martedì 2 gennaio 2018

Un santo sacerdote - monaco della Russia


Padre Arseny e lo studente Alexei
Durante un inverno in un campo di concentramento, alla baracca di P. Arseny fu assegnato un giovane. Era uno studente di ventitre anni, condannato a venti anni di prigionia; arrivava in quel campo della morte direttamente dalla severa prigione Butirki di Mosca. Giovane e inesperto non aveva alcuna idea di ciò che gli sarebbe potuto capitare in quel gulag. Appena arrivato, ebbe una discussione con alcuni veri ‘criminali’, che si trovavano lì per delitti gravi. Siccome i vestiti di Alexei, così si chiamava il ‘nuovo arrivato’, erano ancora in buono stato, i ‘criminali’, guidati da Ivan ‘il moro’, escogitarono un trucco per impossessarsene. Proposero al giovane di giocare a carte, scommettendo i suoi vestiti. Tutti sapevano che Alexei presto sarebbe rimasto nudo, ma nessuno poteva cambiare la regola del campo: “Chi si immischia, viene ucciso!”. Tutti quelli che erano lì già da un po’ di tempo, sapevano che se i criminali avevano deciso di giocare sui tuoi vestiti, ogni resistenza avrebbe significato la tua fine. Ovviamente Ivan ‘il moro’ vinse ogni partita, per cui invitò il giovane: “Togliti tutto amico!”.

Alexei, pensando si trattasse solo di un gioco, rifiutò di dargli i pantaloni e la camicia e Ivan, senza dire una parola, cominciò a picchiarlo brutalmente. Alexei, colto di sorpresa, tentò di opporre resistenza, ma tutti nella baracca già sapevano che lo studente avrebbe ricevuto tanti colpi fino a rimanere per terra privo di sensi o addirittura morto. Tutti guardavano, nessuno muoveva un dito, mentre Ivan continuava a picchiare Alexei, che già perdeva sangue dalla bocca e barcollava. Gli altri criminali si divertivano incitando il giovane a combattere. All’inizio della lotta, P. Arseny non era presente. Era occupato ad accatastare legna per il riscaldamento dall’altro lato della baracca. Solo dopo si accorse di quel che stava accadendo. Ivan stava per uccidere Alexei che ormai cercava solo di ripararsi il viso dai duri colpi. Con calma P. Arseny posò la legna accanto alla stufa, poi venne lentamente verso il campo di battaglia e, stupendo tutti, fermò il braccio di Ivan. Questo fu colto di sorpresa dal fatto che il misero prete aveva osato immischiarsi. Per questo avrebbe dovuto pagare con la vita! Ivan odiava da sempre P. Arseny, ma temendo tutta la squadra della baracca, aveva evitato di toccarlo; ora però aveva un motivo per ucciderlo. “Ebbene, pretaccio”, esclamò ad alta voce, “questa sarà la fi ne di tutti e due. Prima lo studente, poi tu”. E subito con un coltello in mano si buttò su Alexei. Ma in quel momento, il riservato e debole P. Arseny si alzò e diede un colpo talmente forte sul braccio di Ivan, che il coltello gli cadde dalla mano. Poi allontanò Ivan da Alexei. Il criminale inciampò, cadde e batté la testa contro un angolo del tavolaccio. P. Arseny si rivolse ad Alexei e con voce mite disse: “Vai, Alyosha, lavati il viso. Nessuno ti picchierà più”. Il sacerdote, poi, tornò al suo lavoro, come se nulla fosse accaduto. Tutti rimasero senza parole! Quando Ivan a fatica si fu alzato, gli altri criminali rimasero zitti. Erano testimoni del fatto che uno di loro aveva perso la faccia davanti a tutta la baracca. Qualcuno, furtivamente, tolse con il piede il sangue dal pavimento, mentre vigeva ancora un silenzio mortale. Il viso di Alyosha era spaccato, il suo orecchio mezzo staccato, un occhio gonfiato e l’altro paonazzo. Tutti nella stanza sapevano che l’ultima ora era arrivata, sia per lui che per P. Arseny. I criminali li avrebbero uccisi. Ma tutto doveva prendere un’altra piega! In verità, i delinquenti avevano ammirato l’intervento di P. Arseny da uomo ardito e coraggioso. Il sacerdote non si era ritirato, quando il suo avversario aveva tirato fuori il coltello, dimostrandosi un uomo senza paura! Fino ad allora avevano conosciuto P. Arseny per la sua bontà e la sua gentilezza, per le sue azioni insolite; ora, però, lo avrebbero rispettato per il suo coraggio. Ivan, che nel frattempo si era gettato arrabbiato sul suo tavolaccio, dal bisbigliare dei suoi amici, comprese che non lo avrebbero più sostenuto.
La morte sicura per il freddo
La notte passò. La mattina successiva tutti dovevano andare al lavoro. Come al solito, P. Arseny si occupò delle stufe, fece ordine e lavò il pavimento. I prigionieri tornarono di sera e, all’improvviso, poco prima che la baracca venisse chiusa per la notte, entrò l’ispettore con alcune guardie. “Attenzione!”, gridò. Tutti saltarono dai loro tavolacci e si misero sull’attenti, mentre l’ispettore passava in rassegna. Arrivato da P. Arseny, cominciò a picchiarlo. Nel frattempo le guardie avevano preso Alexei fuori dalla fila trascinandolo. “P 18367 e P 218 a causa dell’infrazione alle regole del campo e per la lotta, per quarantotto ore nella cella di punizione numero 1, senza cibo e acqua!”, urlò uno dei sorveglianti. Ivan aveva denunciato i due presso la direzione del campo. Persino tra i criminali questo era ritenuto un atto spregevole. La cella di punizione numero 1 si trovava in una piccola costruzione all’ingresso del campo, composta da alcune stanze. Una di queste era destinata a due persone; con un asse di legno in basso, largo cinquanta centimetri, al posto di un letto. Tutta la cella non era più grande di due metri (!); la terra e le pareti erano ricoperte da lastre di metallo. Fuori faceva molto freddo, meno 30°, con il vento che rendeva difficile la respirazione e già solo a fare pochi passi il corpo diventava rigido. Tutti i prigionieri compresero immediatamente che quarantotto ore in quella cella significavano la morte sicura! Di tanto in tanto era capitato che qualcuno fosse stato rinchiuso in quella cella, ma solo per ventiquattro ore. Gli unici a sopravvivere erano stati quelli che per tutto quel tempo avevano saltellato in continuazione per non intirizzire. Chi aveva cessato di muoversi, era morto di freddo. E ora P. Arseny, anziano, e Alexei, picchiato brutalmente, avrebbero dovuto passare due giorni e due notti in quella cella. Esausti come erano, sarebbero morti entro due ore! Una guardia prese entrambi e li tirò fuori dalla baracca. Avsenkov e Sazikov, due dei ‘criminali’, osarono uscire dalla fila e rivolgere la parola all’ispettore generale: “Compagno ispettore, questi due moriranno assiderati con questo tempo! Non può mandarli nella cella di punizione!”. Come risposta, l’ispettore li picchiò con una tale violenza che essi caddero duramente contro un muro. Ivan ‘il moro’ abbassò la testa. Fu preso dall’angoscia rendendosi conto che i prigionieri della sua baracca lo avrebbero ucciso per quanto aveva fatto. P. Arseny e Alexei furono spinti nella cella, tutti e due caddero e sbatterono la testa contro la parete. Era buio pesto. P. Arseny si alzò con fatica e disse: “Eccoci qua! Dio ci ha fatto incontrare. Fa freddo, Alyosha, e intorno a noi tutto è di metallo”. Poi sentirono la porta esterna venire chiusa e bloccata. Le voci ed i passi si allontanarono lentamente. Il freddo pervase immediatamente i due e rese loro difficile la respirazione. Attraverso la minuscola finestra, munita di inferriata, entrava la luce della luna, color latte. “Moriremo di freddo, P. Arseny”, si lamentava Alexei. “E’ colpa mia se moriremo di freddo. Moriremo tutti e due. Dobbiamo muoverci, saltellando su e giù; ma per quarantotto ore è impossibile! Mi sento già debole. I miei piedi sono intorpiditi e poi non c’è spazio per muoverci. Che crudeltà! Sarebbe stato meglio se ci avessero sparato subito! Oh, P. Arseny, moriremo lentamente!”. P. Arseny taceva. Alexei tentò di saltellare, ma non aveva alcuna speranza di resistere ad un tale freddo. “P. Arseny, perché non dice nulla?”, si lamentava Alexei. Come se venisse da molto lontano, per la prima volta, il sacerdote fece sentire la sua voce: “Prego Dio, Alexei!” - “Cosa c’è da pregare mentre stiamo morendo di freddo?”, si lamentava il giovane. “Noi siamo qui soli, Alexei”, rispose il sacerdote, “per due giorni, nessuno verrà. Preghiamo! Per la prima volta Dio ha permesso che in questo campo si possa pregare a voce alta. Pregheremo e tutto il resto sta alla volontà di Dio”. Alexei era convinto che P. Arseny fosse uscito di senno, perché stando in piedi, illuminato dalla luce della luna, si segnava con la croce e parlava sommesso. Lui, invece, era afferrato sempre più dal freddo, le sue mani e i suoi piedi erano già insensibili. Stava morendo congelato e ormai non gli importava più nulla. Abbandonò ogni resistenza e intorno a lui tutto divenne cupo e silenzioso. Ma, seppur in tale silenzio, Alexei sentiva in modo chiaro e distinto le parole di P. Arseny e pensava: “Questa deve essere una preghiera!”. Aveva messo piede in Chiesa solo una volta e per pura curiosità. La nonna lo aveva fatto battezzare quando era ancora piccolo, ma la sua famiglia non credeva in Dio; semplicemente non era interessata ai fatti religiosi. Nessuno in famiglia sapeva cosa significasse la fede o l’avere fiducia. Alexei era membro del Komsomol, l’organizzazione giovanile comunista. Come avrebbe potuto credere in Dio? Intorpidito dal freddo e dai dolori per i colpi ricevuti, Alexej riuscì però a sentire chiaramente le preghiere di P. Arseny: “Signore, abbi pietà di noi peccatori! Dio sempre misericordioso! Signore Gesù Cristo, che ti sei fatto uomo per amore, per salvarci! Per la Tua ineffabile misericordia, salvaci, abbi pietà di noi e allontana da noi questa morte crudele; noi crediamo in Te, in Te, o Dio, nostro Creatore!”. Questa fervida preghiera usciva dall’anima di P. Arseny. Ogni parola era espressione di una fede salda, di un amore profondo e di fiducia nella misericordia di Dio. Alexei iniziò ad essere più attento alle parole della preghiera e, pian piano, questa calmò la sua anima; gli tolse la paura della morte e lo unì a quell’uomo anziano accanto a lui. Infi ne ripeté la seguente preghiera di P. Arseny: “Signore, nostro Dio Gesù Cristo! Tu hai promesso con le tue purissime labbra: quando due o tre chiedono insieme la stessa cosa, il Divin Padre ascolta la loro preghiera, perché tu hai detto: ‘Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro’.” (Mt 18,20) Il freddo aveva completamente sopraffatto Alexei. Tutto il suo corpo era irrigidito. Non sapeva più se stava in piedi, seduto o sdraiato, ma improvvisamente la cella intorno a lui sparì, come anche la rigidità del suo corpo, svanì il dolore causato dalle botte, e anche la sua paura. La voce di P. Arseny aveva riempito la cella, ma era ancora una cella? Alexei si girò verso il sacerdote, era esterrefatto. Tutto sembrava trasformato e per un attimo pensò: “Sono uscito di senno, sto morendo...”. La cella stretta sembrava allargata, i raggi della luna erano sostituiti da una luce più intensa. In quella luce splendida stava P. Arseny, vestito in abiti sacerdotali di un bianco splendente, con le mani alzate e pregava. I vestiti da festa che portava P. Arseny erano uguali a quelli che, una volta, Alexei aveva visto in una Chiesa. Ora le parole del sacerdote erano facilmente comprensibili; all’improvviso sembrarono familiari ad Alexei e penetrarono direttamente nella sua anima. Egli era dominato solo dall’ardente desiderio di comprenderle di più, di diventarne tutt’uno e ricordarsele per il resto della vita. Insieme a P. Arseny, il giovane si ritrovò in una splendida Chiesa con un’iconostasi magnifica. “Come ci siamo arrivati?”, si domandava sbalordito. E perché vi si trovavano due uomini che indossavano le stesse vesti di luce bianca? La preghiera dominava tutto l’essere di Alexei. Si alzò e iniziò a pregare con P. Arseny. D’un tratto sentì caldo; poté respirare facilmente e una gioia intensa riempì la sua anima. Ripeteva tutto ciò che P. Arseny diceva, però non era una semplice ripetizione di parole, ma una vera preghiera in comune. Gli sembrava che il sacerdote fosse diventato tutt’uno con le parole che esprimeva. Allo stesso tempo sentiva che P. Arseny non lo aveva dimenticato e lo assisteva per tutto il tempo della preghiera. Si impadronì di lui una certezza incontestabile che Dio esiste, che Dio era con loro. Gli sembrava di vedere Dio nella sua anima. Per un attimo gli venne l’idea che fossero già morti. Ma la voce forte di P. Arseny lo convinse del contrario. Non sapeva quanto tempo fosse già passato, quando P. Arseny si rivolse a lui dicendogli con dolcezza: “Vieni Alyosha, sdraiati, sei stanco! Io continuo a pregare, mi sentirai”. Perciò Alexei si stese sul pavimento, coperto di metallo, chiuse gli occhi e continuò a pregare. Le parole della preghiera riempirono tutto il suo essere: “Se due o tre pregano nel mio nome, … il Padre mio in cielo glielo concederà”. La sua anima rispondeva in mille modi. “Nel mio nome … sì, non siamo soli”, pensava Alexei di tanto in tanto, mentre continuava a pregare. Tutto era pacifico e caldo. Poi come dal nulla, apparve sua madre che lo coprì con qualche cosa di caldo. La mamma gli prese la testa tra le mani e se la strinse al cuore. Egli le volle parlare: “Mamma, mi senti? Puoi sentire come prega P. Arseny? Ho imparato e sperimentato che Dio esiste. Credo in Lui”. Come se lo avesse sentito, lei rispose: “Alyoshenka! Quando mi hanno tolto te, anch’io ho trovato Dio. Questo mi ha dato la forza di continuare a vivere”. Tutto l’orrore era sparito, perché P. Arseny e sua madre erano vicino a lui. Le parole della preghiera, una volta completamente sconosciute, infi ammavano e riscaldavano ora la sua anima. “Non vorrei mai lasciare P. Arseny, vorrei stare sempre con lui”, pensava Alexei. Accovacciato ai piedi del sacerdote, ascoltava nella semiveglia le sue ininterrotte preghiere. Sì, P. Arseny pregava senza fermarsi, come anche i due personaggi in vesti luminose al suo fianco, che lo servivano. Anche loro erano sorpresi dal meraviglioso modo di pregare di P. Arseny, preghiera che ora si era trasformata in lode e ringraziamento a Dio. Fu impossibile dire quanto tempo tutto questo durasse. L’unica cosa rimasta nella memoria di Alexei fu l’effetto benefico della preghiera, la luce che dava felicità, P. Arseny che pregava ininterrottamente con le due figure accanto a sé in vesti luminose, e la sensazione sconvolgente e imparagonabile di un calore che partiva dall’interno. Qualcuno batté sulla porta. La serratura ghiacciata scricchiolò e fuori si sentirono delle voci. Alexei aprì gli occhi, P. Arseny pregava ancora. I due uomini in vesti luminose da festa impartirono la benedizione, salutarono e lentamente si allontanarono. La luce abbagliante svanì e la cella era di nuovo buia e gelida come prima. “Alzati, Alexei! Sono venuti per noi!”, disse P. Arseny e Alexei si alzò. Davanti alla porta stavano il comandante del campo, un medico, il capo del reparto speciale, un maggiore e alcune guardie. Uno di loro inveiva: “Non ci sono scuse – qualcuno potrebbe denunciarlo a Mosca. Chi sa lì come reagiranno! Salme assiderate! Questo davvero non è il modo giusto!”. Ma quando la porta della cella fu aperta, si trovarono di fronte un uomo anziano con una giacca rattoppata e un giovane con vestiti strappati, con il viso spaccato, pieno di contusioni. La loro espressione era serena e i loro vestiti coperti di uno spesso strato di ghiaccio. “Come, voi siete vivi?”, balbettava incredulo il maggiore. “Come avete fatto a sopravvivere per due giorni qui dentro?”. “Siamo vivi, signore”, disse P. Arseny con tono gentile. Tutti li guardavano con aria incredula. “Visitateli!”, fu l’ordine. “Venite fuori!”, urlò uno dei sorveglianti. P. Arseny e Alexei uscirono dalla cella. Le guardie si tolsero i guanti e cominciarono a visitarli. Anche il medico si tolse un guanto e infilò la mano sotto gli abiti, prima di P. Arseny e poi di Alexei. “Sorprendente!”, gli sfuggì e, senza rivolgersi a qualcuno direttamente, disse: “Come è possibile che siano sopravvissuti? I loro corpi sono caldi!”. Allora entrò di nuovo nella cella, si guardò intorno e poi domandò: “Cosa vi ha tenuto caldo?”. “La nostra fede in Dio e la nostra preghiera”, rispose P. Arseny senza indugio. Il medico, irritato, si rivolse ad una guardia: “Questi sono fanatici. Portateli nelle loro baracche!”. Mentre venivano portati via, Alexei sentì dire alle loro spalle: “E’ incredibile! Con questo freddo non avrebbero potuto sopravvivere neanche 4 - 5 ore. Incredibile se si pensa che fuori sono meno 30°. Questa volta vi è andata bene a voi guardie, avreste potuto avere parecchie seccature!”. I due superstiti furono accolti nella baracca come due risorti e tutti domandavano: “Che cosa vi ha salvato?”. Loro rispondevano: “Dio ci ha salvato!”. Alexei era come rinato, divenne un uomo totalmente nuovo! Quando era possibile, restava accanto a P. Arseny e non si stancava di apprendere altre nozioni su Dio e sulla fede. Alexei raccontò spesso, e lo fecero anche altri testimoni della sua baracca, della sua immeritata salvezza all’inizio del suo tempo nel gulag, di quello straordinario ed inaspettato sperimentare la misericordia di Dio. Più tardi divenne sacerdote e, come figlio spirituale di P. Arseny, suo successore.
Gli stivali
Andreyenkov, un altro prigioniero del campo speciale, nel 1966, raccontò del seguente atto di misericordia di P. Arseny: “Ricordo ancora tutto, come se fosse ieri: gli interrogatori, le punizioni, il campo, la fame costante, le tante botte, i ‘criminali’ e la morte sempre alla porta. E la cosa peggiore: la nostalgia dei cari a casa! La morte era talmente vicina, che si poteva toccare con la mano. Ho condiviso tale destino con centinaia di migliaia che soffrivano nel campo. Chi non è mai stato in un gulag, non può comprendere cosa voglia dire fare un gesto disinteressato. Direi che potrebbe essere paragonabile all’atto eroico di un soldato. Per un prigioniero affamato, stanco, infreddolito, mezzo morto, aiutare un compagno era la più grande sfida; come per esempio, spartire la scarsa razione di cibo. Mi si può credere, io stesso ho portato soldati in battaglia all’attacco, ho salvato compagni dal fuoco e sapevo sempre in nome di chi lo stavo facendo. Nel nome di chi, però, lo si sarebbe dovuto fare nel campo, dove ognuno di noi era condannato a morte? Eravamo sempre in pericolo di vita ed era doppiamente difficile aiutare un altro. Era addirittura eroico. P. Arseny era di quel tipo! Egli ha salvato molti di noi e ci ha accompagnato in quei tempi bui! Egli lo ha fatto in nome di Dio e per amore verso quel prossimo che nemmeno conosceva. Mai si aspettava il minimo ringraziamento. Oh, potessimo anche noi essere un po’ come lui! Conobbi P. Arseny nel corso di un inverno gelido, semplicemente per i miei stivali. Bisogna sapere che, con il freddo, per noi prigionieri la cosa più importante era tenere i piedi asciutti; ma nello stesso tempo, si trattava di un’impresa quasi impossibile, perché in inverno gli stivali erano sempre umidi e così anche i piedi che si infi ammavano e si riempivano di ferite. Durante la notte non si riusciva ad asciugare gli stivali, perché se li si lasciava presso una stufa, la mattina dopo non c’erano più. Nemmeno la sera li si poteva asciugare, perché lo facevano i ‘criminali’. Perciò durante quell’inverno i miei piedi si erano riempiti di geloni. Alla fine divenni inabile al lavoro, dopo che il giorno ero caduto in un piccolo ruscello. Quella sera barcollavo verso la baracca: i miei piedi e i miei stivali formavano un unico pezzo di ghiaccio. Non tentai nemmeno di togliermeli, esausto e disperato caddi sul tavolaccio: ‘E’ arrivato il momento! Ecco, domani sarai morto!’.
Un atto di misericordia
Incapace di muovermi, sentii all’improvviso qualcuno che tentava lentamente di togliermi gli stivali dai piedi. Pensai: ‘Anche gli altri sono convinti che tu stai per morire, perciò ti tolgono gli stivali già da adesso!’. Ma nelle mie condizioni non mi importava più di nulla. Quel tale mi tolse prima uno, poi l’altro stivale. Dopo, con cautela, sciolti i brandelli di tessuto, cominciò a massaggiare i miei piedi. Sentivo ancora forti dolori, ma meno di prima. Alcune idee mi passavano per la mente: ‘Ti ha portato via gli stivali per tenerseli, ma perché ti avrà massaggiato i piedi e messo crema sulle ferite?’. Infine mi addormentai. La mattina dopo, il prigioniero responsabile per il nostro gruppo mi diede uno schiaffo e intimò: ‘Perché non ti alzi?’. Non mi ero svegliato in tempo, saltai in piedi e mi vestii velocemente per andare al lavoro. Un uomo anziano mi portò gli stivali insieme ai brandelli di stoffa. Tutto era asciutto. Da allora, tutte le sere al rientro in baracca, il vecchio, senza dirmi una parola, prendeva i miei oggetti per asciugarli. Mi salvò la vita nel vero senso della parola. Lo tenevo d’occhio, iniziai a parlare con lui e infi ne mi abituai volentieri alla sua presenza. Ma come faceva ad asciugare i miei stivali? Tutte le sere li metteva vicino alla stufa e li custodiva durante la notte. La mattina, però, anche per lui iniziava una giornata di lavoro come per tutti gli altri. Per me il suo era davvero un atto eroico. Era l’azione di un sacerdote! Il suo nome era P. Arseny. Cominciai ad osservarlo e notai come aiutava gli altri. Lo ammiravo e ben presto compresi che non potevo agire diversamente da lui: divenni cristiano, uno dei fi gli spirituali di P. Arseny. Un giorno che ero nuovamente molto depresso al pensiero che non avrei mai più rivisto la mia famiglia, egli mi disse: ‘Andreyenkov, tutto si risolverà al meglio per te e la tua famiglia. Presto lascerai il gulag e rivedrai i tuoi parenti’. Le condizioni apparivano sfavorevoli in tal senso, ma io credetti alle parole di P. Arseny. Effettivamente, dopo tre anni di detenzione, nel 1955, fui inaspettatamente liberato, riconquistai i miei diritti, il mio importante posto di lavoro e potei tornare dalla mia famiglia. P. Arseny fu tra gli ultimi a lasciare il campo, tre anni dopo di me, nel 1958.
Da allora gli faccio visita ogni sei mesi. Arrivo con un’anima vuota. Il mio padre spirituale parla con me, mi confessa e mi toglie il ghiaccio dall’anima. Ogni volta rinasco spiritualmente e torno felice a Nowosibirsk. Oggi io sono due persone: agli occhi della gente un comunista, ma davanti a Dio un cristiano. Nessuno sa dell’ultimo, perché ricopro un posto importante nella società. Ma cerco di evitare tutto ciò che ha a che fare con l’ateismo e con la propaganda anticristiana”.

Tratto dalla rivista “Trionfo del Cuore” Notte Santissima - Natale PDF - Famiglia di Maria Novembre - Dicembere 2012 N° 16 http://www.familiemariens.org/

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