martedì 19 dicembre 2017

Formazione all'umiltà di Leopold Beaudenom


                                       Umiltà vera e umiltà falsa

Eccomi convinto e deciso: voglio essere umile! Questa mia determinazione ha bisogno di essere incanalata nel giusto tracciato. Infatti le conoscenze ancora non precise mi rendono incerto, i miei errori personali congiunti alle male abitudini accumulate lungo gli anni costituiscono un bagaglio negativo che mi dirotta fuori strada. Princìpi mal conosciuti e rimedi mal indovinati possono lasciarmi in una umiltà incompleta o falsa. Per questo una serie di meditazioni mi guideranno e illumineranno nel mettere in cantiere le convinzioni già acquisite.
Comincerò con il prendere in considerazione radici e frutti della vera umiltà, con l'apprezzarne in modo corretto lo splendore. E se questo metterà in risalto le imperfezioni della mia umiltà, dall'altro col suo fascino, conquisterà il mio cuore. Per gustare le attrattive della vera umiltà devo premunirmi e fortificarmi contro le insufficienze, le seduzioni e le falsificazioni di alcuni sottoprodotti di umiltà adulterata. Scarterò prima di tutto quella che si può individuare come umiltà razionalistica.

Umiltà razionalistica

1. In cosa consiste? Si tratta di una umiltà che non si fonda sulla fede, ma esclusivamente su viste e giudizi della ragione. Non coltivare una stima esagerata di se stessi e non disprezzare la gente meritevole di stima; non intraprendere niente di superiore alle proprie forze e non innalzarsi al di là dei propri meriti; non mostrare né arroganza né vanità: ecco quanto basta alle sue esigenze.
L'umiltà dei Santi la turba; l'insegnamento dei maestri di vita spirituale urta profondamente con le sue linee direttrici e l'autorizza a sentenziare: «Qualcuna è da prendere, qualche altra da lasciare»; talvolta giunge a dire: «Ma questo è assurdo!».
L'umiltà razionalistica non sempre è teorica; il più delle volte si accontenta di restare pratica. Allora non è più la ragione che si inganna, ma la natura che trascina. Si accetta senza difficoltà tutto l'insegnamento, ma non ci si mette nemmeno per sogno a viverne le conclusioni, oppure si scantona dalle invalicabili esigenze con dei sofismi tranquillizzanti; ad esempio: prendere il primo posto sarebbe rispetto del proprio ruolo sociale; parlare favorevolmente di sé equivarrebbe a semplicità; accettare elogi e complimenti non altro che santa libertà.
Una umiltà di questo tipo è falsa nei suoi principi, perché non tiene conto degli insegnamenti della Fede. E insufficiente nella sua portata morale, poiché non raggiunge il suo obiettivo, che è la perfezione spirituale nella imitazione di Cristo.
2. Quanto si deve temere. L'umiltà razionalistica accalappia, poiché si presenta in nome della ragione: niente urtanti esagerazioni e neppure banali concessioni; nessuna di quelle brutture che tradiscono il male.
La natura non viene contrariata; le tendenze naturali non sono chiamate a superarsi; il sentimento innato del giusto e del bene vi si trova accontentato. Il giudizio comune concorda, in questo caso, con la ragione e la natura: non la pensa così il mondo intero? Ed ecco escluso il dubbio pratico.
Sarò anch'io una povera vittima dell'errore generale... Malgrado ciò resto lontano dalla vera umiltà.
3. Quanto è insufficiente. L'umiltà razionalistica si blocca alla soglia del soprannaturale e si interessa solo dell'aspetto umano. Qui l'errore sta nell'accontentarsi di una valutazione imperfetta e parziale. Le grandi verità relative al peccato originale e alla necessità della Grazia elevano in modo singolare la prospettiva; orizzonti sconosciuti di dipendenza si spalancano allora agli occhi della fede e davanti a queste scoperte di eccezionale importanza, l'insufficienza dell'umiltà razionalistica appare in tutto il suo stridore.
Quel terra-terra che si è convenuto di chiamare buon senso non basta per giudicare le cose di lassù. Tra i pagani l'umano giudizio tacciava di pazzia il sublime annientamento del Calvario; tra i cristiani suscitava quei «nemici della croce di Cristo» di cui Paolo parla «piangendo» (cf. Fil 3, 18). Quante persone si danno l'aria di essere pie, e invece sono imbevute soltanto di spirito umano a detrimento del valore cristiano, e spogliano l'umiltà di Gesù del suo afflato soprannaturale!
Se la mia umiltà non è quella del Maestro sarà del tutto inadeguata a sostenere l'edificio spirituale, e senza pregio davanti a Dio, incapace di attirare le sue grazie. Ci si inganna quando ci si crede umili solo perché non si è né arroganti, né vanitosi, né ambiziosi, né suscettibili. Bisogna tornare alla scuola di Betlemme, di Nazareth e del Calvario, capire più a fondo gli insegnamenti di Gesù e prendere come ideale, non la moderazione dei saggi, ma l'umiltà dei Santi.

Umiltà meschina e impacciata

Non è umiltà vera quella che rende esitanti nel prendere una decisione, insicuri nel dare un ordine, o turbati nel mettere in atto un richiamo con la necessaria fermezza. L'umiltà vera non coarta il pensiero e non paralizza l'azione.
Trascurare un atto di virtù o un'opera di zelo per non esporsi alla vanità è tipico di un animo meschino. Vacillare davanti a qualsiasi incarico non è umiltà, ma grettezza d'animo.
La volontà di Dio deve essere la sola regola del mio agire, e la mia sicurezza va fondata sulla sua Grazia. Non si può chiamare virtù un tentennare che nasconde i connotati dell'egoismo, il quale avendo in mente solo la propria tranquillità rende angusto il cuore e corto il braccio.
L' autocompiacimento è un difetto, ma il rattristarsi di se stessi fino allo scoraggiamento ne è un altro. Vedere mal fatto tutto ciò che si fa non è né giusto né saggio: infatti il bene che c'è dentro di me appartiene prima di tutto a Dio.
Irritarsi per i propri sbagli è la dimostrazione pratica che si conosce male se stessi e male si conosce Dio. L'umiltà vera rende ancora più vivo il pentimento, la preghiera e lo sforzo; l'umiltà falsa produce viltà, fa indietreggiare davanti alla contrizione, alla preghiera e al combattimento.
L'umiltà impacciata combina i guai più seri quando è chiamata ad esercitare l'autorità: non si trova la forza di impartire comandi, o lo si fa con una tale titubanza che priva chi riceve l'ordine di quella forza cui ha diritto; ci si lascia criticare e condannare senza rendersi conto che così facendo si concede la libertà di disprezzare Dio presente nel superiore; e questo non è un piccolo svantaggio per chi ha voglia di far bene.
Come il razionalismo, altrettanto la grettezza d'animo non vede l'umiltà che attraverso una visione parziale e difettosa: suppone l'orgoglio dove non c'è, in quel principio o in quel certo comportamento che ritiene ne sia ispirato. Non arriva a cogliere l'insieme che permette di dare il giusto peso ai particolari; afferra invece con abbagliante chiarezza quel dato aspetto, caricandolo di significati irreali. Non riesce neppure a immaginare che ci siano circostanze che fanno sì che un'altra virtù, per esempio la carità, impedisca all'umiltà non di esistere, ma di apparire.
Il rimedio consiste nel non fidarsi troppo del proprio giudizio, nel leggere quei libri che possono apportare una luce migliore, nel seguire con fiducia i consigli di un direttore spirituale. La causa di questa ristrettezza di mente e di cuore si trova spesso nella formazione prima; ci vorrà pertanto una formazione nuova, più sicura e intelligente, per riportare a idee più vaste e più corrispondenti al vero.

Umiltà paurosa

La timidezza proviene dal carattere e riguarda tutto ciò che può ispirare paura. La paura può essere frutto o di un guardarsi attorno troppo inquieto (paura degli altri) o di una volontà troppo debole (paura di se stessi). Questi due difetti generano apprensione e incostanza: ci si spaventa davanti ai problemi, oppure non si affrontano in modo deciso, non si è costanti nelle soluzioni, nel corso dell'azione ci si lascia bloccare dal minimo contrattempo.
La scelta del rimedio sarà in relazione alla causa che produce il malanno. Perciò se si è eccessivamente prudenti, troppo meticolosi, si deve tagliare corto, decidersi a prima vista nelle cose ordinarie, non riflettere troppo negli affari importanti. In ogni caso la decisione deve essere definitiva e non rimettere mai in questione quanto si è già stabilito. Se accadesse di sbagliarsi non c'è da fare la tragedia, ma semplicemente ricordare che nemmeno i più riflessivi sfuggono ai guai dell'insufficienza umana.
Se si è timidi di natura, se gli ostacoli e le contestazioni ci turbano al primo apparire, non bisogna scambiare la propria insicurezza per umiltà e cedere subito le armi, ma invece imporsi di far rispettare i propri diritti e la propria dignità, mantenere fermo l'ordine impartito e il proprio giudizio finché non appaia evidente che si è nell'errore.
In fondo, come l'umiltà meschina, anche l'umiltà paurosa nasconde nelle pieghe la preoccupazione di sé e l' oblìo di Dio. Meschinità e timidezza sono contrarie alla prudenza, che ha il compito di governare tutte le virtù: screditano l'umiltà e recano danno al singolo e alla società.

Umiltà falsa

Pochi sfuggono al difetto di ritenere per umiltà le manifestazioni puramente esteriori di questa virtù. Gesù biasimava severamente i farisei che si credevano umili perché facevano profonde riverenze per le strade, continuando però a ritenersi migliori e a disprezzare gli altri. Senza arrivare a una tale ipocrisia, troppo facilmente si maschera con gesti e formule la mancanza interiore e reale di umiltà.
Si dice d'essere buoni a nulla, si usano maniere deferenti verso il prossimo, in chiesa si assume un atteggiamento compunto: dunque siamo umili! Proviamo un po' a sondare il cuore: si pensa veramente di non valere nulla? Forse che facendo l'inchino si permette agli altri di guardarci dall'alto in basso? Come mai diventiamo tristi e ci ribelliamo interiormente se veniamo giudicati poco esperti, se siamo contraddetti o semplicemente se veniamo trascurati?
L'origine di questo malinteso sta nell'avere adottato formule e pose create in ambienti di pietà, dove sono sincere per alcuni, ma dove per i più non sono che un superficiale modo di presentarsi. L'umiltà non è bella e autentica se non quando in essa tutto si armonizza nella sincerità, nell'accordo fra quanto si dice e quanto si pensa, fra il gesto esterno e la convinzione profonda.
Se la mia umiltà non arriva a ispirarmi quelle convinzioni di indegnità che i santi manifestavano, non devo assolutamente esprimerle né prenderne gli atteggiamenti; la mia umiltà deve conservare la bellezza di ciò che è vero, pur non essendo straordinario. Ci saranno sempre delle imperfezioni che sarà facile confessare, delle inferiorità di cui sarò convinto, dei torti che riconoscerò volentieri. La mia umiltà sarà meno imponente, ma sincera; non ispirerà un atteggiamento di grande bassezza, ma mi lascerà in una atmosfera libera da pretese.
San Francesco di Sales afferma che «parlare di sé è pericoloso quanto camminare su una corda». Ma è ancora più pericoloso parlare male di sé. Chi, in tal caso, ha una gran voglia di farsi credere? Bisogna essere ben santi per parlare male di sé con tutta franchezza...
Si arriva al punto che la superbia riesce a trarre profitto dai gesti e dalle formule più umili. Si finge di nascondersi, e con ciò altro non si brama che d'essere cercati; si parla male di sé, per stimolare qualche parola in bene; si chiede d'essere corretti, per essere lodati; se si accusa una colpa, è perché è già molto nota; si esagerano i propri torti, per farli scomparire nell'umiltà della confessione.
Rodriguez la chiama «umiltà ad uncino» perché serve ad attirare le lodi, come si ricorre all'uncino per arrivare a prendere oggetti che non si riesce a raggiungere con la mano.

Umiltà apparente

L'umiltà può essere falsa anche nella sua intima origine. Come si possono prendere da un ambiente spirituale formule e gesti che non esprimono la reale virtù che si possiede, così si possono coltivare delle impressioni che ingannano sulla reale esistenza dell'umiltà.
Una persona devota ha letto le vite dei santi, ha provato la più viva ammirazione per il miracolo della loro umiltà e ora brucia dal desiderio di imitarli. Niente di più lodevole. Ma ben presto quella tal persona crede di avere l'umiltà dei santi perché li ammira e si sente obbligata a professare il disprezzo di sé come loro facevano.
Provate un po' ad interrompere quei gemiti, apparentemente cavati dalla coscienza della propria miseria e dite: «Ma è dunque vero che sei tanto vile e ripugnante e colpevole?». Eccola immediatamente sorpresa e smontata, come per uno spillo che sgonfia un pallone.
Era una umiltà tutta di facciata; non sgorgava dal profondo della convinzione, come nei veri santi. Quella persona non era realmente convinta della propria bassezza: sia almeno così umile da riconoscerlo. Si convinca maggiormente delle mille imperfezioni che riempiono la sua vita, dei difetti che, visibili agli occhi degli altri, le restano ancora nascosti. Non permetta che la coscienza si appanni e si falsi col fare l'abitudine a sentimenti convenzionali e fittizi: sia sincera davanti a Dio che legge nei cuori.

Umiltà d'illusione

Se il clima trasmette una impressione superficiale di umiltà, ci sono dei temperamenti che se ne creano l'illusione e sono quelli dove l'immaginazione prevale.
Un'anima d'artista, di poeta, di musicista, può ingannare gli altri e ingannare se stesso in fatto di durezza di cuore e di egoismo, mentre percorre tutta la gamma della sensibilità esaltando con entusiasmo ogni più pura dedizione. La sua fantasia coglie la situazione, vi si inserisce e si identifica fino a viverla come propria. La parte che, grazie all'immaginazione, l'artista gioca al naturale, gli sembra la traduzione e l'espressione di se stesso: in lui coesistono due vite, ma in realtà ne conosce una sola.
Ce ne sono di persone di questo taglio in fatto di umiltà: l'ammirano, la desiderano, la amano, ne celebrano la bellezza. Ma ritengono per acquisita una virtù che invece ha solo impressionato l'immaginazione. Camminano sognando l'umiltà e quando l'urto di umiliazioni concrete e sensibili le fa uscire dal sogno, si ritrovano preoccupate di se stesse e avvilite nel loro amor proprio. Due personaggi coesistevano dentro di loro: uno di convenzione e di immaginazione, con l'illusione dell'umiltà; e l'altro di carne ed ossa che, nel suo intimo, non si era spogliato della superbia.
Se la mia immaginazione è vivace, devo mettermi in guardia: è capace di introdurre nell'umiltà, come in tutto, il suo potere di illusione. In sogno realizza molto, ma a livello pratico non trova ali; stanca, se non disingannata, si affloscia a terra.
L'immaginazione può anche aiutare, ma richiede il più attento controllo.

Umiltà senza vita

All'influsso dell'ambiente e a quello del temperamento si aggiunge una terza fonte d'illusione: il persistere di un qualche effetto di virtù scomparse.
Si trovano persone superbe che fanno atti di umiltà, confessano la loro miseria e qualche loro torto, si mettono all'ultimo posto e si accusano perfino dei mali pubblici. Come si spiega questo fenomeno?
Si spiega col persistere di tracce di una virtù che si è dissolta. Si può applicare all'umiltà l'osservazione che Francesco di Sales fa nei riguardi della carità. Egli scrive: «Quel rimasuglio d'amore che sopravvive alla carità nell'anima colpevole, non è la carità, ma una piega e una inclinazione che il gran numero degli atti le ha lasciato..., è una semplice eco che ripete la voce. Non è la parola di un essere vivente, ma quella di una vuota caverna».
Sì, quando il superbo vomita contro se stesso espressioni eccessivamente aspre, il suo parlare è senza vita; sono formule, un tempo sincere, che egli ha conservato; sono sentimenti, che una volta sgorgavano dal cuore e che continuano per mera abitudine; sono ancora abbastanza forti da provocare talvolta dei sussulti, ma l'umiltà reale è assente; non c'è più l'anima e il vigore dell'umiltà.

Come evitare gli abbagli in fatto di umiltà

Si è esposti a tanti e tali abbagli che viene da domandarsi dove stia la verità. Se sento indifferenza per l'umiltà, non sono umile; se per essa provo ammirazione, non per questo sono più garantito. Se nella preghiera moltiplico gli atti di umiltà, se mi trattengo quando l'amor proprio viene ferito, se sono felice di parlar male di me e il pensiero dell'umiltà mi dà gioia... sarò poi umile davvero?
Circa gli atti di umiltà compiuti nella preghiera nulla da ridire, se non che sono troppo facili per essere una sicura testimonianza in favore della virtù.
Controllarsi quando l'amor proprio è ferito non è una prova assoluta di umiltà, spesso è solo prudenza. L'amor proprio stesso può consigliare una condotta del genere: anche il solo desiderio di non passare per superbo potrebbe risultare sufficiente spiegazione di simili sforzi.
Quanto al piacere che si prova nel parlare male di sé e alla gioia sensibile che desta il pensiero dell'umiltà, non è il caso di farne un gran conto: tali gusti, realissimi nelle persone sante, nelle anime ordinarie non sono spesso che un certo qual compiacimento di sé o tutt'al più una ammirazione platonica della virtù.
Aspettiamo l'occasione propizia: un disprezzo senza alcuna contropartita, una preferenza per altri che ti butta in un canto, un insuccesso di cui sei incolpato, una fiducia che ti viene tolta, un semplice rimprovero ben meritato. Allora sì, se il gusto persiste, se accetta queste umiliazioni senza ostentazione, se produce nell'animo una gioia profonda e dà alla vita spirituale un aumento di ardore, rassicuriamoci. Un gusto di tal genere non viene dalla natura: Dio solo può ispirarlo.
Senza dubbio è bene mettere ogni impegno per progredire il più velocemente possibile nell'umiltà, come nelle altre virtù, ma senza mai ricorrere a formule poco sincere, dettate dall'immaginazione o dai sentimenti dei santi. Quante espressioni non producono che l'illusione della virtù e forse la superbia. Se poi sono prive di contenuto, non sono degne né di Dio né servono a fortificare l'animo.

Ruolo della volontà e della sensibilità

Nel corso di queste meditazioni ci può venire addosso una specie di scoraggiamento constatando di non possedere i requisiti della vera umiltà. Se però la si desidera francamente, se si è risoluti nell'esercitarsi anche quando costa: ecco la virtù che si mette in moto, l'umiltà di volontà, la sola attualmente possibile per molte anime.
La virtù risiede principalmente nella volontà e l'inclinazione che ne costituisce l'essenza è una inclinazione di volontà, non di sensibilità. Il gusto può fare la sua comparsa dopo un lungo allenamento o può sgorgare da un infuocato amore: in ogni caso verrà a ravvivare gli atti, renderà più attraente la virtù, ma non potrà mai esserne l'elemento costitutivo e la virtù potrà vivere, agire e svilupparsi senza.
Non confondiamo la volontà con la sensibilità: la prima è la determinazione, è la scelta interiore; la seconda è il gusto o il disgusto, l'impressione felice che attira o quella penosa che allontana. La sensibilità ama ciò che corrisponde ai suoi gusti; la volontà ciò che corrisponde al suo dovere.
Può dunque accadere di amare e di odiare allo stesso tempo la stessa cosa. La sensibilità, ad esempio, può compiacersi in una affermazione di amor proprio che la volontà respinge con forza.
La volontà ha il diritto di tenere la sensibilità alle sue dipendenze, perché a lei spetta di presiedere tutta la vita morale. Ora la volontà quanto è più forte tanto più domina sulla sensibilità, che a sua volta le presterà il sostegno dei suoi gusti e dei suoi ardori.
Non va dimenticato che la volontà non esercita sulla sensibilità un potere immediato e assoluto. Non può costringere questa capricciosa facoltà a provare questa o quella impressione, tuttavia conserva il diritto di mettere avanti e di far valere i motivi che la guidano. Alla riuscita della sua azione si frappongono spesso degli ulteriori ostacoli, perché il gusto sensibile dipende pure dal temperamento, dalle circostanze propizie, dalla novità, eccetera.
Anche Dio interviene: a volte si accontenta di lasciare al loro libero gioco queste forze contrastanti, altre volte prende lui l'iniziativa. «Aumenterò la tua sensibilità», dice il Salvatore a s. Margherita Maria Alacoque.
Se poi la tentazione giunge anch'essa ad aggiungere turbamento, disgusto e ribellione, allora la prova si fa completa. Eppure la virtù resta intatta nelle altezze della volontà.
Coraggio, Dio veglia! Dai miei pensieri di scoraggiamento, dalle ripugnanze e dalle paure suscitate dalle severe meditazioni che ho iniziato, uscirò più saldo, più amato da Dio, più umile.

Tratto da “L'ULTIMO DI TUTTI” di Leopold Beaudenom




Leopold Beaudenom, nacque a Tulle, in Francia, il 23 novembre 1840 (morì a Puteaux nel 1916), fu direttore spirituale molto ricercato.

Nessun commento:

Posta un commento