"Non
posso non sottolineare l’importanza della testimonianza data dalle
famiglie cristiane, diceva papa Francesco, in Corea, il 16 agosto
2014. In un’epoca di crisi della vita familiare, le nostre comunità
cristiane sono chiamate a sostenere le coppie sposate e le famiglie
nel compimento della loro missione nella Chiesa e nella società.»
Eurosia Fabris Barban, madre di famiglia, è stata beatificata il
6 novembre 2005 da Benedetto XVI. Il venerabile
Pio XII già diceva di lei: «Bisogna far conoscere questa bella
anima, è un esempio per le famiglie di oggi!»
Eurosia
Fabris Barban è nata nel 1866 da una famiglia di agricoltori
italiani. Luigi e Maria Fabris, i suoi genitori, vivono nel comune di
Quinto Vicentino, nel Veneto. La bambina viene battezzata poco dopo
la nascita e riceve il nome di una vergine martire del IX
secolo, santa Eurosia, principessa di Boemia fatta prigioniera dai
Saraceni e morta per la sua fede.
Appassionata
del Vangelo
Nel
1870, la famiglia si trasferisce a Marola, nel comune di Torri di
Quartesolo. Eurosia vi abiterà per tutta la vita. Occupata nei
lavori agricoli e domestici, frequenta la scuola elementare solo tra
il 1872 e il 1874. Questi due anni di istruzione le consentono di
imparare a leggere e a scrivere. Si familiarizza con la Sacra
Scrittura, il catechismo, la Storia sacra; legge l’Introduzione
alla vita devota di san Francesco di Sales e le Massime eterne
di sant’ Alfonso de’ Liguori. Sua madre le insegna il suo futuro
mestiere di sarta. A partire dalla sua prima Comunione, a dodici
anni, si comunica in ogni giorno di festa. Iscritta all’associazione
delle Figlie di Maria nella sua parrocchia, s’impegna
nell’osservanza del suo statuto. La sua pietà mariana cresce sotto
l’influsso del vicino santuario della Madonna del Monte Berico,
dove la Vergine era apparsa nel XV secolo, liberando la
regione da un’epidemia di peste. Eurosia vi prega Maria perché la
malattia spiritualmente mortale dell’indifferentismo e dell’empietà
si allontani dal suo paese. La sua devozione si rivolge anche verso
lo Spirito Santo, il Presepio, il Crocifisso e le anime del
Purgatorio. Si appassiona al Vangelo e al catechismo, che insegna,
fin dall’età di quindici anni, ai bambini della parrocchia; in
seguito farà lo stesso nei confronti delle ragazze che
frequenteranno il suo laboratorio di cucito. Ha un modo tutto
personale di rendere questo insegnamento appassionante per il suo
giovane uditorio, disseminando l’esposizione dottrinale di aneddoti
e istruzioni morali e pratiche. Ma i bambini percepiscono prima di
tutto la grande carità che la anima: si sentono amati e comprendono
che cosa significhi amare Dio. Eurosia trova la sorgente di questo
grande amore nella preghiera. Fin dalla sua più tenera infanzia,
prega e medita regolarmente.
A
diciotto anni, è una ragazza seria, pia e laboriosa. Nonostante la
povertà della famiglia, cura la pulizia e l’ordine. Le sue virtù
e il suo fascino non passano inosservati: riceve diverse proposte di
matrimonio, che rifiuta. Nel 1885, una giovane vicina, la signora
Barban, muore lasciando tre figlie in tenera età, di cui la prima
muore anche lei poco dopo. Le altre due hanno rispettivamente venti e
quattro mesi. Uno zio e il nonno, malato cronico, vivono con il padre
delle due orfane. Sono uomini dal temperamento forte, che spesso
litigano tra di loro. Per sei mesi, ogni mattina, Eurosia va a
prendersi cura di queste bambine e sbriga le faccende domestiche.
Carlo Barban, il vedovo, non tarda a chiederla in moglie. Dopo aver a
lungo pregato per conoscere la volontà del Signore, e ben
consapevole delle difficoltà future, ella segue il consiglio sia dei
suoi genitori che del suo parroco, e accetta di sposare Carlo. Il
matrimonio, che considera come una missione di Dio, viene celebrato
il 5 maggio 1886; sarà benedetto dalla nascita di nove figli, senza
contare le due piccole orfane e tre adozioni.
Uniti
dal sacramento del matrimonio, i coniugi Barban camminano insieme
verso la santità prendendosi cura dei loro numerosi figli. Dove
trovare i mezzi economici per allevarli Certo, Carlo possiede delle
terre fertili, ma ha ereditato debiti pesanti. Eurosia lo incoraggia
alla fiducia: «I figli, Dio ce li invia come un tesoro. Confidiamo
in Lui, perché Egli non permetterà che ci manchi il necessario.»
Fiducia
e responsabilità
Se
è necessaria la fiducia in Dio per allevare una famiglia numerosa,
questa non dispensa i coniugi dal praticare una procreazione
responsabile. Per determinare il numero dei loro figli, i coniugi
agiranno «valutando le condizioni sia materiali che spirituali della
loro epoca e del loro stato di vita; e, infine, tenendo conto del
bene della comunità familiare, della società temporale e della
Chiesa stessa. Questo giudizio in ultima analisi lo devono formulare,
davanti a Dio, gli sposi stessi» (Concilio Vaticano II, Gaudium
et spes, n. 50). Nell’enciclica Humanae vitae, il
beato Paolo VI precisa: «In rapporto alle condizioni fisiche,
economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si
esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far
crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi
motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente
od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita.» (25 luglio 1968,
n. 10).
In
quest’ultima prospettiva, i coniugi possono ricorrere ai metodi
naturali di regolazione delle nascite, che, correttamente applicati,
sono al giorno d’oggi molto affidabili. Ma la Chiesa ha sempre
insegnato la malizia intrinseca della contraccezione, per la quale
ognuno degli atti coniugali viene reso intenzionalmente infecondo.
Questo insegnamento è definitivo e non riformabile. La
contraccezione si contrappone gravemente alla castità coniugale, è
contraria al bene della trasmissione della vita (aspetto procreativo
del matrimonio), e lede il dono reciproco dei coniugi (aspetto
unitivo del matrimonio). Essa ferisce il vero amore e nega il ruolo
sovrano di Dio nella trasmissione della vita umana (cfr. Humanae
vitae, n. 14). L’uso di mezzi aventi un effetto abortivo
comporta una malizia morale ancora più grave, perché essi provocano
la morte dell’embrione.
Mamma
Rosa, come viene chiamata da allora Eurosia, assolve ai suoi doveri
coniugali con la massima fedeltà e vive in una profonda armonia con
il marito, di cui diventa la consigliera e il conforto. Educa i suoi
figli alla preghiera, all’obbedienza, al timor di Dio, al
sacrificio, all’amore per il lavoro. Desidera che ciascuno scopra e
segua il piano di Dio su di lui. «I figli che il Signore ci ha dati
sono Suoi prima che nostri, ha l’abitudine di dire. E se Egli li
vuole per Sé, noi dobbiamo essere riconoscenti, anzi contenti: ciò
facendo, Egli ci rende un grande onore. Questo significa un lavoro
aggiuntivo, ma Dio ci aiuterà.» In effetti, la Santa Vergine le
rivela che i suoi tre figli maggiori diventeranno sacerdoti; per gli
altri tre il Signore ha altri piani. Lei risponde: «Cara Madonna,
sono così contenta. Ti ringrazio di tutto cuore per questi tre
scelti, perché non merito una tale grazia, così tanti privilegi. Ma
fin d’ora ti offro e consacro tutti i miei figli.» Secondo la
predizione della Santa Vergine, Giuseppe, il primogenito, e Alberto,
il secondo, saranno ordinati sacerdoti nel 1918 e nel 1921;
Matteo-Angelo, il terzo, entrerà tra i Francescani col nome di
fratel Bernardino; sarà il primo biografo di sua madre. Altri tre
figli maschi moriranno prematuramente. Due dei figli adottivi e una
figlia si sposeranno. Una delle figlie adottive, Chiara, si farà
religiosa col nome di suor Teofania. L’ultimo dei figli adottivi
diventerà fratel Giorgio presso i Francescani.
Più
amata
Eurosia
gestisce le finanze della famiglia tenendo conto della carità da
esercitare nei confronti dei poveri, con i quali condivide volentieri
la sua tavola. Offre ai malati un’assistenza costante e prolungata,
piena di amore e di cura. La sua vita si svolge principalmente
all’interno delle mura della sua casa, nella povertà: «Desidero
essere una donna povera e ne sono contenta, afferma, perché mi
sembra di essere così più amata dal Signore. Se fossi ricca,
temerei quasi che il Signore non mi ami altrettanto e che mi chieda
di meno… È preferibile essere poveri che ricchi!… Non sono
le ricchezze che rendono felice il cuore, ma il fatto di compiere la
volontà di Dio.» Entrata nel Terz’Ordine francescano, attinge da
una intensa vita di preghiera, e soprattutto dalla partecipazione
quotidiana alla Messa, la forza per rispondere alle necessità dei
bisognosi. Coglie ogni occasione per fare il bene, e condivide i
prodotti dell’orto e del pollaio con i miseri, i pellegrini e i
viaggiatori di passaggio. «Il Signore provvede maggiormente alle
nostre necessità quando pratichiamo la carità per amore di Lui,
dichiara. Se diamo qualche cosa ai poveri, è come se l’offrissimo
a Gesù in persona. Sono talmente commossa da questo pensiero che, se
fosse possibile, donerei me stessa!» Dopo lo scoppio della prima
guerra mondiale, le vedove non mancano e si trovano spesso in uno
stato di grande miseria, con numerosi figli a carico. Eurosia
soccorre come meglio può tutti quelli che la circondano, con una
bontà sorridente, manifestazione della sua gioia interiore di fare
la volontà di Dio, malgrado le difficoltà e le prove.
Nel
suo messaggio per la Quaresima 2012, papa Benedetto XVI esortava
i cristiani a fissare lo sguardo «sull’altro, prima di tutto su
Gesù…, a non mostrarsi estranei, indifferenti alla sorte dei
fratelli. Spesso, invece, prevale l’atteggiamento contrario:
l’indifferenza, il disinteresse, che nascono dall’egoismo,
mascherato da una parvenza di rispetto per la “sfera privata”…
L’attenzione all’altro comporta desiderare per lui o per lei il
bene, sotto tutti gli aspetti: fisico, morale e spirituale. La
cultura contemporanea sembra aver smarrito il senso del bene e del
male, mentre occorre ribadire con forza che il bene esiste e vince,
perché Dio è buono e fa il bene (Sal 118,68). Il bene è ciò
che suscita, protegge e promuove la vita, la fraternità e la
comunione. La responsabilità verso il prossimo significa allora
volere e fare il bene dell’altro, desiderando che anch’egli si
apra alla logica del bene; interessarsi al fratello vuol dire aprire
gli occhi sulle sue necessità. La Sacra Scrittura mette in guardia
dal pericolo di avere il cuore indurito da una sorta di “anestesia
spirituale” che rende ciechi alle sofferenze altrui…
Che
cosa impedisce questo sguardo umano e amorevole verso il fratello
Sono spesso la ricchezza materiale e la sazietà, ma è anche
l’anteporre a tutto i propri interessi e le proprie preoccupazioni…
Invece proprio l’umiltà di cuore e l’esperienza personale della
sofferenza possono rivelarsi fonte di risveglio interiore alla
compassione e all’empatia: Il giusto riconosce il diritto dei
miseri, il malvagio invece non intende ragione (Pr 29,7). Si
comprende così la beatitudine di coloro che sono nel pianto
(Mt 5,4), cioè di quanti sono in grado di uscire da se stessi per
commuoversi del dolore altrui. L’incontro con l’altro e l’aprire
il cuore al suo bisogno sono occasione di salvezza e di beatitudine»
(3 novembre 2011).
Tatto
e diplomazia
Eurosia
dirige un piccolo laboratorio di cucito che impiega da dieci a
quindici apprendiste. Dà loro gratuitamente una formazione
professionale e le prepara cristianamente al loro futuro ruolo di
madri di famiglia. Non accetta di confezionare abiti immodesti. Le
vengono richiesti in particolare abiti da sposa; lei riesce spesso,
con tatto e diplomazia, a convincere la clientela a scegliere un
modello nello stesso tempo elegante e modesto.
Nei
momenti di silenzio, Eurosia si dedica alla preghiera e specialmente
alla recita del Rosario quotidiano. Una sera, esce per andare a
occuparsi di un neonato presso una vicina di casa. Sopraggiunge
allora il padre della piccola che, vedendo il rosario in mano ad
Eurosia, si mette a gridare: «Butta via questi grani… che cosa
vuoi ottenere con essi» Lei risponde serenamente: «Questa è l’arma
più potente per ottenere delle grazie. Se volete ottenere un
servizio da qualcuno, è necessario chiederlo gentilmente,
aggiungendo, se necessario, delle suppliche, e allora l’otterrete.
Dobbiamo fare la stessa cosa con nostro Signore e con la Madonna.»
L’uomo si mette a riflettere, si calma, e infine risponde: «Sì,
avete ragione.»
«Il
Rosario della Vergine Maria… è preghiera amata da numerosi santi e
incoraggiata dal Magistero, scriveva papa Giovanni Paolo II.
Nella sua semplicità e profondità, rimane, anche in questo terzo
millennio appena iniziato, una preghiera di grande significato,
destinata a portare frutti di santità. Essa ben s’inquadra nel
cammino spirituale di un cristianesimo che, dopo duemila anni, non ha
perso nulla della freschezza delle origini, e si sente spinto dallo
Spirito di Dio a prendere il largo per ridire, anzi “gridare”
Cristo al mondo come Signore e Salvatore, come la via, la verità
e la vita (Gv 14,6), come traguardo della storia umana, il fulcro
nel quale convergono gli ideali della storia e della civiltà. Il
Rosario, infatti, pur caratterizzato dalla sua fisionomia mariana, è
preghiera dal cuore cristologico… Con esso il popolo cristiano si
mette alla scuola di Maria, per lasciarsi introdurre alla
contemplazione della bellezza del volto di Cristo e all’esperienza
della profondità del suo amore… Preghiera per la pace, il Rosario
è anche, da sempre, preghiera della famiglia e per la famiglia. Un
tempo questa preghiera era particolarmente cara alle famiglie
cristiane e certamente ne favoriva la comunione. Occorre non
disperdere questa preziosa eredità… La famiglia che prega unita
resta unita… Molti problemi delle famiglie contemporanee, specie
nelle società economicamente evolute, dipendono dal fatto che
diventa sempre più difficile comunicare. Non si riesce a stare
insieme, e magari i rari momenti dello stare insieme sono assorbiti
dalle immagini di un televisore. Riprendere a recitare il Rosario in
famiglia significa immettere nella vita quotidiana ben altre
immagini, quelle del mistero che salva: l’immagine del Redentore,
l’immagine della sua Madre Santissima. La famiglia che recita
insieme il Rosario riproduce un po’ il clima della casa di
Nazareth: si pone Gesù al centro, si condividono con lui gioie e
dolori, si mettono nelle sue mani bisogni e progetti, si attingono da
lui la speranza e la forza per il cammino» (Lettera apostolica
Rosarium Virginis Mariae, 16 ottobre 2002, n. 1).
Prestare
attenzione
La
grande preoccupazione di Eurosia è la conversione dei peccatori:
prega e fa pregare per loro. «Il “prestare attenzione” al
fratello, affermava papa Benedetto XVI, comprende altresì la
premura per il suo bene spirituale. E qui desidero richiamare un
aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in oblio: la
correzione fraterna in vista della salvezza eterna. Oggi, in
generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità
per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del
tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. Non così
nella Chiesa dei primi tempi e nelle comunità veramente mature nella
fede, in cui ci si prende a cuore non solo la salute corporale del
fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo…
Cristo stesso comanda di riprendere il fratello che sta commettendo
un peccato (cfr. Mt 18,15)… Non bisogna tacere di fronte al male.
Penso qui all’atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto
umano o per semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune,
piuttosto che mettere in guardia i propri fratelli dai modi di
pensare e di agire che contraddicono la verità e non seguono la via
del bene. Il rimprovero cristiano, però, non è mai animato da
spirito di condanna o recriminazione; è mosso sempre dall’amore e
dalla misericordia e sgorga da vera sollecitudine per il bene del
fratello… C’è sempre bisogno di uno sguardo che ama e corregge,
che conosce e riconosce, che discerne e perdona (cfr. Lc 22,61), come
ha fatto e fa Dio con ciascuno di noi. Tale “custodia” verso gli
altri contrasta con una mentalità che, riducendo la vita alla sola
dimensione terrena, non la considera in prospettiva escatologica e
accetta qualsiasi scelta morale in nome della libertà individuale.
Una società come quella attuale può diventare sorda sia alle
sofferenze fisiche, sia alle esigenze spirituali e morali della vita.
Non così deve essere nella comunità cristiana!
I
discepoli del Signore, uniti a Cristo mediante l’Eucaristia, vivono
in una comunione che li lega gli uni agli altri come membra di un
solo corpo. Ciò significa che l’altro mi appartiene, la sua vita,
la sua salvezza riguardano la mia vita e la mia salvezza… la nostra
esistenza è correlata con quella degli altri, sia nel bene che nel
male; sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche una
dimensione sociale. Nella Chiesa, corpo mistico di Cristo, si
verifica tale reciprocità: la comunità non cessa di fare penitenza
e di invocare perdono per i peccati dei suoi figli, ma si rallegra
anche di continuo e con giubilo per le testimonianze di virtù e di
carità che in essa si dispiegano» (3 novembre 2011).
La
nostra destinazione
Eurosia
si comporta con coraggio durante l’ultima malattia del marito,
nella primavera del 1930. Attenta a tutte le cure, sa anche, quando
se ne presenta l’occasione, infondergli qualche parola di speranza:
«Dobbiamo tutti morire… Il paradiso è la nostra destinazione
finale… Lassù ci ritroveremo tutti per non separarci mai più.»
Alla morte di Carlo, Eurosia ha sessantaquattro anni; il loro
matrimonio è durato quarantacinque anni.
Per
perseverare nell’impegno preso con il matrimonio, gli sposi hanno
bisogno della grazia di Cristo. «L’amore di Gesù, che ha
benedetto e consacrato l’unione degli sposi, diceva papa Francesco,
è in grado di mantenere il loro amore e di rinnovarlo quando
umanamente si perde, si lacera, si esaurisce. L’amore di Cristo può
restituire agli sposi la gioia di camminare insieme; perché questo è
il matrimonio: il cammino insieme di un uomo e di una donna, in cui
l’uomo ha il compito di aiutare la moglie ad essere più donna, e
la donna ha il compito di aiutare il marito ad essere più uomo… È
un viaggio impegnativo, a volte difficile, a volte anche
conflittuale, ma questa è la vita!… È normale che gli sposi
litighino, è normale. Sempre si fa. Ma vi consiglio: mai finire la
giornata senza fare la pace. Mai. È sufficiente un piccolo gesto. E
così si continua a camminare. Il matrimonio è simbolo della vita,
della vita reale, non è una “fiction”! È sacramento
dell’amore di Cristo e della Chiesa, un amore che trova nella Croce
la sua verifica e la sua garanzia» (Omelia del 14 settembre
2014).
A
partire dalla morte del marito, la vita di preghiera di Eurosia si fa
più intensa. Confida un giorno a uno dei suoi figli sacerdoti che il
Signore le ha rivelato il momento della sua morte, che avverrà dopo
diciotto mesi. Lei vi si prepara con una carità sempre maggiore:
«Non desidero altro che crescere incessantemente nell’amore di
Dio. Il resto non ha alcuna importanza per me.» Nell’autunno del
1931, dolori reumatici le invadono le articolazioni dei piedi e delle
mani. Il male si estende alle ginocchia e alle spalle e la inchioda a
letto, ma lei non si lamenta. Il 1° gennaio 1932, è colpita da una
polmonite e la sua respirazione, accompagnata da accessi di tosse,
diventa sempre più difficile. Fino alla fine, conserva la sua
lucidità e offre la vita al Signore per amore. Muore l’8 gennaio
1932. Il suo corpo viene deposto in una tomba molto semplice del
cimitero di Marola, ma ben presto molte persone vengono ad adornarla
con mazzi di fiori, in segno di gratitudine per le tante grazie
ricevute per sua intercessione. La sua memoria liturgica è fissata
al 9 gennaio.
Che
l’esempio dato dalla beata Eurosia ci stimoli alla difesa della
famiglia, alla quale i papi del nostro tempo incoraggiano tutti i
cristiani.
Dom
Antoine Marie osb
"Lettera
mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)"
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