“Entrò
quindi Gesù nella casa di Pietro e vide che la suocera di lui era a
letto con la febbre; le toccò la mano e la febbre la lasciò, sicché
essa, levatasi, si mise a servirlo”
1.
– L’evangelista Marco aggiunge la parola «immediatamente»
volendo sottolineare la rapidità con cui la guarigione si verifica.
Matteo, invece, si limita a menzionare il miracolo senza dare
indicazioni di tempo. Gli altri evangelisti riferiscono, inoltre, che
l’inferma stessa chiede a Gesù di guarirla, mentre Matteo omette
anche questo particolare. Ciò, naturalmente, non significa che vi
sia contraddizione tra gli evangelisti, ma soltanto che l’uno mira
alla concisione, gli altri a una più completa narrazione dei fatti.
Ma
per quale motivo il Signore entra nella casa di Pietro? Secondo me è
per prender cibo; l’evangelista lo lascia capire dicendo che la
donna «levatasi, si mise a servirlo». Cristo, infatti, si trattiene
spesso in casa dei suoi discepoli, come fa anche alla chiamata di
Matteo, e in tal modo li onora e rende più ardente il loro fervore.
Osservate
anche in questa circostanza il profondo rispetto che Pietro nutre per
il Maestro. Benché egli abbia in casa la suocera ammalata e con
febbre alta, non lo trascina a casa sua, ma attende che abbia
terminato il suo insegnamento sulla montagna e che tutti gli altri
malati siano risanati. Solo quando il Signore entra nella sua casa,
l’apostolo lo prega di guarire la suocera: così, fin dall’inizio,
l’apostolo è stato educato ad anteporre gli interessi degli altri
ai propri. Non è infatti Pietro che conduce il Signore a casa sua: è
il Salvatore che vi entra spontaneamente, dopo che il centurione ha
detto: «Non sono degno che tu entri sotto il mio tetto»,
dimostrando fino a qual punto favorisca il suo discepolo. Pensate, in
realtà, quali abitazioni potevano avere quei pescatori; ma Gesù non
disdegna di entrare nei loro miseri tuguri, insegnandoci in tutti i
modi a disprezzare il fasto e le vanità del mondo.
Notiamo
inoltre che il Signore a volte guarisce i malati con le sole parole,
a volte stende la mano; altre volte invece usa parole e gesti insieme
per evidenziare meglio la guarigione. Egli difatti non vuole operare
sempre miracoli in maniera straordinaria. Deve star nascosto ancora
qualche tempo, soprattutto per i suoi discepoli,i quali nell’eccesso
della loro gioia proclamerebbero pubblicamente tutto ciò che sanno.
E ciò risulta evidente dal fatto che, dopo la sua trasfigurazione
sul monte, deve ordinar loro di non riferire a nessuno ciò che hanno
visto.
In
questa circostanza Gesù, toccando la mano della donna malata, non
soltanto spegne l’ardore della febbre, ma le restituisce perfetta
salute. Trattandosi di una malattia leggera, egli manifesta la sua
potenza nel modo in cui la guarisce:il che nessun’arte medica
avrebbe potuto fare. Voi ben sapete che anche dopo la caduta della
febbre occorre molto tempo prima che i malati riacquistino
completamente la salute. In questa occasione invece la guarigione e
il completo recupero delle forze si ottengono nello stesso istante. E
non solo qui, ma anche sul mare, si hanno contemporaneamente due
effetti. Non soltanto allora Gesù calmò i venti e la tempesta, ma
placò istantaneamente anche il movimento delle onde, operando un
prodigio insolito. Come ben si sa, quando cessa la tempesta, le acque
rimangono ancora per molto tempo agitate. La parola di Cristo opera
diversamente: fa cessare tutto in un momento e la stessa cosa si
verifica anche nel caso della suocera di Pietro. Volendo far
intendere ciò, l’evangelista precisa: «levatasi, si mise a
servirlo»: il che conferma da un lato la potenza di Cristo, e
dall’altro la gratitudine che la donna prova per lui.
Un
altro punto che qui dovremmo considerare è il fatto che Cristo per
la fede di alcuni concede la guarigione ad altri – qui, infatti,
altri l’hanno pregato, come pure nel caso del centurione. Tuttavia
la concede a condizione che colui che sta per essere guarito non sia
incredulo e solo a causa della sua malattia non possa presentarsi a
lui e per ignoranza o per giovane età non riesca a comprendere la
sua grandezza.
Fattosi
sera, gli condussero molti indemoniati, ed egli con una parola
scacciò gli spirito e guarì i malati, affinché si adempisse ciò
che era stato detto dal profeta Isaia: Ha preso le nostre infermità
e si è caricato delle nostre malattie.
Notate come è cresciuta ormai la fede della moltitudine. Non si
rassegnano infatti ad andarsene, nonostante l’incalzare del tempo,
né ritengono inopportuno condurre a Cristo i loro malati di sera. Vi
prego inoltre di considerare quale numero di persone risanate gli
evangelisti qui sorvolano, senza menzionare e raccontare i dettagli
di ogni guarigione. Con pochissime parole infatti essi passano sopra
un mare infinito di miracoli. E per evitare l’incredulità che può
essere provocata dalla grandezza del prodigio, dato che in un solo
istante risana una folla innumerevole, affetta da varie malattie,
l’evangelista cita qui il profeta quale testimone dei fatti che ora
si verificano. In tal modo mostra quanto è grande la prova tratta
dalle Scritture, la quale non ha minore efficacia dei miracoli.
Asserisce infatti che anche Isaia ha profetizzato questo fatto: «Ha
preso le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie».
Il profeta non dice: ha distrutto; ma «ha preso... si è caricato»,
il che mi sembra riferito particolarmente ai nostri peccati, in
consonanza con le parole di Giovanni Battista: «Ecco l’Agnello di
Dio, che porta il peccato del mondo».
2.
– Come mai allora – voi mi chiederete – l’evangelista applica
alle malattie queste parole del profeta? Lo fa, o perché ha
interpretato il passo di Isaia alla lettera, oppure perché ha voluto
chiarire che la maggior parte delle malattie del corpo traggono
origine dai peccati dell’anima. Se la morte, che è il culmine di
tutti i mali, ha avuto la sua radice e la sua causa nel peccato, a
maggior ragione anche le altre malattie.
Vedendo
Gesù gran folla attorno a sé, diede ordine di passare all’altra
riva.
Notate come anche in questa circostanza Gesù rifugge
all’ostentazione. Gli altri evangelisti dicono che egli proibì ai
demoni di render noto chi egli era; Matteo riferisce che si allontanò
dalla folla. Cristo agisce così per darci un esempio di umiltà e
calmare l’invidia dei giudei; ci insegna inoltre a non fare nulla
per vanagloria. In realtà Cristo non è venuto solo per
guarire i corpi, ma anche per correggere le anime e insegnar loro la
sua filosofia, dando un esempio nell’una cosa e nell’altra:
guarendo cioè le malattie e non facendo nulla per desiderio di
gloria. V’erano molti, infatti, che stavano come inchiodati a lui,
perché l’amavano e l’ammiravano e desideravano godere sempre
della sua vista. Chi mai si sarebbe allontanato da un uomo che
operava tali miracoli? Chi non avrebbe voluto anche semplicemente
vedere il suo volto e la sua bocca che pronunciava parole così
sublimi? Gesù non suscitava ammirazione soltanto quando operava
prodigi, ma la sua sola presenza era piena di infinita grazia. Anche
questo era stato chiaramente predetto dal profeta: «Fiorente di
bellezza sopra i figli degli uomini». E se Isaia dice: «Egli non ha
bella apparenza né decorosa» tale affermazione è in relazione con
la gloria ineffabile e inesprimibile della sua divinità, oppure il
profeta si riferisce alla passione, quando il suo corpo fu straziato
e sfigurato in croce, o all’estrema modestia e semplicità che egli
dimostrò sempre in tutta la sua vita terrena. Certamente Gesù non
dà ordine di passare all’altra riva, prima di aver guarito tutti i
malati. La folla d’altra parte non glielo consentirebbe. I suoi
ascoltatori non erano rimasti attorno a lui solo quando parlava sul
monte, ma lo avevano accompagnato in silenzio anche dopo la fine del
discorso; nello stesso modo essi stanno uniti al Salvatore non solo
quando compie miracoli, ma anche dopo e ricevono grande vantaggio
contemplando il suo volto. Se Mosè aveva il volto trasfigurato di
gloria, e se il volto di Stefano sembrava quello di un angelo,
pensate quale doveva essere l’0aspetto del loro Signore. Forse ora
molti di voi hanno desiderio di vedere la figura del Salvatore quale
appariva alla folla. Ma, se noi vogliamo, lo vedremo in uno splendore
assai più grande. Se portiamo a termine con fede la vita presente,
accoglieremo il Signore mentre verrà al di sopra delle nubi,
andandogli incontro con corpo immortale e incorruttibile. Ma ora
notate come egli non manda via bruscamente la folla per non ferirla.
Non dice infatti alla moltitudine di andarsene, ma ordina ai suoi
discepoli di passare all’altra riva, lasciando cioè sperare alla
folla che in ogni caso lo ritroverà colà.
Mentre
questa moltitudine manifesta tanto amore e lo segue con grande
entusiasmo, un uomo schiavo delle ricchezze e pieno di arroganza gli
si avvicina. E
appressatosi uno scriba, gli disse: «Maestro, io ti seguirò ovunque
tu vada».
Notate quanto orgoglio? Egli si avvicina come se disdegnasse di
essere enumerato tra la folla e dimostrando di essere al di sopra
della moltitudine. Tale è il carattere dei giudei: pieno di
intempestiva e impertinente audacia. Così più avanti anche un
altro, tra il silenzio di tutti, alzerà la sua voce per chiedere a
Gesù: «Maestro, qual è il maggior comandamento della legge?». Il
Signore, tuttavia, non lo rimprovererà per la sua intempestiva
richiesta, insegnando anche a noi a tollerare le persone importune.
Per questo non rimprovera apertamente quelli che si rivolgono a lui
animati da cattiva volontà. Si contenta di rispondere ai loro
pensieri, lasciando intendere solo ad essi il rimprovero e procurando
loro un duplice beneficio: primo, far loro capire che egli conosce i
segreti della loro coscienza e, dopo aver dato questa dimostrazione,
fa loro la grazia di non svelarli e concede ad essi, se vogliono, la
possibilità di correggersi. Così si comporta anche con quest’uomo
che, avendo visto i molti prodigi compiuti da Cristo e tutta la gente
che egli attira a sé, crede di poter arricchirsi per mezzo di tali
miracoli: di qui nasce il suo desiderio di seguirlo. Ma da che cosa
si comprende ciò? Dalla risposta che Cristo gli dà e che si
riferisce non tanto alle sue parole, quanto all’intenzione dei suoi
pensieri. Ma come? Tu speri di accumulare ricchezze seguendomi? Non
vedi, dunque, che io non ho per riposare neppure il modesto riparo
che hanno gli uccelli?
E
Gesù a lui: «Le volpi hanno tane e gli uccelli del cielo nidi, ma
il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» .
Con tali parole il Salvatore non intende respingere l’uomo, ma
riprendere la sua cattiva intenzione, lasciandogli la possibilità di
seguirlo, se vuole, a quelle condizioni. Per capire la cattiva
volontà di costui, osservate quello che fa; dopo aver ascoltato le
parole di Gesù e il suo rimprovero si guarda bene dal ripetere: sono
disposto a seguirti.
3.
– Anche in molte altre occasioni Cristo si comporta così: non
rimprovera mai apertamente, ma con le sue risposte manifesta le
intenzioni di quanti gli si avvicinano. A quell’uomo che lo chiama
«Maestro buono» e spera con questa adulazione di attirarlo a sé,
Gesù risponde: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, fuorché
uno: Iddio». E quando lo avvertono: «Ecco tua madre e i tuoi
fratelli che ti cercano», siccome alcuni parenti manifestano
sentimenti umani e vogliono non tanto ascoltare qualcosa di buono e
di utile, quanto mostrare la loro parentela col Maestro e in tal modo
procurarsi una vana gloria, ecco cosa risponde: «Chi è la madre mia
e chi sono i miei fratelli?» . E di nuovo ai parenti che gli
suggeriscono: «Mostrati al mondo» e intendono ottenere un
vano prestigio da questo fatto, Gesù risponde: «Per me il tempo non
è ancora venuto, per voi è sempre pronto». E rivela ancora il
segreto di un’anima, ma per approvarla non per rimproverarla,
quando afferma di Natanaele: «Ecco veramente un israelita in cui non
c’è frode». Anche quando Gesù dice ai discepoli di Giovanni
Battista: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete veduto e
udito», non risponde tanto alle loro parole, quanto all’intenzione
di chi li ha mandati da lui. Si rivolge ugualmente alla coscienza del
popolo, quando chiede: «Che cosa andaste a vedere nel deserto?»; ma
poiché, probabilmente, alcuni ritengono Giovani un uomo volubile e
incostante, Cristo per rettificare questa idea aggiunge: «Forse una
canna sbattuta dal vento?... O un uomo avvolto in morbide vesti?»,
mostrando in questo duplice modo che Giovanni era sempre stato fermo
e fedele, né mai si era lasciato blandire da alcuna mollezza o
desiderio terreno. Così anche nel passo che stiamo ora esaminando,
Cristo risponde all’intenzione dell’uomo che dice di volerlo
seguire. E osservate quanta ponderazione dimostra anche in questo
caso. Non dice: Io ho dove posare il capo, però lo disprezzo; ma
dichiara semplicemente che non ha dove posare il capo: espressione
tanto esatta, quanto piena di condiscendenza. Nello stesso modo,
quando mangia e beve e conduce una vita che sembra opposta a quella
di Giovani Battista, si comporta così allo scopo di salvare i giudei
o, per dir meglio, tutti gli uomini, riducendo al silenzio gli
eretici e nello stesso tempo volendo attirare a sé coloro che vivono
nell’abbondanza.
E
un altro dei suoi discepoli – prosegue
l’evangelista – gli
disse: «Signore, permettimi che prima io vada a seppellire mio
padre».
Notate la differenza tra questi due uomini? Il primo aveva dichiarato
presuntuosamente: «Ti seguirò ovunque tu vada». Costui, invece,
che pure domanda una cosa lodevole, dice: «permettimi». Tuttavia
egli non ottiene il permesso.
Gli
risponde Gesù: «Seguimi,
e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».
Sempre, infatti, Cristo si rivolge all’intenzione intima
dell’interlocutore. Ma perché – voi mi chiederete – qui
rifiuta il suo permesso? Perché c’erano altre persone che potevano
fare quell’ufficio e il padre non sarebbe rimasto insepolto; né si
doveva distogliere il discepolo da cose più importanti. Inoltre
dicendo: «i loro morti», il Signore dimostra che il padre del
discepolo non era nel novero dei morti che appartenevano a Cristo: a
mio parere, il defunto era uno che non credeva. E se vi stupite che
questo giovane chieda il permesso per un atto così necessario, e non
se ne vada per conto suo senza consultare il Maestro, molto più
dovete ammirare il fatto che il giovane, udito il divieto di Gesù,
rimanga. Ma non era dunque – voi replicherete – il colmo
dell’ingratitudine non assistere alla sepoltura del padre? Se si
fosse comportato così per indifferenza o trascuratezza, il suo atto
sarebbe stato certamente di somma ingratitudine; ma se la sua
intenzione era di non tralasciare un dovere più importante,
l’andarsene sarebbe stato un’insensatezza estrema. Cristo fece al
discepolo quel divieto non per insegnarci a disprezzare l’onore
dovuto a chi ci ha generati, ma per indicare che non c’è niente di
più importante per noi delle realtà del cielo: di queste noi
dobbiamo interessarci con tutto il fervore e l’impegno senza
differirle di un solo istante, benché gravi e urgenti siano i motivi
che potrebbero trascinarci altrove. E che cosa c’è di più
importante che seppellire il proprio padre? Quale azione più facile
e rapida? In realtà non c’era da perder molto tempo. Se dunque non
dobbiamo perdere neppure il tempo necessario per seppellire il padre,
e non è sicuro lasciare i nostri impegni spirituali neppure per così
poco tempo, giudicate di quale castigo ci rendiamo degni
allontanandoci per tutta la durata della nostra vita dagli interessi
che riguardano Cristo, preferendo cose assolutamente futili e vane a
impegni veramente necessari e restando inerti e pigri perché nulla
ci scuote. Noi dovremmo ammirare la saggezza dell’insegnamento di
Cristo che con tanta forza fissa il giovane alla sua parola e insieme
lo libera da un’infinità di dolori, come i pianti, le grida di
dolore e tutto quanto accompagna i funerali. Infatti, dopo la
sepoltura del padre, occorre leggere il testamento, dividere
l’eredità, fare insomma tutte quelle cose che seguono
necessariamente la morte di un genitore. Nel flusso e riflusso di
tutte queste faccende terrene, il giovane sarebbe stato trasportato
assai lontano dal porto della verità. Cristo, dunque, lo sottrae a
tutti questi affanni e lo tiene stretto a sé. Tuttavia, se vi
stupite ancora e vi turbate nel vedere che non è stato consentito a
un figlio di assistere ai funerali del padre, pensate che molti
impediscono che sia riferita a chi non sta bene la notizia della
morte del padre o della madre o di un figlio o di qualche altro
parente, né si permette a costoro di partecipare ai funerali; eppure
non si accusa questo comportamento di crudeltà e disumanità. E a
ragione. Al contrario, si riterrebbe disumano spingere costoro a tale
dolorosa cerimonia.
4.
– Se è un male piangere la morte dei nostri congiunti e lasciarsi
abbattere dal dolore, più grande male è allontanarsi dalle realtà
spirituali. Ecco perché Cristo anche altrove dice: «Nessuno che,
nell’atto di metter mano all’aratro, guarda indietro, è atto per
il regno dei cieli». Vale infatti assai di più annunziare il regno
di Dio e sottrarre gli altri alla morte che seppellire un morto a cui
d’altra parte ciò non giova a nulla, e soprattutto quando vi sono
altri che possono rendergli questi ossequi.
Insomma,
dal comportamento del Signore noi apprendiamo che non si deve perdere
neppure un istante di tempo, anche se moltissime occupazioni urgono e
che bisogna anteporre a tutte le faccende terrene, anche alle più
necessarie, gli impegni spirituali; comprendiamo infine che cos’è
la vita e che cos’è la morte.
Molti
uomini che sembrano vivere, quando vivono nel peccato, non
differiscono affatto dai morti: anzi lo stato in cui si trovano è
peggiore di quello dei morti. Dice infatti Paolo: «Chi è morto è
libero dal peccato» egli non ha ancora chiuso gli occhi e non è
stato avvolto nel sudario, che non giace ancora nella cassa e non è
roso dai vermi. Chi vive nel peccato subisce una dissoluzione ben
peggiore di quella di un morto. I vermi non lo divorano, ma le
passioni dilaniano la sua anima in modo ben più feroce delle belve.
Ha ancora gli occhi aperti, ma è peggio che se fossero chiusi: gli
occhi di un morto non vedono niente di male; il peccatore invece, con
i suoi sguardi, attira a sé un’infinità di mali. Un morto giace
nel sepolcro, immobile di fronte a tutto; quest’uomo, invece, è
sepolto nella tomba dei suoi innumerevoli vizi. Ma tu dici che non
vedi il suo corpo putrefatto? E che importa questo? Ancor prima del
corpo, la sua anima si è corrotta ed è in disfacimento, ridotta
ormai a una decomposizione peggiore di quella fisica. Un cadavere
esala cattivo odore per alcuni giorni; il peccatore, invece, emette
insopportabili esalazioni per tutta la vita, avendo la bocca più
sudicia e impura di una fogna. Vi è anche un’altra differenza: il
morto subisce solo la corruzione impostagli dalle leggi della natura,
mentre il peccato e a tale corruzione naturale aggiunge la
putrefazione causata dalla sua dissolutezza morale, e ogni giorno
inventa infiniti motivi di corruzione.
Ma
– tu mi dirai – costui è trasportato da un magnifico cavallo! E
ciò che vuol dire? Anche il morto è trasportato su di un letto
superbo. Ma il fatto più grave è che mentre quest’ultimo, quando
è in putrefazione e decomposizione, nessuno lo vede perché la cassa
lo ricopre, il peccatore, invece, vivo ma già fetido, se ne va
attorno dappertutto, portando in giro la sua anima morta nel sepolcro
del suo corpo. Se fosse possibile vedere l’anima di un uomo che
vive nei piaceri e nel peccato, comprenderesti che è molto meglio
giacere nella tomba avvolto nel drappo di morte che essere stretto
dalle catene dei peccati; è meglio avere una pietra sulla propria
tomba, piuttosto che essere oppressi dal pesante masso
dell’insensibilità. È dunque necessario che quanti sono legati da
vincoli di parentela con questi morti, dato che essi giacciono senza
accorgersi del loro stato, si accostino a Gesù implorandolo per
loro, come un tempo Maria lo pregò per Lazzaro. Anche se questo
morto fosse sepolto da quattro giorni ed esalasse cattivo odore non
perderti di coraggio, ma avvicinati e togli per prima cosa la pietra
che lo ricopre. Lo vedrai allora giacere come in una tomba, legato
con bende. Orbene, se volete, prendiamo ad esempio qualcuno dei
grandi e appariscenti personaggi di questo mondo. Non temete: vi farò
un esempio, ma sarà anonimo, o meglio, quand’anche nominassi
qualcuno, non dovreste neppure in questo caso temere. Chi teme,
infatti, un morto? Qualunque cosa faccia, rimane sempre morto; e un
morto non può fare male a chi vive, né tanto né poco.
Osserviamo
la loro testa fasciata. Costoro infatti sono sempre in stato di
ebrietà: e come i morti sono avvolti da molte bende e lenzuoli, così
la mente e i sensi di costoro sono impediti nel loro esercizio. Se,
poi, vuoi vedere le loro mani, le vedrai legate al loro ventre come
quelle dei morti, non però legate con bende, bensì avvinte, cosa
assai più orribile, dalle catene dell’avarizia, che impedisce loro
di stenderle per l’elemosina o per qualche altra opera buona e le
rende più inutili delle mani dei morti. Vuoi pure vedere come stanno
legati i loro piedi? Osserva allora come costoro sono costretti dalle
preoccupazioni e non possono mai correre alla casa di Dio.
Hai
visto il morto? Guarda ora il becchino. E chi è il becchino di
questi morti? Il diavolo, che li lega e li stringe con tale cura che
un uomo non sembra più un uomo, ma un legno secco. Ed effettivamente
là dove non si vedono più né occhi, né mani, né piedi, né alcun
altro membro, come si potrà scorgere un uomo? Così anche l’anima
di tali peccatori ci appare talmente legata, che è più un fantasma
che un’anima.
Poiché
dunque questi uomini giacciono insensibili come morti, rivolgiamoci a
Gesù per loro e preghiamolo di risuscitarli. Togliamo la pietra che
li schiaccia e sciogliamo le bende che li legano. Se voi, infatti,
toglierete questa pietra, cioè la loro insensibilità al male,
immediatamente potrebbe farli uscire dal sepolcro: e una volta fuori
vi sarà più agevole scioglierli. Allora Cristo li riconoscerà,
quando si saranno levati e saranno stati sciolti; allora inviterà
anche loro al suo banchetto. Voi, dunque, che siete amici di Cristo,
voi che siete suoi discepoli, voi che amate questo morto, accorrete a
Gesù e supplicatelo per lui. Anche se emana un terribile odore, non
per questo i suoi congiunti devono abbandonarlo. Al contrario, quanto
più la corruzione aumenta, tanto più occorre avvicinarsi a Cristo
come fecero un tempo le sorelle di Lazzaro. E non cessiamo di
supplicare, di pregare, di implorare finché egli non ci viene
restituito vivo. Se noi in tal modo dimostriamo tanta cura e impegno
per la salvezza nostra e dei nostri fratelli, otterremo certamente
anche la vita eterna, che io auguro a tutti noi di conseguire per la
grazia e la misericordia di nostro Signore Gesù Cristo. A lui sia la
gloria per i secoli dei secoli. Amen.
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