giovedì 1 febbraio 2018

La misericordia di Gesù... La guarigione della suocera di Pietro - Discorso ventisettesimo – Mt. 8, 14-22 di San Giovanni Crisostomo





Entrò quindi Gesù nella casa di Pietro e vide che la suocera di lui era a letto con la febbre; le toccò la mano e la febbre la lasciò, sicché essa, levatasi, si mise a servirlo”

1. – L’evangelista Marco aggiunge la parola «immediatamente» volendo sottolineare la rapidità con cui la guarigione si verifica. Matteo, invece, si limita a menzionare il miracolo senza dare indicazioni di tempo. Gli altri evangelisti riferiscono, inoltre, che l’inferma stessa chiede a Gesù di guarirla, mentre Matteo omette anche questo particolare. Ciò, naturalmente, non significa che vi sia contraddizione tra gli evangelisti, ma soltanto che l’uno mira alla concisione, gli altri a una più completa narrazione dei fatti.
Ma per quale motivo il Signore entra nella casa di Pietro? Secondo me è per prender cibo; l’evangelista lo lascia capire dicendo che la donna «levatasi, si mise a servirlo». Cristo, infatti, si trattiene spesso in casa dei suoi discepoli, come fa anche alla chiamata di Matteo, e in tal modo li onora e rende più ardente il loro fervore.
Osservate anche in questa circostanza il profondo rispetto che Pietro nutre per il Maestro. Benché egli abbia in casa la suocera ammalata e con febbre alta, non lo trascina a casa sua, ma attende che abbia terminato il suo insegnamento sulla montagna e che tutti gli altri malati siano risanati. Solo quando il Signore entra nella sua casa, l’apostolo lo prega di guarire la suocera: così, fin dall’inizio, l’apostolo è stato educato ad anteporre gli interessi degli altri ai propri. Non è infatti Pietro che conduce il Signore a casa sua: è il Salvatore che vi entra spontaneamente, dopo che il centurione ha detto: «Non sono degno che tu entri sotto il mio tetto», dimostrando fino a qual punto favorisca il suo discepolo. Pensate, in realtà, quali abitazioni potevano avere quei pescatori; ma Gesù non disdegna di entrare nei loro miseri tuguri, insegnandoci in tutti i modi a disprezzare il fasto e le vanità del mondo.

Notiamo inoltre che il Signore a volte guarisce i malati con le sole parole, a volte stende la mano; altre volte invece usa parole e gesti insieme per evidenziare meglio la guarigione. Egli difatti non vuole operare sempre miracoli in maniera straordinaria. Deve star nascosto ancora qualche tempo, soprattutto per i suoi discepoli,i quali nell’eccesso della loro gioia proclamerebbero pubblicamente tutto ciò che sanno. E ciò risulta evidente dal fatto che, dopo la sua trasfigurazione sul monte, deve ordinar loro di non riferire a nessuno ciò che hanno visto.
In questa circostanza Gesù, toccando la mano della donna malata, non soltanto spegne l’ardore della febbre, ma le restituisce perfetta salute. Trattandosi di una malattia leggera, egli manifesta la sua potenza nel modo in cui la guarisce:il che nessun’arte medica avrebbe potuto fare. Voi ben sapete che anche dopo la caduta della febbre occorre molto tempo prima che i malati riacquistino completamente la salute. In questa occasione invece la guarigione e il completo recupero delle forze si ottengono nello stesso istante. E non solo qui, ma anche sul mare, si hanno contemporaneamente due effetti. Non soltanto allora Gesù calmò i venti e la tempesta, ma placò istantaneamente anche il movimento delle onde, operando un prodigio insolito. Come ben si sa, quando cessa la tempesta, le acque rimangono ancora per molto tempo agitate. La parola di Cristo opera diversamente: fa cessare tutto in un momento e la stessa cosa si verifica anche nel caso della suocera di Pietro. Volendo far intendere ciò, l’evangelista precisa: «levatasi, si mise a servirlo»: il che conferma da un lato la potenza di Cristo, e dall’altro la gratitudine che la donna prova per lui.
Un altro punto che qui dovremmo considerare è il fatto che Cristo per la fede di alcuni concede la guarigione ad altri – qui, infatti, altri l’hanno pregato, come pure nel caso del centurione. Tuttavia la concede a condizione che colui che sta per essere guarito non sia incredulo e solo a causa della sua malattia non possa presentarsi a lui e per ignoranza o per giovane età non riesca a comprendere la sua grandezza.
Fattosi sera, gli condussero molti indemoniati, ed egli con una parola scacciò gli spirito e guarì i malati, affinché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia: Ha preso le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie. Notate come è cresciuta ormai la fede della moltitudine. Non si rassegnano infatti ad andarsene, nonostante l’incalzare del tempo, né ritengono inopportuno condurre a Cristo i loro malati di sera. Vi prego inoltre di considerare quale numero di persone risanate gli evangelisti qui sorvolano, senza menzionare e raccontare i dettagli di ogni guarigione. Con pochissime parole infatti essi passano sopra un mare infinito di miracoli. E per evitare l’incredulità che può essere provocata dalla grandezza del prodigio, dato che in un solo istante risana una folla innumerevole, affetta da varie malattie, l’evangelista cita qui il profeta quale testimone dei fatti che ora si verificano. In tal modo mostra quanto è grande la prova tratta dalle Scritture, la quale non ha minore efficacia dei miracoli. Asserisce infatti che anche Isaia ha profetizzato questo fatto: «Ha preso le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie». Il profeta non dice: ha distrutto; ma «ha preso... si è caricato», il che mi sembra riferito particolarmente ai nostri peccati, in consonanza con le parole di Giovanni Battista: «Ecco l’Agnello di Dio, che porta il peccato del mondo».
2. – Come mai allora – voi mi chiederete – l’evangelista applica alle malattie queste parole del profeta? Lo fa, o perché ha interpretato il passo di Isaia alla lettera, oppure perché ha voluto chiarire che la maggior parte delle malattie del corpo traggono origine dai peccati dell’anima. Se la morte, che è il culmine di tutti i mali, ha avuto la sua radice e la sua causa nel peccato, a maggior ragione anche le altre malattie.
Vedendo Gesù gran folla attorno a sé, diede ordine di passare all’altra riva. Notate come anche in questa circostanza Gesù rifugge all’ostentazione. Gli altri evangelisti dicono che egli proibì ai demoni di render noto chi egli era; Matteo riferisce che si allontanò dalla folla. Cristo agisce così per darci un esempio di umiltà e calmare l’invidia dei giudei; ci insegna inoltre a non fare nulla per vanagloria.  In realtà Cristo non è venuto solo per guarire i corpi, ma anche per correggere le anime e insegnar loro la sua filosofia, dando un esempio nell’una cosa e nell’altra: guarendo cioè le malattie e non facendo nulla per desiderio di gloria. V’erano molti, infatti, che stavano come inchiodati a lui, perché l’amavano e l’ammiravano e desideravano godere sempre della sua vista. Chi mai si sarebbe allontanato da un uomo che operava tali miracoli? Chi non avrebbe voluto anche semplicemente vedere il suo volto e la sua bocca che pronunciava parole così sublimi? Gesù non suscitava ammirazione soltanto quando operava prodigi, ma la sua sola presenza era piena di infinita grazia. Anche questo era stato chiaramente predetto dal profeta: «Fiorente di bellezza sopra i figli degli uomini». E se Isaia dice: «Egli non ha bella apparenza né decorosa» tale affermazione è in relazione con la gloria ineffabile e inesprimibile della sua divinità, oppure il profeta si riferisce alla passione, quando il suo corpo fu straziato e sfigurato in croce, o all’estrema modestia e semplicità che egli dimostrò sempre in tutta la sua vita terrena. Certamente Gesù non dà ordine di passare all’altra riva, prima di aver guarito tutti i malati. La folla d’altra parte non glielo consentirebbe. I suoi ascoltatori non erano rimasti attorno a lui solo quando parlava sul monte, ma lo avevano accompagnato in silenzio anche dopo la fine del discorso; nello stesso modo essi stanno uniti al Salvatore non solo quando compie miracoli, ma anche dopo e ricevono grande vantaggio contemplando il suo volto. Se Mosè aveva il volto trasfigurato di gloria, e se il volto di Stefano sembrava quello di un angelo, pensate quale doveva essere l’0aspetto del loro Signore. Forse ora molti di voi hanno desiderio di vedere la figura del Salvatore quale appariva alla folla. Ma, se noi vogliamo, lo vedremo in uno splendore assai più grande. Se portiamo a termine con fede la vita presente, accoglieremo il Signore mentre verrà al di sopra delle nubi, andandogli incontro con corpo immortale e incorruttibile. Ma ora notate come egli non manda via bruscamente la folla per non ferirla. Non dice infatti alla moltitudine di andarsene, ma ordina ai suoi discepoli di passare all’altra riva, lasciando cioè sperare alla folla che in ogni caso lo ritroverà colà.
Mentre questa moltitudine manifesta tanto amore e lo segue con grande entusiasmo, un uomo schiavo delle ricchezze e pieno di arroganza gli si avvicina. E appressatosi uno scriba, gli disse: «Maestro, io ti seguirò ovunque tu vada». Notate quanto orgoglio? Egli si avvicina come se disdegnasse di essere enumerato tra la folla e dimostrando di essere al di sopra della moltitudine. Tale è il carattere dei giudei: pieno di intempestiva e impertinente audacia. Così più avanti anche un altro, tra il silenzio di tutti, alzerà la sua voce per chiedere a Gesù: «Maestro, qual è il maggior comandamento della legge?». Il Signore, tuttavia, non lo rimprovererà per la sua intempestiva richiesta, insegnando anche a noi a tollerare le persone importune. Per questo non rimprovera apertamente quelli che si rivolgono a lui animati da cattiva volontà. Si contenta di rispondere ai loro pensieri, lasciando intendere solo ad essi il rimprovero e procurando loro un duplice beneficio: primo, far loro capire che egli conosce i segreti della loro coscienza e, dopo aver dato questa dimostrazione, fa loro la grazia di non svelarli e concede ad essi, se vogliono, la possibilità di correggersi. Così si comporta anche con quest’uomo che, avendo visto i molti prodigi compiuti da Cristo e tutta la gente che egli attira a sé, crede di poter arricchirsi per mezzo di tali miracoli: di qui nasce il suo desiderio di seguirlo. Ma da che cosa si comprende ciò? Dalla risposta che Cristo gli dà e che si riferisce non tanto alle sue parole, quanto all’intenzione dei suoi pensieri. Ma come? Tu speri di accumulare ricchezze seguendomi? Non vedi, dunque, che io non ho per riposare neppure il modesto riparo che hanno gli uccelli?
E Gesù a lui: «Le volpi hanno tane e gli uccelli del cielo nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» . Con tali parole il Salvatore non intende respingere l’uomo, ma riprendere la sua cattiva intenzione, lasciandogli la possibilità di seguirlo, se vuole, a quelle condizioni. Per capire la cattiva volontà di costui, osservate quello che fa; dopo aver ascoltato le parole di Gesù e il suo rimprovero si guarda bene dal ripetere: sono disposto a seguirti.
3. – Anche in molte altre occasioni Cristo si comporta così: non rimprovera mai apertamente, ma con le sue risposte manifesta le intenzioni di quanti gli si avvicinano. A quell’uomo che lo chiama «Maestro buono» e spera con questa adulazione di attirarlo a sé, Gesù risponde: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, fuorché uno: Iddio». E quando lo avvertono: «Ecco tua madre e i tuoi fratelli che ti cercano», siccome alcuni parenti manifestano sentimenti umani e vogliono non tanto ascoltare qualcosa di buono e di utile, quanto mostrare la loro parentela col Maestro e in tal modo procurarsi una vana gloria, ecco cosa risponde: «Chi è la madre mia e chi sono i miei fratelli?» . E di nuovo ai parenti che gli suggeriscono: «Mostrati al mondo»  e intendono ottenere un vano prestigio da questo fatto, Gesù risponde: «Per me il tempo non è ancora venuto, per voi è sempre pronto». E rivela ancora il segreto di un’anima, ma per approvarla non per rimproverarla, quando afferma di Natanaele: «Ecco veramente un israelita in cui non c’è frode». Anche quando Gesù dice ai discepoli di Giovanni Battista: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete veduto e udito», non risponde tanto alle loro parole, quanto all’intenzione di chi li ha mandati da lui. Si rivolge ugualmente alla coscienza del popolo, quando chiede: «Che cosa andaste a vedere nel deserto?»; ma poiché, probabilmente, alcuni ritengono Giovani un uomo volubile e incostante, Cristo per rettificare questa idea aggiunge: «Forse una canna sbattuta dal vento?... O un uomo avvolto in morbide vesti?», mostrando in questo duplice modo che Giovanni era sempre stato fermo e fedele, né mai si era lasciato blandire da alcuna mollezza o desiderio terreno. Così anche nel passo che stiamo ora esaminando, Cristo risponde all’intenzione dell’uomo che dice di volerlo seguire. E osservate quanta ponderazione dimostra anche in questo caso. Non dice: Io ho dove posare il capo, però lo disprezzo; ma dichiara semplicemente che non ha dove posare il capo: espressione tanto esatta, quanto piena di condiscendenza. Nello stesso modo, quando mangia e beve e conduce una vita che sembra opposta a quella di Giovani Battista, si comporta così allo scopo di salvare i giudei o, per dir meglio, tutti gli uomini, riducendo al silenzio gli eretici e nello stesso tempo volendo attirare a sé coloro che vivono nell’abbondanza.
E un altro dei suoi discepoli – prosegue l’evangelista – gli disse: «Signore, permettimi che prima io vada a seppellire mio padre». Notate la differenza tra questi due uomini? Il primo aveva dichiarato presuntuosamente: «Ti seguirò ovunque tu vada». Costui, invece, che pure domanda una cosa lodevole, dice: «permettimi». Tuttavia egli non ottiene il permesso.
Gli risponde Gesù: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti». Sempre, infatti, Cristo si rivolge all’intenzione intima dell’interlocutore. Ma perché – voi mi chiederete – qui rifiuta il suo permesso? Perché c’erano altre persone che potevano fare quell’ufficio e il padre non sarebbe rimasto insepolto; né si doveva distogliere il discepolo da cose più importanti. Inoltre dicendo: «i loro morti», il Signore dimostra che il padre del discepolo non era nel novero dei morti che appartenevano a Cristo: a mio parere, il defunto era uno che non credeva. E se vi stupite che questo giovane chieda il permesso per un atto così necessario, e non se ne vada per conto suo  senza consultare il Maestro, molto più dovete ammirare il fatto che il giovane, udito il divieto di Gesù, rimanga. Ma non era dunque – voi replicherete – il colmo dell’ingratitudine non assistere alla sepoltura del padre? Se si fosse comportato così per indifferenza o trascuratezza, il suo atto sarebbe stato certamente di somma ingratitudine; ma se la sua intenzione era di non tralasciare un dovere più importante, l’andarsene sarebbe stato un’insensatezza estrema. Cristo fece al discepolo quel divieto non per insegnarci a disprezzare l’onore dovuto a chi ci ha generati, ma per indicare che non c’è niente di più importante per noi delle realtà del cielo: di queste noi dobbiamo interessarci con tutto il fervore e l’impegno senza differirle di un solo istante, benché gravi e urgenti siano i motivi che potrebbero trascinarci altrove. E che cosa c’è di più importante che seppellire il proprio padre? Quale azione più facile e rapida? In realtà non c’era da perder molto tempo. Se dunque non dobbiamo perdere neppure il tempo necessario per seppellire il padre, e non è sicuro lasciare i nostri impegni spirituali neppure per così poco tempo, giudicate di quale castigo ci rendiamo degni allontanandoci per tutta la durata della nostra vita dagli interessi che riguardano Cristo, preferendo cose assolutamente futili e vane a impegni veramente necessari e restando inerti e pigri perché nulla ci scuote. Noi dovremmo ammirare la saggezza dell’insegnamento di Cristo che con tanta forza fissa il giovane alla sua parola e insieme lo libera da un’infinità di dolori, come i pianti, le grida di dolore e tutto quanto accompagna i funerali. Infatti, dopo la sepoltura del padre, occorre leggere il testamento, dividere l’eredità, fare insomma tutte quelle cose che seguono necessariamente la morte di un genitore. Nel flusso e riflusso di tutte queste faccende terrene, il giovane sarebbe stato trasportato assai lontano dal porto della verità. Cristo, dunque, lo sottrae a tutti questi affanni e lo tiene stretto a sé. Tuttavia, se vi stupite ancora e vi turbate nel vedere che non è stato consentito a un figlio di assistere ai funerali del padre, pensate che molti impediscono che sia riferita a chi non sta bene la notizia della morte del padre o della madre o di un figlio o di qualche altro parente, né si permette a costoro di partecipare ai funerali; eppure non si accusa questo comportamento di crudeltà e disumanità. E a ragione. Al contrario, si riterrebbe disumano spingere costoro a tale dolorosa cerimonia.
4. – Se è un male piangere la morte dei nostri congiunti e lasciarsi abbattere dal dolore, più grande male è allontanarsi dalle realtà spirituali. Ecco perché Cristo anche altrove dice: «Nessuno che, nell’atto di metter mano all’aratro, guarda indietro, è atto per il regno dei cieli». Vale infatti assai di più annunziare il regno di Dio e sottrarre gli altri alla morte che seppellire un morto a cui d’altra parte ciò non giova a nulla, e soprattutto quando vi sono altri che possono rendergli questi ossequi.
Insomma, dal comportamento del Signore noi apprendiamo che non si deve perdere neppure un istante di tempo, anche se moltissime occupazioni urgono e che bisogna anteporre a tutte le faccende terrene, anche alle più necessarie, gli impegni spirituali; comprendiamo infine che cos’è la vita e che cos’è la morte.
Molti uomini che sembrano vivere, quando vivono nel peccato, non differiscono affatto dai morti: anzi lo stato in cui si trovano è peggiore di quello dei morti. Dice infatti Paolo: «Chi è morto è libero dal peccato» egli non ha ancora chiuso gli occhi e non è stato avvolto nel sudario, che non giace ancora nella cassa e non è roso dai vermi. Chi vive nel peccato subisce una dissoluzione ben peggiore di quella di un morto. I vermi non lo divorano, ma le passioni dilaniano la sua anima in modo ben più feroce delle belve. Ha ancora gli occhi aperti, ma è peggio che se fossero chiusi: gli occhi di un morto non vedono niente di male; il peccatore invece, con i suoi sguardi, attira a sé un’infinità di mali. Un morto giace nel sepolcro, immobile di fronte a tutto; quest’uomo, invece, è sepolto nella tomba dei suoi innumerevoli vizi. Ma tu dici che non vedi il suo corpo putrefatto? E che importa questo? Ancor prima del corpo, la sua anima si è corrotta ed è in disfacimento, ridotta ormai a una decomposizione peggiore di quella fisica. Un cadavere esala cattivo odore per alcuni giorni; il peccatore, invece, emette insopportabili esalazioni per tutta la vita, avendo la bocca più sudicia e impura di una fogna. Vi è anche un’altra differenza: il morto subisce solo la corruzione impostagli dalle leggi della natura, mentre il peccato e a tale corruzione naturale aggiunge la putrefazione causata dalla sua dissolutezza morale, e ogni giorno inventa infiniti motivi di corruzione.
Ma – tu mi dirai – costui è trasportato da un magnifico cavallo! E ciò che vuol dire? Anche il morto è trasportato su di un letto superbo. Ma il fatto più grave è che mentre quest’ultimo, quando è in putrefazione e decomposizione, nessuno lo vede perché la cassa lo ricopre, il peccatore, invece, vivo ma già fetido, se ne va attorno dappertutto, portando in giro la sua anima morta nel sepolcro del suo corpo. Se fosse possibile vedere l’anima di un uomo che vive nei piaceri e nel peccato, comprenderesti che è molto meglio giacere nella tomba avvolto nel drappo di morte che essere stretto dalle catene dei peccati; è meglio avere una pietra sulla propria tomba, piuttosto che essere oppressi dal pesante masso dell’insensibilità. È dunque necessario che quanti sono legati da vincoli di parentela con questi morti, dato che essi giacciono senza accorgersi del loro stato, si accostino a Gesù implorandolo per loro, come un tempo Maria lo pregò per Lazzaro. Anche se questo morto fosse sepolto da quattro giorni ed esalasse cattivo odore non perderti di coraggio, ma avvicinati e togli per prima cosa la pietra che lo ricopre. Lo vedrai allora giacere come in una tomba, legato con bende. Orbene, se volete, prendiamo ad esempio qualcuno dei grandi e appariscenti personaggi di questo mondo. Non temete: vi farò un esempio, ma sarà anonimo, o meglio, quand’anche nominassi qualcuno, non dovreste neppure in questo caso temere. Chi teme, infatti, un morto? Qualunque cosa faccia, rimane sempre morto; e un morto non può fare male a chi vive, né tanto né poco.
Osserviamo la loro testa fasciata. Costoro infatti sono sempre in stato di ebrietà: e come i morti sono avvolti da molte bende e lenzuoli, così la mente e i sensi di costoro sono impediti nel loro esercizio. Se, poi, vuoi vedere le loro mani, le vedrai legate al loro ventre come quelle dei morti, non però legate con bende, bensì avvinte, cosa assai più orribile, dalle catene dell’avarizia, che impedisce loro di stenderle per l’elemosina o per qualche altra opera buona e le rende più inutili delle mani dei morti. Vuoi pure vedere come stanno legati i loro piedi? Osserva allora come costoro sono costretti dalle preoccupazioni e non possono mai correre alla casa di Dio.
Hai visto il morto? Guarda ora il becchino. E chi è il becchino di questi morti? Il diavolo, che li lega e li stringe con tale cura che un uomo non sembra più un uomo, ma un legno secco. Ed effettivamente là dove non si vedono più né occhi, né mani, né piedi, né alcun altro membro, come si potrà scorgere un uomo? Così anche l’anima di tali peccatori ci appare talmente legata, che è più un fantasma che un’anima.
Poiché dunque questi uomini giacciono insensibili come morti, rivolgiamoci a Gesù per loro e preghiamolo di risuscitarli. Togliamo la pietra che li schiaccia e sciogliamo le bende che li legano. Se voi, infatti, toglierete questa pietra, cioè la loro insensibilità al male, immediatamente potrebbe farli uscire dal sepolcro: e una volta fuori vi sarà più agevole scioglierli. Allora Cristo li riconoscerà, quando si saranno levati e saranno stati sciolti; allora inviterà anche loro al suo banchetto. Voi, dunque, che siete amici di Cristo, voi che siete suoi discepoli, voi che amate questo morto, accorrete a Gesù e supplicatelo per lui. Anche se emana un terribile odore, non per questo i suoi congiunti devono abbandonarlo. Al contrario, quanto più la corruzione aumenta, tanto più occorre avvicinarsi a Cristo come fecero un tempo le sorelle di Lazzaro. E non cessiamo di supplicare, di pregare, di implorare finché egli non ci viene restituito vivo. Se noi in tal modo dimostriamo tanta cura e impegno per la salvezza nostra e dei nostri fratelli, otterremo certamente anche la vita eterna, che io auguro a tutti noi di conseguire per la grazia e la misericordia di nostro Signore Gesù Cristo. A lui sia la gloria per i secoli dei secoli. Amen.




Nessun commento:

Posta un commento