(Cristo)
infatti è la nostra pace...
Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini.
(Ef 2, 14. 17)
Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini.
(Ef 2, 14. 17)
INTRODUZIONE
Primo
frutto della resurrezione è il dono della pace. E’ il saluto che
Gesù rivolge ai discepoli nel cenacolo: Pace a voi! (Gv 20,
19); non un invito rassicurante contro il timore dei discepoli, ma il
segno che inaugura quell’era messianica, tanto attesa dai profeti
dell’Antico Testamento. La pace di Cristo non è paragonabile
all’accordo stabilito tra gli uomini, non è la tregua tra nemici
che cessano di combattere; non è neppure la pace del mondo,
costruita sulle basi della diffidenza, dell’odio e
dell’incomprensione. La pace di Cristo è comunione con Dio, è
amore fraterno; è concordia, ordine, unità, desiderio di abitare
nella casa del Padre dove si realizzerà la vera pace. La pace di
Cristo si identifica e si riconosce nella persona di Cristo.
Lasciando ai suoi discepoli la sua pace, quale testamento spirituale,
Cristo si è impegnato nel non abbandonare coloro che ha redento a
prezzo del suo sangue: Ecco, io sono con voi tutti i giorni,
fino alla fine del mondo. (Mt 28, 20)
Dal "Commento al Vangelo di S. Giovanni" di sant’Agostino, vescovo (In Io. Ev. tr. 77, 3-5)
La pace promessa da Cristo
Vi
lascio la pace, vi do la mia pace (Gv 14, 27).
Questo è ciò che leggiamo nel profeta: Pace su pace. Ci
lascia la pace al momento di andarsene, ci darà la sua pace quando
ritornerà alla fine dei tempi. Ci lascia la pace in questo mondo, ci
darà la sua pace nel secolo futuro. Ci lascia la sua pace affinché
noi, permanendo in essa, possiamo vincere il nemico; ci darà la sua
pace, quando regneremo senza timore di nemici. Ci lascia la pace,
affinché anche qui possiamo amarci scambievolmente; ci darà la sua
pace lassù, dove non potrà esserci più alcun contrasto. Ci lascia
la pace, affinché non ci giudichiamo a vicenda delle nostre colpe
occulte, finché siamo in questo mondo; ci darà la sua pace quando
svelerà i segreti dei cuori, e allora ognuno avrà da Dio la lode
che merita (cf. 1 Cor 4, 5). In lui è la nostra
pace, e da lui viene la nostra pace, sia quella che ci lascia andando
al Padre, sia quella che ci darà quando ci condurrà al Padre. Ma
cos'è che ci lascia partendo da noi, se non se stesso, che mai si
allontanerà da noi? Egli stesso, infatti, è la nostra pace, egli
che ha unificato i due popoli in uno (cf. Ef 2, 14).
Egli è la nostra pace, sia adesso che crediamo che egli è, sia
allorché lo vedremo come egli è (cf. 1 Io 3, 2).
Se infatti egli non ci abbandona esuli da sé, mentre dimoriamo in
questo corpo corruttibile che appesantisce l'anima e camminiamo nella
fede e non per visione (cf. 2 Cor 5, 6-7), quanto
maggiormente ci riempirà di sé quando finalmente saremo giunti a
vederlo faccia a faccia?
Esiste
dunque per noi una certa pace, quando, secondo l'uomo interiore ci
compiacciamo nella legge di Dio; ma questa pace non è completa, in
quanto vediamo nelle nostre membra un'altra legge che è in conflitto
con la legge della nostra ragione (cf. Rm 7, 22-23).
Esiste pure per noi una pace tra noi, in quanto crediamo di amarci a
vicenda; ma neppure questa è pace piena, perché reciprocamente non
possiamo vedere i pensieri del nostro cuore, e, per cose che
riguardano noi, ma che non sono in noi, ci facciamo delle idee, gli
uni degli altri, in meglio o in peggio. Questa è la nostra pace,
anche se ci è lasciata da lui; e non avremmo neppure questa, se non
ce l'avesse lasciata lui. La sua pace, però, è diversa. Ma se noi
conserveremo sino alla fine la nostra pace quale l'abbiamo ricevuta,
avremo quella pace che egli ha, lassù dove da noi non potranno più
sorgere contrasti, e nulla, nei nostri cuori, rimarrà occulto gli
uni agli altri.
E
noi, o carissimi, ai quali Cristo ha lasciato la pace e dà la sua
pace, non come la dà il mondo, ma come la dà lui per mezzo del
quale il mondo è stato fatto, se vogliamo essere concordi, uniamo
insieme i cuori e, formando un cuor solo, eleviamolo in alto affinché
non si corrompa sulla terra.
In breve...
Rientrate nel vostro cuore, o prevaricatori (Is 46, 8), e unitevi a Colui che vi ha creati. Restate con Lui e resterete saldi; riposate in Lui e avrete riposo. Dove andate, alle tribolazioni? Dove andate? Il bene che amate deriva da Lui. (Confess. 4, 12, 18)
LUNEDÌ
|
Siate
benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi,
perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.
(Ef 4, 32)
perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.
(Ef 4, 32)
INTRODUZIONE
Il
cristiano ha il compito di promuovere la pace nel mondo; egli è
l’operatore della pace, soprattutto nei confronti di coloro che gli
si oppongono come nemici o avversari. Questa vocazione proviene
dall’alto: Dio, rivelando attraverso Gesù il suo volto paterno, ha
esteso a tutti gli uomini il vincolo di fratellanza universale. Chi
si unisce in una sola voce ad invocare il Padre come Padre
nostro, non può allora causare la separazione nell’unica
famiglia cristiana. Ne consegue che la promozione della pace, da
intendersi come sinonimo di unità tra i cristiani separati, debba
costituire una preoccupazione costante, da ricercare sempre non con
l’imposizione violenta ed offensiva sul fratello, quanto con la
dolcezza e il fervore della carità, affidandosi alla preghiera
laddove le forze umane si rivelano impotenti. Grande lezione di
umanità da parte di Agostino: se chi ti accusa persiste
nell’ingiuria, "non respingere l’ingiuria con l’ingiuria,
ma prega per chi la fa". Non parlare a lui di Dio, "invece
parla a Dio di lui".
Dai
"Discorsi" di sant’Agostino, vescovo (Serm. 357,
4-5)
Custodire la pace tra i fratelli
Sei
amico della pace? Allora sta' interiormente tranquillo con la tua
amata. "Cosí - dirai - non c'è da far nulla?". Certo che
hai qualcosa da fare: elimina i litigi. Volgiti alla preghiera. Non
respingere dunque l'ingiuria con l'ingiuria ma prega per chi la fa.
Vorresti ribattere, parlare a lui, contro di lui. Invece parla a Dio
di lui. Vedi che non è esattamente il silenzio che t'impongo. Si
tratta di scegliere un interlocutore diverso; quello al quale tu puoi
parlare tacendo: a labbra chiuse ma col grido nel cuore. Dove il tuo
avversario non ti vede, lí sarai efficace per lui. A chi non ama la
pace e vuol litigare rispondi cosí con tutta pace: "Di' quello
che vuoi, odia quanto vuoi, detesta quanto ti piace, sempre mio
fratello sei. Perché ti adoperi per non essere mio fratello? Buono,
cattivo, volente, nolente, sempre mio fratello sei". Egli
potrebbe replicare: "Come posso esserti fratello? Io ti sono
avversario, nemico" . Ma tu: "Anche se parli in questo
modo, anche cosí sei mio fratello". Sembra assurdo: mi odia, mi
detesta e tuttavia mi è fratello? Si vorrebbe che io accettassi il
modo di vedere di uno che non sa quel che si dica? Io gli desidero la
guarigione: che veda la luce, che mi riconosca fratello. Vuoi che io
accetti quello che lui dice: che io non sarei suo fratello per il
fatto che egli mi detesta e mi odia? Debbo credere a lui e non alla
stessa luce? Sentiamo che cosa dice la stessa Luce. Leggi il
Profeta: Ascoltate, voi che temete, la parola del Signore.
E’ lo Spirito Santo che parla per bocca del profeta
Isaia: Ascoltate la parola del Signore, voi che temete. Dite:
Siete nostri fratelli, anche a coloro che vi odiano e vi detestano.
Il fatto è che la luce risplende, fa vedere la fraternità. Il
malato d'occhi dice: "Chiudi la finestra". E invece tu apri
gli occhi alla luce. Tu che secondo lui sei ancora in mezzo alle
tenebre riconosci il tuo fratello in piena luce e di' senza timore
non le mie, ma le parole di Dio. E’ Dio che parla: Dite:
Siete nostri fratelli. Di chi? Anche di quelli che vi
odiano. Non ci sarebbe infatti nulla di straordinario se
chiamaste fratelli quelli che vi amano. Invece si tratta proprio di
quelli che vi odiano e vi detestano. Ma come può essere? Sta' a
sentire e riconosci il buon frutto di una situazione condotta in tal
modo. Fa' come se interrogassi il Signore Dio tuo e dicessi:
"Signore, come posso dire: Sei mio fratello, a chi odia, a chi
detesta? Dimmi tu quale sarebbe la ragione". Eccola: Perché
il nome del Signore sia glorificato. Appaia nella gioia ed essi siano
confusi (Is 66, 5). Cerca di vedere, te ne
scongiuro, qual è il frutto della pazienza, il risultato della
mitezza. Dite: Siete nostri fratelli. Perché? Perché
il nome del Signore sia glorificato. Perché non ti si riconosce
fratello? Perché ci si restringe al nome dell'uomo, a glorificare
l'uomo [invece di glorificare Dio]. Ripeti dunque: "Fratello
mio, puoi odiarmi, puoi detestarmi finché vuoi, sei sempre mio
fratello. Riconosci in te il segno di mio Padre, che è la parola del
nostro Padre. Per quanto fratello cattivo, per quanto fratello
litigioso, mio fratello sempre sei, perché anche tu dici, come dico
io: Padre nostro che sei nei cieli (Mt 6. 9). Il
nostro linguaggio è uguale. Perché non ci manteniamo uniti in lui?
Ti prego, fratello, riconosci il senso di quello che dici insieme a
me e condanna quello che fai contro di me. Considera le parole che
escono dalle tue stesse labbra e, piú che me, ascolta te stesso.
Pensa chi è Colui a cui diciamo: Padre nostro che sei nei
cieli. Non è un amico, non è un vicino. E` uno, quello a cui ci
rivolgiamo, che ci fa obbligo di andare d'accordo, e dato che siamo
uniti con una stessa voce davanti al Padre, perché non dobbiamo
essere uniti in una stessa pace?".
Queste
cose ditele con fervore, ma con dolcezza. Sia appassionata la vostra
parola, ma per il fervore della carità, non per l'esaltazione della
discordia.
In breve...
Come si può essere veramente in pace se non con chi sinceramente si ama? (In Io. Ev. tr. 87, 1)
MARTEDÌ
|
"Là
il Signore dona la benedizione e la vita per sempre".
(Sal 133, 3)
(Sal 133, 3)
INTRODUZIONE
Sollecitato
dalle richieste del diacono Deogratias, Agostino compone
un breve ed utile manuale a disposizione di quanti hanno il compito
di iniziare alla fede i candidati al battesimo. Costoro sono appunto
i rudes, cioè coloro i quali devono essere introdotti ai
misteri cristiani attraverso la conoscenza della Parola di Dio, che
accolgono nella catechesi quale sostentamento indispensabile alla
loro crescita spirituale. Ed è la Scrittura a fungere da faro nella
vita cristiana, orientando l’uomo a saper preferire alla gloria
terrena la beatitudine del cielo e la pace senza fine. Le ricchezze,
gli onori, i successi non portano con sé una stabile felicità;
sebbene assicurino momenti di gioia, tali momenti sono effimeri e
passeggeri. Tutto cade sotto la scura della morte. Tutto passa, ma
la parola del nostro Dio dura sempre. (Is 40, 8)
Da
"prima catechesi per i non cristiani" di Sant’Agostino
vescovo (De cath. rud. 16, 24)
La vera pace è riposta nella Parola del Signore
Rendiamo
grazie a Dio, fratello. Mi rallegro grandemente con te e gioisco per
te, perché in mezzo alle tempeste così grandi e pericolose di
questo mondo, hai rivolto la mente a quella che è una sicurezza vera
e certa. Infatti anche in questa vita gli uomini ricercano la pace e
la sicurezza con grandi tribolazioni, ma, a causa delle passioni
perverse, non le trovano. Essi vogliono infatti trovare pace in beni
instabili e non duraturi; ma tali beni con il passare del tempo
vengono sottratti e passano, quindi li tormentano con timori e
angosce e non permettono loro di vivere in pace. Perché se l’uomo
vuole trovare pace nelle ricchezze, diventa più arrogante che libero
da affanni. Non vediamo forse quanti le abbiano perdute
all’improvviso e quanti si siano essi stessi perduti per causa loro
e per l’avidità di possederle e per la violenza di chi più avido
gliele sottrae? E se anche le ricchezze rimanessero in possesso di un
uomo per tutta la sua vita e non abbandonassero colui che le ama,
sarebbe proprio lui a doverle abbandonare al momento della sua morte.
Quanto a lungo può durare la vita di un uomo, quand’anche
raggiunga la vecchiaia? (cf. Sal 89,
10) E quando gli uomini desiderano la vecchiaia, cos’altro
desiderano se non un periodo di lunga debolezza? Così pure gli onori
di questo mondo, cos’altro sono se non orgoglio, vanità, rischio
di perdizione? Perché così dice la Sacra Scrittura: Ogni
carne è erba e la gloria dell’uomo come il fiore dell’erba.
Secca l’erba, appassisce il fiore: ma la Parola del Signore rimane
in eterno (Is 40,
6, 8; 1 Pt 1,
24-25). Per questo motivo chi desidera la vera pace e la vera
felicita deve levare la sua speranza da beni perituri e transeunti e
riporla nella Parola del Signore, cosicché aderendo alla Parola che
rimane in eterno, possa anch’egli con essa rimanere in eterno.
In breve...
Ogni anima segue la sorte di ciò che ama. Ogni carne è come erba e tutta la gloria della carne come fiore di campo: l’erba secca, il fiore cade; il Verbo di Dio, invece, rimane in eterno. Ecco chi devi amare, se vuoi rimanere in eterno. (In Io. Ev. tr. 7, 1)
MERCOLEDÌ
|
Questa
è la vita eterna:
che conoscano te, l’unico vero Dio,
e colui che hai mandato, Gesù Cristo.
(Gv 17, 3)
che conoscano te, l’unico vero Dio,
e colui che hai mandato, Gesù Cristo.
(Gv 17, 3)
INTRODUZIONE
Le Confessioni (1,
1, 1) si aprono con una celebre definizione dell’uomo, la creatura
che in quanto immersa nel tempo storico, caratterizzato dal divenire
e dalla finitudine, fa esperienza nel suo cuore di uno stato di
inquietudine profonda. L’inquietum cor avverte la
precarietà della vita che passa, l’impossibilità di guadagnare
sulla terra la vita beata, ma non per questo si arrende:
sa infatti che il suo cammino troverà un approdo finale, un riposo e
una quiete che in modo pieno solo in Dio sono possibili. L’uomo è
pertanto proteso verso Dio; è ciò avviene perché così Dio ha
stabilito, introducendo la nozione di eternità nel cuore delle sue
creature (cf. Qo 3, 11), che ha volute a sua
immagine e somiglianza. (cf. Gn 1, 26) La
conclusione delle Confessioni (13, 33, 50) è
affidata ad un’intensa preghiera: è l’aspirazione più intima di
Agostino, raggiungere quella quiete e quel riposo senza fine, che
elimina e vanifica il senso del limite e della morte, cause prime
dell’inquietudine umana. Solo allora il canto di lode a Dio si
diffonderà ininterrotto, senza il timore di stancarsi ed annoiarsi
per la sua eterna ripetizione. Non sarà allora la voce a cantare, ma
il sentimento di amore di un animo rappacificato in Dio.
Dai
"Discorsi" di sant’Agostino, vescovo (Serm. 362,
25, 27; 27, 28 – 28, 29)
Il cantico dei redenti
Aderite
al Cristo, mantenete la fede, fratelli, proseguite sulla via, e il
cammino stesso vi condurrà a vedere quello che ora non potete
vedere. La speranza attende che si manifesti nelle membra quello che
già si è manifestato in colui che è il capo: in lui che è il
fondamento è già compiuto quello che da noi deve essere costruito
man mano nella fede in attesa che si compia nella visione. Dovete
evitare di credere di vedere scambiando per vera qualche falsa
immagine, per non deviare sulla via dell'errore e non raggiungere la
patria a cui porta il vostro cammino, cioè quella visione alla quale
conduce la fede.
Sarà
un perpetuo sabato: dobbiamo immaginare divenuto eterno il sabato che
i Giudei celebrano nel tempo. Sarà una quiete ineffabile di cui non
si può precisare in positivo che cosa sarà, ma dire in negativo che
cosa non sarà. A quella pace tendiamo, in vista di quella rinasciamo
spiritualmente: come infatti nasciamo ai travagli della carne, cosí
rinasciamo alla pace dello spirito, seguendo la voce di colui che
grida: Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi,
e io vi ristorerò (Mt 11, 28). Qui ora egli ci
alimenta, là poi ci dà la pienezza; qui promette, là mantiene la
promessa; qui si manifesta con segni, là si manifesta al vivo.
Nessuna delle nostre attività terrene permarrà quando vivremo in
quella beatitudine, pienamente salvi, in pienezza di spirito e corpo.
E non perdureranno neppure le opere buone che si apprezzano nei
cristiani: qui si loda un cristiano che dia il pane a chi ha fame,
dia da bere a chi ha sete, vesta chi è nudo, accolga lo straniero,
porti pace tra i litiganti, visiti il malato, dia sepoltura al
defunto, consoli chi piange. Sono le grandi opere che manifestano la
misericordia, piene di lode e di grazia, ma anch'esse spariranno
perché nate dalle necessità della nostra miseria; non vi sarà piú
nessuno da sfamare dove nessuno patisce la fame, nessuno da dissetare
dove nessuno soffre la sete, nessuno da vestire dove tutti sono
rivestiti della veste immortale.
Che
cosa faremo là io sono in grado di dirlo in parte, anche se non
posso ancora dire nulla di preciso perché sinora non posso vedere:
dico umilmente qualcosa perché l'attingo dalla Scrittura. Tutta la
nostra attività consisterà nell'Amen e nell'Alleluia. Che dite,
fratelli? Vedo che vi rallegra l'udire questo, ma vi prego anche di
non rattristarvi ancora ragionando secondo la mentalità carnale che
porta a pensare che, se uno stesse fermo a ripetere tutto il
giorno Amen e Alleluia,
proverebbe una gran noia e dormicchierebbe sulle sue stesse
acclamazioni, con il solo desiderio di tacere. Ci si potrebbe
addirittura immaginare una vita sgradevole, tutt'altro che
desiderabile, e chiedersi chi mai saprebbe resistere a dire
sempre Amen e Alleluia.
Cercherò di spiegarmi come potrò. Noi non
diremo Amen e Alleluia con
i loro suoni fuggevoli, ma con il moto interiore
dell'amore. Amen infatti
significa: E’
vero,
e Alleluia significa: Lodate
Dio.
Dio è verità incommensurabile nella quale sono impensabili carenza
o progresso, diminuzione o aumento, o cedimento a falsità, perché
resta perpetuamente stabile e sempre incorruttibile. Tutte le cose
che, come creature, facciamo in questa vita sono figura delle realtà,
espresse con la mediazione del corpo, e in esse ci muoviamo retti
dalla fede. Quando vedremo faccia a faccia quello che ora vediamo
in uno specchio in maniera confusa,
allora proclameremo: E’
vero,
in un modo cosí diverso che non si può neppure dire, ed
esclameremo Amen saziandocene
in modo insaziabile. Si potrà parlare di sazietà perché non si
avvertirà alcuna mancanza, ma poiché tale pienezza non cesserà mai
di dare diletto, si può in certo modo dire insaziabile la sazietà
stessa. E come vi sazierete insaziabilmente della verità, cosí con
insaziabile verità proclamerete il vostro Amen. Nessuno può dire
come saranno quelle
cose che occhio non vide né orecchio udí né entrarono in cuore
d'uomo (1
Cor 2,
9) Ma poiché senza alcuna noia, anzi con diletto perpetuo vedremo il
vero e lo contempleremo nella piú certa evidenza, noi stessi accesi
dell'amore della verità e a lei uniti in dolce e casto abbraccio,
fuori dalla mediazione del corpo, con tale acclamazione loderemo Dio
e diremo: Alleluia.
Esultando in tale lode con l'ardente carità che li unisce tra loro e
a Dio, tutti i cittadini di quella città diranno: Alleluia,
perché diranno: Amen.
In breve...
Tutta la tua speranza sia Dio: sèntiti bisognoso di Lui per essere da Lui ricolmato. (En. in ps. 85, 3)
GIOVEDÌ
|
"Grandi
cose ha fatto il Signore per noi, / ci ha colmati di
gioia".
(Sal 126, 3)
(Sal 126, 3)
INTRODUZIONE
Chi
altri potrebbe trattare della felicità, come esigenza connaturale ed
ineliminabile per l’uomo, con la stessa precisione di Agostino?
Egli che ha scandagliato l’animo umano al fine di evidenziarne i
moti interiori che stimolano alla ricerca della felicità; egli che
pur di conquistarla ha speso tutto se stesso in qualsiasi forma di
godimento, di passione o di indagine intellettuale? Ogni tentativo si
è rivelato fallimentare sino a quando Agostino non ha spostato il
centro della felicità dalla propria persona a Dio. La vera felicità
si identifica con la gioia che si indirizza verso Dio (ad Deum),
Verità immutabile che dà fondamento e stabilità all’uomo; con la
gioia che proviene da Dio (de Deo), come dono dall’alto e
che l’uomo riconosce nell’espressione dell’amore a Dio e ai
fratelli; con la gioia per Dio (propter Deum), che Dio stesso
suscita come causa prima nell’uomo. E’ questa
l’unica, autentica e vera felicità; altre forme non sono ammesse!
Dalle
"Confessioni" di Sant’Agostino vescovo 10, 22,
32 – 23, 34
La vera felicità risiede nella gioia in Dio
Lontano,
Signore, lontano dal cuore del tuo servo che si confessa a te,
lontano il pensiero che qualsiasi godimento possa rendermi felice.
C’è un godimento che non è concesso agli empi, ma a coloro che ti
servono per puro amore, e il loro godimento sei tu stesso. E questa è
la felicità, godere per te, di te, a causa di te; fuori di questa
non ve n’è altra. Chi crede ve ne sia un’altra, persegue un
altro godimento, non il vero.
Chiedo
a tutti: "Preferite godere della verità o della menzogna?".
Rispondono di preferire la verità, con la stessa risolutezza con cui
affermano di voler essere felici. Già, la felicità della vita è il
godimento della verità, cioè il godimento di te, che sei la verità
(cf. Gv 14,
6), o Dio, mia luce, salvezza del mio volto, Dio mio (Sal 41,
6 s., 12). Questa felicità della vita vogliono tutti, questa vita
che è l’unica felicità vogliono tutti, il godimento della verità
vogliono tutti. Ho conosciuto molte persone desiderose di ingannare;
nessuna di essere ingannata. Dove avevano avuto nozione della
felicità, se non dove l’avevano anche avuta della verità? Amano
la verità, poiché non vogliono essere ingannate; e amando la
felicità, che non è se non il godimento della verità, amano
certamente ancora la verità, né l’amerebbero senza averne una
certa nozione nella memoria. Perché dunque non ne traggono
godimento? Perché non sono felici? Perché sono più intensamente
occupati in altre cose, che li rendono più infelici di quanto non li
renda felici questa, di cui hanno un così tenue ricordo. C’è
ancora un po’ di luce fra gli uomini. Camminino, camminino dunque,
per non essere sorpresi dalle tenebre (Gv 12,
35). Ma perché la verità genera odio, e l’uomo che predica il
vero in tuo nome diventa per loro un nemico (cf. Gv 8,
40), mentre amano pure la felicità, che non è se non il godimento
della verità? In realtà l’amore della verità è tale, che quanti
amano un oggetto diverso pretendono che l’oggetto del loro amore
sia la verità; e poiché detestano di essere ingannati, detestano di
essere convinti che s’ingannano. Perciò odiano la verità: per
amore di ciò che credono verità. L’amano quando splende, l’odiano
quando riprende (cf. Gv 5,
35). Non vogliono essere ingannati e vogliono ingannare, quindi
l’amano allorché si rivela, e l’odiano allorché li rivela.
Questo il castigo con cui li ripagherà: come non vogliono essere
scoperti da lei, lei contro il loro volere scoprirà loro, rimanendo
a loro coperta. Così, così, persino così cieco e debole, volgare e
deforme è l’animo umano: vuole rimanere occulto, ma a sé non
vuole che rimanga occulto nulla. E viene ripagato con la condizione
opposta: non rimane lui occulto alla verità, ma la verità rimane
occulta a lui. Eppure anche in questa condizione infelice preferisce
il godimento della verità a quello della menzogna. Dunque sarà
felice allorché senza ostacoli né turbamento godrà dell’unica
Verità, grazie alla quale sono vere tutte le cose.
In breve...
So questo soltanto: che tranne Te, per me tutto è male, non solo fuori di me, ma anche in me stesso; e che ogni mia ricchezza, se non è il mio Dio, è povertà. (Conf. XIII, 8. 9)
VENERDÌ
|
Felicità
e grazia mi saranno compagne / tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore / per lunghissimi anni.
(Sal 23, 6)
e abiterò nella casa del Signore / per lunghissimi anni.
(Sal 23, 6)
INTRODUZIONE
Agostino
è il cantore dell’amore, quale forza dinamica che orienta il
desiderio dell’uomo e del suo cuore inquieto a Dio. Ad
Deum l’uomo
è stato creato, proteso verso Dio; capax
Dei,
capace di accogliere in sé Dio stesso. Aderendo a Dio l’uomo
ritrova quella vitalità che gli è preclusa nel momento in cui da
Dio si allontana: "Non sia io per me la mia vita: male ho
vissuto vivendo di me; fui morte a me stesso: rivivo in Te"
(Confess.
12, 10, 10). Ed ecco allora lo stimolo dell’amore che agisce nel
cuore dell’uomo, quell’amore che per primo Dio ha donato alle
creature, chiamandole all’esistenza e riscattandole dal peccato.
L’amore diviene pondus nel
linguaggio agostiniano, peso, attrazione, tensione verso,
inquietudine. L’immagine è tratta dal mondo naturale: tutti i
corpi si muovono alla ricerca del loro luogo specifico; una volta
spostati dal loro punto di appoggio sono portati dal proprio peso a
guadagnare la condizione di riposo. Passando all’uomo Agostino
stabilisce un’uguaglianza tra il pondus e
l’amor:
"Il mio peso è il mio amore; esso mi porta dovunque mi porto"
e tale spinta procede verso l’alto, in Dio, dove "nulla
desidereremo se non di rimanervi in eterno" (Confess.
13, 9, 10). Chi possiede l’amore possiede tutto, perché l’amore
apre a Dio; di fronte a questa ricchezza non si può temere di
perdere le ricchezze terrene. Certo le lusinghe del mondo
eserciteranno un’attrazione quasi irresistibile sull’uomo; ma
colui che confida nel Signore non può venir meno, perché non viene
meno la Roccia sulla quale ha fondato la sua speranza.
Dai
"Discorsi" di sant’Agostino, vescovo (Serm. 65/A,
1-4)
Il peso dell’amore
Veda
dunque ciascuno quanto felice sia il cuore che dice nel suo interno
ove conosce quanto dice: Una sola cosa ho chiesto al Signore,
solo questa ricercherò. Ma che cos'è proprio questa cosa? Parla
infatti o d'una cosa o d'una petizione? Qual è questa cosa? Di
abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia
vita per gustare la dolcezza di Dio (Sal 26,4).
Ecco l'unica cosa, ma quanto buona! Pesa quest'unica cosa in
confronto con altre cose. Se dunque hai un po' di buon senso, se
dunque la ricerchi un poco, se sai infiammarti di santo desiderio per
essa, pesa quest'unica cosa a paragone di molte altre, sorreggi la
bilancia della giustizia, poni su un piatto oro, argento, pietre
preziose, onori, dignità, poteri, nobiltà, lodi umane - quando
arriverò ad enumerare ogni cosa? - poni su di essa tutto il mondo;
vedi se v'è alcuna proporzione, vedi se puoi porvi sopra queste
stesse due cose, tutto il mondo con il Creatore del mondo, almeno per
valutarle.
Che
cosa mi dice l'oro? "Amami". Ma che mi dice Dio? "Mi
servirò di te in modo che tu non mi trattenga e separi me da te".
Qualunque altra cosa che mi dicesse: "Amami", è una
creatura. Io amo il Creatore. Buono è ciò che ha fatto, ma quanto
migliore è Colui che lo ha fatto! Non vedo ancora la bellezza del
Creatore, ma la più smorta immagine delle creature. Ciò che non
vedo lo credo, credendo lo amo ed amando lo vedo. La smettano dunque
di adescarmi le cose destinate a morire, tacciano l'oro e l'argento,
non mi attragga lo splendore delle gemme, tacciano infine le
seduzioni di questa luce terrena; non mi lusinghino tutte le cose. Ho
una voce più chiara che voglio seguire, capace di commuovermi di
più, di eccitarmi di più, d'infiammarmi d'un ardore più intimo.
Non ascolto lo strepito delle cose terrene. Che dire? taccia l'oro,
taccia l'argento, tacciano tutte le altre cose di questo mondo.
In breve...
Gli uomini amano diverse cose; e quando uno sembra possedere ciò che ama, si dice felice. Tuttavia è veramente felice non se ha ciò che ama, ma se ama ciò che deve essere amato. (En. in ps. 26, 7)
SABATO
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Esultate
di gioia indicibile e gloriosa,
mentre conseguite la meta della vostra fede,
cioé la salvezza delle anime.
(1 Pt 1, 8-9)
mentre conseguite la meta della vostra fede,
cioé la salvezza delle anime.
(1 Pt 1, 8-9)
INTRODUZIONE
La vita
beata per Agostino riserverà ai santi il possesso della
Verità, di Dio stesso. E’ la speranza alla quale gli uomini sono
chiamati già a partire dal pellegrinaggio terreno. Seguendo Cristo,
l’unico Mediatore tra Dio e gli uomini, si percorre la via che
conduce alla patria celeste. Il monito che il vescovo rivolge ai suoi
fedeli è quello di aggrapparsi a Cristo, conservando pura la fede,
senza deviare dal suo insegnamento: tenete Christum, tenete
fidem, tenete viam. (Serm. 362, 25. 27) Un ritornello
incisivo e sempre attuale, regolato dal ripetersi di uno stesso
verbo tenere, ad indicare la scelta di chi ha posto un
punto fisso nella vita ed esso rivolge costantemente lo sguardo per
regolarne la condotta. E quel punto per Agostino e per ogni cristiano
è Cristo.
Dal
"Commento al Vangelo di S. Giovanni" di sant’Agostino,
vescovo (In Io. Ev. tr. 10, 13)
Cristo è la nostra gioia!
Benediciamo
il Signore Dio nostro, che qui ci ha riuniti a letizia spirituale.
Conserviamoci sempre nell'umiltà del cuore. e riponiamo nel Signore
la nostra gioia. Non lasciamoci gonfiare per alcun successo
temporale, e persuadiamoci che la nostra felicità avrà inizio solo
quando le cose di quaggiù saranno passate. Tutta la nostra gioia
adesso, o miei fratelli, sia nella speranza. Nessuna gioia di quaggiù
ci trattenga nel nostro cammino. Tutta la nostra gioia sia nella
speranza futura, tutto il nostro desiderio sia rivolto alla vita
eterna. Ogni sospiro aneli al Cristo: lui solo sia desiderato, il più
bello fra tutti, che amò noi, deformi, per farci belli. Solo dietro
a lui corriamo, per lui sospiriamo, e i
suoi servi che amano la pace non cessino di esclamare: Sia
glorificato il Signore! (Sal 34,
27)
In breve...
Ma fra tutte le cose che passo in rassegna consultando Te, non trovo un luogo sicuro per la mia anima, se non in Te. Soltanto lì si raccolgono tutte le mie dissipazioni e nulla di mio si stacca da Te. Talvolta mi introduci in un sentimento interiore del tutto sconosciuto e indefinibilmente dolce, che, qualora raggiunga dentro di me la sua pienezza, sarà non so cosa, che non sarà questa vita. (Confess. 10, 40, 65)
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