovare nella nostra ragione la
giustificazione dei nostri capricci e della nostra volontà e ci
alimentiamo dei “surrogati” della grazia soprannaturale,
nutrendoci di devozioni che appagano i sensi più che l'anima e
fioriscono come erbe selvatiche che il Signore non ha seminato. È
questa, dolorosamente, la pietà e la devozione delle anime che sono
tutte prese dalle loro aspirazioni, dai loro criteri, dal loro
giudizio, dalla loro volontà, e che, più che donarsi a Dio,
desiderano adattare Dio a loro stesse. Dimenticano che l'abnegazione
è il fondamento di ogni cammino spirituale; dimenticano che la
Volontà di Dio deve esser l'unica luce intellettuale, l'unica
ragione soprannaturale; dimenticano che la vera Vita è Gesù Cristo
e si sforzano di formare in loro non la sua vita, ma un vano
simulacro della sua vita. Formano in loro una statua del Cristo,
scolpita secondo il proprio criterio, simili a quei cinesi che non
sanno effigiarlo che con i loro lineamenti o a quegli artisti etiopi
che lo fanno bruno perché essi sono bruni.
Gesù
Cristo è la Via la Verità e la Vita, e nessuno va al Padre se non
attraverso di Lui.
Quando
si è bigotti
La
falsa devozione o perfezione, tutta soggettiva e personale, è in
realtà sviamento, confusione e morte. È una devozione che non ha la
via, ma un dedalo di labirinto che stanca e non fa percorrere un vero
cammino; è una devozione che non supera la meschinissima atmosfera
naturale e che dà come frutti uva selvatica e spine. È la devozione
che il popolo spontaneamente chiama bigotteria e che ha sempre in sé
qualcosa di urtante e di ripugnante. È il dilettantismo spirituale,
non l'arte vera; sa produrre tutt'al più degli abbozzi, ma non può
dare un vero lavoro di santificazione; è come un fiore artificiale,
che rimane quale l'ha formato la mano e, lungi dal mandare profumo,
s'impolvera ogni giorno di più ed è completamente sterile. Non
siamo cristiani così! Diciamo piuttosto a Gesù con tutta l'anima:
Eccomi, mi do a te interamente, guidami Tu in ogni passo, illuminami
con la tua luce e vivificami col tuo amore, perché non sia più io,
ma sia vivo della tua vita, splendente della tua verità e
percorrente dietro di te il cammino che mi conduce alla gloria.
Se
mi aveste conosciuto, avreste conosciuto anche il Padre mio
La
vita spirituale, in tutte le sue attività, si sintetizza in queste
parole: Conoscere, amare e servire Dio. Ora, per conoscere Dio, i
suoi pensieri, la sua Volontà il suo amore, bisogna conoscere Gesù
Cristo. È infatti da Lui e attraverso di Lui che ci viene la vera
conoscenza di Dio. Anche la rivelazione dell'Antico Testamento,
essendo ordinata all'Incarnazione del Verbo e concentrandosi in Lui
per prometterlo, annunciarlo e prefigurarlo, si deve al Redentore.
Senza il piano della discesa del Figlio di Dio in terra, l'Antico
Testamento non avrebbe ragion d'essere, anzi, non ci sarebbe stato.
In esso la figura centrale è Gesù Cristo e da essa s'irradia la
vivida luce che ci fa conoscere Dio. Per questo, Gesù, dopo aver
detto ai suoi Apostoli che Egli era la Via, la Verità e la Vita e
che nessuno poteva andare al Padre se non per Lui, soggiunse: Se
voi mi aveste conosciuto avreste conosciuto anche il Padre mio e fin
d'ora lo conoscete e l'avete visto.
Gli
Apostoli non conoscevano ancora Gesù per quel che real mente era,
Figlio di Dio, consustanziale al Padre; qualche volta l'avevano
chiamato Figlio di Dio, ma non avevano ponderato il valore di questa
espressione, e avevano sempre finito per con centrarsi nella sua
umanità e considerarlo praticamente come un uomo straordinario e un
profeta singolare. Se l'avessero conosciuto come Dio, avrebbero
capito che Egli era nel Padre e il Padre in Lui, e attraverso la sua
stessa Umanità e la sua vita mortale avrebbero visto risplendere gli
attributi di Dio. Egli, infatti, mostrava di conoscere tutto,
passato, presente e futuro; era infinitamente buono, era Padrone
della creazione, che dominava come voleva, era infinitamente giusto e
santo, penetrava il fondo dei cuori e li scrutava, rimetteva i
peccati e aveva, nel suo medesimo tratto, una maestà che rivelava in
sé la Divinità.
Gesù
non aveva una fisionomia semplicemente umana, benché avesse un corpo
reale come l'abbiamo noi; i suoi lineamenti rivelavano in Lui non un
uomo eccezionale ma qualcosa di più grande, d'immensamente più
grande, come possiamo verificare anche noi pallidamente sul Volto e
sul corpo effigiato nella santa Sindone. Ravvivando quei lineamenti
statici nella morte, dando loro lo splendore dello spirito,
rendendoli manifestazione della vita interiore e dando a quelle
labbra le parole della vita, non si ha il volto di un semplice uomo
ma un Volto misterioso e divino. Certo, nessun artista è stato
capace di ravvivare quel Volto, riconoscendolo divino anche nel gelo
della morte, che ne spense la vita umana ma non poté separarlo dal
Verbo che ancora lo terminava.
Gli
Apostoli, per vedere Dio, non avrebbero dovuto far altro che fissare
Gesù; ma essi convivevano con Lui senza quasi badarci, solleciti
com'erano delle loro attività temporali. Sentivano il Maestro divino
che parlava del Padre, desideravano conoscere il Padre, ma nel loro
desiderio c'era più un senso di curiosità spirituale che la
considerazione della consustanzialità del Padre con Lui; per questo
essi lo vedevano e non si accorgevano dello splendore divino che
rifulgeva da Lui e per questo Egli, leggendo nei loro cuori il
desiderio di conoscere il Padre suo con una rivelazione esterna e
manifesta ai sensi, disse: Fin d'ora voi lo conoscete e l'avete
visto.
Quale
manifestazione di Dio, infatti, è più grande sulla terra del Verbo
Incarnato? E quale grazia, per essi, trattare con Lui da vicino,
conversare con Lui e vivere con Lui! Essi, però, non lo capivano, e
le parole di Gesù acuivano la loro brama di avere una rivelazione di
Dio. E perciò Filippo, a nome di tutti, disse, con l'accento di chi
esprime un desiderio che da lungo tempo gli ferveva nel cuore:
“Signore, facci vedere il Padre e ci basta. Faccelo vedere con gli
occhi del corpo almeno una volta e saremo appagati, anzi, avremo un
argomento pieno e definitivo sulla realtà della tua missione e sulla
verità di quello che Tu dici e operi”. Evidentemente le parole di
Filippo non erano un atto di fede, anzi svelavano, almeno
inconsciamente, una piena incomprensione di ciò che era il Maestro
divino; per questo, Gesù con dolore rispose a lui per rispondere a
tutti quelli che avevano la stessa incomprensione: Da tanto tempo
sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi vede me vede
anche il Padre. Ora, come tu dici: Facci vedere il Padre? Non credi
che io sono nel Padre e il Padre è in me?
Negli
anni in cui gli Apostoli avevano conversato con Gesù, avrebbero
dovuto accorgersi della sua Divinità e capire che Egli era
consustanziale al Padre; avrebbero dovuto capire che Egli era una
Persona distinta dal Padre, ma della stessa natura e della stessa
Divinità. Era Figlio di Dio, veramente Figlio e veramente Dio, e
perciò il Padre era in Lui ed Egli era nel Padre, essendo le divine
Persone strettissimamente presenti l'una all'altra perché d'una
stessa sostanza e aventi la stessa operazione.
Per
illuminarli maggiormente sulla sua unione sostanziale col Padre, Gesù
soggiunse: Le parole che io dico non le dico da me stesso, ma il
Padre, che è in me, Egli compie le opere. Non credete che io sono
nel Padre e il Padre è in me? “Essendo una cosa sola col Padre per
la natura e la sostanza divina, sono una cosa per l'operazione, e
quindi voi sentendomi parlare sentite le parole dell'eterna sapienza
del Padre, e vedendomi operare soprannaturalmente vedete
l'Onnipotenza divina che opera. Non avete bisogno, perciò, di
ascoltare la voce del Padre o di vederlo, poiché la mia parola è
sua e le mie azioni sono sue, essendo parole e operazioni divine. Che
siano operazioni divine – soggiunse Gesù – non è difficile
capirlo, essendo miracoli strepitosi; ora, questi miracoli rivelano
che opera Dio nella mia Umanità e che Io sono Dio come il Padre,
perché le opere miracolose il Padre le compie per affermare la mia
Divinità e la mia missione”.
Credere
in Gesù com'Egli è veramente
Il
discorso di Gesù Cristo, certo, era difficile per gli Apostoli, ma
non era per loro difficile constatare la soprannaturalità delle
opere che Egli compiva; essi, dunque, potevano capire che Egli era
Dio e come tale era una cosa sola col Padre, consustanziale a Lui. Il
ripetere Gesù due volte: Non credete che io sono nel Padre e il
Padre è in me? (versetti 10, 11), mostra chiaramente che Egli aveva
loro dato tanta luce che avrebbero potuto e dovuto credere. Gesù
Cristo stabiliva un fondamento indispensabile a chi vuole seguirlo,
credergli ed essere vivificato da Lui, a chi vuole averlo come via,
verità e vita, a chi gli si dona interamente perché Egli viva in
lui ed operi in lui, e questo fondamento indispensabile è il credere
in Gesù com'Egli è veramente, l'apprezzarlo come merita e
considerarlo non come il termine o l'oggetto di un sentimento
naturale qualunque ma come vero Dio, le cui parole sono divine e
divine le opere in questa luce soltanto che si deve vedere in Lui la
Via che ci conduce, la Verità che ci illumina e la Vita che ci
vivifica.
Gesù
non ci traccia solo un ideale, non ci parla come un maestro terreno,
non appaga solo un nostro vago desiderio di elevazioni spirituali;
Egli ci mostra la via dell'eternità, la via che ci porta a Dio, ci
rivela le Verità divine e assolute e ci vivifica con la sua stessa
vita nei Sacramenti, specie nell'Eucaristia. È solo così che Egli
può vivere in noi e noi in Lui e che la nostra miseria può essere
come sostituita dalla sua ricchezza. Perciò, con mirabile e
profondissimo nesso logico, nel suo stile divinamente sintetico,
Egli soggiunse: In verità, in verità vi dico: Chi crede in me farà
anch'egli le opere che lo faccio e ne farà maggiori di queste,
perché io vado al Padre.
"Io
me ne vado e continuo la mia azione in voi e nella Chiesa; voi,
credendo in me, cioè uniti a me che vi vivifico, farete ciò che lo
ho fatto e opere anche maggiori, com'è maggiore la pianta che
sboccia dalla semente e cresce in albero maestoso. Non sarete più di
me, evidentemente, ma farete per me opere maggiori di quelle che ho
fatto Io, domandandole al Padre nel mio nome, cioè per la mia
gloria. Voi le domanderete al Padre per glorificarmi, ed Io opererò
in voi per glorificare il Padre; e se voi domanderete a me qualcosa
nel mio nome, per glorificarmi, Io la farò per glorificare il Padre
con la mia gloria che è sua gloria, perché Io sono sua infinita ed
eterna glorificazione,
Il
discorso di Gesù, come si vede, raggiunge qui altissime vette e ci
apre un mirabile orizzonte di santità che solo i Santi hanno intuito
e seguito per sua grazia. Egli non parla di qualunque preghiera fatta
al Padre o a Lui nel suo nome, cioè semplicemente invocandolo, per
avere grazie temporali o qualunque grazia spirituale. È
importantissimo capirlo. Egli parla di quelle grazie che ci uniscono
a Lui e lo donano a noi, che lo rendono operante in noi e ci fanno
dare a Lui come strumenti della gloria di Dio e della sua gloria.
Egli ci dischiude l'orizzonte magnifico della soave schiavitù
d'amore che, dandoci a Gesù interamente, fa che Egli compia in noi
opere maggiori di quelle fatte nella sua vita mortale, elevandoci ad
un'altissima santità per la gloria di Dio e compiendo in noi e per
noi anche opere straordinarie, affinché il Padre sia glorificato nel
Figlio.
Questo
Egli l'ha fatto e lo fa nella Chiesa, organismo ammirabile, via degli
uomini per la Vita eterna, verità che li illumina e vita che li
vivifica per la gloria di Dio, di Gesù Cristo suo figlio e dello
Spirito Santo. Questo Egli l'ha fatto nei Santi e vuole farlo in ogni
fedele. Tutto sta, da parte nostra, nel crederlo per quel che è e
nel donarci a Lui perché Egli ci guidi, ci illumini e ci vivifichi.
Gesù
non è un mito da adattare alle nostre velleità
Questo
è un segreto ammirabile di santità ancora inesplorato, un segreto
che dobbiamo raccogliere per inaugurare in noi il regno di Dio.
Conosciamo Gesù per quel che è veramente, senza presumere di farne
un mito o di adattarlo alle nostre velleità, e diamoci a Lui,
domandandogli, per la gloria di Dio e per la sua gloria, che Egli
viva in noi, e donandoci a Lui in una piena e soave schiavitù
d'amore, perché Egli si serva di noi e ci renda strumenti della
gloria di Dio. Riconosciamoci nulla, poiché nell'umiltà è più
facile che ci doniamo a Lui e che Egli venga in noi e viva in noi.
Comunichiamoci con questa intenzione principale: che Egli sia in noi
e noi in Lui; preghiamo con questo ardente desiderio e toccheremo con
mano che la nostra natura viziata e miserabile a mano a mano sparirà,
come svapora l'acqua di un pantano ai raggi del sole, e vivrà in noi
Gesù Cristo.
Tratto da "I Quattro Vangeli" del Sac. Dolindo Ruotolo - Commento al Vangelo secondo San Giovanni.
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