mercoledì 3 gennaio 2018

Ecco che dall’oriente giunsero dei Magi a Gerusalemme... Mt. 2, 1-3 - Discorso sesto di San GIOVANNI CRISOSTOMO


Nato Gesù in Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco che dall’oriente giunsero dei Magi a Gerusalemme. E chiesero: «Dov’è il e dei giudei che è nato? poiché vedemmo la sua stella in oriente e siamo venuti per adorarlo».

1. – È necessaria una grande attenzione unita a molte preghiere per poter spiegare questo passo del Vangelo, per capire chi sono i Magi, da dove e in qual modo essi vengono, chi li ha spinti a intraprendere il cammino e quale stella li guida. Incominciamo, se voi volete, con quanto dicono i nemici della verità; infatti il diavolo li istigò a tal punto che riuscì a far loro trovare in questo avvenimento degli argomenti contro la stessa verità. Che cosa dicono? Appena Gesù Cristo nacque - essi affermano – apparve una stella, il che costituisce una prova della fondatezza dell’astrologia. Se Gesù fosse nato secondo le leggi dell’astrologia, perché le avrebbe successivamente confutate, distruggendo l’errore circa l’esistenza del fato, chiudendo la bocca ai demoni e annientando tutte le illusioni dell’arte magica? E come i Magi potevano capire, per mezzo di questa stella, che quel bambino era il re dei giudei, dato che non era affatto re di un regno terrestre come egli stesso disse a Pilato: «Il mio regno non è di questo mondo»? 
Niente, infatti, lo manifestava tale: non aveva guardie al suo seguito, non era circondato da uomini d’arme, né da cavalli, né da carri trainati da muli, né da altre simili cose. Ma egli aveva scelto una vita umile e disprezzabile e al suo seguito ci furono soltanto dodici uomini semplici.
Quand’anche i Magi avessero riconosciuto in Gesù Cristo un re, perché venirlo a trovare? Ma non appartiene all’arte degli astrologhi conoscere, per mezzo delle stelle, coloro che sono nati; la loro arte è predire, a quanto essi proclamano, che cosa dovrà accadere a colui che è nato, osservando la disposizione delle stelle nell’ora della sua nascita. Orbene, i Magi non si trovano accanto alla madre nel momento in cui essa lo partorì. Essi non avevano affatto conosciuto il momento della nascita di Gesù Cristo e, non potendo fondarsi su questa conoscenza, neppure predissero per mezzo del movimento degli astri il suo avvenire. E però, dopoi aver osservato per lungo tempo la stella apparsa nel loro paese, vennero a Betlemme per vedere colui che era nato, cosa questa ancor più sorprendente di tutto il resto. Quale ragione infatti poteva spingerli a questo viaggio? Quali vantaggi speravano di ottenere venendo così da lontano ad adorare un re? Quand’anche egli avesse dovuto essere un giorno il loro re, neppure questo sarebbe stato un motivo sufficiente. Se fosse nato in un palazzo regale e il re, suo padre, fosse stato presente, qualcuno potrebbe giustamente dire che essi, volendo compiacere al padre, resero omaggio al figlio allora nato per attirare su di sé in tal modo l’amicizia del re. Ma essi, pur sapendo che egli non sarebbe stato un giorno loro re e che avrebbe governato un popolo straniero e lontano dal loro paese, perché, mentre egli è ancora neonato, intraprendono un tale viaggio?Perché gli portano doni, quando così facendo si espongono a gravi pericoli? Infatti Erode «all’udir ciò si turbò»  e con lui tutto il popolo. Ma, - si dirà, - i Magi non prevedevano queste conseguenze. È un’obiezione inverosimile: a meno che fossero del tutto sprovvisti di buon senso, essi non potevano ignorare che, entrando in una città governata da un re e annunziando simili notizie, indicando cioè un altro re al posto di quello regnante, si sarebbero esposti con assoluta certezza a mille pericoli mortali.
Ma perché, dunque, adorano un bambino ancora in fasce? Se egli fosse stato un principe in età virile, si potrebbe dire che la speranza di trarne qualche vantaggio li spinse ad esporsi a un sicuro pericolo. E anche in tal caso sarebbe stata una completa follia per dei persiani, stranieri, che non avevano alcun rapporto con il popolo giudaico, lasciare la patria, i parenti, la casa per venire a mettersi sotto la dominazione di un re straniero.
 2. – Se ciò era una pazzia, quel che segue manifesta una follia ancor più grande. Che accadde? Dopo aver compiuto un così lungo cammino per adorare un bambino e aver suscitato gran turbamento, essi se ne tornarono subito in patria.
Insomma, quali insegne di regalità essi videro, quando furono mal cospetto di quella capanna, della mangiatoia, del bambino in fasce e della sua madre, povera? E a chi fanno essi quei doni e perché glieli offrono? C’era forse qualche legge o qualche consuetudine che obbligava a rendere simili onori a ogni re che nasceva sulla terra? Forse quei Magi erano soliti andare in giro per tutto il mondo abitato per adorare coloro che, da poveri e senza alcuna importanza, essi sapevano che sarebbero divenuti un giorno re e per rendere quindi loro omaggio prima che salissero sul trono? Nessuno potrebbe fare tale ipotesi.
Perché, dunque, lo adorano? Se lo fanno per ottenere qualche vantaggio immediato, ebbene, che cosa potevano attendersi da un bambino e da una madre povera? Se lo fanno per qualche vantaggio futuro, come sapevano che quel bambino in fasce si sarebbe ricordato un giorno che essi lo avevano adorato ancora in fasce? E se la madre avrebbe potuto ricordare al figlio la loro adorazione, essi dovevano aspettarsi di ricevere non un premio, ma una punizione,  per averlo esposto a un evidente pericolo. Furono essi, infatti a determinare il turbamento di Erode che, di conseguenza, si mise a cercare con cura il bambino e fece tutto quanto era in suo potere per scoprirlo e ucciderlo. Dire apertamente e ovunque che un bambino doveva divenire un giorno re, non significava altro che esporlo a essere assassinato e suscitargli intorno mille ostilità.
Vedete, perciò, quante assurdità vengono fuori, se si considera la vicenda dei Magi sotto il profilo umano. E queste assurdità non sono le sole, in quanto, riflettendo, si potrebbe scoprirne altre più grandi di quelle già nominate.
Ma accumulando una questione sull’altra, rischierei di causarvi una specie di accecamento: cerchiamo, perciò, la soluzione di quelle che vi ho proposto, cominciando da quelle connesse con la stella che i Magi videro. Quando sapremo quale astro esso era, donde veniva, se era una delle altre stelle, oppure se era una nuova e di natura differente, se era insomma realmente una stella o soltanto un’apparizione, comprenderemo facilmente tutto il resto.
Donde ci verrà la soluzione alle nostre domande? Dal Vangelo stesso. Infatti, per giungere alla conclusione che questa stella non era una delle infinite altre, che anzi non era neppure una stella, ma una potenza invisibile, che si celava sotto quella forma esteriore, basta considerare anzitutto il suo corso e i suoi movimenti. Non c’è nessuna stella, neppure una, che segua il corso di quest’astro. Il sole, la luna e tutti gli altri pianeti, se li osserviamo, vanno da oriente ad occidente, mentre questa stella andava da settentrione a mezzogiorno, data la posizione geografica della Persia rispetto alla Palestina. Alla stessa conclusione si arriva esaminando l’epoca in cui questa stella appare. Essa non brilla solo la notte, ma anche in pieno giorno, quando splende il sole: cosa che non possono fare le altre stelle, neppure la luna, che è tanto più luminosa di tutti gli altri astri, in quanto anch’essa scompare e più non si vede non appena il sole comincia a splendere. Ovviamente questa stella con la potenza del suo splendore superava i raggi stessi del sole e gettava una luce più viva e più brillante. La terza prova, che ci mostra che questa stella non fosse affatto una stella ordinaria, sta nel fatto che essa appare e poi si nasconde. Essa guida i Magi e li illumina lungo tutta la strada che essi percorrono fino in Palestina, ma, non appena entrano in Gerusalemme, scompare per apparire di nuovo quando hanno lasciato Erode dopo averlo informato sullo scopo del loro viaggio e riprendono il cammino. E questa cosa non può essere certamente compiuta dal movimento normale di una stella, ma da una potenza viva e intelligente. Questa stella non aveva affatto, come le altre stelle, una propria orbita, fissa e invariabile. Si muoveva quando era opportuno che essi si muovessero; si fermava, quando era opportuno fermarsi, modificando secondo le circostanze il suo moto e il suo splendore, come la famosa colonna di fuoco che faceva avanzare o arrestare l’accampamento degli israeliti, a seconda del bisogno . In quarto luogo, si può provare quanto diciamo, considerando le indicazioni dei luoghi che questa stella forniva. Essa non stava affatto in alto nel cielo, quando indicò ai Magi il luogo ove dovevano andare, poiché in tal modo non avrebbero potuto riconoscere la loro meta: per far questo si abbassò, discendendo nelle regioni dell’atmosfera più vicine alla terra. Voi capite perfettamente che una stella comune non avrebbe potuto indicare un luogo così piccolo e ristretto come quello occupato dalla capanna e, per di più, il punto preciso in cui stava il bambino. Stando all’immensa altezza in cui si trovano le stelle, non sarebbe possibile indicare e precisare allo sguardo di chi vuol vedere un punto così minuscolo. Ciò si può comprendere, osservando la luna: le sue dimensioni sono ben maggiori di quelle degli altri astri e tutti gli abitanti della terra da qualunque luogo di questa vasta distesa la guardino, la scorgono sempre vicina a loro. Ditemi dunque: come avrebbe potuto una semplice stella indicare dei luoghi così piccoli, come una capanna e una mangiatoia, se non lasciando le altezze del cielo e scendendo giù per fermarsi, in un certo modo, proprio sulla testa del bambino? A questo infatti accenna l’evangelista dicendo: «La stella che avevano veduto in oriente cominciò ad andare avanti a loro finché non si fermò sopra il luogo ove era il bambino» . Vedete, dunque, con quante prove il vangelo ci mostra che questa stella non era affatto una delle tante stelle e che essa non si mostrò secondo le leggi dell’astrologia.
3. – Ma perché, allora, questa stella apparve? Ciò avvenne per dimostrare l’insipienza dei giudei e rendere inescusabile la loro ingratitudine. Venuto sulla terra per porre termine all’Antico Testamento, per chiamare tutto il mondo alla conoscenza del suo nome ed essere adorato per terra e per mare, Gesù Cristo fin dal principio apre ai gentili la porta, volendo ammaestrare i suoi con l’esempio degli stranieri. Dio, di fronte all’assoluta indifferenza con cui i giudei ascoltavano i profeti che continuamente predicevano la nascita del Messia, fa venire da lontano i barbari a cercare il re dei giudei in mezzo agli stessi giudei e far sì che i persiani insegnino ad essi, per primi, quanto essi non avevano voluto imparare dalle predizioni dei profeti. Dio fece così allo scopo di offrire ai giudei, se avevano ancora un residuo di buona volontà, l’occasione per accostarsi alla fede. Ma se non vogliono, essi non avranno più alcuna scusa. Quale pretesto possono infatti invocare, se non accettano il Cristo, dopo tante testimonianze profetiche, ora che vedono questi Magi cercarlo, spinti soltanto dall’apparizione di una stella, e adorarlo subito dopo averlo veduto? Dio si servì dei Magi nella stessa maniera in cui un tempo si era servito dei niniviti cui inviò Giona, nello stesso modo in cui più tardi si servirà della samaritana e della cananea. Si possono, infatti, ben applicare a questa circostanza le parole di Gesù Cristo: «I niniviti risorgeranno e la condanneranno; la regina del Mezzogiorno si leverà e condannerà questa generazione. I Magi, infatti, hanno creduto a piccoli segni, mentre i giudei non hanno prestato fede neppure ai più grandi prodigi.
Forse mi chiederete perché Dio attirò a sé i Magi servendosi della stella. Ma di quale altro mezzo avrebbe potuto servirsi? Doveva inviare loro dei profeti? I Magi non li avrebbero ricevuti. Doveva parlar loro dal cielo? Essi non lo avrebbero ascoltato. Doveva inviar loro un angelo? Essi non avrebbero prestato attenzione neppure a lui. È per questo che, lasciando da parte tutti questi mezzi eccezionali, Dio, mostrando una straordinaria condiscendenza, li chiama per mezzo di cose comuni e familiari per loro e fa splendere sul loro capo una grande stella, molto diversa da tutte le altre, in modo da impressionarli e sbalordirli con la sua grandezza, con la sua bellezza e con la novità dei suoi movimenti. Imitando questa condiscendenza, Paolo prese spunto da un altare che vide ad Atene per parlare ai greci e si servì a tale scopo della testimonianza dei loro poeti. Quando si rivolge ai giudei, Paolo parla della circoncisione, e parla dei sacrifici quando incomincia ad annunziare la sua dottrina a coloro che vivono ancora sotto la legge antica. Siccome gli uomini sono attaccati ai loro costumi, anche Dio e tutti coloro che Dio invia per la salvezza dei popoli, si servono di questi costumi per annunziare la verità.
Non considerate quindi come una cosa non degna di Dio il fatto che egli si sia servito di una stella per chiamare i Magi; per la stessa ragione, allora, dovreste condannare tutte le tradizioni dei giudei, i loro sacrifici, le loro purificazioni, i loro riti, la loro arca e il tempio stesso. Tutte queste cose hanno avuto origine per la grossolanità delle genti. Dio, infatti, per salvare il popolo piombato nell’errore, permise e sopportò che gli ebrei lo onorassero come i pagani onoravano i demoni, soltanto con piccole differenze, allo scopo di indurli a poco a poco ad abbandonare quelle consuetudini e quelle cerimonie ed elevarli gradualmente alla sublime sapienza evangelica. Così si comportò anche con i Magi, chiamandoli a sé mediante la visione di una stella, nell’intento di renderli in seguito più perfetti e illuminati. Ma dopo averli condotti, come per mano, fino alla mangiatoia, non parla più loro per mezzo di una stella, ma per mezzo di un angelo, poiché in parte essi sono già divenuti più perfetti. Allo stesso modo si comportò Dio con gli ascaloniti e con i popoli di Gaza . Le cinque città dei filistei erano state colpite da un’epidemia mortale dopo la cattura dell’arca degli ebrei. Non potendo trovare rimedio a quell’epidemia, chiamarono tutti gli indovini e, fatta un’assemblea, cercarono di trovare uno scampo da quella terribile piaga.Gli indovini dissero che dovevano aggiogare delle giovenche, non ancora domate e che avessero avuto un solo figlio, al carro dove si trovava l’arca, e lasciarle andare senza che nessuno le guidasse. In questo modo, infatti, si sarebbe saputo se l’epidemia era stata mandata da Dio o se si trattava di un morbo derivante dal caso. Se le giovenche, essi dicevano, spezzeranno il giogo, cui non sono abituate, o se il richiamo dei loro vitelli le farà ritornare alla stalla, sarà segno che l’epidemia è giunta per caso; se, invece, esse si incammineranno dritto senza deviare, sebbene non conoscano la strada e senza essere scosse dal muggito dei loro figli, sarà segno evidente che è stata la mano di Dio a punire le nostre città. I filistei, abitanti di quelle città, credettero alle parole dei loro indovini e fecero quanto essi avevano detto: ebbene, Dio, nella sua straordinaria condiscendenza, conformò il suo atteggiamento alla sentenza degli indovini, e non credette affatto indegno della sua grandezza secondare le loro opinioni e compiere quanto avevano predetto. E tanto più il fatto risultò straordinario, quanto anche i suoi nemici riconobbero la sua grandezza e i loro saggi resero testimonianza alla sua potenza. Si potrebbero citare molti altri casi in cui Dio manifesta un’analoga condiscendenza: l’apparizione dell’ombra di Samuele, evocata dalla negromante  si può spiegare nello stesso modo, e questa spiegazione voi potrete capirla dopo aver riflettuto su quanto vi ho detto or ora. Mi sono limitato ad esporvi le mie considerazioni sulla stella; ma voi stessi potreste citare molti altri fatti del genere.
4. – Dobbiamo ora tornare alle prime parole del passo che abbiamo letto: «Nato Gesù in Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco che dall’oriente giunsero dei Magi a Gerusalemme».
Questi Magi seguono la stella come guida, mentre i giudei non credono neppure ai profeti che hanno annunziato la nascita del Messia! Ma perché l’evangelista ci riferisce con tanta cura sia l’epoca, sia il luogo in cui avvenne questa nascita? «In Betlemme», egli dice, e «al tempo del re Erode». Perché si preoccupa di indicare anche la dignità di Erode, dandogli l’appellativo di re? Fa così per distinguere questo Erode, che era re, da quello che fece uccidere Giovanni, che era semplicemente tetrarca. Quanto all’epoca e al luogo, li indica con precisione per richiamare alla nostra memoria le antiche profezie: quella di Michea, che aveva detto: «E tu, Betlemme, non sei la più piccola tra le città di Giuda»  e quella del patriarca Giacobbe che aveva predetto con esattezza l’epoca della venuta del Messia e ne aveva dato anzi un segno evidente, dicendo: «I principi non verranno mai meno nella tribù di Giuda e i capi nasceranno sempre dalla sua carne, fino a che non sia venuto colui che Dio ha destinato  e che sarà l’atteso dei popoli» .
Ma è giusto vedere ora donde deriva il pensiero dei Magi e che li spinse a prendere quella decisione. Non mi pare, infatti, che sia stata opera di quella stella, ma di Dio stesso che mosse le loro anime, così come in un’altra epoca fece con il re Ciro, quando lo indusse a liberare il popolo giudeo . Tuttavia, quando Dio agisce così, lo fa senza distruggere il libero arbitrio: anche quando chiamò Paolo, per mezzo di una voce che echeggiò dal cielo, Dio volle manifestare contemporaneamente la sua grazia e la sottomessa obbedienza dell’Apostolo . Ma perché, – voi domanderete, - Dio non fece questa rivelazione a tutti i Magi, invece di farla solo a questi? È perché non tutti gli avrebbero prestato fede, mentre questi tre erano più ben disposti degli altri a credere. Per questa stessa ragione, tra tanti popoli che erano sull’orlo della perdizione, Dio inviò un profeta soltanto ai niniviti e salvò uno solo dei due ladroni che erano in croce accanto a Gesù. Ammirate, dunque, la virtù dei Magi; ammirate non soltanto il loro coraggio nel venire da così lontano, ma anche la fiducia e la franchezza con cui agirono. Per non essere presi per delle spie, essi dichiararono apertamente quale guida li aveva condotti e la lunghezza del cammino che avevano percorso.
Ecco la loro fiducia nel parlare. Dissero: «siamo venuti per adorarlo». Non ebbero timore né della collera del popolo né della tirannia del re. Questa circostanza mi fa pensare che, al ritorno nel loro paese, i Magi siano divenuti predicatori della verità ai loro compatrioti. Se hanno infatti parlato con tanto coraggio in un paese straniero, hanno certamente parlato ancor più chiaramente al loro popolo, soprattutto dopo essere stati istruiti dalla parola di un angelo e dalla testimonianza dei profeti.
All’udir ciò il re Erode si turbò e con lui tutta Gerusalemme . Erode giustamente temeva quelle parole dato che era re; temeva per sé e per i suoi figli. Ma quale ragione di temere poteva avere Gerusalemme, a cui da gran tempo i profeti avevano predetto un Messia salvatore, liberatore e benefattore? Donde deriva il turbamento di questo popolo? Deriva dalla stessa aberrazione che lo indusse in passato ad allontanarsi da Dio anche quando era da Dio ricolmato di beni, e che lo spingeva a rimpiangere la carne che mangiava in Egitto quando aveva riacquistato la liberà e ne godeva pienamente. Osservate l’esattezza delle predizioni dei profeti. Isaia aveva infatti annunziato tutte queste cose da molto tempo: «Ecco, è nato per noi un bambino, a noi è dato un figlio» . Sebbene siano turbati, non si preoccupano di vedere ciò che è accaduto, non seguono i Magi, non si informano affatto; ma si mostrano negligenti oltre ogni dire e inflessibilmente ostinati, incredibilmente ostili. Avrebbero dovuto al contrario considerare un grande onore la nascita nel loro paese di un re, tanto potente da attirarsi l’omaggio dei persiani e sotto il cui regno tutti i popoli si sarebbero sottomessi, poiché un regno dall’inizio così eccezionale non avrebbe potuto avere che uno sviluppo sempre più prospero e glorioso. Ma niente può mutare le loro disposizioni d’animo, neppure il ricordo della dominazione babilonese, alla quale pure erano sfuggiti in tempo non lontani. Quand’anche non avessero avuto alcuna nozione dei misteri sublimi che Dio stava per compiere, riflettendo soltanto su quell’avvenimento di cui allora erano testimoni, avrebbero dovuto logicamente pensare: se questi stranieri sono intimoriti e rispettano tanto il nostro re quando egli è appena nato, quanto più lo temeranno e lo rispetteranno quando sarà cresciuto! E quanto diverremo allora, noi, più potenti e più gloriosi di tutti i popoli barbari? Ma essi non pensarono niente di tutto questo. Tali erano il loro torpore e la loro pigrizia congiunti a invidia: duplice vizio che noi dobbiamo con forza espellere dalla nostra anima.
Ma per poterlo combattere, bisogna essere più ardenti del fuoco. Per questo Gesù dice: «Io sono venuto a portare il fuoco sulla terra e che desidero se non che si accenda?» . E per lo stesso motivo lo Spirito Santo apparve in terra sotto forma di fuoco.
5. – Eppure, dopo tutto questo, noi restiamo più freddi della cenere e più insensibili dei morti. Non ci commoviamo affatto a vedere Paolo elevarsi al di sopra del cielo, passare anzi di cielo in cielo più veemente di una fiamma, vincere tutti gli ostacoli e porsi al di sopra degli inferi e dei superni, del presente e dell’avvenire, di ciò che è e di ciò che non è. Se questo esempio vi sembra troppo grande, ebbene ciò è segno della vostra rilassatezza. Che cosa ha Paolo più di voi, per dire che vi è impossibile imitarlo? Ma per non insistere su questo punto, lasciamo da parte Paolo e gettiamo uno sguardo sui primi cristiani: denaro, proprietà, onori mondani, affari terreni, essi gettarono via tutto, per donarsi tutti interi a Dio, per meditare giorno e notte sugli insegnamenti della sua parola. Ecco qui il fuoco dello Spirito Santo: esso non tollera che si abbia alcun desiderio delle cose di questo mondo, in quanto ci conduce verso un alto amore. Perciò colui che prima amava le cose terrene, ora, anche se occorresse donare tutto quanto possiede, abbandonare la gioia di questa terra, disprezzare la gloria e dare la sua stessa vita, farà tutto ciò con meravigliosa facilità. Infatti quando l’ardore di questo fuoco è entrato nell’anima dell’uomo, esso scaccia l’indifferenza e la pigrizia. Questo fuoco rende l’anima che ne è invasa più leggera di una piuma e le conferisce inoltre la capacità di disprezzare tutte le cose terrene. Quest’uomo rimane sempre in un perpetuo pentimento e nella contrizione. Piange senza tregua e trova grande sollievo e gioia nelle sue lacrime.
Di certo, non c’è niente che congiunga e unisca più strettamente a Dio di queste lacrime. Colui che si trova in tali condizioni, anche se vive in città, è come se abitasse in un eremo nel deserto, su una montagna o nella foresta. Egli non rivolge più uno sguardo alle cose presenti, non si sazia di gemere e piange per i propri peccati come per quelli degli altri. Per questo Gesù proclama beati, prima di altri, gli uomini di tal genere, dicendo: «Beati quelli che piangono»! . Ma in qual senso allora – mi direte voi, - Paolo ha detto: «State sempre allegri nel Signore»? L’ha detto per esprimere la gioia che queste lacrime suscitano. Infatti, come la gioia terrena ha sempre per compagna la tristezza, così le lacrime che si versano per amore di Dio, fanno fiorire nell’anima una beatitudine che non muore né appassisce mai. Fi così che quella peccatrice, di cui parla il vangelo, divenne più pura delle stesse vergini, in quanto era stata presa totalmente da questo fuoco divino. Quando fu infiammata dal fervore della penitenza, arse d’amore per Cristo. Sciolse i suoi capelli, bagnò i piedi di Gesù con le lacrime, li asciugò con la sua chioma e versò su di essi il profumo. Tutto questo avveniva esteriormente, ma i sentimenti della sua anima erano assai più ardenti d’ogni esterna manifestazione e solo Dio li vedeva! Ecco, tutti coloro che ascoltano la sua storia, si rallegrano con lei per le sue sante azioni e la considerano purificata da tutti i suoi peccati.
Se noi, che pure siamo tanto cattivi, così giudichiamo la sua conversione, ebbene, consideriamo quali grazie ella ha ricevuto da Dio misericordioso, consideriamo quanti frutti ella ha raccolto dalla sua penitenza, prima ancora che Dio la ricolmasse dei suoi doni. Come l’aria diviene più pura dopo violente piogge, così dopo questa effusione di lacrime lo spirito diviene tranquillo e sereno e le nubi del peccato si dissipano del tutto. Come siamo purificati nel battesimo, grazie all’acqua e allo spirito, così lo siamo nella penitenza grazie alle lacrime e alla confessione dei peccati, sempre che non facciamo questo per ostentazione o per vanagloria. Infatti, colei che piange con simili intenzioni, è più degna ancora di condanna di quella che si trucca in ogni modo il volto per il desiderio di apparire più bella. Quanto a me, io cerco le lacrime che non sono sparse per ostentazione, ma per contrizione, quelle lacrime che si versano segretamente, nel più nascosto recesso della propria casa, senza che nessuno veda; quelle lacrime che scorrono in silenzio e in profonda quiete, che escono dall’intimo del cuore, che nascono dal dolore e dalla tristezza e si versano per Dio solo. Di tal genere sono le lacrime di Anna, di cui la Scrittura dice che «muoveva le labbra senza che si udisse la sua voce». Ma anche solo le sue lacrime effondevano un suono più squillante di una tromba. Per questo Dio la guarì della sua sterilità e di una roccia dura fece un campo fertile.
6. – Inoltre voi imiterete il vostro Signore, se piangerete in questo modo, poiché anch’egli ha pianto la morte di Lazzaro e la rovina di Gerusalemme e si è turbato di fronte al tradimento di Giuda. Spesso lo si incontra che piange, mentre non lo si trova mai che ride, e neppure che sorride: nessuno degli evangelisti ci riferisce di averlo visto ridere. La Scrittura, poi, racconta che Paolo «ha pianto notte e giorno per tre anni» . Egli stesso lo dice e altri ancora lo hanno confermato: ma né lui, né nessun altro ha scritto che ha riso e nessuno dei santi ha scritto una cosa simile di sé o di altri santi. Si parla soltanto del riso di Sara, che ne fu subito rimproverata, e del riso del figlio di Noè che, per punizione, fu, da uomo libero, fatto servo. Naturalmente dico tutto questo non per proibire il riso in senso assoluto, ma per togliere di mezzo l’eccessiva e sregolata allegria. E, in verità, ditemi quale motivo avete voi di rallegrarvi e di scoppiare dal gran ridere, dato che dovete ancora presentarvi dinanzi alla giustizia divina, dovete comparire davanti a un tribunale così terribile e rendere un esatto conto di tutte le azioni compiute in questa vita.
Sia che si tratti di colpe volontarie o involontarie, dovremo rendere conto di tutto: «Se qualcuno – dice il Salvatore – mi rinnega davanti agli uomini, io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli» . Cioè, anche se lo rinnega involontariamente, non eviteremo per questo la condanna, ma dovremo rendere conto anche di ciò. Noi risponderemo, inoltre di quello che sappiamo e anche di quello che non sappiamo, dato che l’Apostolo dice: «Io non mi sento colpevole di niente, ma questo non mi giustifica affatto» . Noi siamo responsabili di quello che abbiamo commesso per ignoranza come di quello che abbiamo commesso consapevolmente. Egli dice dei giudei: «Io posso rendere loro testimonianza che hanno zelo per Dio, ma il loro zelo non è illuminato»  e questo non è certo sufficiente per giustificarli. Scrivendo poi ai Corinti, dice: «Ma io temo che, siccome il serpente con la sua astuzia sedusse Eva, non venga corrotto anche il vostro spirito, e vi allontaniate dalla semplicità che è in Cristo» . Come, dovendo rendere conto di tanti peccati, ve ne state seduti a ridere, a raccontare piacevolezze, a cercare le delizie della vita?
Ma che cosa guadagneremmo, - voi mi chiedete, - se piangessimo invece di ridere? Ci guadagnereste in maniera tale che non è possibile spiegare a parole. Ha un bel piangere il colpevole dinanzi alla giustizia terrena: non sfuggirà alla pena, una volta emessa la sentenza. Ma, nella Chiesa, anche se soltanto sospirate, i vostri sospiri faranno revocare la vostra sentenza e vi otterranno il perdono. Per questa ragione Gesù Cristo parla spesso del dolore e del pianto; per questo chiama beati coloro che piangono e sciagurati coloro che ridono. La Chiesa non è certamente un teatro dove ci si riunisce per ridere smodatamente, ma è un luogo dove si geme e si conquista il regno con i nostri pianti e i nostri sospiri. Quando siete al cospetto di un re della terra, non osate neppure sorridere; invece, quando il Signore degli angeli sta tra voi, non vi mostrate affatto a lui con il timoroso rispetto e con la modestia che egli esige. Al contrario, spesso ridete anche se egli è in collera. Non vi accorgete che lo irritate con questo atteggiamento, più di quanto lo offendete con tutte le vostre colpe? Dio è solito avere in orrore, non tanto coloro che peccano, quanto coloro che dopo aver peccato non si umiliano. Tuttavia, ci sono delle persone tanto prive di sensibilità da essere capaci di dire, dopo aver ascoltato tutto questo, che essi non vorrebbero mai piangere e che, anzi, chiedono la grazia a Dio di ridere e divertirsi per tutta la vita. C’è qualcosa di più puerile di questo pensiero? I divertimenti non sono un dono di Dio, ma del diavolo. Ascoltate ciò che accadde un tempo a coloro che volevano divertirsi. «Il popolo» - dice la Scrittura - «si sedette per mangiare e per bere e poi si alzò per giocare» . Così era il popolo di Sodoma; così erano quelli che vivevano al tempo del diluvio. Di quel popolo Dio disse che: «era precipitato nelle orge, nell’orgoglio, nei festini e nell’abbondanza di tutte le cose» . E quanto a quelli che vissero ai tempi di Noè, vedendo che da così tanti anni egli costruiva l’arca dinanzi ai loro occhi continuarono a divertirsi senza essere toccati dal dolore per i loro peccati e senza preoccuparsi affatto del futuro. Per questa ragione venne il diluvio che li travolse tutti, nel naufragio generale della terra.
7. – Non chiedete quindi a Dio ciò che soltanto il diavolo dà agli uomini. Il dono che Dio ci fa è un cuore contrito e umiliato, che vigila con grande attenzione ed è temperante, che è pronto a pentirsi e a piangere sui peccati. Sono questi i doni che Dio ci fa perché sono i più utili. Noi dobbiamo sostenere una dura guerra, dobbiamo combattere contro nemici invisibili, contro gli spiriti del male, contro le potestà e le potenze demoniache  Dio voglia che si riesca, con la nostra diligenza, la nostra vigilanza e tutti i nostri sforzi, a resistere a questa falange così temibile. Ma se ci stanchiamo di lottare, se passiamo il nostro tempo a ridere e a divertirci, se diveniamo pigri, saremo vinti, a causa della nostra mollezza, prima ancora di combattere. Non ci conviene trascorrere il tempo nelle risa e nei divertimenti e in mezzo alle gioie terrene. Ciò potrà andar bene per chi vive sulle scene e per gli uomini adulteri, tosati fino alla cute del capo per punizione, per i parassiti e per gli adulatori. Ma non va per coloro che son chiamati alla vita celeste e i cui nomi sono già scritti nella città eterna, né per coloro che sono addestrati al combattimento spirituale; ciò è proprio di coloro che militano sotto le insegne del diavolo e sono da lui istruiti.
Sì. è proprio il diavolo che ha fatto un’arte di questi divertimenti per debilitare i soldati di Gesù Cristo, per rilassare il loro vigore e snervare la loro virtù. A tale scopo il diavolo ha fatto sorgere teatri nelle città e allena e prepara i buffoni che vi recitano, per servirsene come di una peste per infettare tutti quanti. Paolo ci ha da tempo esortato a sfuggire il linguaggio sconveniente o quello che non ha altro scopo che il vano divertimento; mentre il diavolo ci persuade a interessarci sia dell’uno che dell’altro. È molto pericolosa l’occasione in cui ci abbandoniamo a queste risa smodate. Non appena questi ridicoli buffoni hanno pronunciato qualche bestemmia o qualche motto disonesto, subito una folla di pazzi si mette a ridere e a esternare il suo sollazzo. Essi applaudono per delle cose che dovrebbero far lapidare chi le ha dette e così, per questi sciagurati piaceri, attirano su di sé il supplizio del fuoco eterno. Lodando queste follie, si spinge il loro autore a continuare a farne e si finisce con l’essere ancora più degni della condanna di quei buffoni che le pronunziano.
Se non vi fosse più nessuno ad assistere a tali spettacoli, non vi sarebbe più alcun istrione; ma, finché essi vi vedono lasciare le vostre officine e i vostri uffici, trascurare la vostra attività, in una parola, finché vi vedono rinunziare  a tutto per accorrere a quegli spettacoli, essi raddoppieranno il loro ardore e con maggior alacrità si dedicheranno a quelle follie. Naturalmente non dico questo per scusarli delle loro colpe, ma per farvi capire che siete voi la prima causa di tutto questo disordine, assistendo ai loro spettacoli e passandovi anche delle giornate intere. Siete voi che in tal modo profanate la santità del matrimonio e disonorate davanti a tutti questo grande sacramento. Colui che interpreta quegli spettacoli licenziosi è meno colpevole di voi che lo inducete a interpretarli; non solo, ma voi lo incoraggiate e lo sostenete a farlo con la vostra passione, con i vostri applausi, con le vostre risa esilaranti e le vostre lodi, col darvi da fare in ogni maniera per organizzare e perfezionare queste attività del diavolo. Con quali occhi, ditemi, potrete poi, a casa, guardare la vostra sposa, dopo averla vista così oltraggiata in quei luoghi? Come potete non arrossire pensando a lei, quando vedete il suo sesso tanto disonorato da quelle infamie?
8. – E non venite a dirmi che tutto quanto si rappresenta in simili spettacoli è soltanto una finzione. Questa finzione ha fatto molti adulteri, ha mandato in rovina tante famiglie. E ciò che mi affligge di più è  che questo fatto non lo si considera minimamente un male. Quando si osa rappresentare sulle scene un crimine così grave come l’adulterio, non si ascoltano che applausi, grida e risa smodate. Coloro che danno tali spettacoli sono degni mille volte della morte, in quanto fanno di tutto per imitare reati che sono vietati a tutti dalla legge. Se l’adulterio è un male, è certamente un male anche rappresentarlo sulle scene. Quanti adulteri suscitano queste rappresentazioni fondate sull’adulterio; quanta impudicizia e quanta lussuria ispirano a coloro che vi assistono!
Niente è più sfrontato dell’occhio capace di tollerare simili oscenità. Voi non vorreste vedere una donna che si presentasse nuda in mezzo a una piazza e neppure in una casa e vi riterreste offesi da un simile comportamento: e, tuttavia, non esitate affatto a recarvi a questi spettacoli e non temete di disonorare, così facendo, l’uno e l’altro sesso e di infangare con i vostri occhi con la vista di quelle infamie. E non ditemi che, tanto, quella donna nuda è una prostituta. La natura e il corpo sono gli stessi sia che si tratti di una donna prostituta o che si tratti di una donna libera. Se non c’è niente di male in questo fatto, perché quando vedete un simile comportamento in mezzo a una piazza subito reagite e allontanate quella impudica? Forse quando siamo soli quel fatto costituisce un’oscenità, mentre quando tutti insieme ci sediamo in un ritrovo quel comportamento non è ugualmente disonesto? Ciò è ridicolo e biasimevole; questo discorso è indice di estrema stravaganza.
Sarebbe meglio coprirsi tutto il viso di fango piuttosto che vedere quegli sporchi e vergognosi spettacoli. Il fango, infatti, ferisce meno gli occhi del corpo di quanto ferisca l’anima l’aspetto lascivo e la vista di una di quelle femmine impudiche. Ricordate donde derivò, all’inizio, la nudità del primo uomo e temete la causa di questa vergognosa condizione. Non fu forse la disobbedienza di Adamo e l’insidia del diavolo a causare quella nudità? Così già una volta e sin dall’inizio, questa fu l’arte del diavolo. Ma per lo meno i nostri genitori arrossirono vedendosi nudi; mentre voi ve ne gloriate, cioè «ponete la vostra gloria nella vostra confusione»  secondo le parole dell’Apostolo. Con quali occhi vi guarderà la vostra sposa, quando tornate da quei luoghi così impuri? Come vi riceverà? Come vi parlerà dopo che voi avete tanto oltraggiato il sesso femminile e dopo che simile vista vi ha come imprigionati, rendendovi schiavi di una prostituta?
Se vi addolorate sentendomi parlare così, vi ringrazierò vivamente. Infatti, come dice Paolo, «chi può donarmi maggior gioia di colui che si rattrista alle mie parole?» . Non cessate dunque di piangere su queste sregolatezze e continuate ad averne rimorso, poiché il dolore che esse suscitano in voi sarà il principio della vostra conversione. Per questo motivo vi ho parlato oggi con maggior veemenza: per guarirvi, cioè, mediante un’incisione più profonda, dalla cancrena di cui vi contagiano questi uomini corruttori e restituirvi la perfetta salute dell’anima. Volesse il cielo che noi tutti e sempre godessimo di questa salute, insieme alle ricompense eterne che Dio promette alle nostre buone opere, per la grazia e la misericordia di nostro Signor Gesù Cristo a cui appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.

San GIOVANNI CRISOSTOMO COMMENTO AL VANGELO DI S.MATTEO vol. 1°


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