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martedì 30 gennaio 2018

Conversione nel braccio della morte...



Anche quando viene vissuta nel nascondimento, la fede non è mai un affare privato; porterà sempre i suoi frutti. Ne è prova la conversione dell’assassino francese Jacques Fesch. Dio è intervenuto con forza nella sua vita, ma la grazia della conversione è stata ottenuta dalle suppliche e dalle sofferenze di persone credenti nell’ambito della sua famiglia e dei suoi amici. Spesso Dio si serve di oranti sconosciuti, come, ad esempio, un anziano ricoverato in un pensionato, dal quale non ci si aspetta nulla, o una consacrata, nascosta in un convento nella giungla del Vietnam, che si offre per la conversione dei peccatori. Solo in Cielo i convertiti conosceranno con gratitudine chi ha pregato e si è offerto per loro.

Nel ventesimo secolo una delle più sconvolgenti testimonianze del modo di operare di Dio è senza dubbio la conversione e l’ascesa spirituale dell’anima del giovane francese Jacques Fesch (1930-1957), giustiziato tramite ghigliottina nel 1957. Quando, nel dicembre del 1993, il Cardinale Jean Marie Lustiger, arcivescovo emerito di Parigi e amico di Papa Giovanni Paolo II, ha aperto la fase preliminare per la causa di beatificazione del giovane ventisettenne, che aveva ucciso un poliziotto, questo fatto in Francia ha suscitato molto scandalo. Un criminale condannato a morte, dichiarato santo? Che provocazione! Il cardinale ha risposto alle critiche: “Davanti a Dio nessuno è perduto definitivamente, neanche quando la società lo ha condannato. Spero che Jacques Fesch un giorno sarà venerato come santo. Questo darebbe tanta speranza a coloro che vengono disprezzati, considerati incorreggibili e perduti per sempre”.

Irrequieto ed infelice

Jacques Fesch era cresciuto nella periferia di Parigi come ultimo figlio di una famiglia ricca. Il padre era direttore di banca, ateo, cinico e poco interessato ai suoi figli. La madre era religiosa e aveva un buon carattere, ma era talmente chiusa in sé da non essere in grado di dare alla famiglia calore, confidenza e guida. Jacques era trascurato e fin da bambino aveva dovuto badare a se stesso: “I miei genitori non andavano d’accordo e in famiglia l’atmosfera era insopportabile. Non esisteva stima reciproca, nessun amore. Eravamo come dei mostri di egoismo, pieni di amor proprio”. Il ragazzo, chiuso in sé, fu costretto a cambiare più volte scuola per il suo basso rendimento negli studi. E’ vero che “l’alto, biondo con tanti quattrini”, per la sua generosità, era ben visto dalle bande dei ragazzi e alle feste, dove era circondato da molte ragazze per il suo bell’aspetto, ma in realtà Jacques non aveva neanche un amico. A diciannove anni interruppe gli studi e senza entusiasmo iniziò a lavorare in banca presso suo padre, fin quando non andò in Germania per il servizio militare. La sua relazione amorosa con Pierrette Polack, una ragazza cattolica della stessa età, anche lei ricca di famiglia, nel 1951 approdò ad un matrimonio civile. Un mese dopo nacque la loro figlia Veronique. “Non ho amato davvero mia moglie, ma siamo stati buoni amici..., invece ho amato mia figlia... Avevo un’indole debole e un carattere molto incostante e cercavo sempre la via più facile”.
Un nuovo impegno di lavoro di Jacques nell’azienda del cognato fallì e poco tempo dopo anche Pierrette, presa con sé la bambina, fece ritorno presso la sua famiglia. Madame Fesch, la mamma di Jacques, gli versò su un conto un milione di franchi per l’avvio di un’impresa. “Al primo insuccesso abbandonai tutto. Mia madre mi mise alla porta. In azienda avevo accumulato molti debiti. Cosa avrei dovuto fare in quella situazione? Sarebbe stato meglio tagliare la corda”. Da solo e senza un vero scopo nella vita, a Jacques venne una “fissazione”: sognava una barca a vela con la quale raggiungere isole lontane. Per la realizzazione di tale progetto, nel febbraio del 1954, il giovane aggredì il cambiavalute Silberstein, di fede ebraica, presso il quale aveva ordinato una grande quantità di lingotti d’oro. All’atto del pagamento egli colpì la testa dell’uomo anziano con la pistola di suo padre, in quel momento però partì un colpo che lo ferì alla mano e per questo Jacques scappò precipitosamente senza bottino. Nella fuga perse gli occhiali (aveva una forte miopia) e, quando un poliziotto lo fermò, sparò da sotto il cappotto. Un colpo al cuore! “Non vedevo nulla, avevo agito in stato di costrizione, come un ossesso. Gli effetti furono un assassinio e la caccia come ad un animale selvaggio. Poi mi ritrovai in prigione”, con l’accusa di aggressione a scopo di rapina e dell’omicidio del poliziotto Georges Vergnes di 35 anni, vedovo, che lasciava una figlia di quattro anni.

Non sono credente”