mercoledì 22 maggio 2019

VI Settimana di Pasqua con Sant’Agostino - CRISTO È LA NOSTRA PACE E LA NOSTRA GIOIA



(Cristo) infatti è la nostra pace...
Egli è venuto perciò ad 
annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini.
(
Ef 2, 14. 17)


INTRODUZIONE
Primo frutto della resurrezione è il dono della pace. E’ il saluto che Gesù rivolge ai discepoli nel cenacolo: Pace a voi! (Gv 20, 19); non un invito rassicurante contro il timore dei discepoli, ma il segno che inaugura quell’era messianica, tanto attesa dai profeti dell’Antico Testamento. La pace di Cristo non è paragonabile all’accordo stabilito tra gli uomini, non è la tregua tra nemici che cessano di combattere; non è neppure la pace del mondo, costruita sulle basi della diffidenza, dell’odio e dell’incomprensione. La pace di Cristo è comunione con Dio, è amore fraterno; è concordia, ordine, unità, desiderio di abitare nella casa del Padre dove si realizzerà la vera pace. La pace di Cristo si identifica e si riconosce nella persona di Cristo. Lasciando ai suoi discepoli la sua pace, quale testamento spirituale, Cristo si è impegnato nel non abbandonare coloro che ha redento a prezzo del suo sangue: Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. (Mt 28, 20)

Dal "Commento al Vangelo di S. Giovanni" di sant’Agostino, vescovo (In Io. Ev. tr. 77, 3-5)


La pace promessa da Cristo



Vi lascio la pace, vi do la mia pace (Gv 14, 27). Questo è ciò che leggiamo nel profeta: Pace su pace. Ci lascia la pace al momento di andarsene, ci darà la sua pace quando ritornerà alla fine dei tempi. Ci lascia la pace in questo mondo, ci darà la sua pace nel secolo futuro. Ci lascia la sua pace affinché noi, permanendo in essa, possiamo vincere il nemico; ci darà la sua pace, quando regneremo senza timore di nemici. Ci lascia la pace, affinché anche qui possiamo amarci scambievolmente; ci darà la sua pace lassù, dove non potrà esserci più alcun contrasto. Ci lascia la pace, affinché non ci giudichiamo a vicenda delle nostre colpe occulte, finché siamo in questo mondo; ci darà la sua pace quando svelerà i segreti dei cuori, e allora ognuno avrà da Dio la lode che merita (cf. 1 Cor 4, 5). In lui è la nostra pace, e da lui viene la nostra pace, sia quella che ci lascia andando al Padre, sia quella che ci darà quando ci condurrà al Padre. Ma cos'è che ci lascia partendo da noi, se non se stesso, che mai si allontanerà da noi? Egli stesso, infatti, è la nostra pace, egli che ha unificato i due popoli in uno (cf. Ef 2, 14). Egli è la nostra pace, sia adesso che crediamo che egli è, sia allorché lo vedremo come egli è (cf. 1 Io 3, 2). Se infatti egli non ci abbandona esuli da sé, mentre dimoriamo in questo corpo corruttibile che appesantisce l'anima e camminiamo nella fede e non per visione (cf. 2 Cor 5, 6-7), quanto maggiormente ci riempirà di sé quando finalmente saremo giunti a vederlo faccia a faccia?
Esiste dunque per noi una certa pace, quando, secondo l'uomo interiore ci compiacciamo nella legge di Dio; ma questa pace non è completa, in quanto vediamo nelle nostre membra un'altra legge che è in conflitto con la legge della nostra ragione (cf. Rm 7, 22-23). Esiste pure per noi una pace tra noi, in quanto crediamo di amarci a vicenda; ma neppure questa è pace piena, perché reciprocamente non possiamo vedere i pensieri del nostro cuore, e, per cose che riguardano noi, ma che non sono in noi, ci facciamo delle idee, gli uni degli altri, in meglio o in peggio. Questa è la nostra pace, anche se ci è lasciata da lui; e non avremmo neppure questa, se non ce l'avesse lasciata lui. La sua pace, però, è diversa. Ma se noi conserveremo sino alla fine la nostra pace quale l'abbiamo ricevuta, avremo quella pace che egli ha, lassù dove da noi non potranno più sorgere contrasti, e nulla, nei nostri cuori, rimarrà occulto gli uni agli altri.
E noi, o carissimi, ai quali Cristo ha lasciato la pace e dà la sua pace, non come la dà il mondo, ma come la dà lui per mezzo del quale il mondo è stato fatto, se vogliamo essere concordi, uniamo insieme i cuori e, formando un cuor solo, eleviamolo in alto affinché non si corrompa sulla terra.
In breve...
Rientrate nel vostro cuore, o prevaricatori (Is 46, 8), e unitevi a Colui che vi ha creati. Restate con Lui e resterete saldi; riposate in Lui e avrete riposo. Dove andate, alle tribolazioni? Dove andate? Il bene che amate deriva da Lui. (Confess. 4, 12, 18)


LUNEDÌ


Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi,
perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo
.
(Ef 4, 32)
INTRODUZIONE
Il cristiano ha il compito di promuovere la pace nel mondo; egli è l’operatore della pace, soprattutto nei confronti di coloro che gli si oppongono come nemici o avversari. Questa vocazione proviene dall’alto: Dio, rivelando attraverso Gesù il suo volto paterno, ha esteso a tutti gli uomini il vincolo di fratellanza universale. Chi si unisce in una sola voce ad invocare il Padre come Padre nostro, non può allora causare la separazione nell’unica famiglia cristiana. Ne consegue che la promozione della pace, da intendersi come sinonimo di unità tra i cristiani separati, debba costituire una preoccupazione costante, da ricercare sempre non con l’imposizione violenta ed offensiva sul fratello, quanto con la dolcezza e il fervore della carità, affidandosi alla preghiera laddove le forze umane si rivelano impotenti. Grande lezione di umanità da parte di Agostino: se chi ti accusa persiste nell’ingiuria, "non respingere l’ingiuria con l’ingiuria, ma prega per chi la fa". Non parlare a lui di Dio, "invece parla a Dio di lui".
Dai "Discorsi" di sant’Agostino, vescovo (Serm. 357, 4-5)


Custodire la pace tra i fratelli



Sei amico della pace? Allora sta' interiormente tranquillo con la tua amata. "Cosí - dirai - non c'è da far nulla?". Certo che hai qualcosa da fare: elimina i litigi. Volgiti alla preghiera. Non respingere dunque l'ingiuria con l'ingiuria ma prega per chi la fa. Vorresti ribattere, parlare a lui, contro di lui. Invece parla a Dio di lui. Vedi che non è esattamente il silenzio che t'impongo. Si tratta di scegliere un interlocutore diverso; quello al quale tu puoi parlare tacendo: a labbra chiuse ma col grido nel cuore. Dove il tuo avversario non ti vede, lí sarai efficace per lui. A chi non ama la pace e vuol litigare rispondi cosí con tutta pace: "Di' quello che vuoi, odia quanto vuoi, detesta quanto ti piace, sempre mio fratello sei. Perché ti adoperi per non essere mio fratello? Buono, cattivo, volente, nolente, sempre mio fratello sei". Egli potrebbe replicare: "Come posso esserti fratello? Io ti sono avversario, nemico" . Ma tu: "Anche se parli in questo modo, anche cosí sei mio fratello". Sembra assurdo: mi odia, mi detesta e tuttavia mi è fratello? Si vorrebbe che io accettassi il modo di vedere di uno che non sa quel che si dica? Io gli desidero la guarigione: che veda la luce, che mi riconosca fratello. Vuoi che io accetti quello che lui dice: che io non sarei suo fratello per il fatto che egli mi detesta e mi odia? Debbo credere a lui e non alla stessa luce? Sentiamo che cosa dice la stessa Luce. Leggi il Profeta: Ascoltate, voi che temete, la parola del Signore. E’ lo Spirito Santo che parla per bocca del profeta Isaia: Ascoltate la parola del Signore, voi che temete. Dite: Siete nostri fratelli, anche a coloro che vi odiano e vi detestano. Il fatto è che la luce risplende, fa vedere la fraternità. Il malato d'occhi dice: "Chiudi la finestra". E invece tu apri gli occhi alla luce. Tu che secondo lui sei ancora in mezzo alle tenebre riconosci il tuo fratello in piena luce e di' senza timore non le mie, ma le parole di Dio. E’ Dio che parla: Dite: Siete nostri fratelli. Di chi? Anche di quelli che vi odiano. Non ci sarebbe infatti nulla di straordinario se chiamaste fratelli quelli che vi amano. Invece si tratta proprio di quelli che vi odiano e vi detestano. Ma come può essere? Sta' a sentire e riconosci il buon frutto di una situazione condotta in tal modo. Fa' come se interrogassi il Signore Dio tuo e dicessi: "Signore, come posso dire: Sei mio fratello, a chi odia, a chi detesta? Dimmi tu quale sarebbe la ragione". Eccola: Perché il nome del Signore sia glorificato. Appaia nella gioia ed essi siano confusi (Is 66, 5). Cerca di vedere, te ne scongiuro, qual è il frutto della pazienza, il risultato della mitezza. Dite: Siete nostri fratelli. Perché? Perché il nome del Signore sia glorificato. Perché non ti si riconosce fratello? Perché ci si restringe al nome dell'uomo, a glorificare l'uomo [invece di glorificare Dio]. Ripeti dunque: "Fratello mio, puoi odiarmi, puoi detestarmi finché vuoi, sei sempre mio fratello. Riconosci in te il segno di mio Padre, che è la parola del nostro Padre. Per quanto fratello cattivo, per quanto fratello litigioso, mio fratello sempre sei, perché anche tu dici, come dico io: Padre nostro che sei nei cieli (Mt 6. 9). Il nostro linguaggio è uguale. Perché non ci manteniamo uniti in lui? Ti prego, fratello, riconosci il senso di quello che dici insieme a me e condanna quello che fai contro di me. Considera le parole che escono dalle tue stesse labbra e, piú che me, ascolta te stesso. Pensa chi è Colui a cui diciamo: Padre nostro che sei nei cieli. Non è un amico, non è un vicino. E` uno, quello a cui ci rivolgiamo, che ci fa obbligo di andare d'accordo, e dato che siamo uniti con una stessa voce davanti al Padre, perché non dobbiamo essere uniti in una stessa pace?".
Queste cose ditele con fervore, ma con dolcezza. Sia appassionata la vostra parola, ma per il fervore della carità, non per l'esaltazione della discordia.
In breve...
Come si può essere veramente in pace se non con chi sinceramente si ama? (In Io. Ev. tr. 87, 1)
MARTEDÌ


"Là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre".
(Sal 133, 3)
INTRODUZIONE
Sollecitato dalle richieste del diacono Deogratias, Agostino compone un breve ed utile manuale a disposizione di quanti hanno il compito di iniziare alla fede i candidati al battesimo. Costoro sono appunto i rudes, cioè coloro i quali devono essere introdotti ai misteri cristiani attraverso la conoscenza della Parola di Dio, che accolgono nella catechesi quale sostentamento indispensabile alla loro crescita spirituale. Ed è la Scrittura a fungere da faro nella vita cristiana, orientando l’uomo a saper preferire alla gloria terrena la beatitudine del cielo e la pace senza fine. Le ricchezze, gli onori, i successi non portano con sé una stabile felicità; sebbene assicurino momenti di gioia, tali momenti sono effimeri e passeggeri. Tutto cade sotto la scura della morte. Tutto passa, ma la parola del nostro Dio dura sempre. (Is 40, 8)
Da "prima catechesi per i non cristiani" di Sant’Agostino vescovo (De cath. rud. 16, 24)


La vera pace è riposta nella Parola del Signore



Rendiamo grazie a Dio, fratello. Mi rallegro grandemente con te e gioisco per te, perché in mezzo alle tempeste così grandi e pericolose di questo mondo, hai rivolto la mente a quella che è una sicurezza vera e certa. Infatti anche in questa vita gli uomini ricercano la pace e la sicurezza con grandi tribolazioni, ma, a causa delle passioni perverse, non le trovano. Essi vogliono infatti trovare pace in beni instabili e non duraturi; ma tali beni con il passare del tempo vengono sottratti e passano, quindi li tormentano con timori e angosce e non permettono loro di vivere in pace. Perché se l’uomo vuole trovare pace nelle ricchezze, diventa più arrogante che libero da affanni. Non vediamo forse quanti le abbiano perdute all’improvviso e quanti si siano essi stessi perduti per causa loro e per l’avidità di possederle e per la violenza di chi più avido gliele sottrae? E se anche le ricchezze rimanessero in possesso di un uomo per tutta la sua vita e non abbandonassero colui che le ama, sarebbe proprio lui a doverle abbandonare al momento della sua morte. Quanto a lungo può durare la vita di un uomo, quand’anche raggiunga la vecchiaia? (cf. Sal 89, 10) E quando gli uomini desiderano la vecchiaia, cos’altro desiderano se non un periodo di lunga debolezza? Così pure gli onori di questo mondo, cos’altro sono se non orgoglio, vanità, rischio di perdizione? Perché così dice la Sacra Scrittura: Ogni carne è erba e la gloria dell’uomo come il fiore dell’erba. Secca l’erba, appassisce il fiore: ma la Parola del Signore rimane in eterno (Is 40, 6, 8; 1 Pt 1, 24-25). Per questo motivo chi desidera la vera pace e la vera felicita deve levare la sua speranza da beni perituri e transeunti e riporla nella Parola del Signore, cosicché aderendo alla Parola che rimane in eterno, possa anch’egli con essa rimanere in eterno.
In breve...
Ogni anima segue la sorte di ciò che ama. Ogni carne è come erba e tutta la gloria della carne come fiore di campo: l’erba secca, il fiore cade; il Verbo di Dio, invece, rimane in eterno. Ecco chi devi amare, se vuoi rimanere in eterno. (In Io. Ev. tr. 7, 1)


MERCOLEDÌ


Questa è la vita eterna:
che conoscano te, l’unico vero Dio,
e colui che hai mandato, Gesù Cristo
.
(Gv 17, 3)
INTRODUZIONE
Le Confessioni (1, 1, 1) si aprono con una celebre definizione dell’uomo, la creatura che in quanto immersa nel tempo storico, caratterizzato dal divenire e dalla finitudine, fa esperienza nel suo cuore di uno stato di inquietudine profonda. L’inquietum cor avverte la precarietà della vita che passa, l’impossibilità di guadagnare sulla terra la vita beata, ma non per questo si arrende: sa infatti che il suo cammino troverà un approdo finale, un riposo e una quiete che in modo pieno solo in Dio sono possibili. L’uomo è pertanto proteso verso Dio; è ciò avviene perché così Dio ha stabilito, introducendo la nozione di eternità nel cuore delle sue creature (cf. Qo 3, 11), che ha volute a sua immagine e somiglianza. (cf. Gn 1, 26) La conclusione delle Confessioni (13, 33, 50) è affidata ad un’intensa preghiera: è l’aspirazione più intima di Agostino, raggiungere quella quiete e quel riposo senza fine, che elimina e vanifica il senso del limite e della morte, cause prime dell’inquietudine umana. Solo allora il canto di lode a Dio si diffonderà ininterrotto, senza il timore di stancarsi ed annoiarsi per la sua eterna ripetizione. Non sarà allora la voce a cantare, ma il sentimento di amore di un animo rappacificato in Dio.
Dai "Discorsi" di sant’Agostino, vescovo (Serm. 362, 25, 27; 27, 28 – 28, 29)


Il cantico dei redenti



Aderite al Cristo, mantenete la fede, fratelli, proseguite sulla via, e il cammino stesso vi condurrà a vedere quello che ora non potete vedere. La speranza attende che si manifesti nelle membra quello che già si è manifestato in colui che è il capo: in lui che è il fondamento è già compiuto quello che da noi deve essere costruito man mano nella fede in attesa che si compia nella visione. Dovete evitare di credere di vedere scambiando per vera qualche falsa immagine, per non deviare sulla via dell'errore e non raggiungere la patria a cui porta il vostro cammino, cioè quella visione alla quale conduce la fede.
Sarà un perpetuo sabato: dobbiamo immaginare divenuto eterno il sabato che i Giudei celebrano nel tempo. Sarà una quiete ineffabile di cui non si può precisare in positivo che cosa sarà, ma dire in negativo che cosa non sarà. A quella pace tendiamo, in vista di quella rinasciamo spiritualmente: come infatti nasciamo ai travagli della carne, cosí rinasciamo alla pace dello spirito, seguendo la voce di colui che grida: Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò (Mt 11, 28). Qui ora egli ci alimenta, là poi ci dà la pienezza; qui promette, là mantiene la promessa; qui si manifesta con segni, là si manifesta al vivo. Nessuna delle nostre attività terrene permarrà quando vivremo in quella beatitudine, pienamente salvi, in pienezza di spirito e corpo. E non perdureranno neppure le opere buone che si apprezzano nei cristiani: qui si loda un cristiano che dia il pane a chi ha fame, dia da bere a chi ha sete, vesta chi è nudo, accolga lo straniero, porti pace tra i litiganti, visiti il malato, dia sepoltura al defunto, consoli chi piange. Sono le grandi opere che manifestano la misericordia, piene di lode e di grazia, ma anch'esse spariranno perché nate dalle necessità della nostra miseria; non vi sarà piú nessuno da sfamare dove nessuno patisce la fame, nessuno da dissetare dove nessuno soffre la sete, nessuno da vestire dove tutti sono rivestiti della veste immortale.
Che cosa faremo là io sono in grado di dirlo in parte, anche se non posso ancora dire nulla di preciso perché sinora non posso vedere: dico umilmente qualcosa perché l'attingo dalla Scrittura. Tutta la nostra attività consisterà nell'Amen e nell'Alleluia. Che dite, fratelli? Vedo che vi rallegra l'udire questo, ma vi prego anche di non rattristarvi ancora ragionando secondo la mentalità carnale che porta a pensare che, se uno stesse fermo a ripetere tutto il giorno Amen e Alleluia, proverebbe una gran noia e dormicchierebbe sulle sue stesse acclamazioni, con il solo desiderio di tacere. Ci si potrebbe addirittura immaginare una vita sgradevole, tutt'altro che desiderabile, e chiedersi chi mai saprebbe resistere a dire sempre Amen e Alleluia. Cercherò di spiegarmi come potrò. Noi non diremo Amen e Alleluia con i loro suoni fuggevoli, ma con il moto interiore dell'amore. Amen infatti significa: E’ vero, e Alleluia significa: Lodate Dio. Dio è verità incommensurabile nella quale sono impensabili carenza o progresso, diminuzione o aumento, o cedimento a falsità, perché resta perpetuamente stabile e sempre incorruttibile. Tutte le cose che, come creature, facciamo in questa vita sono figura delle realtà, espresse con la mediazione del corpo, e in esse ci muoviamo retti dalla fede. Quando vedremo faccia a faccia quello che ora vediamo in uno specchio in maniera confusa, allora proclameremo: E’ vero, in un modo cosí diverso che non si può neppure dire, ed esclameremo Amen saziandocene in modo insaziabile. Si potrà parlare di sazietà perché non si avvertirà alcuna mancanza, ma poiché tale pienezza non cesserà mai di dare diletto, si può in certo modo dire insaziabile la sazietà stessa. E come vi sazierete insaziabilmente della verità, cosí con insaziabile verità proclamerete il vostro Amen. Nessuno può dire come saranno quelle cose che occhio non vide né orecchio udí né entrarono in cuore d'uomo (1 Cor 2, 9) Ma poiché senza alcuna noia, anzi con diletto perpetuo vedremo il vero e lo contempleremo nella piú certa evidenza, noi stessi accesi dell'amore della verità e a lei uniti in dolce e casto abbraccio, fuori dalla mediazione del corpo, con tale acclamazione loderemo Dio e diremo: Alleluia. Esultando in tale lode con l'ardente carità che li unisce tra loro e a Dio, tutti i cittadini di quella città diranno: Alleluia, perché diranno: Amen.
In breve...
Tutta la tua speranza sia Dio: sèntiti bisognoso di Lui per essere da Lui ricolmato. (En. in ps. 85, 3)


GIOVEDÌ


"Grandi cose ha fatto il Signore per noi, / ci ha colmati di gioia".
(Sal 126, 3)
INTRODUZIONE
Chi altri potrebbe trattare della felicità, come esigenza connaturale ed ineliminabile per l’uomo, con la stessa precisione di Agostino? Egli che ha scandagliato l’animo umano al fine di evidenziarne i moti interiori che stimolano alla ricerca della felicità; egli che pur di conquistarla ha speso tutto se stesso in qualsiasi forma di godimento, di passione o di indagine intellettuale? Ogni tentativo si è rivelato fallimentare sino a quando Agostino non ha spostato il centro della felicità dalla propria persona a Dio. La vera felicità si identifica con la gioia che si indirizza verso Dio (ad Deum), Verità immutabile che dà fondamento e stabilità all’uomo; con la gioia che proviene da Dio (de Deo), come dono dall’alto e che l’uomo riconosce nell’espressione dell’amore a Dio e ai fratelli; con la gioia per Dio (propter Deum), che Dio stesso suscita come causa prima nell’uomo. E’ questa l’unica, autentica e vera felicità; altre forme non sono ammesse!
Dalle "Confessioni" di Sant’Agostino vescovo 10, 22, 32 – 23, 34


La vera felicità risiede nella gioia in Dio



Lontano, Signore, lontano dal cuore del tuo servo che si confessa a te, lontano il pensiero che qualsiasi godimento possa rendermi felice. C’è un godimento che non è concesso agli empi, ma a coloro che ti servono per puro amore, e il loro godimento sei tu stesso. E questa è la felicità, godere per te, di te, a causa di te; fuori di questa non ve n’è altra. Chi crede ve ne sia un’altra, persegue un altro godimento, non il vero.
Chiedo a tutti: "Preferite godere della verità o della menzogna?". Rispondono di preferire la verità, con la stessa risolutezza con cui affermano di voler essere felici. Già, la felicità della vita è il godimento della verità, cioè il godimento di te, che sei la verità (cf. Gv 14, 6), o Dio, mia luce, salvezza del mio volto, Dio mio (Sal 41, 6 s., 12). Questa felicità della vita vogliono tutti, questa vita che è l’unica felicità vogliono tutti, il godimento della verità vogliono tutti. Ho conosciuto molte persone desiderose di ingannare; nessuna di essere ingannata. Dove avevano avuto nozione della felicità, se non dove l’avevano anche avuta della verità? Amano la verità, poiché non vogliono essere ingannate; e amando la felicità, che non è se non il godimento della verità, amano certamente ancora la verità, né l’amerebbero senza averne una certa nozione nella memoria. Perché dunque non ne traggono godimento? Perché non sono felici? Perché sono più intensamente occupati in altre cose, che li rendono più infelici di quanto non li renda felici questa, di cui hanno un così tenue ricordo. C’è ancora un po’ di luce fra gli uomini. Camminino, camminino dunque, per non essere sorpresi dalle tenebre (Gv 12, 35). Ma perché la verità genera odio, e l’uomo che predica il vero in tuo nome diventa per loro un nemico (cf. Gv 8, 40), mentre amano pure la felicità, che non è se non il godimento della verità? In realtà l’amore della verità è tale, che quanti amano un oggetto diverso pretendono che l’oggetto del loro amore sia la verità; e poiché detestano di essere ingannati, detestano di essere convinti che s’ingannano. Perciò odiano la verità: per amore di ciò che credono verità. L’amano quando splende, l’odiano quando riprende (cf. Gv 5, 35). Non vogliono essere ingannati e vogliono ingannare, quindi l’amano allorché si rivela, e l’odiano allorché li rivela. Questo il castigo con cui li ripagherà: come non vogliono essere scoperti da lei, lei contro il loro volere scoprirà loro, rimanendo a loro coperta. Così, così, persino così cieco e debole, volgare e deforme è l’animo umano: vuole rimanere occulto, ma a sé non vuole che rimanga occulto nulla. E viene ripagato con la condizione opposta: non rimane lui occulto alla verità, ma la verità rimane occulta a lui. Eppure anche in questa condizione infelice preferisce il godimento della verità a quello della menzogna. Dunque sarà felice allorché senza ostacoli né turbamento godrà dell’unica Verità, grazie alla quale sono vere tutte le cose.
In breve...
So questo soltanto: che tranne Te, per me tutto è male, non solo fuori di me, ma anche in me stesso; e che ogni mia ricchezza, se non è il mio Dio, è povertà. (Conf. XIII, 8. 9)
VENERDÌ


Felicità e grazia mi saranno compagne / tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore / per lunghissimi anni
.
(Sal 23, 6)
INTRODUZIONE
Agostino è il cantore dell’amore, quale forza dinamica che orienta il desiderio dell’uomo e del suo cuore inquieto a Dio. Ad Deum l’uomo è stato creato, proteso verso Dio; capax Dei, capace di accogliere in sé Dio stesso. Aderendo a Dio l’uomo ritrova quella vitalità che gli è preclusa nel momento in cui da Dio si allontana: "Non sia io per me la mia vita: male ho vissuto vivendo di me; fui morte a me stesso: rivivo in Te" (Confess. 12, 10, 10). Ed ecco allora lo stimolo dell’amore che agisce nel cuore dell’uomo, quell’amore che per primo Dio ha donato alle creature, chiamandole all’esistenza e riscattandole dal peccato. L’amore diviene pondus nel linguaggio agostiniano, peso, attrazione, tensione verso, inquietudine. L’immagine è tratta dal mondo naturale: tutti i corpi si muovono alla ricerca del loro luogo specifico; una volta spostati dal loro punto di appoggio sono portati dal proprio peso a guadagnare la condizione di riposo. Passando all’uomo Agostino stabilisce un’uguaglianza tra il pondus e l’amor: "Il mio peso è il mio amore; esso mi porta dovunque mi porto" e tale spinta procede verso l’alto, in Dio, dove "nulla desidereremo se non di rimanervi in eterno" (Confess. 13, 9, 10). Chi possiede l’amore possiede tutto, perché l’amore apre a Dio; di fronte a questa ricchezza non si può temere di perdere le ricchezze terrene. Certo le lusinghe del mondo eserciteranno un’attrazione quasi irresistibile sull’uomo; ma colui che confida nel Signore non può venir meno, perché non viene meno la Roccia sulla quale ha fondato la sua speranza.
Dai "Discorsi" di sant’Agostino, vescovo (Serm. 65/A, 1-4)


Il peso dell’amore



Veda dunque ciascuno quanto felice sia il cuore che dice nel suo interno ove conosce quanto dice: Una sola cosa ho chiesto al Signore, solo questa ricercherò. Ma che cos'è proprio questa cosa? Parla infatti o d'una cosa o d'una petizione? Qual è questa cosa? Di abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita per gustare la dolcezza di Dio (Sal 26,4). Ecco l'unica cosa, ma quanto buona! Pesa quest'unica cosa in confronto con altre cose. Se dunque hai un po' di buon senso, se dunque la ricerchi un poco, se sai infiammarti di santo desiderio per essa, pesa quest'unica cosa a paragone di molte altre, sorreggi la bilancia della giustizia, poni su un piatto oro, argento, pietre preziose, onori, dignità, poteri, nobiltà, lodi umane - quando arriverò ad enumerare ogni cosa? - poni su di essa tutto il mondo; vedi se v'è alcuna proporzione, vedi se puoi porvi sopra queste stesse due cose, tutto il mondo con il Creatore del mondo, almeno per valutarle.
Che cosa mi dice l'oro? "Amami". Ma che mi dice Dio? "Mi servirò di te in modo che tu non mi trattenga e separi me da te". Qualunque altra cosa che mi dicesse: "Amami", è una creatura. Io amo il Creatore. Buono è ciò che ha fatto, ma quanto migliore è Colui che lo ha fatto! Non vedo ancora la bellezza del Creatore, ma la più smorta immagine delle creature. Ciò che non vedo lo credo, credendo lo amo ed amando lo vedo. La smettano dunque di adescarmi le cose destinate a morire, tacciano l'oro e l'argento, non mi attragga lo splendore delle gemme, tacciano infine le seduzioni di questa luce terrena; non mi lusinghino tutte le cose. Ho una voce più chiara che voglio seguire, capace di commuovermi di più, di eccitarmi di più, d'infiammarmi d'un ardore più intimo. Non ascolto lo strepito delle cose terrene. Che dire? taccia l'oro, taccia l'argento, tacciano tutte le altre cose di questo mondo.
In breve...
Gli uomini amano diverse cose; e quando uno sembra possedere ciò che ama, si dice felice. Tuttavia è veramente felice non se ha ciò che ama, ma se ama ciò che deve essere amato. (En. in ps. 26, 7)


SABATO


Esultate di gioia indicibile e gloriosa,
mentre conseguite la meta della vostra fede,
cioé la salvezza delle anime
.
(1 Pt 1, 8-9)
INTRODUZIONE
La vita beata per Agostino riserverà ai santi il possesso della Verità, di Dio stesso. E’ la speranza alla quale gli uomini sono chiamati già a partire dal pellegrinaggio terreno. Seguendo Cristo, l’unico Mediatore tra Dio e gli uomini, si percorre la via che conduce alla patria celeste. Il monito che il vescovo rivolge ai suoi fedeli è quello di aggrapparsi a Cristo, conservando pura la fede, senza deviare dal suo insegnamento: tenete Christum, tenete fidem, tenete viam. (Serm. 362, 25. 27) Un ritornello incisivo e sempre attuale, regolato dal ripetersi di uno stesso verbo tenere, ad indicare la scelta di chi ha posto un punto fisso nella vita ed esso rivolge costantemente lo sguardo per regolarne la condotta. E quel punto per Agostino e per ogni cristiano è Cristo.
Dal "Commento al Vangelo di S. Giovanni" di sant’Agostino, vescovo (In Io. Ev. tr. 10, 13)


Cristo è la nostra gioia!



Benediciamo il Signore Dio nostro, che qui ci ha riuniti a letizia spirituale. Conserviamoci sempre nell'umiltà del cuore. e riponiamo nel Signore la nostra gioia. Non lasciamoci gonfiare per alcun successo temporale, e persuadiamoci che la nostra felicità avrà inizio solo quando le cose di quaggiù saranno passate. Tutta la nostra gioia adesso, o miei fratelli, sia nella speranza. Nessuna gioia di quaggiù ci trattenga nel nostro cammino. Tutta la nostra gioia sia nella speranza futura, tutto il nostro desiderio sia rivolto alla vita eterna. Ogni sospiro aneli al Cristo: lui solo sia desiderato, il più bello fra tutti, che amò noi, deformi, per farci belli. Solo dietro a lui corriamo, per lui sospiriamo, e i suoi servi che amano la pace non cessino di esclamare: Sia glorificato il Signore! (Sal 34, 27)
In breve...
Ma fra tutte le cose che passo in rassegna consultando Te, non trovo un luogo sicuro per la mia anima, se non in Te. Soltanto lì si raccolgono tutte le mie dissipazioni e nulla di mio si stacca da Te. Talvolta mi introduci in un sentimento interiore del tutto sconosciuto e indefinibilmente dolce, che, qualora raggiunga dentro di me la sua pienezza, sarà non so cosa, che non sarà questa vita. (Confess. 10, 40, 65)



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