Umiltà vera e umiltà falsa
Eccomi
convinto e deciso: voglio essere umile! Questa mia determinazione ha
bisogno di essere incanalata nel giusto tracciato. Infatti le
conoscenze ancora non precise mi rendono incerto, i miei errori
personali congiunti alle male abitudini accumulate lungo gli anni
costituiscono un bagaglio negativo che mi dirotta fuori strada.
Princìpi mal conosciuti e rimedi mal indovinati possono lasciarmi in
una umiltà incompleta o falsa. Per questo una serie di meditazioni
mi guideranno e illumineranno nel mettere in cantiere le convinzioni
già acquisite.
Comincerò
con il prendere in considerazione radici e frutti della vera umiltà,
con l'apprezzarne in modo corretto lo splendore. E se questo metterà
in risalto le imperfezioni della mia umiltà, dall'altro col suo
fascino, conquisterà il mio cuore. Per gustare le attrattive della
vera umiltà devo premunirmi e fortificarmi contro le insufficienze,
le seduzioni e le falsificazioni di alcuni sottoprodotti di umiltà
adulterata. Scarterò prima di tutto quella che si può individuare
come umiltà razionalistica.
Umiltà razionalistica
1. In
cosa consiste? Si tratta di una umiltà che non si fonda sulla fede,
ma esclusivamente su viste e giudizi della ragione. Non coltivare una
stima esagerata di se stessi e non disprezzare la gente meritevole di
stima; non intraprendere niente di superiore alle proprie forze e non
innalzarsi al di là dei propri meriti; non mostrare né arroganza né
vanità: ecco quanto basta alle sue esigenze.
L'umiltà
dei Santi la turba; l'insegnamento dei maestri di vita spirituale
urta profondamente con le sue linee direttrici e l'autorizza a
sentenziare: «Qualcuna è da prendere, qualche altra da lasciare»;
talvolta giunge a dire: «Ma questo è assurdo!».
L'umiltà
razionalistica non sempre è teorica; il più delle volte si
accontenta di restare pratica. Allora non è più la ragione che si
inganna, ma la natura che trascina. Si accetta senza difficoltà
tutto l'insegnamento, ma non ci si mette nemmeno per sogno a viverne
le conclusioni, oppure si scantona dalle invalicabili esigenze con
dei sofismi tranquillizzanti; ad esempio: prendere il primo posto
sarebbe rispetto del proprio ruolo sociale; parlare favorevolmente di
sé equivarrebbe a semplicità; accettare elogi e complimenti non
altro che santa libertà.
Una
umiltà di questo tipo è falsa nei suoi principi, perché non tiene
conto degli insegnamenti della Fede. E insufficiente nella sua
portata morale, poiché non raggiunge il suo obiettivo, che è la
perfezione spirituale nella imitazione di Cristo.
2. Quanto
si deve temere. L'umiltà razionalistica accalappia, poiché si
presenta in nome della ragione: niente urtanti esagerazioni e neppure
banali concessioni; nessuna di quelle brutture che tradiscono il
male.
La
natura non viene contrariata; le tendenze naturali non sono chiamate
a superarsi; il sentimento innato del giusto e del bene vi si trova
accontentato. Il giudizio comune concorda, in questo caso, con la
ragione e la natura: non la pensa così il mondo intero? Ed ecco
escluso il dubbio pratico.
Sarò
anch'io una povera vittima dell'errore generale... Malgrado ciò
resto lontano dalla vera umiltà.
3. Quanto
è insufficiente. L'umiltà razionalistica si blocca alla soglia del
soprannaturale e si interessa solo dell'aspetto umano. Qui l'errore
sta nell'accontentarsi di una valutazione imperfetta e parziale. Le
grandi verità relative al peccato originale e alla necessità della
Grazia elevano in modo singolare la prospettiva; orizzonti
sconosciuti di dipendenza si spalancano allora agli occhi della fede
e davanti a queste scoperte di eccezionale importanza,
l'insufficienza dell'umiltà razionalistica appare in tutto il suo
stridore.
Quel
terra-terra che si è convenuto di chiamare buon senso non basta per
giudicare le cose di lassù. Tra i pagani l'umano giudizio tacciava
di pazzia il sublime annientamento del Calvario; tra i cristiani
suscitava quei «nemici della croce di Cristo» di cui Paolo parla
«piangendo» (cf. Fil 3, 18). Quante persone si danno l'aria di
essere pie, e invece sono imbevute soltanto di spirito umano a
detrimento del valore cristiano, e spogliano l'umiltà di Gesù del
suo afflato soprannaturale!
Se
la mia umiltà non è quella del Maestro sarà del tutto inadeguata a
sostenere l'edificio spirituale, e senza pregio davanti a Dio,
incapace di attirare le sue grazie. Ci si inganna quando ci si crede
umili solo perché non si è né arroganti, né vanitosi, né
ambiziosi, né suscettibili. Bisogna tornare alla scuola di Betlemme,
di Nazareth e del Calvario, capire più a fondo gli insegnamenti di
Gesù e prendere come ideale, non la moderazione dei saggi, ma
l'umiltà dei Santi.
Umiltà meschina e impacciata
Non
è umiltà vera quella che rende esitanti nel prendere una decisione,
insicuri nel dare un ordine, o turbati nel mettere in atto un
richiamo con la necessaria fermezza. L'umiltà vera non coarta il
pensiero e non paralizza l'azione.
Trascurare
un atto di virtù o un'opera di zelo per non esporsi alla vanità è
tipico di un animo meschino. Vacillare davanti a qualsiasi incarico
non è umiltà, ma grettezza d'animo.
La
volontà di Dio deve essere la sola regola del mio agire, e la mia
sicurezza va fondata sulla sua Grazia. Non si può chiamare virtù un
tentennare che nasconde i connotati dell'egoismo, il quale avendo in
mente solo la propria tranquillità rende angusto il cuore e corto il
braccio.
L'
autocompiacimento è un difetto, ma il rattristarsi di se stessi fino
allo scoraggiamento ne è un altro. Vedere mal fatto tutto ciò che
si fa non è né giusto né saggio: infatti il bene che c'è dentro
di me appartiene prima di tutto a Dio.
Irritarsi
per i propri sbagli è la dimostrazione pratica che si conosce male
se stessi e male si conosce Dio. L'umiltà vera rende ancora più
vivo il pentimento, la preghiera e lo sforzo; l'umiltà falsa produce
viltà, fa indietreggiare davanti alla contrizione, alla preghiera e
al combattimento.
L'umiltà
impacciata combina i guai più seri quando è chiamata ad esercitare
l'autorità: non si trova la forza di impartire comandi, o lo si fa
con una tale titubanza che priva chi riceve l'ordine di quella forza
cui ha diritto; ci si lascia criticare e condannare senza rendersi
conto che così facendo si concede la libertà di disprezzare Dio
presente nel superiore; e questo non è un piccolo svantaggio per chi
ha voglia di far bene.
Come
il razionalismo, altrettanto la grettezza d'animo non vede l'umiltà
che attraverso una visione parziale e difettosa: suppone l'orgoglio
dove non c'è, in quel principio o in quel certo comportamento che
ritiene ne sia ispirato. Non arriva a cogliere l'insieme che permette
di dare il giusto peso ai particolari; afferra invece con abbagliante
chiarezza quel dato aspetto, caricandolo di significati irreali. Non
riesce neppure a immaginare che ci siano circostanze che fanno sì
che un'altra virtù, per esempio la carità, impedisca all'umiltà
non di esistere, ma di apparire.
Il
rimedio consiste nel non fidarsi troppo del proprio giudizio, nel
leggere quei libri che possono apportare una luce migliore, nel
seguire con fiducia i consigli di un direttore spirituale. La causa
di questa ristrettezza di mente e di cuore si trova spesso nella
formazione prima; ci vorrà pertanto una formazione nuova, più
sicura e intelligente, per riportare a idee più vaste e più
corrispondenti al vero.
Umiltà paurosa
La
timidezza proviene dal carattere e riguarda tutto ciò che può
ispirare paura. La paura può essere frutto o di un guardarsi attorno
troppo inquieto (paura degli altri) o di una volontà troppo debole
(paura di se stessi). Questi due difetti generano apprensione e
incostanza: ci si spaventa davanti ai problemi, oppure non si
affrontano in modo deciso, non si è costanti nelle soluzioni, nel
corso dell'azione ci si lascia bloccare dal minimo contrattempo.
La
scelta del rimedio sarà in relazione alla causa che produce il
malanno. Perciò se si è eccessivamente prudenti, troppo meticolosi,
si deve tagliare corto, decidersi a prima vista nelle cose ordinarie,
non riflettere troppo negli affari importanti. In ogni caso la
decisione deve essere definitiva e non rimettere mai in questione
quanto si è già stabilito. Se accadesse di sbagliarsi non c'è da
fare la tragedia, ma semplicemente ricordare che nemmeno i più
riflessivi sfuggono ai guai dell'insufficienza umana.
Se
si è timidi di natura, se gli ostacoli e le contestazioni ci turbano
al primo apparire, non bisogna scambiare la propria insicurezza per
umiltà e cedere subito le armi, ma invece imporsi di far rispettare
i propri diritti e la propria dignità, mantenere fermo l'ordine
impartito e il proprio giudizio finché non appaia evidente che si è
nell'errore.
In
fondo, come l'umiltà meschina, anche l'umiltà paurosa nasconde
nelle pieghe la preoccupazione di sé e l' oblìo di Dio. Meschinità
e timidezza sono contrarie alla prudenza, che ha il compito di
governare tutte le virtù: screditano l'umiltà e recano danno al
singolo e alla società.
Umiltà falsa
Pochi
sfuggono al difetto di ritenere per umiltà le manifestazioni
puramente esteriori di questa virtù. Gesù biasimava severamente i
farisei che si credevano umili perché facevano profonde riverenze
per le strade, continuando però a ritenersi migliori e a disprezzare
gli altri. Senza arrivare a una tale ipocrisia, troppo facilmente si
maschera con gesti e formule la mancanza interiore e reale di umiltà.
Si
dice d'essere buoni a nulla, si usano maniere deferenti verso il
prossimo, in chiesa si assume un atteggiamento compunto: dunque siamo
umili! Proviamo un po' a sondare il cuore: si pensa veramente di non
valere nulla? Forse che facendo l'inchino si permette agli altri di
guardarci dall'alto in basso? Come mai diventiamo tristi e ci
ribelliamo interiormente se veniamo giudicati poco esperti, se siamo
contraddetti o semplicemente se veniamo trascurati?
L'origine
di questo malinteso sta nell'avere adottato formule e pose create in
ambienti di pietà, dove sono sincere per alcuni, ma dove per i più
non sono che un superficiale modo di presentarsi. L'umiltà non è
bella e autentica se non quando in essa tutto si armonizza nella
sincerità, nell'accordo fra quanto si dice e quanto si pensa, fra il
gesto esterno e la convinzione profonda.
Se
la mia umiltà non arriva a ispirarmi quelle convinzioni di indegnità
che i santi manifestavano, non devo assolutamente esprimerle né
prenderne gli atteggiamenti; la mia umiltà deve conservare la
bellezza di ciò che è vero, pur non essendo straordinario. Ci
saranno sempre delle imperfezioni che sarà facile confessare, delle
inferiorità di cui sarò convinto, dei torti che riconoscerò
volentieri. La mia umiltà sarà meno imponente, ma sincera; non
ispirerà un atteggiamento di grande bassezza, ma mi lascerà in una
atmosfera libera da pretese.
San
Francesco di Sales afferma che «parlare di sé è pericoloso quanto
camminare su una corda». Ma è ancora più pericoloso parlare male
di sé. Chi, in tal caso, ha una gran voglia di farsi credere?
Bisogna essere ben santi per parlare male di sé con tutta
franchezza...
Si
arriva al punto che la superbia riesce a trarre profitto dai gesti e
dalle formule più umili. Si finge di nascondersi, e con ciò altro
non si brama che d'essere cercati; si parla male di sé, per
stimolare qualche parola in bene; si chiede d'essere corretti, per
essere lodati; se si accusa una colpa, è perché è già molto nota;
si esagerano i propri torti, per farli scomparire nell'umiltà della
confessione.
Rodriguez
la chiama «umiltà ad uncino» perché serve ad attirare le lodi,
come si ricorre all'uncino per arrivare a prendere oggetti che non si
riesce a raggiungere con la mano.
Umiltà apparente
L'umiltà
può essere falsa anche nella sua intima origine. Come si possono
prendere da un ambiente spirituale formule e gesti che non esprimono
la reale virtù che si possiede, così si possono coltivare delle
impressioni che ingannano sulla reale esistenza dell'umiltà.
Una
persona devota ha letto le vite dei santi, ha provato la più viva
ammirazione per il miracolo della loro umiltà e ora brucia dal
desiderio di imitarli. Niente di più lodevole. Ma ben presto quella
tal persona crede di avere l'umiltà dei santi perché li ammira e si
sente obbligata a professare il disprezzo di sé come loro facevano.
Provate
un po' ad interrompere quei gemiti, apparentemente cavati dalla
coscienza della propria miseria e dite: «Ma è dunque vero che sei
tanto vile e ripugnante e colpevole?». Eccola immediatamente
sorpresa e smontata, come per uno spillo che sgonfia un pallone.
Era
una umiltà tutta di facciata; non sgorgava dal profondo della
convinzione, come nei veri santi. Quella persona non era realmente
convinta della propria bassezza: sia almeno così umile da
riconoscerlo. Si convinca maggiormente delle mille imperfezioni che
riempiono la sua vita, dei difetti che, visibili agli occhi degli
altri, le restano ancora nascosti. Non permetta che la coscienza si
appanni e si falsi col fare l'abitudine a sentimenti convenzionali e
fittizi: sia sincera davanti a Dio che legge nei cuori.
Umiltà d'illusione
Se
il clima trasmette una impressione superficiale di umiltà, ci sono
dei temperamenti che se ne creano l'illusione e sono quelli dove
l'immaginazione prevale.
Un'anima
d'artista, di poeta, di musicista, può ingannare gli altri e
ingannare se stesso in fatto di durezza di cuore e di egoismo, mentre
percorre tutta la gamma della sensibilità esaltando con entusiasmo
ogni più pura dedizione. La sua fantasia coglie la situazione, vi si
inserisce e si identifica fino a viverla come propria. La parte che,
grazie all'immaginazione, l'artista gioca al naturale, gli sembra la
traduzione e l'espressione di se stesso: in lui coesistono due vite,
ma in realtà ne conosce una sola.
Ce
ne sono di persone di questo taglio in fatto di umiltà: l'ammirano,
la desiderano, la amano, ne celebrano la bellezza. Ma ritengono per
acquisita una virtù che invece ha solo impressionato
l'immaginazione. Camminano sognando l'umiltà e quando l'urto di
umiliazioni concrete e sensibili le fa uscire dal sogno, si ritrovano
preoccupate di se stesse e avvilite nel loro amor proprio. Due
personaggi coesistevano dentro di loro: uno di convenzione e di
immaginazione, con l'illusione dell'umiltà; e l'altro di carne ed
ossa che, nel suo intimo, non si era spogliato della superbia.
Se
la mia immaginazione è vivace, devo mettermi in guardia: è capace
di introdurre nell'umiltà, come in tutto, il suo potere di
illusione. In sogno realizza molto, ma a livello pratico non trova
ali; stanca, se non disingannata, si affloscia a terra.
L'immaginazione
può anche aiutare, ma richiede il più attento controllo.
Umiltà senza vita
All'influsso
dell'ambiente e a quello del temperamento si aggiunge una terza fonte
d'illusione: il persistere di un qualche effetto di virtù scomparse.
Si
trovano persone superbe che fanno atti di umiltà, confessano la loro
miseria e qualche loro torto, si mettono all'ultimo posto e si
accusano perfino dei mali pubblici. Come si spiega questo fenomeno?
Si
spiega col persistere di tracce di una virtù che si è dissolta. Si
può applicare all'umiltà l'osservazione che Francesco di Sales fa
nei riguardi della carità. Egli scrive: «Quel rimasuglio d'amore
che sopravvive alla carità nell'anima colpevole, non è la carità,
ma una piega e una inclinazione che il gran numero degli atti le ha
lasciato..., è una semplice eco che ripete la voce. Non è la parola
di un essere vivente, ma quella di una vuota caverna».
Sì,
quando il superbo vomita contro se stesso espressioni eccessivamente
aspre, il suo parlare è senza vita; sono formule, un tempo sincere,
che egli ha conservato; sono sentimenti, che una volta sgorgavano dal
cuore e che continuano per mera abitudine; sono ancora abbastanza
forti da provocare talvolta dei sussulti, ma l'umiltà reale è
assente; non c'è più l'anima e il vigore dell'umiltà.
Come evitare gli abbagli in fatto di umiltà
Si
è esposti a tanti e tali abbagli che viene da domandarsi dove stia
la verità. Se sento indifferenza per l'umiltà, non sono umile; se
per essa provo ammirazione, non per questo sono più garantito. Se
nella preghiera moltiplico gli atti di umiltà, se mi trattengo
quando l'amor proprio viene ferito, se sono felice di parlar male di
me e il pensiero dell'umiltà mi dà gioia... sarò poi umile
davvero?
Circa
gli atti di umiltà compiuti nella preghiera nulla da ridire, se non
che sono troppo facili per essere una sicura testimonianza in favore
della virtù.
Controllarsi
quando l'amor proprio è ferito non è una prova assoluta di umiltà,
spesso è solo prudenza. L'amor proprio stesso può consigliare una
condotta del genere: anche il solo desiderio di non passare per
superbo potrebbe risultare sufficiente spiegazione di simili sforzi.
Quanto
al piacere che si prova nel parlare male di sé e alla gioia
sensibile che desta il pensiero dell'umiltà, non è il caso di farne
un gran conto: tali gusti, realissimi nelle persone sante, nelle
anime ordinarie non sono spesso che un certo qual compiacimento di sé
o tutt'al più una ammirazione platonica della virtù.
Aspettiamo
l'occasione propizia: un disprezzo senza alcuna contropartita, una
preferenza per altri che ti butta in un canto, un insuccesso di cui
sei incolpato, una fiducia che ti viene tolta, un semplice rimprovero
ben meritato. Allora sì, se il gusto persiste, se accetta queste
umiliazioni senza ostentazione, se produce nell'animo una gioia
profonda e dà alla vita spirituale un aumento di ardore,
rassicuriamoci. Un gusto di tal genere non viene dalla natura: Dio
solo può ispirarlo.
Senza
dubbio è bene mettere ogni impegno per progredire il più
velocemente possibile nell'umiltà, come nelle altre virtù, ma senza
mai ricorrere a formule poco sincere, dettate dall'immaginazione o
dai sentimenti dei santi. Quante espressioni non producono che
l'illusione della virtù e forse la superbia. Se poi sono prive di
contenuto, non sono degne né di Dio né servono a fortificare
l'animo.
Ruolo della volontà e della sensibilità
Nel
corso di queste meditazioni ci può venire addosso una specie di
scoraggiamento constatando di non possedere i requisiti della vera
umiltà. Se però la si desidera francamente, se si è risoluti
nell'esercitarsi anche quando costa: ecco la virtù che si mette in
moto, l'umiltà di volontà, la sola attualmente possibile per molte
anime.
La
virtù risiede principalmente nella volontà e l'inclinazione che ne
costituisce l'essenza è una inclinazione di volontà, non di
sensibilità. Il gusto può fare la sua comparsa dopo un lungo
allenamento o può sgorgare da un infuocato amore: in ogni caso verrà
a ravvivare gli atti, renderà più attraente la virtù, ma non potrà
mai esserne l'elemento costitutivo e la virtù potrà vivere, agire e
svilupparsi senza.
Non
confondiamo la volontà con la sensibilità: la prima è la
determinazione, è la scelta interiore; la seconda è il gusto o il
disgusto, l'impressione felice che attira o quella penosa che
allontana. La sensibilità ama ciò che corrisponde ai suoi gusti; la
volontà ciò che corrisponde al suo dovere.
Può
dunque accadere di amare e di odiare allo stesso tempo la stessa
cosa. La sensibilità, ad esempio, può compiacersi in una
affermazione di amor proprio che la volontà respinge con forza.
La
volontà ha il diritto di tenere la sensibilità alle sue dipendenze,
perché a lei spetta di presiedere tutta la vita morale. Ora la
volontà quanto è più forte tanto più domina sulla sensibilità,
che a sua volta le presterà il sostegno dei suoi gusti e dei suoi
ardori.
Non
va dimenticato che la volontà non esercita sulla sensibilità un
potere immediato e assoluto. Non può costringere questa capricciosa
facoltà a provare questa o quella impressione, tuttavia conserva il
diritto di mettere avanti e di far valere i motivi che la guidano.
Alla riuscita della sua azione si frappongono spesso degli ulteriori
ostacoli, perché il gusto sensibile dipende pure dal temperamento,
dalle circostanze propizie, dalla novità, eccetera.
Anche
Dio interviene: a volte si accontenta di lasciare al loro libero
gioco queste forze contrastanti, altre volte prende lui l'iniziativa.
«Aumenterò la tua sensibilità», dice il Salvatore a s. Margherita
Maria Alacoque.
Se
poi la tentazione giunge anch'essa ad aggiungere turbamento, disgusto
e ribellione, allora la prova si fa completa. Eppure la virtù resta
intatta nelle altezze della volontà.
Coraggio,
Dio veglia! Dai miei pensieri di scoraggiamento, dalle ripugnanze e
dalle paure suscitate dalle severe meditazioni che ho iniziato,
uscirò più saldo, più amato da Dio, più umile.
Tratto
da “L'ULTIMO
DI TUTTI” di Leopold Beaudenom
Leopold Beaudenom, nacque a Tulle, in Francia, il 23 novembre 1840 (morì a Puteaux nel 1916), fu direttore spirituale molto ricercato.
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