Padre
Arseny e lo studente Alexei
Durante
un inverno in un campo di concentramento, alla baracca di P. Arseny
fu assegnato un giovane. Era uno studente di ventitre anni,
condannato a venti anni di prigionia; arrivava in quel campo della
morte direttamente dalla severa prigione Butirki di Mosca. Giovane e
inesperto non aveva alcuna idea di ciò che gli sarebbe potuto
capitare in quel gulag. Appena arrivato, ebbe una discussione con
alcuni veri ‘criminali’, che si trovavano lì per delitti gravi.
Siccome i vestiti di Alexei, così si chiamava il ‘nuovo arrivato’,
erano ancora in buono stato, i ‘criminali’, guidati da Ivan ‘il
moro’, escogitarono un trucco per impossessarsene. Proposero al
giovane di giocare a carte, scommettendo i suoi vestiti. Tutti
sapevano che Alexei presto sarebbe rimasto nudo, ma nessuno poteva
cambiare la regola del campo: “Chi si immischia, viene ucciso!”.
Tutti quelli che erano lì già da un po’ di tempo, sapevano che se
i criminali avevano deciso di giocare sui tuoi vestiti, ogni
resistenza avrebbe significato la tua fine. Ovviamente Ivan ‘il
moro’ vinse ogni partita, per cui invitò il giovane: “Togliti
tutto amico!”.
Alexei,
pensando si trattasse solo di un gioco, rifiutò di dargli i
pantaloni e la camicia e Ivan, senza dire una parola, cominciò a
picchiarlo brutalmente. Alexei, colto di sorpresa, tentò di opporre
resistenza, ma tutti nella baracca già sapevano che lo studente
avrebbe ricevuto tanti colpi fino a rimanere per terra privo di sensi
o addirittura morto. Tutti guardavano, nessuno muoveva un dito,
mentre Ivan continuava a picchiare Alexei, che già perdeva sangue
dalla bocca e barcollava. Gli altri criminali si divertivano
incitando il giovane a combattere. All’inizio della lotta, P.
Arseny non era presente. Era occupato ad accatastare legna per il
riscaldamento dall’altro lato della baracca. Solo dopo si accorse
di quel che stava accadendo. Ivan stava per uccidere Alexei che ormai
cercava solo di ripararsi il viso dai duri colpi. Con calma P. Arseny
posò la legna accanto alla stufa, poi venne lentamente verso il
campo di battaglia e, stupendo tutti, fermò il braccio di Ivan.
Questo fu colto di sorpresa dal fatto che il misero prete aveva osato
immischiarsi. Per questo avrebbe dovuto pagare con la vita! Ivan
odiava da sempre P. Arseny, ma temendo tutta la squadra della
baracca, aveva evitato di toccarlo; ora però aveva un motivo per
ucciderlo. “Ebbene, pretaccio”, esclamò ad alta voce, “questa
sarà la fi ne di tutti e due. Prima lo studente, poi tu”. E subito
con un coltello in mano si buttò su Alexei. Ma in quel momento, il
riservato e debole P. Arseny si alzò e diede un colpo talmente forte
sul braccio di Ivan, che il coltello gli cadde dalla mano. Poi
allontanò Ivan da Alexei. Il criminale inciampò, cadde e batté la
testa contro un angolo del tavolaccio. P. Arseny si rivolse ad Alexei
e con voce mite disse: “Vai, Alyosha, lavati il viso. Nessuno ti
picchierà più”. Il sacerdote, poi, tornò al suo lavoro, come se
nulla fosse accaduto. Tutti rimasero senza parole! Quando Ivan a
fatica si fu alzato, gli altri criminali rimasero zitti. Erano
testimoni del fatto che uno di loro aveva perso la faccia davanti a
tutta la baracca. Qualcuno, furtivamente, tolse con il piede il
sangue dal pavimento, mentre vigeva ancora un silenzio mortale. Il
viso di Alyosha era spaccato, il suo orecchio mezzo staccato, un
occhio gonfiato e l’altro paonazzo. Tutti nella stanza sapevano che
l’ultima ora era arrivata, sia per lui che per P. Arseny. I
criminali li avrebbero uccisi. Ma tutto doveva prendere un’altra
piega! In verità, i delinquenti avevano ammirato l’intervento di
P. Arseny da uomo ardito e coraggioso. Il sacerdote non si era
ritirato, quando il suo avversario aveva tirato fuori il coltello,
dimostrandosi un uomo senza paura! Fino ad allora avevano conosciuto
P. Arseny per la sua bontà e la sua gentilezza, per le sue azioni
insolite; ora, però, lo avrebbero rispettato per il suo coraggio.
Ivan, che nel frattempo si era gettato arrabbiato sul suo tavolaccio,
dal bisbigliare dei suoi amici, comprese che non lo avrebbero più
sostenuto.
La
morte sicura per il freddo
La
notte passò. La mattina successiva tutti dovevano andare al lavoro.
Come al solito, P. Arseny si occupò delle stufe, fece ordine e lavò
il pavimento. I prigionieri tornarono di sera e, all’improvviso,
poco prima che la baracca venisse chiusa per la notte, entrò
l’ispettore con alcune guardie. “Attenzione!”, gridò. Tutti
saltarono dai loro tavolacci e si misero sull’attenti, mentre
l’ispettore passava in rassegna. Arrivato da P. Arseny, cominciò a
picchiarlo. Nel frattempo le guardie avevano preso Alexei fuori dalla
fila trascinandolo. “P 18367 e P 218 a causa dell’infrazione alle
regole del campo e per la lotta, per quarantotto ore nella cella di
punizione numero 1, senza cibo e acqua!”, urlò uno dei
sorveglianti. Ivan aveva denunciato i due presso la direzione del
campo. Persino tra i criminali questo era ritenuto un atto
spregevole. La cella di punizione numero 1 si trovava in una piccola
costruzione all’ingresso del campo, composta da alcune stanze. Una
di queste era destinata a due persone; con un asse di legno in basso,
largo cinquanta centimetri, al posto di un letto. Tutta la cella non
era più grande di due metri (!); la terra e le pareti erano
ricoperte da lastre di metallo. Fuori faceva molto freddo, meno 30°,
con il vento che rendeva difficile la respirazione e già solo a fare
pochi passi il corpo diventava rigido. Tutti i prigionieri compresero
immediatamente che quarantotto ore in quella cella significavano la
morte sicura! Di tanto in tanto era capitato che qualcuno fosse stato
rinchiuso in quella cella, ma solo per ventiquattro ore. Gli unici a
sopravvivere erano stati quelli che per tutto quel tempo avevano
saltellato in continuazione per non intirizzire. Chi aveva cessato di
muoversi, era morto di freddo. E ora P. Arseny, anziano, e Alexei,
picchiato brutalmente, avrebbero dovuto passare due giorni e due
notti in quella cella. Esausti come erano, sarebbero morti entro due
ore! Una guardia prese entrambi e li tirò fuori dalla baracca.
Avsenkov e Sazikov, due dei ‘criminali’, osarono uscire dalla
fila e rivolgere la parola all’ispettore generale: “Compagno
ispettore, questi due moriranno assiderati con questo tempo! Non può
mandarli nella cella di punizione!”. Come risposta, l’ispettore
li picchiò con una tale violenza che essi caddero duramente contro
un muro. Ivan ‘il moro’ abbassò la testa. Fu preso dall’angoscia
rendendosi conto che i prigionieri della sua baracca lo avrebbero
ucciso per quanto aveva fatto. P. Arseny e Alexei furono spinti nella
cella, tutti e due caddero e sbatterono la testa contro la parete.
Era buio pesto. P. Arseny si alzò con fatica e disse: “Eccoci qua!
Dio ci ha fatto incontrare. Fa freddo, Alyosha, e intorno a noi tutto
è di metallo”. Poi sentirono la porta esterna venire chiusa e
bloccata. Le voci ed i passi si allontanarono lentamente. Il freddo
pervase immediatamente i due e rese loro difficile la respirazione.
Attraverso la minuscola finestra, munita di inferriata, entrava la
luce della luna, color latte. “Moriremo di freddo, P. Arseny”, si
lamentava Alexei. “E’ colpa mia se moriremo di freddo. Moriremo
tutti e due. Dobbiamo muoverci, saltellando su e giù; ma per
quarantotto ore è impossibile! Mi sento già debole. I miei piedi
sono intorpiditi e poi non c’è spazio per muoverci. Che crudeltà!
Sarebbe stato meglio se ci avessero sparato subito! Oh, P. Arseny,
moriremo lentamente!”. P. Arseny taceva. Alexei tentò di
saltellare, ma non aveva alcuna speranza di resistere ad un tale
freddo. “P. Arseny, perché non dice nulla?”, si lamentava
Alexei. Come se venisse da molto lontano, per la prima volta, il
sacerdote fece sentire la sua voce: “Prego Dio, Alexei!” - “Cosa
c’è da pregare mentre stiamo morendo di freddo?”, si lamentava
il giovane. “Noi siamo qui soli, Alexei”, rispose il sacerdote,
“per due giorni, nessuno verrà. Preghiamo! Per la prima volta Dio
ha permesso che in questo campo si possa pregare a voce alta.
Pregheremo e tutto il resto sta alla volontà di Dio”. Alexei era
convinto che P. Arseny fosse uscito di senno, perché stando in
piedi, illuminato dalla luce della luna, si segnava con la croce e
parlava sommesso. Lui, invece, era afferrato sempre più dal freddo,
le sue mani e i suoi piedi erano già insensibili. Stava morendo
congelato e ormai non gli importava più nulla. Abbandonò ogni
resistenza e intorno a lui tutto divenne cupo e silenzioso. Ma,
seppur in tale silenzio, Alexei sentiva in modo chiaro e distinto le
parole di P. Arseny e pensava: “Questa deve essere una preghiera!”.
Aveva messo piede in Chiesa solo una volta e per pura curiosità. La
nonna lo aveva fatto battezzare quando era ancora piccolo, ma la sua
famiglia non credeva in Dio; semplicemente non era interessata ai
fatti religiosi. Nessuno in famiglia sapeva cosa significasse la fede
o l’avere fiducia. Alexei era membro del Komsomol, l’organizzazione
giovanile comunista. Come avrebbe potuto credere in Dio? Intorpidito
dal freddo e dai dolori per i colpi ricevuti, Alexej riuscì però a
sentire chiaramente le preghiere di P. Arseny: “Signore, abbi pietà
di noi peccatori! Dio sempre misericordioso! Signore Gesù Cristo,
che ti sei fatto uomo per amore, per salvarci! Per la Tua ineffabile
misericordia, salvaci, abbi pietà di noi e allontana da noi questa
morte crudele; noi crediamo in Te, in Te, o Dio, nostro Creatore!”.
Questa fervida preghiera usciva dall’anima di P. Arseny. Ogni
parola era espressione di una fede salda, di un amore profondo e di
fiducia nella misericordia di Dio. Alexei iniziò ad essere più
attento alle parole della preghiera e, pian piano, questa calmò la
sua anima; gli tolse la paura della morte e lo unì a quell’uomo
anziano accanto a lui. Infi ne ripeté la seguente preghiera di P.
Arseny: “Signore, nostro Dio Gesù Cristo! Tu hai promesso con le
tue purissime labbra: quando due o tre chiedono insieme la stessa
cosa, il Divin Padre ascolta la loro preghiera, perché tu hai detto:
‘Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a
loro’.” (Mt 18,20) Il freddo aveva completamente sopraffatto
Alexei. Tutto il suo corpo era irrigidito. Non sapeva più se stava
in piedi, seduto o sdraiato, ma improvvisamente la cella intorno a
lui sparì, come anche la rigidità del suo corpo, svanì il dolore
causato dalle botte, e anche la sua paura. La voce di P. Arseny aveva
riempito la cella, ma era ancora una cella? Alexei si girò verso il
sacerdote, era esterrefatto. Tutto sembrava trasformato e per un
attimo pensò: “Sono uscito di senno, sto morendo...”. La cella
stretta sembrava allargata, i raggi della luna erano sostituiti da
una luce più intensa. In quella luce splendida stava P. Arseny,
vestito in abiti sacerdotali di un bianco splendente, con le mani
alzate e pregava. I vestiti da festa che portava P. Arseny erano
uguali a quelli che, una volta, Alexei aveva visto in una Chiesa. Ora
le parole del sacerdote erano facilmente comprensibili;
all’improvviso sembrarono familiari ad Alexei e penetrarono
direttamente nella sua anima. Egli era dominato solo dall’ardente
desiderio di comprenderle di più, di diventarne tutt’uno e
ricordarsele per il resto della vita. Insieme a P. Arseny, il giovane
si ritrovò in una splendida Chiesa con un’iconostasi magnifica.
“Come ci siamo arrivati?”, si domandava sbalordito. E perché vi
si trovavano due uomini che indossavano le stesse vesti di luce
bianca? La preghiera dominava tutto l’essere di Alexei. Si alzò e
iniziò a pregare con P. Arseny. D’un tratto sentì caldo; poté
respirare facilmente e una gioia intensa riempì la sua anima.
Ripeteva tutto ciò che P. Arseny diceva, però non era una semplice
ripetizione di parole, ma una vera preghiera in comune. Gli sembrava
che il sacerdote fosse diventato tutt’uno con le parole che
esprimeva. Allo stesso tempo sentiva che P. Arseny non lo aveva
dimenticato e lo assisteva per tutto il tempo della preghiera. Si
impadronì di lui una certezza incontestabile che Dio esiste, che Dio
era con loro. Gli sembrava di vedere Dio nella sua anima. Per un
attimo gli venne l’idea che fossero già morti. Ma la voce forte di
P. Arseny lo convinse del contrario. Non sapeva quanto tempo fosse
già passato, quando P. Arseny si rivolse a lui dicendogli con
dolcezza: “Vieni Alyosha, sdraiati, sei stanco! Io continuo a
pregare, mi sentirai”. Perciò Alexei si stese sul pavimento,
coperto di metallo, chiuse gli occhi e continuò a pregare. Le parole
della preghiera riempirono tutto il suo essere: “Se due o tre
pregano nel mio nome, … il Padre mio in cielo glielo concederà”.
La sua anima rispondeva in mille modi. “Nel mio nome … sì, non
siamo soli”, pensava Alexei di tanto in tanto, mentre continuava a
pregare. Tutto era pacifico e caldo. Poi come dal nulla, apparve sua
madre che lo coprì con qualche cosa di caldo. La mamma gli prese la
testa tra le mani e se la strinse al cuore. Egli le volle parlare:
“Mamma, mi senti? Puoi sentire come prega P. Arseny? Ho imparato e
sperimentato che Dio esiste. Credo in Lui”. Come se lo avesse
sentito, lei rispose: “Alyoshenka! Quando mi hanno tolto te,
anch’io ho trovato Dio. Questo mi ha dato la forza di continuare a
vivere”. Tutto l’orrore era sparito, perché P. Arseny e sua
madre erano vicino a lui. Le parole della preghiera, una volta
completamente sconosciute, infi ammavano e riscaldavano ora la sua
anima. “Non vorrei mai lasciare P. Arseny, vorrei stare sempre con
lui”, pensava Alexei. Accovacciato ai piedi del sacerdote,
ascoltava nella semiveglia le sue ininterrotte preghiere. Sì, P.
Arseny pregava senza fermarsi, come anche i due personaggi in vesti
luminose al suo fianco, che lo servivano. Anche loro erano sorpresi
dal meraviglioso modo di pregare di P. Arseny, preghiera che ora si
era trasformata in lode e ringraziamento a Dio. Fu impossibile dire
quanto tempo tutto questo durasse. L’unica cosa rimasta nella
memoria di Alexei fu l’effetto benefico della preghiera, la luce
che dava felicità, P. Arseny che pregava ininterrottamente con le
due figure accanto a sé in vesti luminose, e la sensazione
sconvolgente e imparagonabile di un calore che partiva dall’interno.
Qualcuno batté sulla porta. La serratura ghiacciata scricchiolò e
fuori si sentirono delle voci. Alexei aprì gli occhi, P. Arseny
pregava ancora. I due uomini in vesti luminose da festa impartirono
la benedizione, salutarono e lentamente si allontanarono. La luce
abbagliante svanì e la cella era di nuovo buia e gelida come prima.
“Alzati, Alexei! Sono venuti per noi!”, disse P. Arseny e Alexei
si alzò. Davanti alla porta stavano il comandante del campo, un
medico, il capo del reparto speciale, un maggiore e alcune guardie.
Uno di loro inveiva: “Non ci sono scuse – qualcuno potrebbe
denunciarlo a Mosca. Chi sa lì come reagiranno! Salme assiderate!
Questo davvero non è il modo giusto!”. Ma quando la porta della
cella fu aperta, si trovarono di fronte un uomo anziano con una
giacca rattoppata e un giovane con vestiti strappati, con il viso
spaccato, pieno di contusioni. La loro espressione era serena e i
loro vestiti coperti di uno spesso strato di ghiaccio. “Come, voi
siete vivi?”, balbettava incredulo il maggiore. “Come avete fatto
a sopravvivere per due giorni qui dentro?”. “Siamo vivi,
signore”, disse P. Arseny con tono gentile. Tutti li guardavano
con aria incredula. “Visitateli!”, fu l’ordine. “Venite
fuori!”, urlò uno dei sorveglianti. P. Arseny e Alexei uscirono
dalla cella. Le guardie si tolsero i guanti e cominciarono a
visitarli. Anche il medico si tolse un guanto e infilò la mano sotto
gli abiti, prima di P. Arseny e poi di Alexei. “Sorprendente!”,
gli sfuggì e, senza rivolgersi a qualcuno direttamente, disse: “Come
è possibile che siano sopravvissuti? I loro corpi sono caldi!”.
Allora entrò di nuovo nella cella, si guardò intorno e poi domandò:
“Cosa vi ha tenuto caldo?”. “La nostra fede in Dio e la nostra
preghiera”, rispose P. Arseny senza indugio. Il medico, irritato,
si rivolse ad una guardia: “Questi sono fanatici. Portateli nelle
loro baracche!”. Mentre venivano portati via, Alexei sentì dire
alle loro spalle: “E’ incredibile! Con questo freddo non
avrebbero potuto sopravvivere neanche 4 - 5 ore. Incredibile se si
pensa che fuori sono meno 30°. Questa volta vi è andata bene a voi
guardie, avreste potuto avere parecchie seccature!”. I due
superstiti furono accolti nella baracca come due risorti e tutti
domandavano: “Che cosa vi ha salvato?”. Loro rispondevano: “Dio
ci ha salvato!”. Alexei era come rinato, divenne un uomo totalmente
nuovo! Quando era possibile, restava accanto a P. Arseny e non si
stancava di apprendere altre nozioni su Dio e sulla fede. Alexei
raccontò spesso, e lo fecero anche altri testimoni della sua
baracca, della sua immeritata salvezza all’inizio del suo tempo nel
gulag, di quello straordinario ed inaspettato sperimentare la
misericordia di Dio. Più tardi divenne sacerdote e, come figlio
spirituale di P. Arseny, suo successore.
Gli
stivali
Andreyenkov,
un altro prigioniero del campo speciale, nel 1966, raccontò del
seguente atto di misericordia di P. Arseny: “Ricordo ancora tutto,
come se fosse ieri: gli interrogatori, le punizioni, il campo, la
fame costante, le tante botte, i ‘criminali’ e la morte sempre
alla porta. E la cosa peggiore: la nostalgia dei cari a casa! La
morte era talmente vicina, che si poteva toccare con la mano. Ho
condiviso tale destino con centinaia di migliaia che soffrivano nel
campo. Chi non è mai stato in un gulag, non può comprendere cosa
voglia dire fare un gesto disinteressato. Direi che potrebbe essere
paragonabile all’atto eroico di un soldato. Per un prigioniero
affamato, stanco, infreddolito, mezzo morto, aiutare un compagno era
la più grande sfida; come per esempio, spartire la scarsa razione di
cibo. Mi si può credere, io stesso ho portato soldati in battaglia
all’attacco, ho salvato compagni dal fuoco e sapevo sempre in nome
di chi lo stavo facendo. Nel nome di chi, però, lo si sarebbe dovuto
fare nel campo, dove ognuno di noi era condannato a morte? Eravamo
sempre in pericolo di vita ed era doppiamente difficile aiutare un
altro. Era addirittura eroico. P. Arseny era di quel tipo! Egli ha
salvato molti di noi e ci ha accompagnato in quei tempi bui! Egli lo
ha fatto in nome di Dio e per amore verso quel prossimo che nemmeno
conosceva. Mai si aspettava il minimo ringraziamento. Oh, potessimo
anche noi essere un po’ come lui! Conobbi P. Arseny nel corso di un
inverno gelido, semplicemente per i miei stivali. Bisogna sapere
che, con il freddo, per noi prigionieri la cosa più importante era
tenere i piedi asciutti; ma nello stesso tempo, si trattava di
un’impresa quasi impossibile, perché in inverno gli stivali erano
sempre umidi e così anche i piedi che si infi ammavano e si
riempivano di ferite. Durante la notte non si riusciva ad asciugare
gli stivali, perché se li si lasciava presso una stufa, la mattina
dopo non c’erano più. Nemmeno la sera li si poteva asciugare,
perché lo facevano i ‘criminali’. Perciò durante quell’inverno
i miei piedi si erano riempiti di geloni. Alla fine divenni inabile
al lavoro, dopo che il giorno ero caduto in un piccolo ruscello.
Quella sera barcollavo verso la baracca: i miei piedi e i miei
stivali formavano un unico pezzo di ghiaccio. Non tentai nemmeno di
togliermeli, esausto e disperato caddi sul tavolaccio: ‘E’
arrivato il momento! Ecco, domani sarai morto!’.
Un
atto di misericordia
Incapace
di muovermi, sentii all’improvviso qualcuno che tentava lentamente
di togliermi gli stivali dai piedi. Pensai: ‘Anche gli altri sono
convinti che tu stai per morire, perciò ti tolgono gli stivali già
da adesso!’. Ma nelle mie condizioni non mi importava più di
nulla. Quel tale mi tolse prima uno, poi l’altro stivale. Dopo, con
cautela, sciolti i brandelli di tessuto, cominciò a massaggiare i
miei piedi. Sentivo ancora forti dolori, ma meno di prima. Alcune
idee mi passavano per la mente: ‘Ti ha portato via gli stivali per
tenerseli, ma perché ti avrà massaggiato i piedi e messo crema
sulle ferite?’. Infine mi addormentai. La mattina dopo, il
prigioniero responsabile per il nostro gruppo mi diede uno schiaffo e
intimò: ‘Perché non ti alzi?’. Non mi ero svegliato in tempo,
saltai in piedi e mi vestii velocemente per andare al lavoro. Un uomo
anziano mi portò gli stivali insieme ai brandelli di stoffa. Tutto
era asciutto. Da allora, tutte le sere al rientro in baracca, il
vecchio, senza dirmi una parola, prendeva i miei oggetti per
asciugarli. Mi salvò la vita nel vero senso della parola. Lo tenevo
d’occhio, iniziai a parlare con lui e infi ne mi abituai volentieri
alla sua presenza. Ma come faceva ad asciugare i miei stivali? Tutte
le sere li metteva vicino alla stufa e li custodiva durante la notte.
La mattina, però, anche per lui iniziava una giornata di lavoro come
per tutti gli altri. Per me il suo era davvero un atto eroico. Era
l’azione di un sacerdote! Il suo nome era P. Arseny. Cominciai ad
osservarlo e notai come aiutava gli altri. Lo ammiravo e ben presto
compresi che non potevo agire diversamente da lui: divenni cristiano,
uno dei fi gli spirituali di P. Arseny. Un giorno che ero nuovamente
molto depresso al pensiero che non avrei mai più rivisto la mia
famiglia, egli mi disse: ‘Andreyenkov, tutto si risolverà al
meglio per te e la tua famiglia. Presto lascerai il gulag e rivedrai
i tuoi parenti’. Le condizioni apparivano sfavorevoli in tal senso,
ma io credetti alle parole di P. Arseny. Effettivamente, dopo tre
anni di detenzione, nel 1955, fui inaspettatamente liberato,
riconquistai i miei diritti, il mio importante posto di lavoro e
potei tornare dalla mia famiglia. P. Arseny fu tra gli ultimi a
lasciare il campo, tre anni dopo di me, nel 1958.
Da
allora gli faccio visita ogni sei mesi. Arrivo con un’anima vuota.
Il mio padre spirituale parla con me, mi confessa e mi toglie il
ghiaccio dall’anima. Ogni volta rinasco spiritualmente e torno
felice a Nowosibirsk. Oggi io sono due persone: agli occhi della
gente un comunista, ma davanti a Dio un cristiano. Nessuno sa
dell’ultimo, perché ricopro un posto importante nella società. Ma
cerco di evitare tutto ciò che ha a che fare con l’ateismo e con
la propaganda anticristiana”.
Tratto
dalla rivista “Trionfo
del Cuore” Notte
Santissima - Natale
PDF - Famiglia di Maria Novembre - Dicembere
2012 N° 16 http://www.familiemariens.org/
Nessun commento:
Posta un commento