Nato Gesù in Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco che dall’oriente giunsero dei Magi a Gerusalemme. E chiesero: «Dov’è il e dei giudei che è nato? poiché vedemmo la sua stella in oriente e siamo venuti per adorarlo».
1.
– È necessaria una grande attenzione unita a molte preghiere per
poter spiegare questo passo del Vangelo, per capire chi sono i Magi,
da dove e in qual modo essi vengono, chi li ha spinti a intraprendere
il cammino e quale stella li guida. Incominciamo, se voi volete, con
quanto dicono i nemici della verità; infatti il diavolo li istigò a
tal punto che riuscì a far loro trovare in questo avvenimento degli
argomenti contro la stessa verità. Che cosa dicono? Appena Gesù
Cristo nacque - essi affermano – apparve una stella, il che
costituisce una prova della fondatezza dell’astrologia. Se Gesù
fosse nato secondo le leggi dell’astrologia, perché le avrebbe
successivamente confutate, distruggendo l’errore circa l’esistenza
del fato, chiudendo la bocca ai demoni e annientando tutte le
illusioni dell’arte magica? E come i Magi potevano capire, per
mezzo di questa stella, che quel bambino era il re dei giudei, dato
che non era affatto re di un regno terrestre come egli stesso disse a
Pilato: «Il mio regno non è di questo mondo»?
Niente,
infatti, lo manifestava tale: non aveva guardie al suo seguito, non
era circondato da uomini d’arme, né da cavalli, né da carri
trainati da muli, né da altre simili cose. Ma egli aveva scelto una
vita umile e disprezzabile e al suo seguito ci furono soltanto dodici
uomini semplici.
Quand’anche
i Magi avessero riconosciuto in Gesù Cristo un re, perché venirlo a
trovare? Ma non appartiene all’arte degli astrologhi conoscere, per
mezzo delle stelle, coloro che sono nati; la loro arte è predire, a
quanto essi proclamano, che cosa dovrà accadere a colui che è nato,
osservando la disposizione delle stelle nell’ora della sua nascita.
Orbene, i Magi non si trovano accanto alla madre nel momento in cui
essa lo partorì. Essi non avevano affatto conosciuto il momento
della nascita di Gesù Cristo e, non potendo fondarsi su questa
conoscenza, neppure predissero per mezzo del movimento degli astri il
suo avvenire. E però, dopoi aver osservato per lungo tempo la stella
apparsa nel loro paese, vennero a Betlemme per vedere colui che era
nato, cosa questa ancor più sorprendente di tutto il resto. Quale
ragione infatti poteva spingerli a questo viaggio? Quali vantaggi
speravano di ottenere venendo così da lontano ad adorare un re?
Quand’anche egli avesse dovuto essere un giorno il loro re, neppure
questo sarebbe stato un motivo sufficiente. Se fosse nato in un
palazzo regale e il re, suo padre, fosse stato presente, qualcuno
potrebbe giustamente dire che essi, volendo compiacere al padre,
resero omaggio al figlio allora nato per attirare su di sé in tal
modo l’amicizia del re. Ma essi, pur sapendo che egli non sarebbe
stato un giorno loro re e che avrebbe governato un popolo straniero e
lontano dal loro paese, perché, mentre egli è ancora neonato,
intraprendono un tale viaggio?Perché gli portano doni, quando così
facendo si espongono a gravi pericoli? Infatti Erode «all’udir ciò
si turbò» e con lui tutto il popolo. Ma, - si dirà, - i
Magi non prevedevano queste conseguenze. È un’obiezione
inverosimile: a meno che fossero del tutto sprovvisti di buon senso,
essi non potevano ignorare che, entrando in una città governata da
un re e annunziando simili notizie, indicando cioè un altro re al
posto di quello regnante, si sarebbero esposti con assoluta certezza
a mille pericoli mortali.
Ma
perché, dunque, adorano un bambino ancora in fasce? Se egli fosse
stato un principe in età virile, si potrebbe dire che la speranza di
trarne qualche vantaggio li spinse ad esporsi a un sicuro pericolo. E
anche in tal caso sarebbe stata una completa follia per dei persiani,
stranieri, che non avevano alcun rapporto con il popolo giudaico,
lasciare la patria, i parenti, la casa per venire a mettersi sotto la
dominazione di un re straniero.
2.
– Se ciò era una pazzia, quel che segue manifesta una follia ancor
più grande. Che accadde? Dopo aver compiuto un così lungo cammino
per adorare un bambino e aver suscitato gran turbamento, essi se ne
tornarono subito in patria.
Insomma,
quali insegne di regalità essi videro, quando furono mal cospetto di
quella capanna, della mangiatoia, del bambino in fasce e della sua
madre, povera? E a chi fanno essi quei doni e perché glieli offrono?
C’era forse qualche legge o qualche consuetudine che obbligava a
rendere simili onori a ogni re che nasceva sulla terra? Forse quei
Magi erano soliti andare in giro per tutto il mondo abitato per
adorare coloro che, da poveri e senza alcuna importanza, essi
sapevano che sarebbero divenuti un giorno re e per rendere quindi
loro omaggio prima che salissero sul trono? Nessuno potrebbe fare
tale ipotesi.
Perché,
dunque, lo adorano? Se lo fanno per ottenere qualche vantaggio
immediato, ebbene, che cosa potevano attendersi da un bambino e da
una madre povera? Se lo fanno per qualche vantaggio futuro, come
sapevano che quel bambino in fasce si sarebbe ricordato un giorno che
essi lo avevano adorato ancora in fasce? E se la madre avrebbe potuto
ricordare al figlio la loro adorazione, essi dovevano aspettarsi di
ricevere non un premio, ma una punizione, per averlo esposto a
un evidente pericolo. Furono essi, infatti a determinare il
turbamento di Erode che, di conseguenza, si mise a cercare con cura
il bambino e fece tutto quanto era in suo potere per scoprirlo e
ucciderlo. Dire apertamente e ovunque che un bambino doveva divenire
un giorno re, non significava altro che esporlo a essere assassinato
e suscitargli intorno mille ostilità.
Vedete,
perciò, quante assurdità vengono fuori, se si considera la vicenda
dei Magi sotto il profilo umano. E queste assurdità non sono le
sole, in quanto, riflettendo, si potrebbe scoprirne altre più grandi
di quelle già nominate.
Ma
accumulando una questione sull’altra, rischierei di causarvi una
specie di accecamento: cerchiamo, perciò, la soluzione di quelle che
vi ho proposto, cominciando da quelle connesse con la stella che i
Magi videro. Quando sapremo quale astro esso era, donde veniva, se
era una delle altre stelle, oppure se era una nuova e di natura
differente, se era insomma realmente una stella o soltanto
un’apparizione, comprenderemo facilmente tutto il resto.
Donde
ci verrà la soluzione alle nostre domande? Dal Vangelo stesso.
Infatti, per giungere alla conclusione che questa stella non era una
delle infinite altre, che anzi non era neppure una stella, ma una
potenza invisibile, che si celava sotto quella forma esteriore, basta
considerare anzitutto il suo corso e i suoi movimenti. Non c’è
nessuna stella, neppure una, che segua il corso di quest’astro. Il
sole, la luna e tutti gli altri pianeti, se li osserviamo, vanno da
oriente ad occidente, mentre questa stella andava da settentrione a
mezzogiorno, data la posizione geografica della Persia rispetto alla
Palestina. Alla stessa conclusione si arriva esaminando l’epoca in
cui questa stella appare. Essa non brilla solo la notte, ma anche in
pieno giorno, quando splende il sole: cosa che non possono fare le
altre stelle, neppure la luna, che è tanto più luminosa di tutti
gli altri astri, in quanto anch’essa scompare e più non si vede
non appena il sole comincia a splendere. Ovviamente questa stella con
la potenza del suo splendore superava i raggi stessi del sole e
gettava una luce più viva e più brillante. La terza prova, che ci
mostra che questa stella non fosse affatto una stella ordinaria, sta
nel fatto che essa appare e poi si nasconde. Essa guida i Magi e li
illumina lungo tutta la strada che essi percorrono fino in Palestina,
ma, non appena entrano in Gerusalemme, scompare per apparire di nuovo
quando hanno lasciato Erode dopo averlo informato sullo scopo del
loro viaggio e riprendono il cammino. E questa cosa non può essere
certamente compiuta dal movimento normale di una stella, ma da una
potenza viva e intelligente. Questa stella non aveva affatto, come le
altre stelle, una propria orbita, fissa e invariabile. Si muoveva
quando era opportuno che essi si muovessero; si fermava, quando era
opportuno fermarsi, modificando secondo le circostanze il suo moto e
il suo splendore, come la famosa colonna di fuoco che faceva avanzare
o arrestare l’accampamento degli israeliti, a seconda del bisogno .
In quarto luogo, si può provare quanto diciamo, considerando le
indicazioni dei luoghi che questa stella forniva. Essa non stava
affatto in alto nel cielo, quando indicò ai Magi il luogo ove
dovevano andare, poiché in tal modo non avrebbero potuto riconoscere
la loro meta: per far questo si abbassò, discendendo nelle regioni
dell’atmosfera più vicine alla terra. Voi capite perfettamente che
una stella comune non avrebbe potuto indicare un luogo così piccolo
e ristretto come quello occupato dalla capanna e, per di più, il
punto preciso in cui stava il bambino. Stando all’immensa altezza
in cui si trovano le stelle, non sarebbe possibile indicare e
precisare allo sguardo di chi vuol vedere un punto così minuscolo.
Ciò si può comprendere, osservando la luna: le sue dimensioni sono
ben maggiori di quelle degli altri astri e tutti gli abitanti della
terra da qualunque luogo di questa vasta distesa la guardino, la
scorgono sempre vicina a loro. Ditemi dunque: come avrebbe potuto una
semplice stella indicare dei luoghi così piccoli, come una capanna e
una mangiatoia, se non lasciando le altezze del cielo e scendendo giù
per fermarsi, in un certo modo, proprio sulla testa del bambino? A
questo infatti accenna l’evangelista dicendo: «La stella che
avevano veduto in oriente cominciò ad andare avanti a loro finché
non si fermò sopra il luogo ove era il bambino» . Vedete,
dunque, con quante prove il vangelo ci mostra che questa stella non
era affatto una delle tante stelle e che essa non si mostrò secondo
le leggi dell’astrologia.
3.
– Ma perché, allora, questa stella apparve? Ciò avvenne per
dimostrare l’insipienza dei giudei e rendere inescusabile la loro
ingratitudine. Venuto sulla terra per porre termine all’Antico
Testamento, per chiamare tutto il mondo alla conoscenza del suo nome
ed essere adorato per terra e per mare, Gesù Cristo fin dal
principio apre ai gentili la porta, volendo ammaestrare i suoi con
l’esempio degli stranieri. Dio, di fronte all’assoluta
indifferenza con cui i giudei ascoltavano i profeti che continuamente
predicevano la nascita del Messia, fa venire da lontano i barbari a
cercare il re dei giudei in mezzo agli stessi giudei e far sì che i
persiani insegnino ad essi, per primi, quanto essi non avevano voluto
imparare dalle predizioni dei profeti. Dio fece così allo scopo di
offrire ai giudei, se avevano ancora un residuo di buona volontà,
l’occasione per accostarsi alla fede. Ma se non vogliono, essi non
avranno più alcuna scusa. Quale pretesto possono infatti invocare,
se non accettano il Cristo, dopo tante testimonianze profetiche, ora
che vedono questi Magi cercarlo, spinti soltanto dall’apparizione
di una stella, e adorarlo subito dopo averlo veduto? Dio si servì
dei Magi nella stessa maniera in cui un tempo si era servito dei
niniviti cui inviò Giona, nello stesso modo in cui più tardi si
servirà della samaritana e della cananea. Si possono, infatti, ben
applicare a questa circostanza le parole di Gesù Cristo: «I
niniviti risorgeranno e la condanneranno; la regina del Mezzogiorno
si leverà e condannerà questa generazione. I Magi, infatti, hanno
creduto a piccoli segni, mentre i giudei non hanno prestato fede
neppure ai più grandi prodigi.
Forse
mi chiederete perché Dio attirò a sé i Magi servendosi della
stella. Ma di quale altro mezzo avrebbe potuto servirsi? Doveva
inviare loro dei profeti? I Magi non li avrebbero ricevuti. Doveva
parlar loro dal cielo? Essi non lo avrebbero ascoltato. Doveva inviar
loro un angelo? Essi non avrebbero prestato attenzione neppure a lui.
È per questo che, lasciando da parte tutti questi mezzi eccezionali,
Dio, mostrando una straordinaria condiscendenza, li chiama per mezzo
di cose comuni e familiari per loro e fa splendere sul loro capo una
grande stella, molto diversa da tutte le altre, in modo da
impressionarli e sbalordirli con la sua grandezza, con la sua
bellezza e con la novità dei suoi movimenti. Imitando questa
condiscendenza, Paolo prese spunto da un altare che vide ad Atene per
parlare ai greci e si servì a tale scopo della testimonianza dei
loro poeti. Quando si rivolge ai giudei, Paolo parla della
circoncisione, e parla dei sacrifici quando incomincia ad annunziare
la sua dottrina a coloro che vivono ancora sotto la legge antica.
Siccome gli uomini sono attaccati ai loro costumi, anche Dio e tutti
coloro che Dio invia per la salvezza dei popoli, si servono di questi
costumi per annunziare la verità.
Non
considerate quindi come una cosa non degna di Dio il fatto che egli
si sia servito di una stella per chiamare i Magi; per la stessa
ragione, allora, dovreste condannare tutte le tradizioni dei giudei,
i loro sacrifici, le loro purificazioni, i loro riti, la loro arca e
il tempio stesso. Tutte queste cose hanno avuto origine per la
grossolanità delle genti. Dio, infatti, per salvare il popolo
piombato nell’errore, permise e sopportò che gli ebrei lo
onorassero come i pagani onoravano i demoni, soltanto con piccole
differenze, allo scopo di indurli a poco a poco ad abbandonare quelle
consuetudini e quelle cerimonie ed elevarli gradualmente alla sublime
sapienza evangelica. Così si comportò anche con i Magi, chiamandoli
a sé mediante la visione di una stella, nell’intento di renderli
in seguito più perfetti e illuminati. Ma dopo averli condotti, come
per mano, fino alla mangiatoia, non parla più loro per mezzo di una
stella, ma per mezzo di un angelo, poiché in parte essi sono già
divenuti più perfetti. Allo stesso modo si comportò Dio con gli
ascaloniti e con i popoli di Gaza . Le cinque città dei
filistei erano state colpite da un’epidemia mortale dopo la cattura
dell’arca degli ebrei. Non potendo trovare rimedio a
quell’epidemia, chiamarono tutti gli indovini e, fatta
un’assemblea, cercarono di trovare uno scampo da quella terribile
piaga.Gli indovini dissero che dovevano aggiogare delle giovenche,
non ancora domate e che avessero avuto un solo figlio, al carro dove
si trovava l’arca, e lasciarle andare senza che nessuno le
guidasse. In questo modo, infatti, si sarebbe saputo se l’epidemia
era stata mandata da Dio o se si trattava di un morbo derivante dal
caso. Se le giovenche, essi dicevano, spezzeranno il giogo, cui non
sono abituate, o se il richiamo dei loro vitelli le farà ritornare
alla stalla, sarà segno che l’epidemia è giunta per caso; se,
invece, esse si incammineranno dritto senza deviare, sebbene non
conoscano la strada e senza essere scosse dal muggito dei loro figli,
sarà segno evidente che è stata la mano di Dio a punire le nostre
città. I filistei, abitanti di quelle città, credettero alle parole
dei loro indovini e fecero quanto essi avevano detto: ebbene, Dio,
nella sua straordinaria condiscendenza, conformò il suo
atteggiamento alla sentenza degli indovini, e non credette affatto
indegno della sua grandezza secondare le loro opinioni e compiere
quanto avevano predetto. E tanto più il fatto risultò
straordinario, quanto anche i suoi nemici riconobbero la sua
grandezza e i loro saggi resero testimonianza alla sua potenza. Si
potrebbero citare molti altri casi in cui Dio manifesta un’analoga
condiscendenza: l’apparizione dell’ombra di Samuele, evocata
dalla negromante si può spiegare nello stesso modo, e questa
spiegazione voi potrete capirla dopo aver riflettuto su quanto vi ho
detto or ora. Mi sono limitato ad esporvi le mie considerazioni sulla
stella; ma voi stessi potreste citare molti altri fatti del genere.
4.
– Dobbiamo ora tornare alle prime parole del passo che abbiamo
letto: «Nato Gesù in Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode,
ecco che dall’oriente giunsero dei Magi a Gerusalemme».
Questi
Magi seguono la stella come guida, mentre i giudei non credono
neppure ai profeti che hanno annunziato la nascita del Messia! Ma
perché l’evangelista ci riferisce con tanta cura sia l’epoca,
sia il luogo in cui avvenne questa nascita? «In Betlemme», egli
dice, e «al tempo del re Erode». Perché si preoccupa di indicare
anche la dignità di Erode, dandogli l’appellativo di re? Fa così
per distinguere questo Erode, che era re, da quello che fece uccidere
Giovanni, che era semplicemente tetrarca. Quanto all’epoca e al
luogo, li indica con precisione per richiamare alla nostra memoria le
antiche profezie: quella di Michea, che aveva detto: «E tu,
Betlemme, non sei la più piccola tra le città di Giuda» e
quella del patriarca Giacobbe che aveva predetto con esattezza
l’epoca della venuta del Messia e ne aveva dato anzi un segno
evidente, dicendo: «I principi non verranno mai meno nella tribù di
Giuda e i capi nasceranno sempre dalla sua carne, fino a che non sia
venuto colui che Dio ha destinato e che sarà l’atteso dei
popoli» .
Ma
è giusto vedere ora donde deriva il pensiero dei Magi e che li
spinse a prendere quella decisione. Non mi pare, infatti, che sia
stata opera di quella stella, ma di Dio stesso che mosse le loro
anime, così come in un’altra epoca fece con il re Ciro, quando lo
indusse a liberare il popolo giudeo . Tuttavia, quando Dio
agisce così, lo fa senza distruggere il libero arbitrio: anche
quando chiamò Paolo, per mezzo di una voce che echeggiò dal cielo,
Dio volle manifestare contemporaneamente la sua grazia e la
sottomessa obbedienza dell’Apostolo . Ma perché, – voi
domanderete, - Dio non fece questa rivelazione a tutti i Magi, invece
di farla solo a questi? È perché non tutti gli avrebbero prestato
fede, mentre questi tre erano più ben disposti degli altri a
credere. Per questa stessa ragione, tra tanti popoli che erano
sull’orlo della perdizione, Dio inviò un profeta soltanto ai
niniviti e salvò uno solo dei due ladroni che erano in croce accanto
a Gesù. Ammirate, dunque, la virtù dei Magi; ammirate non soltanto
il loro coraggio nel venire da così lontano, ma anche la fiducia e
la franchezza con cui agirono. Per non essere presi per delle spie,
essi dichiararono apertamente quale guida li aveva condotti e la
lunghezza del cammino che avevano percorso.
Ecco
la loro fiducia nel parlare. Dissero: «siamo venuti per adorarlo».
Non ebbero timore né della collera del popolo né della tirannia del
re. Questa circostanza mi fa pensare che, al ritorno nel loro paese,
i Magi siano divenuti predicatori della verità ai loro compatrioti.
Se hanno infatti parlato con tanto coraggio in un paese straniero,
hanno certamente parlato ancor più chiaramente al loro popolo,
soprattutto dopo essere stati istruiti dalla parola di un angelo e
dalla testimonianza dei profeti.
All’udir
ciò il re Erode si turbò e con lui tutta Gerusalemme .
Erode giustamente temeva quelle parole dato che era re; temeva per sé
e per i suoi figli. Ma quale ragione di temere poteva avere
Gerusalemme, a cui da gran tempo i profeti avevano predetto un Messia
salvatore, liberatore e benefattore? Donde deriva il turbamento di
questo popolo? Deriva dalla stessa aberrazione che lo indusse in
passato ad allontanarsi da Dio anche quando era da Dio ricolmato di
beni, e che lo spingeva a rimpiangere la carne che mangiava in Egitto
quando aveva riacquistato la liberà e ne godeva pienamente.
Osservate l’esattezza delle predizioni dei profeti. Isaia aveva
infatti annunziato tutte queste cose da molto tempo: «Ecco, è nato
per noi un bambino, a noi è dato un figlio» . Sebbene siano
turbati, non si preoccupano di vedere ciò che è accaduto, non
seguono i Magi, non si informano affatto; ma si mostrano negligenti
oltre ogni dire e inflessibilmente ostinati, incredibilmente ostili.
Avrebbero dovuto al contrario considerare un grande onore la nascita
nel loro paese di un re, tanto potente da attirarsi l’omaggio dei
persiani e sotto il cui regno tutti i popoli si sarebbero sottomessi,
poiché un regno dall’inizio così eccezionale non avrebbe potuto
avere che uno sviluppo sempre più prospero e glorioso. Ma niente può
mutare le loro disposizioni d’animo, neppure il ricordo della
dominazione babilonese, alla quale pure erano sfuggiti in tempo non
lontani. Quand’anche non avessero avuto alcuna nozione dei misteri
sublimi che Dio stava per compiere, riflettendo soltanto su
quell’avvenimento di cui allora erano testimoni, avrebbero dovuto
logicamente pensare: se questi stranieri sono intimoriti e rispettano
tanto il nostro re quando egli è appena nato, quanto più lo
temeranno e lo rispetteranno quando sarà cresciuto! E quanto
diverremo allora, noi, più potenti e più gloriosi di tutti i popoli
barbari? Ma essi non pensarono niente di tutto questo. Tali erano il
loro torpore e la loro pigrizia congiunti a invidia: duplice vizio
che noi dobbiamo con forza espellere dalla nostra anima.
Ma
per poterlo combattere, bisogna essere più ardenti del fuoco. Per
questo Gesù dice: «Io sono venuto a portare il fuoco sulla terra e
che desidero se non che si accenda?» . E per lo stesso motivo
lo Spirito Santo apparve in terra sotto forma di fuoco.
5.
– Eppure, dopo tutto questo, noi restiamo più freddi della cenere
e più insensibili dei morti. Non ci commoviamo affatto a vedere
Paolo elevarsi al di sopra del cielo, passare anzi di cielo in cielo
più veemente di una fiamma, vincere tutti gli ostacoli e porsi al di
sopra degli inferi e dei superni, del presente e dell’avvenire, di
ciò che è e di ciò che non è. Se questo esempio vi sembra troppo
grande, ebbene ciò è segno della vostra rilassatezza. Che cosa ha
Paolo più di voi, per dire che vi è impossibile imitarlo? Ma per
non insistere su questo punto, lasciamo da parte Paolo e gettiamo uno
sguardo sui primi cristiani: denaro, proprietà, onori mondani,
affari terreni, essi gettarono via tutto, per donarsi tutti interi a
Dio, per meditare giorno e notte sugli insegnamenti della sua parola.
Ecco qui il fuoco dello Spirito Santo: esso non tollera che si abbia
alcun desiderio delle cose di questo mondo, in quanto ci conduce
verso un alto amore. Perciò colui che prima amava le cose terrene,
ora, anche se occorresse donare tutto quanto possiede, abbandonare la
gioia di questa terra, disprezzare la gloria e dare la sua stessa
vita, farà tutto ciò con meravigliosa facilità. Infatti quando
l’ardore di questo fuoco è entrato nell’anima dell’uomo, esso
scaccia l’indifferenza e la pigrizia. Questo fuoco rende l’anima
che ne è invasa più leggera di una piuma e le conferisce inoltre la
capacità di disprezzare tutte le cose terrene. Quest’uomo rimane
sempre in un perpetuo pentimento e nella contrizione. Piange senza
tregua e trova grande sollievo e gioia nelle sue lacrime.
Di
certo, non c’è niente che congiunga e unisca più strettamente a
Dio di queste lacrime. Colui che si trova in tali condizioni, anche
se vive in città, è come se abitasse in un eremo nel deserto, su
una montagna o nella foresta. Egli non rivolge più uno sguardo alle
cose presenti, non si sazia di gemere e piange per i propri peccati
come per quelli degli altri. Per questo Gesù proclama beati, prima
di altri, gli uomini di tal genere, dicendo: «Beati quelli che
piangono»! . Ma in qual senso allora – mi direte voi, - Paolo
ha detto: «State sempre allegri nel Signore»? L’ha detto per
esprimere la gioia che queste lacrime suscitano. Infatti, come la
gioia terrena ha sempre per compagna la tristezza, così le lacrime
che si versano per amore di Dio, fanno fiorire nell’anima una
beatitudine che non muore né appassisce mai. Fi così che quella
peccatrice, di cui parla il vangelo, divenne più pura delle stesse
vergini, in quanto era stata presa totalmente da questo fuoco divino.
Quando fu infiammata dal fervore della penitenza, arse d’amore per
Cristo. Sciolse i suoi capelli, bagnò i piedi di Gesù con le
lacrime, li asciugò con la sua chioma e versò su di essi il
profumo. Tutto questo avveniva esteriormente, ma i sentimenti della
sua anima erano assai più ardenti d’ogni esterna manifestazione e
solo Dio li vedeva! Ecco, tutti coloro che ascoltano la sua storia,
si rallegrano con lei per le sue sante azioni e la considerano
purificata da tutti i suoi peccati.
Se
noi, che pure siamo tanto cattivi, così giudichiamo la sua
conversione, ebbene, consideriamo quali grazie ella ha ricevuto da
Dio misericordioso, consideriamo quanti frutti ella ha raccolto dalla
sua penitenza, prima ancora che Dio la ricolmasse dei suoi doni. Come
l’aria diviene più pura dopo violente piogge, così dopo questa
effusione di lacrime lo spirito diviene tranquillo e sereno e le nubi
del peccato si dissipano del tutto. Come siamo purificati nel
battesimo, grazie all’acqua e allo spirito, così lo siamo nella
penitenza grazie alle lacrime e alla confessione dei peccati, sempre
che non facciamo questo per ostentazione o per vanagloria. Infatti,
colei che piange con simili intenzioni, è più degna ancora di
condanna di quella che si trucca in ogni modo il volto per il
desiderio di apparire più bella. Quanto a me, io cerco le lacrime
che non sono sparse per ostentazione, ma per contrizione, quelle
lacrime che si versano segretamente, nel più nascosto recesso della
propria casa, senza che nessuno veda; quelle lacrime che scorrono in
silenzio e in profonda quiete, che escono dall’intimo del cuore,
che nascono dal dolore e dalla tristezza e si versano per Dio solo.
Di tal genere sono le lacrime di Anna, di cui la Scrittura dice che
«muoveva le labbra senza che si udisse la sua voce». Ma anche solo
le sue lacrime effondevano un suono più squillante di una tromba.
Per questo Dio la guarì della sua sterilità e di una roccia dura
fece un campo fertile.
6.
– Inoltre voi imiterete il vostro Signore, se piangerete in questo
modo, poiché anch’egli ha pianto la morte di Lazzaro e la rovina
di Gerusalemme e si è turbato di fronte al tradimento di Giuda.
Spesso lo si incontra che piange, mentre non lo si trova mai che
ride, e neppure che sorride: nessuno degli evangelisti ci riferisce
di averlo visto ridere. La Scrittura, poi, racconta che Paolo «ha
pianto notte e giorno per tre anni» . Egli stesso lo dice e
altri ancora lo hanno confermato: ma né lui, né nessun altro ha
scritto che ha riso e nessuno dei santi ha scritto una cosa simile di
sé o di altri santi. Si parla soltanto del riso di Sara, che ne fu
subito rimproverata, e del riso del figlio di Noè che, per
punizione, fu, da uomo libero, fatto servo. Naturalmente dico tutto
questo non per proibire il riso in senso assoluto, ma per togliere di
mezzo l’eccessiva e sregolata allegria. E, in verità, ditemi quale
motivo avete voi di rallegrarvi e di scoppiare dal gran ridere, dato
che dovete ancora presentarvi dinanzi alla giustizia divina, dovete
comparire davanti a un tribunale così terribile e rendere un esatto
conto di tutte le azioni compiute in questa vita.
Sia
che si tratti di colpe volontarie o involontarie, dovremo rendere
conto di tutto: «Se qualcuno – dice il Salvatore – mi rinnega
davanti agli uomini, io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è
nei cieli» . Cioè, anche se lo rinnega involontariamente, non
eviteremo per questo la condanna, ma dovremo rendere conto anche di
ciò. Noi risponderemo, inoltre di quello che sappiamo e anche di
quello che non sappiamo, dato che l’Apostolo dice: «Io non mi
sento colpevole di niente, ma questo non mi giustifica affatto» .
Noi siamo responsabili di quello che abbiamo commesso per ignoranza
come di quello che abbiamo commesso consapevolmente. Egli dice dei
giudei: «Io posso rendere loro testimonianza che hanno zelo per Dio,
ma il loro zelo non è illuminato» e questo non è certo
sufficiente per giustificarli. Scrivendo poi ai Corinti, dice: «Ma
io temo che, siccome il serpente con la sua astuzia sedusse Eva, non
venga corrotto anche il vostro spirito, e vi allontaniate dalla
semplicità che è in Cristo» . Come, dovendo rendere conto di
tanti peccati, ve ne state seduti a ridere, a raccontare
piacevolezze, a cercare le delizie della vita?
Ma
che cosa guadagneremmo, - voi mi chiedete, - se piangessimo invece di
ridere? Ci guadagnereste in maniera tale che non è possibile
spiegare a parole. Ha un bel piangere il colpevole dinanzi alla
giustizia terrena: non sfuggirà alla pena, una volta emessa la
sentenza. Ma, nella Chiesa, anche se soltanto sospirate, i vostri
sospiri faranno revocare la vostra sentenza e vi otterranno il
perdono. Per questa ragione Gesù Cristo parla spesso del dolore e
del pianto; per questo chiama beati coloro che piangono e sciagurati
coloro che ridono. La Chiesa non è certamente un teatro dove ci si
riunisce per ridere smodatamente, ma è un luogo dove si geme e si
conquista il regno con i nostri pianti e i nostri sospiri. Quando
siete al cospetto di un re della terra, non osate neppure sorridere;
invece, quando il Signore degli angeli sta tra voi, non vi mostrate
affatto a lui con il timoroso rispetto e con la modestia che egli
esige. Al contrario, spesso ridete anche se egli è in collera. Non
vi accorgete che lo irritate con questo atteggiamento, più di quanto
lo offendete con tutte le vostre colpe? Dio è solito avere in
orrore, non tanto coloro che peccano, quanto coloro che dopo aver
peccato non si umiliano. Tuttavia, ci sono delle persone tanto prive
di sensibilità da essere capaci di dire, dopo aver ascoltato tutto
questo, che essi non vorrebbero mai piangere e che, anzi, chiedono la
grazia a Dio di ridere e divertirsi per tutta la vita. C’è
qualcosa di più puerile di questo pensiero? I divertimenti non sono
un dono di Dio, ma del diavolo. Ascoltate ciò che accadde un tempo a
coloro che volevano divertirsi. «Il popolo» - dice la Scrittura -
«si sedette per mangiare e per bere e poi si alzò per giocare» .
Così era il popolo di Sodoma; così erano quelli che vivevano al
tempo del diluvio. Di quel popolo Dio disse che: «era precipitato
nelle orge, nell’orgoglio, nei festini e nell’abbondanza di tutte
le cose» . E quanto a quelli che vissero ai tempi di Noè,
vedendo che da così tanti anni egli costruiva l’arca dinanzi ai
loro occhi continuarono a divertirsi senza essere toccati dal dolore
per i loro peccati e senza preoccuparsi affatto del futuro. Per
questa ragione venne il diluvio che li travolse tutti, nel naufragio
generale della terra.
7.
– Non chiedete quindi a Dio ciò che soltanto il diavolo dà agli
uomini. Il dono che Dio ci fa è un cuore contrito e umiliato, che
vigila con grande attenzione ed è temperante, che è pronto a
pentirsi e a piangere sui peccati. Sono questi i doni che Dio ci fa
perché sono i più utili. Noi dobbiamo sostenere una dura guerra,
dobbiamo combattere contro nemici invisibili, contro gli spiriti del
male, contro le potestà e le potenze demoniache Dio voglia che
si riesca, con la nostra diligenza, la nostra vigilanza e tutti i
nostri sforzi, a resistere a questa falange così temibile. Ma se ci
stanchiamo di lottare, se passiamo il nostro tempo a ridere e a
divertirci, se diveniamo pigri, saremo vinti, a causa della nostra
mollezza, prima ancora di combattere. Non ci conviene trascorrere il
tempo nelle risa e nei divertimenti e in mezzo alle gioie terrene.
Ciò potrà andar bene per chi vive sulle scene e per gli uomini
adulteri, tosati fino alla cute del capo per punizione, per i
parassiti e per gli adulatori. Ma non va per coloro che son chiamati
alla vita celeste e i cui nomi sono già scritti nella città eterna,
né per coloro che sono addestrati al combattimento spirituale; ciò
è proprio di coloro che militano sotto le insegne del diavolo e sono
da lui istruiti.
Sì.
è proprio il diavolo che ha fatto un’arte di questi divertimenti
per debilitare i soldati di Gesù Cristo, per rilassare il loro
vigore e snervare la loro virtù. A tale scopo il diavolo ha fatto
sorgere teatri nelle città e allena e prepara i buffoni che vi
recitano, per servirsene come di una peste per infettare tutti
quanti. Paolo ci ha da tempo esortato a sfuggire il linguaggio
sconveniente o quello che non ha altro scopo che il vano
divertimento; mentre il diavolo ci persuade a interessarci sia
dell’uno che dell’altro. È molto pericolosa l’occasione in cui
ci abbandoniamo a queste risa smodate. Non appena questi ridicoli
buffoni hanno pronunciato qualche bestemmia o qualche motto
disonesto, subito una folla di pazzi si mette a ridere e a esternare
il suo sollazzo. Essi applaudono per delle cose che dovrebbero far
lapidare chi le ha dette e così, per questi sciagurati piaceri,
attirano su di sé il supplizio del fuoco eterno. Lodando queste
follie, si spinge il loro autore a continuare a farne e si finisce
con l’essere ancora più degni della condanna di quei buffoni che
le pronunziano.
Se
non vi fosse più nessuno ad assistere a tali spettacoli, non vi
sarebbe più alcun istrione; ma, finché essi vi vedono lasciare le
vostre officine e i vostri uffici, trascurare la vostra attività, in
una parola, finché vi vedono rinunziare a tutto per accorrere
a quegli spettacoli, essi raddoppieranno il loro ardore e con maggior
alacrità si dedicheranno a quelle follie. Naturalmente non dico
questo per scusarli delle loro colpe, ma per farvi capire che siete
voi la prima causa di tutto questo disordine, assistendo ai loro
spettacoli e passandovi anche delle giornate intere. Siete voi che in
tal modo profanate la santità del matrimonio e disonorate davanti a
tutti questo grande sacramento. Colui che interpreta quegli
spettacoli licenziosi è meno colpevole di voi che lo inducete a
interpretarli; non solo, ma voi lo incoraggiate e lo sostenete a
farlo con la vostra passione, con i vostri applausi, con le vostre
risa esilaranti e le vostre lodi, col darvi da fare in ogni maniera
per organizzare e perfezionare queste attività del diavolo. Con
quali occhi, ditemi, potrete poi, a casa, guardare la vostra sposa,
dopo averla vista così oltraggiata in quei luoghi? Come potete non
arrossire pensando a lei, quando vedete il suo sesso tanto disonorato
da quelle infamie?
8.
– E non venite a dirmi che tutto quanto si rappresenta in simili
spettacoli è soltanto una finzione. Questa finzione ha fatto molti
adulteri, ha mandato in rovina tante famiglie. E ciò che mi affligge
di più è che questo fatto non lo si considera minimamente un
male. Quando si osa rappresentare sulle scene un crimine così grave
come l’adulterio, non si ascoltano che applausi, grida e risa
smodate. Coloro che danno tali spettacoli sono degni mille volte
della morte, in quanto fanno di tutto per imitare reati che sono
vietati a tutti dalla legge. Se l’adulterio è un male, è
certamente un male anche rappresentarlo sulle scene. Quanti adulteri
suscitano queste rappresentazioni fondate sull’adulterio; quanta
impudicizia e quanta lussuria ispirano a coloro che vi assistono!
Niente
è più sfrontato dell’occhio capace di tollerare simili oscenità.
Voi non vorreste vedere una donna che si presentasse nuda in mezzo a
una piazza e neppure in una casa e vi riterreste offesi da un simile
comportamento: e, tuttavia, non esitate affatto a recarvi a questi
spettacoli e non temete di disonorare, così facendo, l’uno e
l’altro sesso e di infangare con i vostri occhi con la vista di
quelle infamie. E non ditemi che, tanto, quella donna nuda è una
prostituta. La natura e il corpo sono gli stessi sia che si tratti di
una donna prostituta o che si tratti di una donna libera. Se non c’è
niente di male in questo fatto, perché quando vedete un simile
comportamento in mezzo a una piazza subito reagite e allontanate
quella impudica? Forse quando siamo soli quel fatto costituisce
un’oscenità, mentre quando tutti insieme ci sediamo in un ritrovo
quel comportamento non è ugualmente disonesto? Ciò è ridicolo e
biasimevole; questo discorso è indice di estrema stravaganza.
Sarebbe
meglio coprirsi tutto il viso di fango piuttosto che vedere quegli
sporchi e vergognosi spettacoli. Il fango, infatti, ferisce meno gli
occhi del corpo di quanto ferisca l’anima l’aspetto lascivo e la
vista di una di quelle femmine impudiche. Ricordate donde derivò,
all’inizio, la nudità del primo uomo e temete la causa di questa
vergognosa condizione. Non fu forse la disobbedienza di Adamo e
l’insidia del diavolo a causare quella nudità? Così già una
volta e sin dall’inizio, questa fu l’arte del diavolo. Ma per lo
meno i nostri genitori arrossirono vedendosi nudi; mentre voi ve ne
gloriate, cioè «ponete la vostra gloria nella vostra confusione»
secondo le parole dell’Apostolo. Con quali occhi vi guarderà la
vostra sposa, quando tornate da quei luoghi così impuri? Come vi
riceverà? Come vi parlerà dopo che voi avete tanto oltraggiato il
sesso femminile e dopo che simile vista vi ha come imprigionati,
rendendovi schiavi di una prostituta?
Se
vi addolorate sentendomi parlare così, vi ringrazierò vivamente.
Infatti, come dice Paolo, «chi può donarmi maggior gioia di colui
che si rattrista alle mie parole?» . Non cessate dunque di
piangere su queste sregolatezze e continuate ad averne rimorso,
poiché il dolore che esse suscitano in voi sarà il principio della
vostra conversione. Per questo motivo vi ho parlato oggi con maggior
veemenza: per guarirvi, cioè, mediante un’incisione più profonda,
dalla cancrena di cui vi contagiano questi uomini corruttori e
restituirvi la perfetta salute dell’anima. Volesse il cielo che noi
tutti e sempre godessimo di questa salute, insieme alle ricompense
eterne che Dio promette alle nostre buone opere, per la grazia e la
misericordia di nostro Signor Gesù Cristo a cui appartengono la
gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.
San
GIOVANNI CRISOSTOMO COMMENTO AL VANGELO DI S.MATTEO vol. 1°
Nessun commento:
Posta un commento